sabato 31 ottobre 2009

Honduras: l'ennesima manutenzione straordinaria del giardino di casa degli USA

La crisi in cui era precipitato l'Honduras con il golpe del 28 giugno sembra essere giunta ad un punto di svolta.
Ieri infatti è stato finalmente raggiunto l'accordo fra l'esecutivo golpista guidato da Roberto Micheletti e il deposto presidente legittimo Manuel Zelaya.

Un accordo ottenuto ovviamente grazie al fondamentale intervento degli Stati Uniti che hanno deciso l'inizio e la fine di questa crisi, seguendo esclusivamente la loro personale agenda.
Ora entro il 5 novembre dovrà nascere un governo di unità nazionale e sarà varata la speciale Commissione che dovrà verificare l'applicazione degli accordi.

Il giardino di casa degli USA aveva evidentemente bisogno di un'altra manutenzione straordinaria...


La voce del padrone
di Stella Spinelli - Peacereporter - 30 Ottobre 2009

Raggiunto l'accordo tra la delegazione golpista e i rappresentanti del presidente legittimo, deposto 4 mesi fa, Manuel Mel Zelaya. Risolutiva la voce grossa degli Stati Uniti. E ora la palla passa al Parlamento.

Poche ore dopo l'arrivo a Tegucigalpa del segretario di Stato Usa per l'Emisfero occidentale, Thomas Shannon, i golpisti hanno deciso di accettare la clausola sulla quale era franata la miriade di tentativi di dialogo tentati dal 28 giugno a oggi. E così, Roberto Micheletti, presidente de facto, ha chinato il capo: è bastato un breve incontro con Shannon che magicamente ha detto sì e ha rimesso al Congresso Nazionale la decisione se restaurare o meno Mel a capo dell'esecutivo. Non solo, in vista della tornata elettorale di fine novembre, il golpista ha anche digerito l'idea di creare un governo di unità nazionale, il medesimo - ma finora denigrato - disegnato nei colloqui in Costa Rica a luglio, da Óscar Arias, il capo di stato scelto da Hillary Clinton per portare pace in Honduras.

"Il mio governo ha deciso di appoggiare la proposta di far decidere al parlamento, dopo aver ascoltato la Corte suprema di giustizia, se riportare il potere esecutivo della nostra nazione a prima del 28 giugno", ha dichiarato Micheletti, al quale, in una dichiarazione rilasciata a una radio locale, ha risposto la controparte, Manuel Zelaya, spiegando "sarà il giorno in cui si firmerà il piano di restaurazione della democrazia nel paese". Patto che Micheletti ha definito "una concessione significativa" per cercare di voltare pagina e di risolvere una crisi che sta piegando il paese da quattro mesi.

La voce del padrone si è dunque fatta sentire, finalmente. Queste le parole scelte dagli Usa a suggello di questo inizio di svolta: "Gli Stati Uniti accompagneranno l'Honduras fino alle elezioni del 29 novembre", precisa Shannon, a cui segue il segretario di Stato Clinton, che da Islamabad commenta: "Voglio rallegrarmi con il popolo d'Honduras, così come con il presidente Zelaya e con il signor Micheletti per aver raggiunto questo storico accordo".

"Storico accordo". È il parere degli Usa, solo degli Usa, perché la gente - vera grande rivelazione in questa brutta storia dal sapore stantio - che fino a oggi ha tenuto in scacco i golpisti con manifestazioni pacifiche in ogni angolo del paese, vede quanto sta accadendo in maniera assai differente. E promette di non accontentarsi di belle parole e abbracci di circostanza. Il loro obiettivo è un'assemblea costituente che rinnovi alla radice un paese ormai logoro, e non si fermeranno prima di averlo raggiunto.

"Stanotte Roberto Micheletti ha annunciato di aver accettato che la decisione sull'accordo di San José passi al congresso nazionale, cosa che proponeva Mel da tempo, e invita tutti i parlamentari a firmarlo - scrive da un qualche internet caffè della capitale la cooperante, sempre anonima e sempre attivissima nel partecipare e condividere con gli honduregni ansie, speranze e determinazione - L'accordo, come è ormai noto, include la restituzione di Zelaya, ma con le mani legate. Ora quindi bisogna vedere cosa deciderà il parlamento (golpista!), che purtroppo è stato legittimato dallo stesso Mel! e che domani (oggi ndr) si riunirà con urgenza.
L'arrivo di Shannon, responsabile per l'America latina del Dipartimento di Stato Usa pare abbia messo alle strette i golpisti.


Quello che fa rabbia è che devono, come sempre, arrivare gli americani per aggiustare le cose! Fa rabbia perché, dato che arriva l'ennesima conferma che le cose, purtroppo, stanno così, gli Usa avrebbero potuto risolvere la questione in dieci minuti già il 28 giugno, ma essendo i primi a essere coinvolti in tutto questo... hanno aspettato.
E ora è probabile che Washington si attribuirà la risoluzione della crisi.

In realtà l'eventuale ritorno al potere di Zelaya non risolve proprio nulla, perché a parte questo punto che condividiamo, tutte le altre clausole dell'accordo di San José sono contro quanto chiede la resistenza.

E comunque, visto l'approssimarsi della tornata elettorale, ci immaginavamo che avrebbero accettato il ritorno di Mel. Al di là di ogni considerazione, però, di per sé è una buona notizia, visto che c'è gente che ha dato la vita per il suo ritorno e che tante altre persone aspettano questo momento da quattro mesi.

Ora, in tutti i canali televisivi, si stanno susseguendo conferenze stampa in cui stanno parlando un po' tutti: statunitensi, commissione di Micheletti, commissione di Zelaya. Bla bla bla...

E domani (oggi ndr) il Frente ha convocato una grande manifestazione proprio sotto il palazzo del congresso. Vediamo quel che succederà e se riuscirò, anche se di fretta come oggi, a raccontarvi le strade di Tegucigalpa".


Uova per pallottole
di Stella Spinelli - Peacereporter - 14 Ottobre 2009

"In Honduras c'è stato un colpo di stato il 28 giugno e da allora c'è un popolo che sta resistendo contro una situazione che noi non abbiamo voluto, ma nella quale ci hanno obbligato a vivere. La nostra è una resistenza pacifica. È un popolo che conta arrestati, feriti, morti, scomparsi. Le cifre ufficiali parlano di 18 morti, ma gli organismi internazionali in difesa dei diritti umani ne indicano 4 e sono coloro che hanno perso la vita durante le manifestazioni.

Le altre sono morti extragiudiziali, che necessitano di indagini accurate. I feriti sono invece 300, da catene di metallo e pallottole. Abbiamo 3000 detenuti illegalmente e 39 persone in sciopero della fame per protesatare contro la detenzione scattata per aver difeso nell'Istituto agrario nazionale il proprio diritto alla titolazione delle terre. Dodici indigene lenca, alcuni minori, hanno ottenuto asilo politico nell'amabsciata guatemalteca. E c'è un popolo intero perseguitato in maniera costante. Le accuse principali sbandierate agli arrestati sono di non rispettare il coprifuoco o, per quelli del Frente, sedizione".

Usa parole semplici e ben scandite Betty Matamoros, 47 anni, responsabile del settore internazionale del Frente contra el golpe en Honduras. La incontriamo nella sede di Mani Tese, a Milano, e con pacatezza ci accompagna nelle complesse pieghe delle politica, della società e delle leggi honduregne, con l'intento di spiegarci dove andrà il suo popolo, che affronta le pallottole armato di uova e fantasie di un migliore Honduras possibile.

"Vorrei spiegare cos'è il coprifuoco. In Honduras abbiamo garanzie individuali di protezione scritte nella Costituzione e un decreto firmato dal presidente golpista, Roberto Micheletti, ce le ha tolte. Questo significa che possiamo essere presi per strada o in casa e violentati nei nostri diritti. Questa sospensione non è solo per chi resiste, ma per tutto il popolo. Un'offesa per tutti".

In Honduras, dunque, c'è una resistenza del tutto pacifica, nonostante i golpisti siano armati fino ai denti?

"In questo senso è necessario ripercorrere la storia del Centroamerica, dove sono tre i paesi che hanno subìto periodi di violenza armata che hanno lasciato sul terreno innumerevoli morti. Noi honduregni abbiamo imparato da queste esperienze dei paesi vicini che le armi non sono una soluzione, bensì organizzarci in maniera pacifica e agire in nome della non violenza.

La resistenza di oggi è nata in trenta anni, sono trenta anni che stiamo forgiando questo movimento per affrontare i problemi della nostra regione. Per questo abbiamo invitato tutti a resistere pacificamente per chiedere cambiamenti reali e radicali. Abbiamo un paese pieno di diseguaglianze. L'ottanta percento vivono in povertà e di questo, il 35 vive con meno di un dollaro al giorno. Eppure il nostro paese è ricchissimo di risorse naturali, che però vengono godute da pochi. Così come la terra, la maggioranza è nelle mani di pochissimi e gli altri non hanno un pezzetto di terra da coltivare per sopravvivere.

E' l'insegnamento della storia che ci ha portato a una forma di resistenza pacifica e popolare che vuol dire al mondo che noi siamo capaci di resistere. Se avessimo iniziato una guerra civile, non staremmo, ora dopo tre mesi, ancora resistendo con un immenso appoggio popolare. Avremmo già i militari Usa nel paese.

Che ruolo hanno avuto e hanno, direttamente o indirettamente, gli Stati Uniti nel golpe?

Un vincolo molto forte. La oligarchia economica Usa ha le mani in pasta in quanto è accaduto. Storicamente siamo il pollaio degli Usa e se viviamo in questa misera condizione è perché loro ci tengono in questa situazione. E adesso anche l'Unione europea vuole adottare il medesimo comportamento con i paesi centroamericani, negoziando un accordo di libero scambio simile al Cafta, tanto dannoso per i nostri popoli. Anche se raccontano che i due accordi commerciali sono distinti, la base che usano resta il Cafta. Parlano di tre punti: il dialogo politico, ma in occasione del golpe non hanno partecipato al dialogo politico; la cooperazione internazionale; e l'aspetto commerciale, ma tutto in un ottica di libero scambio.

E l'Alba, l'Alternativa bolivariana per le Americhe promossa da Hugo Chavez, invece?

Dopo l'entrata in vigore del Cafta e la presa di coscienza dei primi effetti negativi sul paese, i movimenti hanno fatto pressione sul governo affinché ricercasse un'alternativa. E quale migliore alternativa se non l'Alba? Quindi l'Honduras ha aderito. Noi crediamo fermamente nelle riforme sociali che l'Alba promuove. Certamente ha una parte commerciale, ma non è il libero commercio. E per questo continuiamo a pensare che l'Alba sia l'unica opzione per l'America latina. Ma per l'oligarchia economica questo ha voluto dire tornare indietro rispetto ai vantaggi ottenuti con il Cafta.

L'Alba non permette che la gestione dei fondi sia data in mano ai privati. Non prevede intermediari. La gente ne attinge direttamente. E tutto ciò che nasce come idea di riforma del ruolo del popolo le oligarchie lo definiscono socialismo e entrano nel panico. E per questo hanno promosso una campagna che avverte che il comunismo sta avanzando in Honduras, con tanto di slogan: i comunisti mangiano i bambini! E come bloccare una tale campagna di disinformazione, se il novanta percento dei mass media è in mano loro? Questo è uno dei più grandi problemi che abbiamo nel paese, dato che gli unici due mezzi d'informazione indipendenti che avevamo sono stati chiusi dopo il golpe.

È appurato che il Movimento non si può esaurire nella definizione pro Zelaya, inquanto viene da molto più lontano e non si esaurisce nel sostenere un presidente. L'obiettivo è infatti ottenere un'assemblea costituente e una nuova magna charta che rifondi il paese ex novo.

L'idea di un'assemblea costituente in Honduras non è un'idea nata da Zelaya, ma è una richiesta che i movimenti sociali e popolari portano avanti dal 2005. Tutto è nato quando il Cafta ha messo in secondo piano la Costituzione in vigore violando i diritti del popolo. Quindi, lottiamo per un'assemblea che possa ribaltare quanto è scritto nel trattato di libero commercio. E c'è una legge secondaria, a cui ci appelliamo, e che venne promulgata da Zelaya quando divenne presidente, che codifica la partecipazione cittadina.

L'art. 5 di questa legge dà la possibilità al presidente di ricevere dal basso proposte di consultazione da rimettere poi al popolo honduregno. E così che le 40mila firme per sollecitare una consultazione sull'assemblea costituente hanno raggiunto Zelaya. Che poi le ha fatte sue e ha iniziato a promuovere la questione. Questo è stato il suo passo falso: da allora l'oligarchia ha manipolato la vicenda, dicendo che Zelaya stava puntando a cambiare la Costituzione per rimanere al potere. Ma è assurdo.

Una tesi sposata dai principali media italiani, anche, come Corriere e Repubblica.

In realtà il 28 giugno si sarebbe chiesto al popolo se era d'accordo o meno a installare una quarta urna nelle elezioni del 29 novembre. La quarta urna sarebbe servita per raccogliere l'opinione popolare sul convocare o meno un'assemblea costituente. Se fosse stato sì, il tutto sarebbe passato nelle mani del Parlamento, quindi non era vincolante. Cosi, giuridicamente, non c'era nessun modo per cui Zelaya poteva restare in carica e lo aveva detto anche pubblicamente che non si sarebbe ripresentato.

C'è di più, durante una riunione dell'Oea a Tegucigalpa Zelaya aveva addirittura firmato un documento in cui affermava che mai si sarebbe ricandidato, per questo l'Onu aveva inviato degli osservatori alla consultazione del 28 di giugno, che mai ebbe luogo perché quel giorno il presidente della Repubblica venne sequestrato. In alcuni seggi, in luoghi lontani dalla capitale, si votò perché la notizia del golpe tardò ad arrivare, ma dato che i golpistas dissero che tutti coloro che avrebbero continuato a parlare della consultazione sulla quarta urna erano penalmente perseguibili, non si è mai saputo il risultato di quelle poche schede.
Al di là di tutto, voglio precisare che il Frente non è zelaystas, rinunciamo volentieri a questo titolo, ma siamo convinti che almeno Mel abbia voltato almeno un po' la testa verso il popolo. Per questo l'indignazione al golpe è stata così forte. Zelaya viene da un partito tradizionale, il partito liberale, ma ha teso almeno un dito della mano verso la gente povera.

E il popolo lo rispetta...

E lo rivuole al posto che gli spetta di diritto. La resistenza è grande, numerosa, oltre ogni aspettativa. E questo anche perché anche il più piccolo popolo del più piccolo paese del Centroamerica ormai ha internet e il cellulare, e sono strumenti che ci sono serviti molto per mobilitare, informare, bypassare la censura. In ogni più piccola comunità honduregna c'è una forma di resistenza al golpe, sempre pacifica. In alcuni dei più remoti villaggi l'unica maniera per resistere è tirando le uova contro i politici. Il problema è che in cambio ricevono le pallottole dalle loro guardie del corpo.

Ma non si arrendono, non ci arrendiamo fino al cambiamento. Ci sono forme di resistenza tutte nuove, fantasiose come la bullaranga, ossia la gente se ne va nei propri quartieri e sfida coprifuoco e militari facendo chiasso e fracasso, e le forze dell'ordine non hanno modo di azzittirli, perché resistiamo sotto l'egida dell'articolo 3 della Costituzione, che dice che non dobbiamo obbedienza agli usurpatori e che ci dà diritto a insorgere. E abbiamo preso alla lettera questo articolo. E siamo coscienti di aver danneggiato molto l'oligarchia economica.

Quindi il Fronte contro il colpo di stato è un entità complessa e variegata?

È un insieme di entità unitesi dopo il golpe. Comprende artisti, donne organizzate, intellettuali, il partito politico di Zelaya, i socialdemocratici, il partito di sinistra, indigeni, afrodiscendenti, e a livello nazionale abbiamo la Coordinazione nazionale di resistenza popolare, nata nel 2003 con l'obiettivo di dare un'agenda comune ai movimenti honduregni, e di cui fa parte anche la Centrale operaia. Una costruzione di lotta che viene da trent'anni di storia. Con il golpe, ci siamo visti obbligati a organizzarci.

Il popolo ha superato ogni speranza di movimento popolare nella sua risposta alla resistenza. Ciò che abbiamo dovuto fare è stato riunire la forza spontanea riversatasi nelle strade non modo da coordinarla e non far sì che si disperdesse sotto i colpi dei golpisti. Il nostro primo obiettivo: ordine istituzionale e costituzionale. Secondo: l'assemblea costituente. Terzo: rafforzare le organizzazione in difesa dei diritti umani per punire chi ha violato i nostri diritti, per evitare che si dimentichi, che cadano impunite queste colpe, in modo che questa situazione non possa più ripetersi né in Honduras né in America Latina.

Il nostro slogan è "Hanno paura di noi, perché non abbiamo paura". Ci siamo assunti questo ruolo che ci ha consegnato la storia, per questo non abbiamo paura. Era importante uscire dall'Honduras per rompere l'isolamento mediatico internazionale e raccontare. Per questo sono qui. Per far si che i movimenti sociali che sostengono la resistenza honduregna continui a denunciare quel che accade e far pressione sui rispettivi governi, per evitare tutti insieme che i golpisti non restino impuniti.