Oggi si vota negli USA per eleggere il successore del Sommo Idiota.
Gli ultimi sondaggi danno Obama largamente in vantaggio su McCain, ma non sono da escludere le “magie” repubblicane dell’ultima ora.
Come gia' avvenne nel 2000 e nel 2004.
USA: il furto dei voti, l’ultima arma dei repubblicani
di Luca Mazzuccato – Altrenotizie – 4 Novembre 2008
“Se i democratici vogliono vincere le elezioni presidenziali, non dovranno semplicemente battere McCain nei seggi; dovranno batterlo con un margine superiore al livello di irregolarità messe in pratica dai repubblicani.” Questa è la conclusione dell'inchiesta sulle frodi elettorali repubblicane, pubblicata sull'ultimo numero di Rolling Stone. Così si spiegano i pressanti appelli al voto di Obama e di tutti i democratici, che nonostante otto punti di vantaggio nei sondaggi insistono sulla necessità di una larghissima affluenza per vincere le elezioni. Per evitare che ritorni lo spettro del 2000, quando Bush vinse per cinquecento voti in Florida dopo una massiccia campagna di cancellazione di voti ed elettori. I democratici questa volta hanno giocato d'anticipo sguinzagliando da settimane pattuglie di avvocati in tutti gli stati amministrati da repubblicani, per vigilare sulla registrazione elettorale.
Non è un mistero che la principale strategia del “Grand Old Party” sia sempre stata la soppressione dei voti. A differenza del sistema elettorale italiano, quello americano prevede che gli elettori si registrino volontariamente per partecipare alle elezioni. La finestra per la registrazione varia da stato a stato e, in molti casi, un elettore non registrato, che si presenti al seggio il giorno delle elezioni, non potrà partecipare al voto. Il sistema si presta dunque ad un tipo di frode elettorale molto più sottile della pacchiana manomissione delle schede elettorali: la cancellazione degli elettori dalle liste.
Il trucco è molto semplice. Per prima cosa si identificano alcuni gruppi che hanno un'elevata probabilità di votare per il candidato democratico: ad esempio, gli afro-americani, i latinos, gli abitanti delle periferie povere delle grandi città o chi ha perso la casa nella crisi dei mutui subprime. Un'altra possibilità è stilare una mappa dei distretti elettorali a maggioranza democratica, dove il margine è abbastanza ridotto, tale cioè da permettere di invertire il risultato aggiustando opportunamente i registri elettorali. A questo punto, la tecnica - elementare - è quella di evitare in tutti i modi che questi gruppi “potenzialmente democratici” risultino regolarmente iscritti.
I trucchi utilizzati dai repubblicani per aggiustare a proprio piacimento i registri elettorali sono molteplici e a volte fantasiosi. Innanzitutto, il metodo più banale: impedire la registrazione dei nuovi elettori: i giovani e gli immigrati infatti votano per lo più democratico. In Florida, ad esempio, dato che la registrazione degli elettori più poveri viene portata avanti da associazioni di volontari, i repubblicani hanno varato una legge elettorale dai vincoli stringenti, che prevede multe di migliaia di dollari per le associazioni che presentano liste di voti in ritardo o con minimi vizi formali. In questo modo, molte associazioni non-profit hanno semplicemente smesso di registrare elettori: il numero di nuovi elettori registrati da tali associazioni, nell'ultimo anno è sceso a diecimila, dai centoventimila all'anno dell'era Clinton.
Il secondo metodo escogitato dai repubblicani è di invalidare la registrazione di nuovi elettori nel caso in cui i dati anagrafici non “coincidano perfettamente,” inclusi banali errori di trascrizione. Uno studio recente del New Jersey a questo riguardo, ha scoperto che per un elettore su cinque i dati riportati sulla patente sono diversi da quelli ufficiali, a causa di sviste degli impiegati della motorizzazione. Tutti questi elettori dunque sono potenzialmente cancellabili dalle liste elettorali. La maggioranza degli elettori rifiutati a causa di questo cavillo sono ancora una volta neri o ispanici (tre su quattro).
Il terzo metodo riguarda la cancellazione dai registri di elettori già iscritti in precedenti tornate elettorali. Ad esempio, sessantamila elettori neri in Colorado erano stati rimossi d'ufficio dalle liste prima delle elezioni del 2000, in base alla somiglianza del loro nome e cognome con quello di qualche detenuto. Lo Stato in seguito riconobbe che la pratica era scorretta: ma il riconoscimento arrivò solo due anni dopo le elezioni, nel frattempo vinte dai repubblicani grazie anche a questo trucco.
Il metodo più ovvio è poi annullare le schede a posteriori: le statistiche dimostrano che la possibilità che un voto sia annullato è dieci volte più alta per i neri e cinque volte più alta per gli ispanici, rispetto agli elettori bianchi. Con il dubbio scopo di voler evitare il problema delle schede nulle, i repubblicani hanno promosso l'utilizzo del voto elettronico, basato su un sistema computerizzato assai controverso, che si è peraltro dimostrato molto meno affidabile delle schede cartacee. Nel caso in cui a causa di un cavillo tecnico l'identità dell'elettore non coincida perfettamente con quella registrata (ad esempio errori di trascrizione), il voto viene considerato “provvisorio” e contato a parte. Nel 2004, ben tre milioni di voti cadevano in questa categoria. Purtroppo però, il destino dei voti “provvisori” è affidato all'ufficiale di turno: in quel caso, un milione di voti provvisori furono semplicemente annullati d'ufficio e gettati nel cestino!
Nel 2000 in Florida e nel 2004 in Ohio, la strategia repubblicana di cancellare i voti oppure gli elettori dalle liste si é dimostrata estremamente efficace. Tanto che dopo la magistrale lezione del 2000 in Florida, queste tecniche sono state promosse a standard nazionale con il “Help America Vote Act”, approvato dal Congresso repubblicano nel 2002. In sostanza, questa legge prevede una miriade di casi in cui la registrazione del voto deve essere cancellata o il voto reso “provvisorio.” La legge fu sponsorizzata dal lobbista Jack Abramoff, tuttora in prigione per (guarda caso) cospirazione e frode.
Per evitare che si ripetino le purghe elettorali in Ohio, lo stato chiave dell'ultima tornata elettorale, il partito democratico è riuscito a rimuovere il Segretario di Stato repubblicano - responsabile delle disfunzioni nel 2004 - e rimpiazzarlo con un democratico, che nelle ultime settimane ha cercato di rendere più semplice l'accesso al voto. L'Ohio è ufficialmente uno stato “indeciso”, anche se Obama è dato in vantaggio da tre a nove punti nei sondaggi. Con tutta probabilità, il risultato in Ohio verrà deciso dai voti “provvisori”. Tutti ricordano le immagini delle lunghe file ai seggi nel 2004, che vennero chiusi solo a tarda notte: tutte le schede votate dopo la chiusura ufficiale del seggio vengono considerate “provvisorie” e quindi sono soggette alla contestazione. Nel 2004, centosessantamila voti risultarono provvisori, su un totale di sei milioni, mentre Bush vinse con un margine di centoventimila. Dunque le schede provvisorie decidono il risultato finale.
Per tutelarsi contro possibili frodi sui voti provvisori, il partito democratico ha arruolato schiere di centinaia di avvocati specializzati in contestazioni elettorali, che sono stati spediti nei distretti elettorali più a rischio in ogni parte della nazione. Ma l'unico modo per disinnescare questa mina vagante è mettere nell'urna voti regolari: uno dei messaggi martellanti della campagna di Obama è stato infatti ricordare agli elettori che possono votare in anticipo, per posta o anche di persona, evitando così i ritardi che trasformano il voto in “provvisorio”. L'affluenza anticipata alle urne sembra incoraggiante per Obama, anche per il fatto che gli exit polls in questo caso danno in media Obama in vantaggio di venti punti su McCain.
D'altra parte, la strategia repubblicana quest'anno è stata di gridare ai brogli con largo anticipo. Nei dibattiti elettorali, con grande risalto su Fox News, McCain ha più volte accusato i democratici di frode in connessione con Acorn, un'azienda che si occupa di registrare elettori poveri e disagiati. Alcuni impiegati, pagati a cottimo, avrebbero registrato nomi di fantasia: Topolino, l'Uomo Ragno e altri personaggi dei fumetti. L'accusa di frode è ovviamente del tutto infondata, a meno che Topolino e compari non si presentino di persona alle urne il 4 Novembre. Ma in questo modo, McCain ha messo le basi nell'opinione pubblica per giustificare il riconteggio nel caso di pareggio, paralizzando il risultato elettorale e, allo stesso tempo, ha cercato di scoraggiare gli indecisi dal recarsi alle urne.
Lo scandalo che ha coinvolto il Segretario alla Giustizia dell'amministrazione Bush, Alberto Gonzales, ha svelato un ultimo tassello del piano repubblicano. L'amministrazione aveva esercitato forti pressioni sui procuratori generali per aprire centinaia d’indagini su presunte frodi elettorali a carico di politici democratici. Mettendo sotto pressione gli avversari con l'accusa di frode, Bush e i repubblicani volevano giustificare la richiesta di requisiti molto più stretti per la registrazione al voto. Gonzales ha licenziato tutti i procuratori generali che si erano rifiutati di piegarsi alle pressioni repubblicane per inquinare le acque in vista delle elezioni. In ogni caso, tutte le centinaia di accuse si sono rivelate completamente infondate e, una volta scoperto il piano, lo scandalo ha costretto Gonzales alle dimissioni e ha completamente screditato il Ministero della Giustizia.
L’American dream
di Mazzetta – Altrenotizie – 3 Novembre 2008
I bookmakers danno Obama vincente 1 a 7, McCain sta combattendo in difesa in quegli stati che erano parte dello zoccolo duro di Bush e rischia anche nel suo stato, l'Arizona. L'ultima settimana di campagna è stata un disastro per McCain e non solo perché è a corto di soldi. La macchina elettorale di Obama è decisamente più prestante di quella repubblicana, ha raggiunto aree mai toccate prima dalle campagne e gode del sostegno di migliaia di attivisti, molti di più di quanti ne siano schierati sul fronte avverso. McCain sembra un generale senza esercito e il partito repubblicano sta tentando l'impossibile per salvare i seggi al Congresso, minacciati come mai prima da una vera e proprio disfatta elettorale. Poco possono i tentativi di giocare sporco in un'arena mediatica ormai profondamente influenzata da Internet e ancora meno i tentativi di diffamare gli avversari.
Quando i repubblicani hanno provato a giocare sporco i tentativi si sono rivelati immediatamente controproducenti. Nel caso di Ashley Todd, un'attivista repubblicana che aveva denunciato di essere stata aggredita da un enorme e feroce nero che voleva derubarla e che poi ha voluto punirla per la sua fede politica incidendole una B (come Barack) sulla guancia, c'è stato appena il tempo per i repubblicani di rendere pubblica la denuncia, che già il caso gli era scoppiato tra le mani coprendoli di vergogna.
Non sono mancati i colpi bassi, specialmente negli ultimi giorni, ma la regia della campagna di McCain non è mai sembrata in grado di mordere veramente. Sembrava una missione impossibile, ma va detto che senza l'esplodere della crisi economica gli uomini di Karl Rove, lo stratega elettorale di Bush, sembravano in grado di contendere il trofeo agli avversari. La campagna repubblicana scontava il fallimento di Bush che, nonostante il parere contrario di Berlusconi, gli americani continuano a ritenere il peggior presidente di sempre. Le sue percentuali di sgradimento sono impressionanti, la credibilità della sua amministrazione è a zero e tutti attendono con ansia il momento nel quale uscirà dalla Casa Bianca, molti sperano per prendere la strada di un tribunale.
Con queste premesse non era facile e non si poteva nemmeno usare l'arma della paura, la specialità dei neoconservatori. L'unica paura a disposizione era quella dell'uomo nero, ma negli Stati Uniti chi tocca la razza muore, diversamente che da noi. Hanno provato con la paura del socialismo e del comunismo, ma nemmeno i cubani della Florida hanno risposto all'appello. Sono tutti stanchi di fare la guerra al mondo, anche gli avanzi anticomunisti cubani. Il calo dell'entusiasmo tra la base ha imposto a McCain di pagare le migliaia di “volontari” schierati per contattare gli elettori e chiamarli al seggio, riducendo ancora il denaro disponibile per guerra televisiva. Il soccorso di organizzazioni esterne non è servito a molto, gli attacchi ad Obama per la frequentazione del “terrorista” Ayers o dell'”estremista islamico” Khalidi, si sono rivelati meno di niente.
I repubblicani con il trascorrere della campagna si sono radicalizzati, un po' perché c'è stata una robusta fuga dal campo, un po' perché l'avvicinarsi della sconfitta spinge spesso a sorpassare i limiti. Una vera e propria emorragia di celebri repubblicani ha lasciato il partito per accamparsi sotto le tende di Obama, che già godeva di un gradimento esagerato nella società dello spettacolo e che aveva avuto, per la prima volta, anche il sostegno dei campioni sportivi che tradizionalmente non si esprimono sulla politica. Repubblicani che saltano sul carro del vincitore, ma anche repubblicani convinti che il bene del paese non contempli la sopravvivenza dell'amministrazione Bush sotto la presidenza McCain.
La banda neo-conservatrice è sembrata così virare verso un obiettivo secondario: il mantenimento del controllo del partito. La scelta di Palin è sicuramente diretta a galvanizzare la base bianca, provinciale e religiosa e forse non è un caso che si parli del suo futuro di leader repubblicana più che delle sue possibilità come Vice Presidente. Lo schema è sempre quello, riconoscibilissimo, del gruppo: un candidato telegenico e fedele e dietro tutta la banda unita come un sol uomo nel sacco del bilancio statunitense. Reagan, Bush Jr e Palin condividono la condizione di leader eterodiretti e troppo deboli politicamente per essere considerati i veri responsabili delle loro amministrazioni.
Il futuro del partito repubblicano può attendere, quello degli Stati Uniti si deciderà invece tra poche ore. Nella probabile ipotesi di una vittoria di Obama si potrà festeggiare lo scampato pericolo e la definitiva sconfitta di un fronte ideologico selvaggiamente liberista ed arrogante, che lascia il mondo intero sulle ginocchia. Non ci sono ricette per uscire dalla crisi e non le hanno nemmeno quelli che per anni hanno diretto dall'alto l'economia mondiale verso il disastro, ma sembra evidente che l'America di Obama non potrà proseguire nell'arrogante unilateralismo fondato sull'aggressione militare e sulla pretesa di imporre la propria volontà in nome di Dio o dei profitti.
Restano gli ultimi fuochi di una campagna che è stata una totale disfatta per McCain; soffocato dall'abbraccio mortale di Rove non è riuscito a essere McCain e sta chiudendo in tristezza. Al grande e decisivo evento, un comizio da tenersi a Defiance (che si traduce evocativamente “sfida”), non è andato nessuno, tanto che dei seimila presenti ben quattromila erano scolari delle scuole circostanti portati con gli autobus. Per niente positivo il sostegno pubblico espresso da Dick Cheney, Obama aveva già nel cassetto lo spot che lega definitivamente McCain per l'occasione, nel quale si dice che si guadagnato l'appoggio di Bush e Cheney votando il 90% dei provvedimenti sostenuti dall'amministrazione.
Forse gli Stati Uniti non sono pronti per il primo presidente nero, ma sembra chiaro che al di là delle discrete qualità di Obama, siano ancora meno pronti per un terzo mandato consecutivo alla banda di Rove e Cheney. La demolizione degli Stati Uniti, dall'economia fino all'immagine internazionale, è sotto gli occhi di tutti e morde tutti gli americani, che hanno appena perso mediamente il 40% dei loro risparmi, potere d'acquisto, accesso al credito, e valore immobiliare. Anche i pensionati hanno visto la previdenza privata andare a fondo insieme alle borse, ma nessuna risposta é giunta loro in soccorso dai custodi dell'ortodossia liberista o dal peggior presidente di sempre.
Dalle macerie fumanti dell'America di Bush nascerà l'America di Obama, che non potrà certo puntare solamente a fare meno peggio di Bush, se vorrà provare a risollevare il paese e a lasciare un segno con la sua presidenza. Tuttavia non è bene attendersi troppo: Obama non è un rivoluzionario e non si conoscono ancora la sua capacità e volontà di trainare il partito verso obiettivi non scontati o in direzioni che rappresentino davvero una novità. Avrà inoltre grossi handicap nell'essere un presidente al tempo della crisi e avrà sempre il fiato dei neo-conservatori sul collo, pronti a fare fuoco e fiamme con il nulla. Quale che sia il futuro di Obama, il pianeta tirerà un epocale sospiro di sollievo se arriverà l'annuncio della sua affermazione. Non resta che da incrociare le dita.