mercoledì 30 luglio 2008

Iran: Il Pentagono dice no alla “Sorpresa” di Israele

Anche ieri, dopo un incontro a Washington tra il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak e il suo omologo americano Robert Gates, Israele ha proseguito con le sue insistenti pressioni sugli USA per trascinarli nel prossimo futuro in un conflitto armato con l’Iran.

Il Ministero della Difesa israeliano ha infatti ripetuto il suo paranoico ritornello in un comunicato che afferma “Occorre continuare la politica che prevede la possibilita' di ricorrere a tutte le opzioni: il programma nucleare iraniano mette in pericolo la stabilita' della regione e del mondo intero”.

Quindi per l’ennesima volta Israele chiede con insistenza agli USA di non rinunciare all’opzione militare contro l’Iran, sempre piu’ osteggiata invece dagli alti gradi delle Forze Armate USA, ben consapevoli delle catastrofiche conseguenze che ne deriveranno nella regione mediorentale, e non solo.

Gli USA sembrano ormai aver abbandonato l’idea di bombardare l’Iran, avendo deciso di puntare sulle sanzioni e i negoziati diplomatici. Ma Israele e’ come un mulo che non ne vuole sapere di cambiare strada ed e’ disposto a trascinare nel baratro anche il suo piu’ fedele alleato pur di raggiungere il suo paranoico obbiettivo.


Qui di seguito si parla di questo tema e anche di un evento storico, quasi sconosciuto, che rende bene l’idea di cosa sia capace Israele pur di realizzare i suoi piani.


Il Pentagono a Israele: «Niente false-flag, d’accordo?»
di Maurizio Blondet – Effedieffe – 30 Luglio 2008

La scorsa prima settimana di luglio, l’ammiraglio Mike Mullen, da poco nominato capo degli Stati Maggiori riuniti dopo le dimissioni dell’ammiraglio Fallon, si è precipitato in visita ad Israele attorniato da una nutrita delegazione di gallonati USA. Ed ha incontrato i pari-grado delle forze armate israeliane. Che cosa si siano detti, non si sa.

Ma ora Mark Glenn, giornalista dell’American Free Press con agganci nel mondo dell’intelligence, ritiene di poterne dare un’idea (1). E la sua conclusione è esplosiva. Uno dei temi trattati nell’incontro, asserisce Glenn, è stato l’attacco dell’aviazione israeliana alla nave-spia USS Liberty, avvenuto ben 41 anni fa, e su come sia «importante» che «la storia non si ripeta» data la tensione esistente con l’Iran. L’affondamento della Liberty è una delle vicende più insabbiate in America.La nave, che osservava le operazioni al largo del Mediterraneo (era la guerra dei sei giorni) fu attaccata dal cielo da caccia senza insegne; morirono 34 marinai.

Israele ha sempre protestato che fu un errore di riconoscimento, in pieno conflitto; la nave-spia era per sè sospetta, poteva essere egiziana. In USA, alcuni ambienti hanno sempre sospettato che si fosse trattato di un tentativo di accollare l’attacco omicida agli egiziani, onde indurre l’America - a quel tempo non così filo-sionista - a passare dalla parte di Israele. In ogni caso, sulla vicenda lo stesso Pentagono, e tutte le successive presidenze USA, hanno steso una spessissima coltre di silenzio, nonostante le richieste instancabili dei sopravvisssuti dell’equipaggio perchè fosse fatta piena luce. La stessa opinione pubblica americana, in enorme maggioranza, non è informata nemmeno che il fatto avvenne (2).

Come mai ora il più alto in grado del Pentagono va a rivangare la vecchia vicenda (ufficialmente nemmeno avvenuta), raccomandando che «la storia non si ripeta», in collegamento con le tensioni attualissime con l’Iran?Per Glenn è chiaro: Mullen è andato ad avvertire gli israeliani - freneticamente occupati da settimane a minacciare un proprio attacco preventivo alle installazioni di Teheran, e a premere sugli americani per un aiutino in questo senso - a non inscenare un false flag. Ossia, più esplicitamente, Mullen teme un attacco ad una delle tante navi americane presenti nel Golfo, con forti perdite di vite americane, allo scopo di trascinare l’opinione pubblica ad esigere (a dirla come Hillary) «l’obliterazione» dell’Iran.

Forse persino i comandi USA sapevano che un tale attacco false flag era in preparazione.Così, Mullen è andato a ricordare la tragedia della Liberty per significare: nessuna Liberty-bis, ci siamo capiti? American Free Press è un gruppo editoriale dell’estrema destra americana, ancorchè di solito benissimo informato su certi retroscena (ha molti simpatizzanti militari). Ma la sua ipotesi, apparentemente arrischiata, ha solide pezze d’appoggio.

Philip Giraldi, un famoso ex alto funzionario della CIA, e notoriamente ancora molto rispettato fra i colleghi, ha scritto sull’American Conservative Magazine un articolo dal titolo chiaro: «If Iran is Attacking, It Might Really Be Israel», ossia: «Se l’Iran ci attacca, potrebbe invece essere Israele».

Ed ecco la spiegazione di Giraldi: «... Certi ragazzi dell’intelligence stanno esprimendo allarme che gli israeliani possano far qualcosa di completamente folle per ottenere il coinvolgimento degli USA. Girano diversi scenario di possibili ‘false flag’ in cui gli israeliani possono creare un incidente che faranno apparire come iraniano, magari usando armamento iraniano o lasciando qualche ‘traccia’ di comunicazioni che punterebbero a Teheran come colpevole. Coloro che replicano: Israele non farebbe mai una cosa simile, è bene che ci ripensino... Ricordate l’attacco alla USS Liberty e l’attentato al Consolato USA ad Alessandria d’Egitto negli anni ‘50. Se ora essi sono convinti che l’Iran è una minaccia che deve essere eliminata, non è assurdo assumere che non si fermeranno davanti a nulla per ottenere che siano gli Stati Uniti a farlo per loro, dato specialmente che la loro forza aerea (israeliana) ha la capacità solo di danneggiare il programma nucleare iraniano, non di distruggerlo...» (3).

Difficile essere più espliciti. Ma non basta. Un altro vecchio e importante appartenente alla «intelligence community» americana, Ray McGovern, analista della CIA dagli anni ‘60 fino alla prima presidenza Bush jr. (e poi dimessosi in aspra polemica con Rumsfeld e Wolfowitz sulle «prove» che giustificarono l’attacco all’Iraq), ha suonato lo stesso motivo.

Un suo recente articolo - McGovern pubblica su diverse riviste e siti - ha come titolo: «Israel Planning a September/October Surprise?», e nel trattare della possibilità che gli USA, sotto la futura presidenza, comincino un disimpegno dall’Iraq, dice: «I capi israeliani sono come pazzi (a questa prospettiva)... un così drammatico cambiamento, o anche solo lo spettro di esso, aumenta fortemente l’incentivo per Israele di assicurare nell’area un coinvolgimento degli USA durevole, e per anni. Gli israeliani hanno bisogno di creare un ‘fatto compiuto’, qualcosa che garantisca che Washington resterà a fianco del ‘nostro alleato’ (...). Il punto è che l’aggravata percezione del rischio percepito dagli israeliani li spingerà probabilmente a trovare un modo di coinvolgere gli USA nelle ostilità con l’Iran. Tutto ciò che Israele deve fare è ‘apparire’ come aggredita. Non è un problema. Ci sono infinite possibilità tra cui Israele può scegliere per far precipitare un conflitto. Vista da Tel Aviv, la situazione è di minaccia crescente, e perciò di più urgente necessità di ‘incastrare’ gli Stati uniti più profondamente nella regione, in un conflitto che metta i due Paesi contro l’Iran. E’ probabile che Israele prepari una ‘september-october surprise’ progettata allo scopo di inchiodare gli USA in Iraq e nella più ampia area regionale, provocando le ostilità con l’Iran. Anzi non mi sorprenderebbe se ciò cominciasse prima, ad agosto» (4).

Dunque la «comunità d’intelligence in servizio» (CIA e le altre 17 agenzie d’informazione tenute alla disciplina), attraverso due loro autorevoli membri «a riposo» che possono parlare e perciò sono come dei suoi portavoce non-ufficiali, sta dicendo proprio questo: forse ci sarà un attacco sanguinoso a interessi americani; se avviene, sarà un false-flag. Fatto da Israele.

La visita dell’ammiraglio Mullen - grande «amico» di Sion - può indicare che i militari in servizio hanno preso molto sul serio questo messaggio, ed è andato ad avvertire gli «amici» di non provarci. Ma c’è un altro indizio in appoggio a questa tesi, ed arriva dal più alto livello ufficiale: da Robert Gates, ministro della Difesa, capo politico del Pentagono.

Nel giugno scorso, Gates ha messo la firma definitiva sull’importante documento dal titolo «US National Defense Strategy 2008 ». Questo documento non è ancora pubblico - lo sarà ufficialmente fra pochi giorni - ma il sito InsideDefense.com gestito dai militari ne ha già diffuso il contenuto (5). Ebbene: in questo documento, Gates omette Israele dall’elenco dei «nostri alleati». Eppure Gates li cita tutti, gli alleati degli USA, con pignoleria burocratica. Dai «più vicini alleati, Gran Bretagna, Australia e Canada», alle «altre alleanze di lunga durata, NATO, Giappone e Corea del Sud. Noi lavoreremo per espandere e rafforzare altre relazioni, compresa quella con l’India». In questa lista Israele non c’è.

Che si tratti di una svista è escluso, anche perchè il documento firmato da Gates sostituisce il documento precedente dallo stesso titolo «Us National Defense Strategy 2005» che fu firmato da Rumsfeld, e dove Israele è nominato come «our closest ally»; come in altri infiniti documenti pubblici e ufficiali, dove sempre Israele è «il nostro più vicino», o addirittura «il nostro solo alleato in Medio Oriente».

Il profilo di Robert Gates è quello del «realista» messo dai vecchi realisti della precedente gestione imperiale a controllare Bush figlio; è inoltre stato capo della CIA, e ha tutta una vita di carriera nella burocrazia al potere, di cui conosce i gerghi. Venuta da un simile personaggio, questa omissione tacita è molto eloquente: se Israele farà una «USS Liberty-bis», non sarà più considerata un «alleato che sbaglia». Nè l’America è disposta a bersi un altro «false flag».

A questo punto avanziamo anche un’ipotesi nostra, che non esclude ma rafforza quella di Glenn. La recrudescenza degli attentati di non identificati sunniti (o «Al Qaeda», fate voi) contro masse sciite in pellegrinaggio, dopo mesi di violenza in diminuzione, non sembrano servire alla perfezione allo scopo di «inchiodare» gli USA nella palude irachena e nell’area in generale? Proprio dopo che Barak Obama è andato in Iraq impegnandosi, se sarà eletto, ad un rapido alleggerimento delle presenza americana, che cosa fanno «i terroristi islamici»? Mostrano che no, che gli USA devono restare, che c’è ancora tanto bisogno di loro. Una volta di più, c’è da chiedersi per quale squadra giochino questi «terroristi islamici».

Lo stesso si può dire per i sanguinosi e misteriosi attentati in Turchia. Vero è che le tensioni interne - la Corte Suprema che può, con sentenza, mettere fuorilegge il partito di governo - potrebbero indurre ad una spiegazione tutta domestica. Ma si deve tener conto che la Turchia, proprio sotto il governo islamista di Erdogan, è diventata l’interlocutore-mediatore informale con cui Teheran cerca di comunicare con Washington; una novità che certo rende «apoplectic» i capi israeliani, e i loro alleati neocon in USA.

Il governo turco ha accusato degli attentati i curdi del PKK - che ha rigettato l’accusa. Ma il giornale Zaman, vicino ad Erdogan, ventila la responsabilità di un più oscuro «asse maligno del terrore»: e specificamente della organizzazione Ergenekon, di cui 47 membri sono ora in prigione in attesa di processo (il 20 ottobre) per tentato colpo di Stato, per banda armata e come colpevole di attentati (spesso attribuiti ad islamici) nel corso degli ultimi 20 anni (6).

Che cosa è Ergenekon? La Gladio turca. Una delle organizzazioni stay-behind che hanno operato nelle nazioni della NATO. Che in un regime militare come quello «laico e repubblicano» di Ankara prima di Erdogan, era ben più che questo. Enrgenekon «sta sopra anche allo Stato Maggiore, al MIT (il servizio segreto turco), sopra all’ufficio del primo ministro», scrisse nel 1997 l’analista strategico Erol Mutercimler. Insomma il governo segreto dei militari «laici» (dunmeh) che hanno governato la Turchia fino alla vittoria elettorale di Erdogan. Infatti tra gli arrestati ci sono generali, riciclatori di denaro, uomini d’affari loschi, avvocati d’estrema destra… insomma par di leggere la lista dei seguaci del nostro Edgardo Sogno, il «partigiano bianco» decorato.

La Gladio turca era stata ufficialmente disciolta. Invece continuava ad agire, come si è visto dopo gli arresti dell’inverno scorso, appena in tempo per sventare un colpo di Stato contro il governo islamista così sgradito ai militari. E’ significativo che al momento degli arresti il capo di Stato Maggiore delle forze turche, il generale Buyukanit (indicato dalla vox populi come un dunmeh, ossia un cripto-ebreo) abbia dichiarato: «In ogni ambiente ci sono persone che infrangono la legge... C’è chi cerca di stabilire un legame tra questi fatti e le forze armate».

Questi imputati eccellenti e intoccabili hanno tutto da guadagnare da una sentenza della Corte che obbligasse il governo Erdogan a lasciare il potere, come fuorilegge (anche in Turchia, come nell’Italia massonica, a decidere chi vince politicamente tende ad essere la magistratura). Il processo che li attende potrebbe allora essere rimandato, insabbiato, manipolato… Una opportuna «strategia della tensione», con attentati indiscriminati come quelli esplosi, è nelle corde della Ergenekon da sempre.Ma chissà cos’è la nuova Ergenekon clandestina; chissà chi la infiltra, chissà a quali nuovi o vecchi padroni obbedisce? Sicuramente, hanno bisogno anche loro che gli USA non si disimpegnino dall’area, che restino «inchiodati» lì.

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1) Mark Glenn, «US warns Israel - There will be no USS Liberty pt.II», American Free Press, 28 luglio 2008.
2) Per la completa ricostruzione della vicenda rimando a Wikipedia (dove si adotta la versione israeliana dell’errore).
3) «Some intel types are beginning to express concerns that the Israelis might do something completely crazy to get the US involved. There are a number of possible ‘false flag’ scenarios in which the Israelis could stage an incident that they will make to look Iranian, either by employing Iranian weapons or by leaving a communications footprint that points to Tehran’s involvement. Those who argue Israel would never do such a thing should think again. Israel is willing to behave with complete ruthlessness towards the US if they feel that the stakes are high enough. Witness the attack on the USS Liberty and the bombing of the US Consulate in Alexandria in the 1950s. If they now believe that Iran is a threat that must be eliminated it is not implausible to assume they will stop at nothing to get the United States to do it for them, particularly as their air force is only able to damage the Iranian nuclear program, not destroy it…».
4) «My guess is the Israeli leaders are apoplectic… This dramatic change - or even just the specter of it - greatly increases Israel’s incentive to ensure US involvement in the area that would endure for several years. The Israelis need to create ‘facts on the ground’ - something to guarantee Washington will stand by ‘our ally. The legislation drafted by AIPAC calls for a blockade of Iran. That would be one way to entangle; there are many others. The point is that the growing danger the Israelis perceive will probably prompt them to find a way to get the US involved in hostilities with Iran. All Israel has to do is to arrange to be attacked. Not a problem. There are endless possibilities among which Israel can choose to catalyze such a confrontation. Viewed from Tel Aviv it appears an increasingly threatening situation, with more urgent need to ‘embed’ (so to speak) the United States even more deeply in the region - in a confrontation involving both countries with Iran.A perfect storm is brewing… In sum, Israel is likely to be preparing a September/October surprise designed to keep the US bogged down in Iraq and in the wider region by provoking hostilities with Iran. And don’t be surprised if it starts as early as August…».
5) Insidedefense.com, «008 US National Defense Strategy». 24 luglio 2008. Accesso a pagamento.
6) «Sketches of top agencies found during Ergenekon raid», Zaman, 29 luglio 2008. Nella mitologia nazionale turca, Ergenekon è il nome del luogo leggendario dove il mitico fondatore radunò la nazione turca.