sabato 19 luglio 2008

Lunga vita a Mandela

Ieri ha compiuto 90 anni il grande leader sudafricano, che purtroppo per mere questioni anagrafiche ha dovuto abbandonare molto presto la guida di un Paese che avrebbe ancora tanto bisogno di lui.

Un Sudafrica notevolmente cambiato e cresciuto sia a livello geopolitico che economico negli ultimi 15 anni e che tra soli due anni ospitera’ addirittura i prossimi Campionati mondiali di calcio.
Ma e’ un Paese ancora alle prese con grossi problemi sociali derivanti da una perenne poverta’ diffusa e da una criminalita’ imperante.
Inoltre due mesi fa vi si era pure scatenata una cruenta caccia all’immigrato, nell’ennesima guerra tra poveri senza frontiere.

Mandela ha comunque ridato dignita’ e speranza ad un Paese che solo fino a 18 anni fa era considerato una feccia da coloro che nelle diverse parti del mondo odiavano il regime d’apartheid, ancora in vigore prima di allora.

Long Live Nelson!


Il miracolo di Madiba
di Maurizio Matteuzzi – Il Manifesto – 18 Luglio 2008

Oggi Nelson Mandela compie 90 anni. Fra l'augurio di lunga vita e la gioia di verderlo arrivare a questo traguardo in buone condizioni di spirito e di mente, s'annida una rabbia nascosta. Rabbia per il tempo che neanche per lui - almeno per lui - si è fermato. Il Sudafrica, tre lustri dopo il «miracoloso» passaggio pacifico dal regime nazi dell' apartheid alla democrazia arazziale e «arcobaleno», avrebbe ancora un disperato bisogno di uno come Madiba.

Non solo il Sudafrica e non solo l'Africa, tornata terra di conquista per vecchie e nuove potenze dietro il simulacro spesso grottesco della «democrazia». Il mondo, avrebbe bisogno di Mandela. Della sua autorità morale, della sua statura etica, della sua lungimiranza politica, della sua saggezza. E anche della sua incrollabile durezza. Quel «miracolo» fu opera di Mandela e dei milioni di sudafricani che lo seguirono nel «lungo cammino verso la libertà».

I sudafricani neri abbattuti come mosche a Soweto e Sharpeville o assassinati come Steve Biko e Chris Hani, i pochi sudafricani bianchi - generalmente ebrei e comunisti - che furono al suo fianco fin dall'inizio di quel cammino, l'ancor più ridotta pattuglia di anglo-boeri progressisti che lottarono insieme all'African National Congress. Fu Mandela, dopo i 27 anni passati in carcere, a compiere il miracolo politico (e umano) di evitare quello che sembrava inevitabile: la rivalsa dei neri dopo decenni - o secoli - di schiavitù e sopraffazioni. Anche solo quella rivalsa che poteva prendere le forme della giustizia dovuta o dell'esodo obbligato.

Di Mandela si sa ormai tutto, si è detto tutto. Non c'è più niente da scoprire. È l'unico uomo al mondo che possa subire l'affronto di statue erette in suo onore mentre è ancor vivo, senza che alcun tipo di culto della personalità lo sfiori. Ma non si può e non si deve dimenticare che se una volta uscito di prigione e compiuto il «miracolo», è stato fatto subito santo, per molti anni è stato definito un «terrorista», anche e soprattutto da quelli che poi lo hanno beatificato. E, secondo i canoni oggi correnti, a rigore lo era. Anche se adesso quell'etichetta sembra una bestemmia e Mandela è la coscienza buona di un mondo senza più coscienza.

Forse l'unico rimprovero che si può muovere al grande Madiba è di essere uscito di scena troppo presto. Che poi è un altro aspetto della sua grandezza. Chiusa la stagione da «terrorista», compiuto il «miracolo» da statista e divenuto nel '94 il primo presidente della repubblica di un Sudafrica libero e arcobaleno, nel '99 ha passato la mano. Allora aveva 80 anni. E a 80 anni è giusto farsi da parte. Mandela si fece da parte.

Forse, col senno di poi, avrebbe dovuto restare perché il lungo cammino verso la libertà, se era riuscito a spazzare via l'obbrobrio dell' apartheid , non si era ancora concluso. Non è mai concluso. Come dimostra la povertà che colpisce la gran maggioranza dei neri sudafricani (senza poter neppure più dare la colpa ai «boeri») e i sanguinosi soprassalti di razzismo verso neri ancor più poveri che vengono da fuori.

Il Sudafrica è cresciuto, è ormai il leader dell'Africa, aspira a un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell'Onu, con altri paesi «emergenti» dell'ex Terzo mondo fa parte del G5. Ma senza Mandela ha perso presto quella diversità positiva che solo lui poteva dargli. E il G5 assomiglia fin troppo al ridicolo G8 in cui ambisce (e merita) di entrare.

Forse se Mandela avesse scelto come successore anziché l'opaco Thabo Mbeki, Ciryl Ramaphosa, il carismatico leader sindacale che aveva guidato i minatori in scioperi grandiosi, le cose sarebbero state diverse o forse sarebbe stato lo stesso perché nessuno poteva essere come Mandela.

E chissà se, passati i giorni gloriosi della resistenza e quelli dolci del trionfo, «sporcandosi le mani» nel grigiore della routine, il peso dei nodi irrisolti e aggrovigliati da tre secoli di colonialismo interno, la forza bruta della Realpolitik e della globalizzazione avrebbero intaccato anche il suo mito.

Ma sì si può affermare che se c'era un uomo che avrebbe potuto affrontare quell'immane impresa, era Mandela. Di solito si dice, e con qualche ragione, che un leader - pur se è o è stato un grande come Fidel Castro e Robert Mugabe - a 80 anni dovrebbe farsi da parte, e che farsi da parte a 80 anni è anche troppo tardi. Di Mandela si dice che essersi ritirato a 80 anni è stato troppo presto. L'ultimo paradosso di una vita drammatica e meravigliosa.