martedì 11 novembre 2008

Crisi finanziaria globale: il governo italiano dorme

Mentre in Europa, negli USA e nel resto del mondo molti governi si sono gia’ presi la briga di varare qualche provvedimento - pur se velleitario e inefficace a lungo termine - per cercare di mettere una pezza alla crisi finanziaria in corso, il governo italiano invece dorme sonni profondi.

La reazione italiana e’ stata infatti praticamente pari a zero.

Nel frattempo l’economia in Italia e’ in piena recessione e il vuoto quanto inutile ottimismo diffuso dal governo e da Confindustria non serve assolutamente a nulla se non ad accrescere la rabbia degli italiani che sara’ palpabile nel momento in cui si renderanno conto di essere stati anestetizzati – per usare un eufemismo – dal settembre scorso in avanti.

Sogni d’oro, Palazzo Chigi!!


Occupazione: la crisi dell’ottimismo
di Eugenio Roscini Vitali – Altrenotizie – 11 Novembre 2008

E’ difficile prevedere quanto durerà e come andrà a finire, ma la crisi economica e strutturale che sta colpendo il sistema produttivo italiano sarà certo più lunga di quanto i maghi della finanza e il governo vogliono farci credere. Una crisi di cui si sono già visti gli effetti finanziari, che attacca l’economia reale e i consumi e che si sta espandendo al sistema industriale. Il cambiamento è palpabile, si legge negli occhi dei precari, degli operai, degli impiegati, degli studenti, di chi ha perso la speranza di trovare un lavoro e di chi ha paura di perderlo; di quei 7 milioni e 542 mila italiani che costituiscono la parte più povera del paese e di chi povero potrebbe diventarci domani.

Si vede nei fatti di tutti i giorni, nella disperazione di una ragazza incinta, una precaria, incensurata e con un lavoro part time, che a Milano non può neanche permettersi di comprare la carne una volta al mese e che viene fermata in un supermercato mentre tenta di uscire con tre confezioni di spezzatino sotto al giubbotto. Si vede, e non si può negare, perché oltre alla grande industria ora attacca anche l’artigianato e i servizi, perché oltre alla cassa integrazione si parla sempre più spesso di mobilità e prepensionamento, perché c’è chi cura la crisi chiudendo la fabbrica e chi non rinnova i contratti a termine. Si vede perché ora a tremare non sono solo gli operai e gli impiegati ma anche i piccoli e medi imprenditori.

Meno di un mese fa, in un’intervista pubblicata il 19 ottobre scorso su La Stampa, l’ex presidente della Confindustria, Luca Cornero di Montezemolo, parlava di un capitalismo che nei momenti di crisi è capace di rigenerarsi e, ricordando la lezione del presidente americano Franklin Delano Roosevelt, rammentava che l'unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa, che occorre avere fiducia, anzi far diventare la fiducia stessa una malattia contagiosa.

Dichiarazioni in linea con chi pensa che l’opinione pubblica italiana è spaventata da un falso allarmismo, revisionismo sessantottino che usa lo strumento della paura per trasformare una crisi passeggera in una catastrofica follia collettiva; fantasie “dark” alimentate dalle notizie diffuse da una stampa pessimista che non aiuta la ripresa. Un balletto nel quale si inserisce perfettamente lo studio sugli scenari economici divulgato dal Centro studi di Confindustria che da un lato prevede una recessione dell'economia italiana, la terza negli ultimi trent’anni dopo quella verificatasi nel 1975 e nel 1993, dall’altro parla di “timidi segni di stabilizzazione che preludono ad una svolta”.

Ottimismo quindi, ma fondato su cosa? Il settore della metalmeccanica è sicuramente uno dei più colpiti dalla crisi e la gravità della situazione è confermata da quello che sta accadendo nel laboratorio del mondo industriale italiano, l’area torinese. Qui sono centinaia le aziende che stanno ricorrendo alla mobilità e alla cassa integrazione, imprese che lavorano nel settore degli accessori auto, dei ricambi, dei pneumatici e non solo. Oltre agli operai della Fiat auto e dell’indotto, questa volta pagano anche i dipendenti dell’Iveco e delle fabbriche produttrici di macchine per il movimento della terra, settori fino a ieri definiti “inattaccabili”.

A Mirafiori i cassaintegrati sono più di settemila, Pininfarina ne ha annunciati 1400, Bertone 1224. Lavoratori diciamo “fortunati” rispetto alle migliaia di precari che non si vedono rinnovare il contratto. O ai 400 ingegneri della Motorola (circa 370 impiegati nel Centro Ricerche di Torino e il resto tra le sedi di Milano e Roma) licenziati perchè non hanno accesso alla cassa integrazione, in quanto l’azienda americana non ha pagato i contributi per gli ammortizzatori sociali.

Dalla crisi, che colpisce anche le piccole e medie imprese, non si salva neppure il motore trainante dell’economia nazionale, l’asse lombardo-veneto che la Lega Nord ha sempre considerato unico motore dell’economia nazionale e che ora sopravvive con gli ammortizzatori sociali erogati dallo Stato. Nelle due più produttive regioni d’Italia si registra infatti un incremento della cassa integrazione che ormai tocca il 50% e, da un’indagine congiunturale svolta dall’ufficio studi di Confindustria Veneto, si rileva che nel terzo trimestre 2008 la produzione industriale è scesa dell’1,3%, gli ordini dell’1,4%, l’occupazione dello 0,1%.

Sono dati che potrebbero sembrare relativi, ma la percentuale crescita degli strumenti ordinari di riduzione delle ore lavorate viaggia sull’ordine delle centinaia. In Lombardia poi le aziende al collasso sono migliaia: gli industriali e i piccoli imprenditori che compongono il cuore dell’economia italiana stanno alzando bandiera bianca. Per ora i posti di lavoro a rischio sono 50 mila, ottomila sono i dipendenti già licenziati o in mobilità. Assolombarda ha dichiarato che da luglio a ottobre le ore di cassa integrazione ordinaria sono passate da 9 a 12 milioni e secondo Unioncamere la Lombardia tornerà a crescere solo nel 2010.

L’elenco dei settori in maggiore difficoltà comprende la componentistica auto, il meccanotessile, l’elettrico, l’elettronico e la produzione degli elettrodomestici, la metallurgia e le lavorazioni meccaniche tradizionali, il cotone e i filati, ma cominciano a dare problemi anche settori come la gomma, la plastica e il cartario. Nokia, Siemens, Honegger, Astrazeneca, Engineering.it, Henriette, Eutelia, Innse, Fast &Fluid, Brembo, Iveco di Suzzara, Finnord di Jerago, Mib di Pontirolo Nuovo, aziende che hanno dato vita al quinto polo industriale europeo entrate in crisi non certo per il pessimismo dei media o per colpa del sindacato, ma perché questa è la peggiore crisi del dopoguerra.

Una crisi alla quale gli imprenditori non sanno far fronte se non con il taglio dell’occupazione, che durerà almeno cinque anni e che lascerà dei segni profondi nella nostra società; una crisi che non va combattuta con le parole o con l’ottimismo, ma con gli investimenti, puntando sull’innovazione e la ricerca, estendendo la cassa integrazione ai precari ed aiutando le fasce più deboli. Perché forse molti ancora non lo sanno, ma dalla crisi alla fame il passo è breve.


La recessione? Tranquilli, che “mo’ viene natale”
di Marco Ferri - Megachip - 11 Novembre 2008

Domenica scorsa, a borse chiuse, la Cina ha tirato fuori 586 miliardi di dollari di risorse statali per i prossimi due anni, l'equivalente del 20% del Pil cinese. Secondo Federico Rampini di Repubblica il paragone non va fatto coi 700 miliardi del piano Paulson destinati a ricapitalizzare le banche, ma coi 200 miliardi di dollari di sostegno alla crescita varati quest'anno negli Usa. Secondo Pino Longo, corrispondente Rai da Pechino, la cifra stanziata dal governo cinese, paragonata al tenore di vita dei cittadini cinesi, equivarrebbe a 2000 miliardi di dollari. "Negli ultimi due mesi - si legge nel comunicato diffuso ieri a Pechino - la crisi finanziaria globale ha avuto un'accelerazione giorno dopo giorno. Di fronte a questa minaccia dobbiamo aumentare gli investimenti pubblici in modo energico e rapido".

Si preannuncia una "politica fiscale aggressiva" fatta di maggiore spesa pubblica e sgravi d'imposte, insieme con una "politica monetaria espansiva" (nuovi tagli dei tassi, dopo che la banca centrale ha già ridotto per ben tre volte il costo del denaro da metà settembre). La terapia shock sarà mirata anzitutto a "migliorare le condizioni di vita della popolazione, perché possa aumentare i consumi".

La terapia d'urto includerebbe nuovi investimenti pubblici nell'edilizia popolare, l'accelerazione della costruzione di ferrovie e aeroporti; investimenti nelle energie rinnovabili; spese sociali a favore delle fasce più indigenti; prestiti alle piccole e medie imprese; detassazione sugli acquisti di macchinari industriali. Insomma, un vero e proprio New Deal, in salsa cinese.

Mentre negli Usa si contano i giorni dell’insediamento di Barak Obama, e nel frattempo si cerca di capire se anche la sua nuova amministrazione vorrà e saprà prendere di petto la situazione economica, come il neo presidente ha già detto nella sua apparizione pubblica dopo la vittoria elettorale, il resto del mondo sembra intontito, come la lepre abbagliata dai fari di un’auto. L’ubriacatura neoliberista sembra dura da digerire.

E’ il corso il G20, ma finora l’unica notizia degna di nota è il richiamo in patria del ministro dell’economia cinese domenica scorsa, per varare appunto il piano cinese anti-recessione.In Italia? A parte tagli alla spesa pubblica, che stanno facendo protestare il mondo della scuola e i dipendenti pubblici; a parte la vicenda Alitalia, che caricherà il contribuente di ulteriori enormi oneri, e che al contempo ha creato una situazione libanese tra i dipendenti; a parte i tagli alla sicurezza e alla giustizia; insomma, a parte i tagli che scopriremo quando la Finanziaria sarà varata, il governo italiano sembra imbambolato.

Cala la produzione industriale, calano i consumi, si stanno perdendo migliaia di posti di lavoro, si stanno abbandonando al loro destino migliaia e migliaia di lavoratori precari, proprio mentre il Parlamento si accinge all’esame della legge Finanziaria discussa in nove minuti e mezzo al Consiglio dei ministri, nove settimane e mezzo fa, prima della crisi dei mutui, prima dell’arrivo della recessione, prima della misure straordinarie prese negli Usa e in Cina.

Il ministro Tremonti ha detto: “Da qui a Natale tutti i paesi europei prenderanno i loro provvedimenti". Ci fa piacere.

Nel frattempo, per ingannare la recessione, potremmo metterci a cantare: “Mo’viene Natale, nun tengo denare, me leggo 'o giurnale e me vaco a curcà!.