venerdì 14 novembre 2008

Il declino dell'Occidente

Qui di seguito si riflette su alcuni passaggi del saggio di Kishore Mahbubani sul declino dell'Occidente e sulla parallela ascesa dell'Oriente, comprendente anche interessanti consigli che l'Occidente farebbe bene ad ascoltare.

Ma i dubbi in proposito sono enormi, cosi' come le orecchie da mercante dell'Ovest...


Riflessioni sulle tesi di Kishore Mahbubani
di Jean Pierre Lehman - Voltairenet.org – 2 Settembre 2008
Tradotto per Comedonchisciotte.org da Matteo Bovis

In un saggio magistrale, l’ambasciatore di Singapore Kishore Mahbubani analizza il declino occidentale: calo demografico, recessione economica e perdita dei propri valori. Osserva i segni di un ribaltamento del centro del mondo dall’Occidente verso l’Oriente.

L’autore di The New Asian Hemisphere: The Irresistibile Shift of Global Power to the East, Kishore Mahbubani, è uno stimato diplomatico di Singapore. E’ professore e preside della Lee Kuan Yew School of Public Policy collegata alla National University di Singapore.

Più di quarant’anni fa – io avevo allora tra i 20 e i 30 anni – mi aveva molto impressionato un’opera dell’importante storico britannico Victor Kiernan: s’intitolava The Lords of Humankind, European Attitudes to the Outside World in the Imperial Age. Era stata pubblicata nel 1969, quando la decolonizzazione europea giungeva al termine tranne qualche rara eccezione. Kiernan tratteggiava il ritratto dell’arroganza e del fanatismo attraversati eccezionalmente da un raggio di luce.

La maggior parte del tempo i colonialisti erano persone mediocri ma, in ragione della loro posizione e, soprattutto, del colore della loro pelle, si comportavano come i signori del creato. Inoltre, l’opera di Kiernan mi mostrava che, anche se la politica coloniale europea era arrivata alla sua fine – le potenze coloniali europee non potevano più conservare le loro colonie – l’attitudine colonialista degli Europei sarebbe persistita ancora a lungo.

Infatti, essa è ancora viva in questo inizio del XXI secolo. Spesso si rimane sorpresi e indignati quando, in occasione di incontri internazionali, un rappresentante europeo, pieno di superbia, intona più o meno il seguente ritornello: “Quello che i Cinesi (o gli Indiani, gli Indonesiani, o chiunque sia) devono capire è che …” seguito dalle solite banalità e dall’ipocrita enunciazione di principi che gli Europei stessi non applicano mai. Il complesso di superiorità sopravvive. Il funzionario europeo contesterebbe senz’altro di essere un colonialista atavico. E’ qui il problema.

Come ha scritto Mahbubani: “Questa tendenza europea a guardare dall’alto in basso, a disprezzare le culture e le società non europee ha radici profonde nella mentalità europea” (p. 266).

All’epoca dell’imperialismo che, secondo Kiernan, è durato dalle guerre napoleoniche alla Prima Guerra mondiale, il numero delle potenze coloniali europee era estremamente ridotto. La Spagna e il Portogallo sono stati cacciati dalla maggior parte delle loro colonie all’inizio del XIX secolo e la Spagna ha perduto le Filippine nel 1898 con la guerra contro gli Stati Uniti. Le quattro potenze coloniali principali dell’epoca imperialista sono state il Regno Unito, la Francia, i Paesi Bassi e, a modo suo, la Russia, il cui impero, contrariamente agli altri, era di tipo terrestre. Le altre nazioni europee, la Svizzera, la Danimarca, la Germania e particolarmente l’Italia erano al seguito del Regno Unito, della Francia e dei Paesi Bassi.

Questo è il contesto in cui si inscrive l’opera di Kishore Mahbubani, nella quale viene annunciata l’ascesa di un nuovo emisfero asiatico che, a sua volta, si porterà dietro l’inevitabile trasferimento della potenza mondiale verso Oriente. E’ scioccante – ma sfortunatamente non sorprendente – apprendere, leggendo i ringraziamenti che compaiono nel libro, che numero amici occidentali del professore gli hanno consigliato di non pubblicarlo perché avrebbe rischiato di urtare numerosi lettori occidentali. Mi auguro che il maggior numero possibile di occidentali leggano questa opera. I lettori rifiuteranno numerose asserzioni – anch’io avrei alcuni punti da discutere con Mahbubani – ma la tesi principale dell’opera è incontestabile. Non solamente essa descrive in maniera penetrante l’attuale realtà mondiale, ma dà anche indicazioni convincenti sulla futura evoluzione globale. Mahbubani non è “anti-occidentale”; sotto molti aspetti egli ammira molto certe nostre acquisizioni e crede che l’Oriente dovrebbe adottarle – in particolar modo lo Stato di diritto e la giustizia sociale – se vuole realizzare la sua “marcia verso la modernità”.

Per l’Occidente è tempo di guardare in faccia la realtà

Quello che Mahbubani attacca è l’assurda anomalia di un potere mondiale occidentale che si diffonde e si mantiene in un mondo soggetto a cambiamenti fondamentali. Questa distorsione è dovuta alla politica occidentale e alle attitudini che ne conseguono. L’anomalia è ancor più stridente considerando le attuali tendenze demografiche. All’apogeo dell’epoca imperialistica, intorno al 1900, la popolazione europea rappresentava circa un quarto dell’umanità (contro il 57% dell’Asia). Oggi, la prima non rappresenta che il 12% della popolazione mondiale. Se una proporzione del 30% della popolazione mondiale nel 1900 (Europa e America del Nord), non giustificava affatto che gli Occidentali si comportassero da padroni dell’umanità, questa pretesa è ancora più contestabile nel XXI secolo quando il 12% intende dettare legge al restante 88%. Lasciando da parte la demografia, se nel 1900 l’Occidente poteva essere considerato “superiore” in numerosi campi, particolarmente nelle istituzioni e nei sistemi socio-politici e industriali, l’educazione e le innovazioni tecniche, questa superiorità è oggi rimessa in discussione dall’Oriente in piena crescita. E’ tempo che l’Occidente guardi la realtà in faccia e Mahbubani gliene dà l’occasione.

E’ inevitabile che un libro di tale ampiezza presenti alcune parti poco chiare e controverse. Una di questa è la presentazione generalmente “kiplinghesca” dell’Oriente e dell’Occidente o, piuttosto, dell’Oriente contro l’Occidente. Si potrebbe vedere il continente eurasiatico come un continuum piuttosto che separato. Nel suo “Libro delle meraviglie del mondo”, Marco Polo racconta le meraviglie che ha scoperto nel suo viaggio in Oriente, ma il veneziano sarebbe stato ugualmente stupito – forse di più – se fosse andato, per esempio, in Finlandia piuttosto che in Mongolia. In Oriente come in Occidente – ma soprattutto in Oriente – manca l’omogeneità che permette di fare generalizzazioni.

Ciò non vale solamente per la cultura ma anche per il livello di sviluppo economico o politico. Descrivendo la Singapore della sua infanzia, Mahbubani osserva che i WC con scarico erano un lusso di cui disponevano poche famiglie. Ho passato una parte della mia infanzia in Spagna, un decennio dopo la guerra civile, quando il paese era ancora in uno stato di disperato sottosviluppo, e i miei ricordi sono simili. ( E quando finalmente abbiamo avuto le toilettes con lo scarico si tappavano subito). Il paese che secondo me assomiglia di più alla Spagna è la Corea del Sud: entrambi erano miserevoli solo pochi decenni fa, entrambi sono stati governati per decenni dai militari, entrambi, infine, hanno conosciuto uno sviluppo economico e politico coronato dal successo e sono diventati democrazie solide e prospere.

Terminata la lettura, restano due questioni importanti

La Russia. Est o Ovest? Presentando i tre principali scenari per il XXI secolo – la marcia verso la modernità, il ripiegamento nelle fortezze e il trionfalismo occidentale – l’autore non precisa dove si pone la Russia, in particolare rispetto al terzo scenario. La Russia si situerà a Est nella sua “marcia verso la modernità” o si affiancherà all’Occidente nel suo “trionfalismo”? Porre questa domanda non significa fare una critica a Mahbubani perché i Russi stessi (anzi proprio loro) non sarebbero capaci di rispondere in maniera soddisfacente. L’identità della Russia è un problema cocente da quando Pietro il Grande ha fondato San Pietroburgo nel 1706 e il fatto che tale sia rimasto nel XXI secolo prova che le domande rimaste in sospeso nel corso della storia non muoiono, non passano in secondo piano e conservano tutta la loro complessità.

La stessa cosa vale per il Giappone. Geograficamente, è senz’altro ad est ma cosa accade sotto altri aspetti? Mahbubani mostra come, negli anni 1870, i primi intellettuali giapponesi favorevoli alla modernizzazione, in particolare Yukichi Fukuzawa, affermavano che la salvezza del Giappone stava nel “lasciare l’Asia” e aderire ai costumi occidentali. All’epoca dell’imperialismo, a fianco dei tre principali colonizzatori europei, emergeva una potenza coloniale asiatica, il Giappone, che volle colonizzare i suoi vicini, Taiwan, la Corea e la Manciuria. Oggigiorno, messe da parte le tensioni tra il Giappone e la Cina di cui Mahbubani parla abbastanza in dettaglio, la domanda rimane: il Giappone è asiatico o no? (In Sud Africa, durante l’apartheid, i Giapponesi “beneficiarono” dello status di “bianchi onorari” e, ciò che turba di più, lo accettarono!)

Se queste domande restano senza risposta nel libro di Mahbubani, è perché sono senza risposta! Ciò si aggiunge alla confusione che regna in un ambiente globale estremamente complesso. Così, “all’inizio del XXI secolo, mentre entriamo in un periodo di cambiamenti tra i più profondi mai vissuti dall’umanità” (p. 279), esistono anche strutture di continuità che, in definitiva, possono accentuare le discontinuità.

La tesi di Mahbubani può essere divisa in tre parti: una messa sotto accusa dell’Occidente, una valutazione dell’Oriente e del suo avvenire e una mappa per una futura governance mondiale.

1. L’ACCUSA ALL'OCCIDENTE

Come abbiamo detto sopra, Mahbubani manifesta una profonda ammirazione per numerose realizzazioni occidentali e crede veramente che l’avvenire dell’Oriente risieda nella sua attitudine ad adattare e incorporare quelli che lui chiama i “sette pilastri della saggezza occidentale”: l’economia di mercato, la scienza e la tecnologia, la meritocrazia, il pragmatismo, la cultura della pace, lo Stato di diritto e l’educazione.

A proposito della “cultura della pace”, scrive: “Gli Stati occidentali hanno raggiunto il vertice dello sviluppo umano: non soltanto zero guerre ma zero progetti di guerra tra due paesi occidentali”. La situazione nei Balcani è sicuramente una sanguinosa eccezione a questa regola, ma essa è tuttavia importante e non dovrebbe essere data per scontata: dovrebbe essere considerata come “una delle realizzazioni più impressionanti della storia dell’umanità” (p. 79). In particolare, una guerra tra quei due grandi belligeranti europei che sono la Francia e la Germania è inconcepibile. Non è lo stesso per quanto riguarda la Cina e il Giappone. Una guerra tra queste due nazioni avrebbe conseguenze devastanti per l’Oriente, ossia per l’intero pianeta, e anche se si tratta di una prospettiva relativamente lontana, solo un incosciente potrebbe affermare che sia assolutamente impensabile.

L’accusa ha due aspetti: il primo è che l’Occidente non rispetta i suoi propri valori e il secondo è che non vuole o non può riconoscere il bisogno di cambiamento nell’ordine mondiale che farebbe finire il suo quasi-monopolio di potere. I due aspetti sono legati: “L’incapacità dell’Occidente di ammettere l’impraticabilità della sua dominazione mondiale rappresenta un grave pericolo per il mondo. Nel corso del XXI secolo, le società occidentali devono scegliere tra cercare di difendere i loro valori o cercare di difendere i loro interessi.” (pp. 7, 8). Si tratta di un argomento sul quale Mahbubani ritorna sovente nel corso dell’opera, dimostrando che troppo spesso gli interessi prevalgono sui valori.

Ripiegamento nelle fortezze

L’autore stabilisce una differenza tra quello che chiama l’”Occidente filosofico” e l’”Occidente materiale”, questo ultimo più importante e dominato da interessi limitati. Una grave minaccia per il pianeta proviene particolarmente dal fatto che, soprattutto l’Europa, ma recentemente anche gli Stati Uniti, ricadono in un forte protezionismo che rischia di mettere in pericolo la maggiore crescita economica che il mondo abbia mai conosciuto. L’aumento del protezionismo è la forza più potente che spinge il mondo verso il secondo scenario, quello del “ripiegamento nelle fortezze”.

Mahbubani rimprovera all’Europa la sua miopia, il suo autocompiacimento e il suo egocentrismo. Nota in particolare che l’Europa ha mancato di impegnarsi veramente in favore dei suoi vicini: “Né i Balcani né l’Africa del Nord hanno beneficiato della loro vicinanza con l’Unione europea” (p. 237). Nota anche “lo scacco della UE nello sviluppare relazioni costruttive a lungo termine con la Turchia” (p. 228). Così, mentre l’Europa continua ad aspirare al potere mondiale, fallisce miseramente di fronte alle sue responsabilità mondiali e in realtà di fronte ai suoi interessi globali.

Lo scacco del Vertice Asia-Europa (ASEM) ne è un esempio evidente. L’ASEM è stato messo in piedi su iniziativa di Singapore, che partiva dal principio che se vi erano relazioni strette tra l’America e l’Europa da una parte e l’America e l’Asia dall’altra, il terzo lato del triangolo, Asia-Europa, brillava per la sua assenza. Da qui l’idea dell’ASEM. Il primo incontro ha avuto ruolo tra squilli di tromba nel 1996 a Bangkok: quasi tutti i capi di Stato della UE erano presenti. Era l’epoca in cui l’Asia era in pieno “miracolo economico”. Tuttavia, dopo la crisi finanziaria dell’Estremo Oriente, nel 1997, che numerosi Europei considerarono (a torto, naturalmente) come la fine dell’avanzata economica dell’Asia, l’interesse si perse del tutto cosicché quasi nessun capo di governo europeo si degnò di assistere agli incontri successivi.

George W. Bush ha accelerato il declino dell’Occidente

Tuttavia, nel XXI secolo, il declino dell’Occidente nel senso dell’abbandono dei suoi valori è stato accelerato in maniera particolare dagli Stati Uniti sotto il governo di George W. Bush. Mahbubani cita George Kennan, uno dei principali architetti della politica estera e dell’ideologia politica post-americane: “I messaggi che indirizziamo agli altri non saranno efficaci se non saranno in accordo con i nostri comportamenti verso noi stessi” (p. 106). Naturalmente, Bush non è il primo presidente statunitense colpevole di doppiezza e di atrocità. Ma la guerra in Iraq sarà senza dubbio una pietra miliare nel declino dell’Occidente sia in materia di potere che di valori. Gli Stati Uniti e il Regno Unito, paesi che rivendicano l’invenzione e l’applicazione del diritto internazionale, lo hanno violato invadendo l’Iraq senza un vero mandato delle Nazioni Unite. E il governo Bush attaccando l’Iraq ha fatto ancora peggio che comportarsi come un fuorilegge internazionale: “Ha deciso di non rispettare il diritto internazionale umanitario” (p. 259). Nessuno è così ingenuo da credere che la CIA o altri non abbiano commesso violazioni dei diritti dell’uomo nel corso degli ultimi decenni, ma la principale caratteristica del governo Bush è il suo cinismo non dissimulato e provocatore.

Crisi di gestione dell’ordine mondiale se l’Occidente non cambia rotta

Anche qui c’è un’incredibile ipocrisia: “La maggior parte dei cittadini statunitensi non ha idea dello choc che il governo Bush ha provocato allontanandosi dalle convenzioni, universalmente riconosciute, sul rispetto dei diritti umani e in particolare sulla tortura” “Benché abbiano violato numerose disposizioni riguardanti i diritti umani, gli Stati Uniti continuano a pubblicare ogni anno un rapporto del Dipartimento di Stato sulla situazione dei diritti umani in tutti i paesi del mondo salvo il loro” (p. 259).

Si può accusare l’Europa di complicità in questa flagrante violazione dei diritti dell’uomo nel contempo diretta e indiretta. Diretta, nella misura in cui si dispone di prove evidenti della partecipazione europea al “tristemente celebre” Extraordinary Rendition Program [1], dove atti di tortura sono stati commessi in certi paesi della UE mentre altri paesi della UE hanno autorizzato il trasferimento di individui verso destinazioni dove si praticava la tortura. Indiretta, in quanto, contrariamente alle violente condanne da parte degli Europei verso le violazioni dei diritti dell’uomo commesse da paesi come lo Zimbabwe, la Birmania, il Sudan, la Cina e Cuba, non un solo governo europeo ha condannato pubblicamente gli Stati Uniti per il loro uso della tortura e i flagranti attentati alla Convenzione di Ginevra.

La flessione da parte dell’Occidente riguardo la popolazione mondiale, il calo della sua potenza economica relativa e il declino dei suoi valori, tutto ciò contribuisce a rendere illegittima la sua pretesa di governare il mondo. Sette dei paesi del G8 sono nazioni occidentali e cinque sono europee. Anche se si pone la Russia in Oriente, questa rimane una anomalia sconcertante. E anche per quanto riguarda il Giappone, unico membro considerato fin qui come non-occidentale, ci si può domandare se, a parte la sua posizione geografica e la razza dei suoi abitanti, appartiene davvero all’Oriente.

Il numero dei membri [del G8] dovrebbe nello stesso tempo ridursi (dovrebbe essere sufficiente un solo rappresentante per l’UE) e estendersi (alla Cina, all’India, al Brasile, al Sud Africa o alla Nigeria e all’Egitto) allo scopo di riflettere le realtà contemporanee.

L’arroganza e la dominazione occidentali possono anche essere illustrate dal diritto di voto e dai posti direttivi che l’Occidente si è attribuito nelle due istituzioni finanziarie più importanti, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, e dalla composizione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che non è cambiato dal 1945. Come scrive Mahbubani, ci sarà “una vera crisi di gestione dell’ordine mondiale se l’Occidente non cambia rotta” (p. 9).

2. VALUTAZIONE DELL'ORIENTE E DEL SUO FUTURO

La citazione più eloquente nell’opera di Mahbubani è forse quella di Robert Sirota, presidente della Manhattan School of Music: “Credo onestamente che in una certa misura l’avvenire della musica classica dipenda dallo sviluppo della Cina nel corso dei prossimi 20 anni” (p. 250). La folle passione dei Cinesi per la musica classica occidentale sembra ancora più notevole quando ci si ricordi che all’apogeo della rivoluzione culturale, che finì solo tre decenni fa, c’erano tre “campagne anti”: anti-Confucio, simbolo dell’ideologia feudale, anti-Lin Biao (accusato di aver fomentato un colpo di stato contro Mao) e anti-Beethoven (simbolo della decadenza della cultura imperialistica borghese). E la Cina non è l’unica in Oriente a questo proposito. Da qualche anno ho scoperto che la Corea del Sud presenta il tasso per abitante più alto di acquisti di CD di musica classica. Ci sono più sud-coreani che polacchi che comprano le opere di Chopin quando il numero di abitanti dei due paesi è pressappoco simile!

La crescita economica dell’Oriente è stata notevole. Ancora quattro decenni orsono, nel 1968, l’economista svedese Gunnar Myrdal, insignito del premio Nobel, pubblicava la sua opera principale in tre volumi intitolata Asian Drama: An Inquiry into the Poverty of Nations [2]. Secondo l’autore, non solamente l’Asia era povera, ma era probabilmente destinata a rimanerlo. Asia e povertà e in particolare Cina e povertà erano considerati come sinonimi. Fino agli anni 1970, quando gli occidentali decidevano di investire altrove che non in Occidente, le principali destinazioni erano paesi come l’Iran, la Nigeria o il Messico mentre ci si teneva a distanza dall’Asia orientale e del sud. Quanto le cose sono cambiate!

La rilevante crescita economica dell’Oriente è dovuta in parte ad una dinamica interna che ha attribuito molta importanza alle riforme del mercato così come ai loro fondamenti istituzionali e particolarmente allo sviluppo del capitale umano e agli effetti benefici della globalizzazione. Quello che alcuni gruppi anti-globalizzazione occidentali non riescono proprio a capire è quanto gli effetti della crescita economica siano liberatori. Non si tratta solo dell’acquisizione di beni materiali che provvedono ai bisogni e alla dignità delle persone – ad esempio, le toilettes con lo scarico – ma anche, secondo Mahbubani, “la trasformazione dello spirito umano che ha luogo quando le persone conoscono questa rapida crescita economica “ (p. 55)

“Nel 2010, il 90% di tutti gli scienziati e ingegneri titolari di un dottorato vivranno in Asia”

Mentre l’economia di mercato e la globalizzazione provocano in Occidente un grande disinganno, l’Asia considera che “il vero valore dell’economia di mercato non sta solamente nell’aumento della produttività. Essa innalza lo spirito umano, libera lo spirito di centinaia di milioni di persone che sentono di poter adesso prendere in mano il proprio destino. E’ per questo che l’Asia va avanti “ (p. 18).

Un esempio chiave di questa liberazione è la libertà di scegliere la propria professione. Si tratta di ”una libertà che la maggior parte degli occidentali considera scontata. Tuttavia, nel corso di 3000 anni di civiltà cinese, la grande maggioranza dei Cinesi non hanno cominciato a rallegrarsene che nel corso degli ultimi 30 anni, periodo che rappresenta appena l’1% della durata della civiltà cinese” (p. 136).

L’ascesa dell’Asia, secondo Mahbubani, viene in gran parte dall’essere riuscita ad adattarsi ai “sette pilastri della saggezza occidentale”. Ciò non si misura solo dai suoi successi in materia di musica classica ma forse in maniera più temibile nelle scienze e nella tecnologia: in effetti “nel 2010, il 90% di tutti gli scienziati e ingegneri titolari di un dottorato vivranno in Asia” (p. 58). I cambiamenti intervenuti sono davvero profondi: “L’Asia esplode perché tanti cervelli asiatici, sottoimpiegati per secoli, strabordano di creatività” (p. 13). “Al cuore della storia dell’Asia – e questo è stato spesso trascurato – si trova la responsabilizzazione di centinaia di milioni di persone che in precedenza soffrivano di una totale assenza di potere sulla loro vita” (p. 17).

La principale minaccia è il ritorno del protezionismo occidentale

Mentre gli orizzonti asiatici offrono numerose occasioni di sviluppo futuro, esiste inevitabilmente un certo numero di minacce, sia interne che esterne. La principale minaccia esterna è il risorgere del protezionismo occidentale così come la sua incapacità di adattare le strutture allo spirito di governance globale delle nuove realtà, in particolare per rispondere ai bisogni delle potenze orientali emergenti.

Comprendere meglio il pensiero islamico

Mahbubani vede tre principali occasioni di sfida per l’Occidente: la Cina, l’India e il mondo musulmano. A proposito di questo ultimo, mentre il termine “musulmano” nella mentalità occidentale è associato a quello di “arabo”, la grande maggioranza dei musulmani vive in Asia, dove si trova la maggioranza dei paesi che hanno le più cospicue popolazioni musulmane: Indonesia, India, Pakistan, Bangladesh e Iran. L’invasione anglo-americana dell’Iraq ha notevolmente aggravato le relazioni tra l’Occidente e gli Stati e i popoli musulmani. Il carattere grottesco degli errori commessi è dovuto in parte allo stupefacente livello di ignoranza degli Stati Uniti a proposito dell’Iraq, proveniente dalla loro arroganza. Mahbubani contrappone la mancanza di preparazione nell’occupazione dell’Iraq alla preparazione dell’invasione del Giappone nel 1945 quando, tra le altre cose, migliaia di statunitensi dovettero imparare il giapponese allo scopo di aumentare l’efficacia dell’occupazione che seguì alla sconfitta. Mahbubani esorta l’Occidente a “fare urgentemente degli sforzi per capire meglio il pensiero musulmano” (p. 213).

Nonostante 6 dei 7 pilastri sembrino ben solidi in Oriente, il settimo avrebbe bisogno di essere rinforzato: la “cultura della pace”. Come scrive l’autore, “l’attuale opportunità di diventare un paese sviluppato è la migliore che la Cina abbia mai avuta. La cosa più stupida che potrebbe fare sarebbe quella di rovinarla impegnandosi in qualche sorta di conflitto militare” (p. 81). Certamente. Ma mentre molto dipende dalla sua dinamica polita interna e dalla sua politica estera, molte cose dipendono anche da quello che succederà al di fuori della Cina. Vi sono molte falle nello spazio geopolitico asiatico: la Corea del Nord, Taiwan, il Kashmir, il mare cinese meridionale, le relazioni sino-giapponesi, ecc. che rendono la regione potenzialmente soggetta a disordini.

Si paragonano spesso – a torto o a ragione – l’Asia dell’inizio del XXI secolo e l’Europa dell’inizio del XX secolo, ma non vi è alcuna prova che nella Prima Guerra mondiale (contrariamente alla Seconda) uno dei belligeranti, compresa la Germania, avesse davvero l’intenzione di scatenare una guerra. Nel 1914, si sono piuttosto visti paesi “trascinati” in una guerra sopraggiunta in seguito a quello che l’epistemologo Nassim Taleb descrive come l’apparizione di un “cigno nero” (Nassim Taleb, The Black Swan: The Impact of the Highly Improbabile). Il “cigno nero” è un avvenimento imprevisto, non avvistato dai radar ma con un impatto considerevole e perfettamente spiegabile retrospettivamente. Nel caso dell’Europa del 1914, il cigno nero è apparso nelle strade di Sarajevo quando il nazionalista serbo-bosniaco Gavrilo Princip assassinò l’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando e sua moglie Sofia. Questo crimine scatenò una serie di avvenimenti in rapida successione che portarono molto velocemente alla guerra più barbara e sanguinosa che il pianeta abbia mai vissuto.

La Cina, il Giappone e la Corea pacificatori della regione

Mahbubani pensa che le prospettive di guerra in Asia siano attenuate dalla “rimarchevole realizzazione diplomatica che è l’ASEAN” [3] (p. 84). Le grandi potenze dell’Asia del Nord-Est, la Cina, il Giappone e la Corea sono riuscite a stabilire solidi legami istituzionali economici, politici o culturali grazie all’ASEAN che non solo ha trasformato la regione, facendo di un grande campo di battaglia un mercato, ma ha anche impegnato le tre grandi in diverse iniziative, ad esempio l’ASEAN Più Tre, facendone il “pacificatore della regione “ (p. 85).

C’è un aspetto al quale, secondo me, Mahbubani non presta sufficiente attenzione. Tra le ragioni per rimproverare l’Occidente, egli vede l’ipocrisia e la doppiezza di questo ultimo a proposito del cambiamento climatico e sono d’accordo con lui. La quantità di emissioni ad effetto serra di cui l’Occidente è stato responsabile nel corso degli ultimi due secoli fa capo interamente alla sua leadership. L’Occidente è ricco mentre in confronto l’Oriente rimane povero malgrado i suoi importanti progressi recenti in campo economico. Per assicurare la pace, la crescita dell’Asia deve proseguire. Il “compromesso” tra la crescita e l’ambiente è molto più delicato e complesso in Oriente che in Occidente. L’atteggiamento dell’Occidente, in particolare degli Stati Uniti, riguardo il cambiamento climatico costituisce una delle numerose accuse giustificate.

Le prospettive dell’Oriente sono molto positive

Ma, c’è un grande ma! Ad esempio, quando uno smog spesso e velenoso, proveniente dagli incendi delle foreste indonesiane, avvolge Kuala Lumpur e Singapore – ed impedisce i voli tra le due città – e lo si definisce “una leggera foschia” per non creare choc, non è esagerato dire che l’Asia si confronta con importanti sfide ambientali di cui è responsabile e la cui gestione non nuocerebbe alla crescita della regione (al contrario), sfide che provengono in gran parte da malgoverno, corruzione e incapacità di applicare la legge. Mahbubani avrebbe forse potuto aggiungere un ottavo “pilastro della saggezza occidentale” (in ogni caso un pilastro europeo se non americano): l’ecologia.

Non è difficile immaginare ogni tipo di “cigni neri” in Asia in questo inizio di XXI secolo. Uno scenario di tipo ambientale potrebbe essere uno dei più plausibili.

Detto questo, non solo le recenti realizzazioni e le prospettive dell’Oriente sono molto positive, ma sono, come Mahbubani fa giustamente notare, degli sviluppi di cui l’Occidente dovrebbe rallegrarsi. “La realizzazione del sogno occidentale dovrebbe rappresentare un momento di trionfo per l’Occidente” (p. 5). L’ascesa dell’Asia è senz’altro una buona notizia. Una possibile causa di tragedia, in questo inizio di XXI secolo, sarebbe che essa non venisse riconosciuta come tale ma vista come una minaccia, come un gioco a somma zero da affrontare.

3. UNA MAPPA PER UNA FUTURA GOVERNANCE MONDIALE

Come Mahbubani riconosce all’inizio della sua opera, “gli asiatici sono diventati tra i principali beneficiari dell’ordine multilaterale creato degli Stati Uniti e dagli altri vincitori della Seconda Guerra mondiale nel 1945. Poche società asiatiche desiderano oggigiorno destabilizzare un sistema che è venuto loro in aiuto” (p. 2). Di conseguenza, un tema importante nella prospettiva di una futura governance mondiale è la preservazione della attuale struttura che bisogna però modernizzare per adattarla alle sfide del XXI secolo. Ma, per il momento, bisogna riconoscere che “l’Asia e l’Occidente devono ancora raggiungere una comprensione comune della natura di questo nuovo mondo” (p. 4). Si tratta di un compito cruciale. La storia recente dell’Asia potrebbe avere molte più implicazioni globali positive: “Quando miliardi di persone diventano parte attiva nella pace e nella prosperità, esse portano il mondo in una direzione positiva” (p. 17). Così è essenziale assicurare “la propagazione di un ordine basato su regole – a livello di nazioni, di regioni e del mondo” (p. 21).

Quando Mahbubani scrive che “è venuto il momento di ristrutturare l’ordine mondiale” e che “lo dobbiamo fare immediatamente” (p. 235), è evidente che la ristrutturazione debba essere essenzialmente basata sulle strutture esistenti, ma non tutte. Così, il G8 dovrebbe essere abbandonato. Il principale motivo di lagnanza di Mahbubani è l’incapacità da parte dell’Occidente di mantenere, rispettare e rafforzare le istituzioni che ha creato. E l’amoralità con cui si comporta troppo spesso indebolisce ancora di più le strutture e lo spirito della governance mondiale.

Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno perso la loro autorità morale

Prendiamo il Trattato di non-proliferazione nucleare (TNP). Secondo Mahbubani, è “legalmente vivo ma spiritualmente morto” (p. 193). Il fatto stesso che gli Stati Uniti e il Regno Unito siano entrati in guerra senza l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza significa che questi due membri permanenti hanno “perduto l’autorità morale necessaria per chiedere all’Iran di sottomettersi alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza” (p. 195). “Il mondo – scrive – ha essenzialmente perso la fiducia nei cinque Stati nucleari. Invece di considerarli come guardiani onesti e competenti del TNP, li percepisce generalmente come i suoi principali violatori” (p. 199).

La loro decisione d’ignorare lo sviluppo da parte d’Israele di un arsenale nucleare è stato particolarmente pregiudizievole. In occasione di un incontro a Bruxelles all’inizio del 2008, ho domandato a uno dei partecipanti, Xavier Solana, Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la politica estera e la sicurezza comune, il suo parere sul problema dell’arsenale nucleare d’Israele ma ha rifiutato categoricamente di affrontare l’argomento. La cospirazione del silenzio – quando tutti sanno che Israele possiede armi nucleari – ha provocato una “breccia nel sistema di non-proliferazione in cui altri paesi possono infilarsi” (p. 199). La proliferazione nucleare è una delle maggiori minacce in questo inizio di XXI secolo. E’ necessario rafforzare il TNP per poter domandare a Israele di smantellare il suo arsenale nucleare. Altrimenti non c’è alcuna legittima giustificazione per rifiutare all’Iran di diventare una potenza nucleare, il che porterà senza dubbio l’Arabia saudita e altri paesi a fare lo stesso.

Scacco dell’Occidente

E’ questa incapacità ad esercitare in maniera conveniente una leadership a fare sì che l’Occidente sia al momento il problema più che la soluzione. Nello stesso tempo, come riconosce Mahbubani, “i paesi asiatici non sono ancora pronti a intervenire”. Certamente l’Occidente viola i suoi principi, ma è assimilando e applicando i tre principi occidentali di “democrazia, Stato di diritto e giustizia sociale che il mondo può diventare migliore” (p. 236).

Attualmente, nessuno dei pretendenti alla leadership mondiale possiede tali principi universali. La Cina è nettamente in procinto di ritrovare l’aura e la potenza che aveva nei secoli passati, ma, secondo Mahbubani, a considerare la sua storia si constata che “lo spirito cinese si è sempre concentrato sullo sviluppo della civiltà cinese e non su quello della civiltà globale “ (p. 239). Ma questo paese potrebbe stabilire quella che si chiama una società globale armoniosa, che consiste in un “ringiovanimento della civiltà cinese nello spirito della dinastia Tang (618-907)”. Sarebbe “una benedizione per il mondo”. “Questa civiltà cinese ringiovanita sarebbe aperta e cosmopolita e non chiusa e isolata” (p. 149). Tuttavia è poco probabile che ciò venga realizzato tanto presto. Quanto all’India, “il suo ruolo naturale […] è di essere un ponte tra l’Oriente e l’Occidente. Nessuna altra società è meglio qualificata per questo” (p. 170).

Sono del tutto d’accordo con Mahbubani e credo veramente che l’India sia già nella posizione di diventare il leader intellettuale del mondo. La quantità di produzioni in tutti i campi – scienze, letteratura, cinema, scienze politiche, filosofia, metafisica, tecnologia, management, ecc. è tutto semplicemente prodigioso. Ma, nello stesso tempo, l’India deve risolvere numerosi problemi interni. Si tratta anche di un paese i cui principi e la cui civiltà si scontrano con il “test della realtà”. Per non citare che un esempio, come sanno i lettori dell’articolo sull’inquinamento in India apparso in un recente numero dell’Economist (“India and pollution: Up to their neck in it”, 19 luglio 2008), qualcosa come 700 milioni di indiani sono letteralmente nella merda fino al collo. Il Primo ministro Manmohan Singh ha chiesto un programma di “crescita globale” che dovrebbe essere realizzato per il bene degli Indiani prima che il paese possa legittimamente assumere qualunque serio ruolo mondiale.

In vista di questo periodo di transizione, in cui l’Occidente declina e l’Oriente aumenta in potenza ma non ancora al punto di “dargli il cambio”, si possono considerare le esortazioni di Mahbubani come l’ABC. Però, essendo stato per sette anni ambasciatore di Singapore presso le Nazioni Unite, tra cui una missione di due anni come ambasciatore in seno al Consiglio di sicurezza quando Singapore occupava un seggio temporaneo nel Consiglio, Mahbubani è un convinto multilateralista e un fervente sostenitore dell’istituzione e dello spirito delle Nazioni Unite, anche se riconosce che avrebbero bisogno di una riforma radicale. Bisogna riconoscere quale notevole innovazione e quale miglioramento ha rappresentato l’ONU nella storia dell’umanità. Mahbubani lancia ai suoi lettori un appello appassionato: “Vi prego, trovate una copia della Carta delle Nazioni e leggetela” (p. 205). L’ONU deve essere riformato, rafforzato e rilegittimato. E’ una richiesta molto esigente che al momento non è difesa attivamente da nessun leader politico. Tuttavia sono d’accordo con Mahbubani quando scrive che nell’agitata situazione attuale è preferibile riformare e rafforzare le istituzioni esistenti piuttosto che provare a creare qualcosa ex nihilo. La ruota è già stata inventata, ha solo bisogno di essere aggiustata.

De-occidentalizzare la Banca mondiale, il FMI e l’OMC

E’ la stessa cosa per le istituzioni finanziarie internazionali. Anche se ci sono buone ragioni per dubitare che nessuna delle tre più importanti – la Banca mondiale, il FMI [Fondo Monetario Internazionale] e l’OMC [Organizzazione Mondiale del Commercio, nei paesi anglosassoni WTO] – sopravviverà nel prossimo decennio, Mahbubani stima che sia d’importanza capitale conservarle. Ma, beninteso, bisogna trasformarle e de-occidentalizzarle. Non è indispensabile che il posto di direttore della Banca mondiale e del FMI vengano automaticamente attribuiti agli Stati Uniti o all’Europa come se fosse scritto nel Vangelo; dovranno essere aperti globalmente a talenti provenienti dal mondo intero. E’ ugualmente importante che la Banca mondiale non abbia più la sua sede a Washington DC e dissemini i suoi funzionari nei paesi in cui opera.

Lo spirito internazionalista che si incarna nella Carta delle Nazioni, deve dunque essere mantenuto, o meglio , rivitalizzato. L’autore intitola il suo ultimo capitolo “Pragmatismo”. Il pragmatismo, quello al quale Deng Xiaping ha fatto ricorso per operare la considerevole trasformazione della Cina, è “la migliore guida per avanzare nel nuovo secolo” (p. 279) che sarà, ci ricorda Mahbubani, “uno dei più complessi della storia dell’umanità” (p. 272).

Sviluppare relazioni personali approfondite

E il modo migliore per servire la causa del pragmatismo sarebbe che gli Stati Uniti studiassero la civiltà persiana e accettassero la sua realtà attuale e le sue aspirazioni future: “Di conseguenza, un grande passo pragmatico che l’America potrebbe fare consisterebbe nel guardare aldilà del velo della teocrazia islamica e nel cercare di sviluppare una migliore comprensione della cultura e della civiltà persiane. Dovrebbe stabilire relazioni diplomatiche con il governo e sviluppare relazioni personali approfondite con la società iraniana […] L’America dovrebbe investire in Iran ed anche proporgli un accordo di libero scambio” (p. 274).

“Meglio discutere che farsi la guerra”

Ho passato qualche tempo in Iran nel 2006 e devo dire che sono assolutamente d’accordo con Mahbubani in quello che propone e quando scrive che “l’impegno aiuta quelli che desiderano aprirsi e riformare la società iraniana” (p. 216). Come sottolinea l’autore, durante la guerra fredda, le relazioni diplomatiche e il dialogo sono stati mantenuti con Mosca e le altre capitali importanti. Il fatto che gli Stati Uniti e l’Europa abbiano mantenuto relazioni diplomatiche con l’URSS e i suoi satelliti non implicava che approvassero i gulag e tante altre misure totalitarie o le violazioni dei diritti dell’uomo. Le relazioni sono state mantenute per ragioni pragmatiche di sana e intelligente diplomazia. Alla fine sono stati trovati dei compromessi che probabilmente non sarebbero stati trovati senza il dialogo. L’attuale tendenza a non “riconoscere” i propri nemici – Iran, Cuba, ecc. – è assurda. Come disse un altro grande pragmatista, Winston Churchill: “Meglio discutere che fare la guerra”.

In conclusione, dovrebbe essere evidente che gli Occidentali che spingevano Mahbubani a non pubblicare la sua opera avevano assolutamente torto. Bisognerebbe che in Occidente il maggior numero di persone leggessero e riflettessero sulle sue tesi. Bisognerebbe farle conoscere ai leaders occidentali e l’ideale sarebbe obbligare il presidente degli Stati Uniti a leggerle.


NOTE

[1] Trasferimento segreto di persone sospette di terrorismo e rapite dalla CIA.
[2] La traduzione francese “ Le drame de l’Asie: une enquête sur la pauvreté des nations”, è stata pubblicata da Seuil nel 1976.
[3] Associazione degli Stati del Sud-Est asiatico