Finalmente e’ giunto anche per gli USA il momento di ricevere la "gradita" visita del Fondo Monetario Internazionale, per la somma gioia del Presidente della FED Bernanke.
Un’esperienza che quasi tutti i Paesi del globo hanno vissuto come un grande shock portatore di conseguenze nefaste per la maggior parte delle rispettive popolazioni.
E ora tocca anche agli americani, poverini quanto ci dispiace…
Il FMI controllerà gli Stati Uniti
di Maurizio Blondet – Effedieffe – 2 Luglio 2008
Quando uno Stato è incapace di tenere i suoi conti in ordine, accumula debiti su debiti con le banche estere, ed è vicino all’insolvenza, di solito riceve la visita di esperti del Fondo Monetario Internazionale. Questo ente sovrannazionale, nato a Bretton Woods, gestisce la sanità del sistema monetario internazionale; può fornire ulteriori prestiti al Paese rovinato, ma come contropartita, può imporre durissime «ricette di risanamento», che vanno dalla svalutazione della moneta nazionale, alla «privatizzazione» o vendita di «attivi» nazionali (miniere, ad esempio), a tagli della spesa pubblica giudicata improduttiva (secondo i creditori).
Praticamente, il Paese è sottoposto a gestione controllata e a pignoramento.Accade, per lo più, che ricevano la visita del FMI piccoli Paesi africani, o di nessun peso politico. È accaduto all’Argentina. Accade all’Italia, per via del nostro immane debito pubblico.Ma non è mai accaduto che i revisori del Fondo Monetario bussassero alla porta di Washington: non foss’altro perchè Washington è il principale «azionista» del Fondo, di cui detiene con Londra (i due vincitori della seconda guerra mondiale) il 60% delle quote.
Stavolta invece accade, e ne dà notizia lo Spiegel: il Fondo Monetario «ha informato» Ben Bernanke, il governatore della Banca Centrale USA (Federal Reserve) che intende procedere a un esame generale del sistema finanziario USA. Il consiglio direttivo ha decretato quello che chiama un «Financial Sector Assessment Program» delle finanze americane. Sarà, scrive Der Spiegel, «nè più nè meno che una radiografia completa del sistema finanziario USA».Per consentire la valutazione (assessment), «la Fed, la SEC (l’ente di controllo della Borsa), le maggiori banche d’investimento, le banche emettitrici di mutui e i fondi speculativi (hedge fund) saranno richiesti di mettere a disposizione documenti riservatissimi al gruppo FMI.
Si chiederà loro di rispondere alle domande che saranno poste durante le ‘interviste’ (ai responsabili). I loro software bancari saranno sottoposti a cosiddette ‘prove sotto stress’ (stress test), ossia a simulazioni di scenari ‘del caso peggiore’ (worst-case), simulanti cioè gli effetti a cascata di fallimenti di altre grandi istituzioni finanziarie o di un prolungato declino del dollaro».
La conclusione: «Mai nessun governatore della Federal Reserve nella storia americana è stato obbligato a sottoporsi alla umiliazione che attende Ben Bernanke». Una umiliazione che il presidente Bush, aggiunge Spiegel, è ben deciso ad evitare: tanto che ha concesso sì al Fondo Monetario di cominciare la revisione, ma con la condizione che non la finisca prima che lui abbia lasciato la Casa Bianca. Con le conseguenze dei suoi anni di follia monetaria e spese folli, se la vedrà il prossimo presidente.
Ancora Der Spiegel: «Quando il rapporto finale del FMI sul sistema finanziario USA sarà completato nel 2010, e certamente farà scalpore a livello internazionale, una sola delle persone oggi in posti di responsabilità sarà ancora sulla sua poltrone: Ben Bernanke».Inutile sottolineare ch la libera stampa americana non riporta questa notizia; e nemmeno quella europea s’è mostrata desiderosa di riprendere lo scoop di Spiegel. Noi (che non leggiamo il tedesco) abbiamo trovato l’informazione sul quotidiano «The Age», della lontana Australia.
Che si abbandona a qualche sarcastico commento: immaginate, dice, se la Banca Centrale australiana avesse fatto come quella americana. Se, preoccupata che i suoi amici a Sidney, che hanno nuotato tutta la vita nell’oro, fossero falliti e non potessero più permettersi i loro lussi, e perciò – avendo il potere di intervenire sui mercati – facesse proprio questo per salvarli.
Immaginate una Banca Centrale che entrasse nei mercati a comprare azioni allo scopo di sostenere le demenziali scommesse dei banchieri – scommesse che la Banca Centrale per prima ha incoraggiato fornendo i banchieri di denaro a bassissimo costo.
E non basta: immaginate la nostra Banca Centrale che promette a quei profittatori di fornirli di altri miliardi di dollari a credito, con l’argomento che sono troppo grossi e importanti per l’economia per lasciarli andare in fallimento.
E infine, immaginate se, nonostante l’immane quantità di miliardi di dollari spesi a rastrellare azioni dei loro complici, a cui hanno dato accesso per giunta a somme enormi, il sistema continuasse a precipitare; sicchè la Banca Centrale annuncia che ha bisogno di più grandi poteri e di ancora più segretezza per aggiustare le cose.
Se questo avesse fatto la Banca Centrale australiana (o di qualunque altro Paese), da molto tempo avremmo i revisori dell'FMI a martellare a pugni alla porta nostra. Ebbene, è esattamente quello che ha fatto l’autorità centrale americana. E finalmente, il FMI bussa anche alla sua porta. Era ora.
Ed è anche, aggiungiamo noi, il segno più chiaro del destino storico degli Stati Uniti. Il più grande debitore della storia del mondo non può più esercitare la «sovranità monetaria» nel modo arbitrario in cui l’ha fatto negli ultimi trent’anni. Ora, i creditori mandano il loro agente pignoratore.
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1) David Hirst, «IMF finally knocks on Uncle Sam’s door», The Age, 30 giugno 2008.