Il governo iracheno ieri ha approvato l'accordo di sicurezza con gli Stati Uniti che prevede il ritiro totale delle truppe americane entro la fine del 2011. L'accordo è stato approvato con 28 voti favorevoli su 38. C'era bisogno di una maggioranza di due terzi perché si potesse procedere a presentare l'accordo al parlamento, dove per l'approvazione basta la maggioranza semplice.
L'accordo prevede la partenza dei circa 150mila soldati americani, che attualmente sono distribuiti su oltre 500 basi. Dalle città i soldati se ne andranno entro il 2009 e da tutto il territorio iracheno entro la fine del 2011.
Il premier Nuri al Maliki, che ha fortemente voluto l'accordo, era già praticamente certo di ottenerne l'approvazione perché poteva contare sul sì della coalizione sciita e dei partiti curdi, che insieme hanno 19 ministri. Aveva anche l'appoggio degli indipendenti e di una parte dei ministri sunniti.
Il parlamento deve ora procedere a una doppia lettura con un voto definitivo a distanza di almeno sei giorni. Seguirà la ratifica da parte del consiglio presidenziale e solo a questo punto si potrà procedere alla firma ufficiale dell'accordo, presumibilmente a Washington, da parte di Maliki e Bush.
Anche il grande ayatollah Sistani, maggiore autorità religiosa sciita del Paese, ha dato un suo informale consenso. L'accordo serviva per dare un quadro giuridico certo alla presenza militare americana in Iraq alla scadenza del mandato Onu, alla fine di quest'anno.
Ma qualche giorno fa il leader sciita Muqtada Al-Sadr aveva minacciato di riprendere gli attacchi contro i soldati USA se le truppe straniere dovessero restare nel Paese oltre il termine del mandato ONU.
Il leader sciita ha inviato le sue minaccie in un messaggio rivolto ai fedeli di Sadr City e della città di Kufa, a sud di Baghdad in cui affermava "Ripeto il mio appello agli occupanti di lasciare la terra del nostro amato Iraq, senza mantenere delle basi o siglare degli accordi ma se restano, io invito tutti i combattenti a rivolgere le loro armi esclusivamente contro l'occupante."
Nel giugno scorso Al-Sadr si era detto pronto a smantellare il proprio esercito, eccetto una ridotta milizia di fedeli combattenti, chiamata la brigata del giorno della Promessa. Ora Al-Sadr ha invitato i gruppi indipendentisti, addestrati e armati dall'Iran, ad unirsi a lui.
Intanto l'accordo e' passato nonostante queste "minacce", che molto spesso lasciano intendere tutt'altro. Mentre oggi il portavoce del gruppo parlamentare di Al-Sadr, Ahmed al Masoudi, ha detto che l'Assemblea nazionale irachena respingerà il testo dell'accordo di cooperazione militare con gli Usa, perché la maggioranza dei deputati vi si oppone.
Staremo a vedere.
Intanto dall'Iran giungono ovvie critiche all'accordo, ma Hassan Ghashghavi, portavoce del ministero degli Esteri iraniano, ha dichiarato "Preferiamo attendere che la questione venga fissata definitivamente dal parlamento iracheno e quindi esprimeremo la nostra posizione".
Comunque sia, e' solo questione di pochi giorni per capire quanti deputati iracheni saranno al soldo degli USA e quanti a quello dell'Iran.
Iraq, Il governo dà il via libera all’accordo di “sicurezza” con gli Usa
Osservatorio Iraq - 16 Novembre 2008
Adesso la palla passa al Parlamento. Ha avuto oggi il via libera del Consiglio dei ministri l’accordo che consentirebbe agli Stati Uniti di continuare a tenere le proprie truppe in Iraq dopo la fine di quest’anno, ma che ne impone il ritiro totale a fine 2011.
A dare l’annuncio è il portavoce del governo di Baghdad – Ali al Dabbagh, che riferisce che l’Ok è arrivato dopo una riunione durata due ore e mezza, con il voto favorevole di 27 dei 28 presenti (contando anche il premier Nuri al Maliki).
I membri dell’esecutivo sono 38, dieci dei quali non hanno quindi partecipato alla riunione. Il perché non è ancora chiaro, gira voce che alcuni fossero in viaggio all’estero.
Dei 28 che c’erano – ad ogni modo – solo uno ha votato contro: Nawal al Samarrai'e, ministro per gli affari delle donne.
La Samarrai'e, che appartiene all'Iraqi Islamic Party, considerato il principale partito sunnita iracheno, ha motivato il suo voto contrario, dicendo che preferisce che l'accordo sia sottoposto a un referendum popolare.
Calendario “specifico e definitivo”
Dabbagh ha riepilogato i punti salienti dell’accordo – la versione definitiva, cioè – frutto di negoziati intensi degli ultimi giorni fra Washington e Baghdad, dopo che gli Usa avevano fatto sapere, dopo le modifiche richieste dal governo iracheno, che si trattava della loro ultima offerta.
Il patto prevede intanto un calendario per il ritiro delle forze Usa – che entro metà 2009 dovranno lasciare tutte le città, grandi e piccole, e i villaggi dell’Iraq. Nel corso dell’anno dovranno inoltre mano a mano consegnare le loro basi alle autorità di Baghdad.
Entro il 31 dicembre 2011 tutte le truppe statunitensi dovranno lasciare il Paese. Non è più prevista la possibilità che rimangano su richiesta del governo iracheno, come stipulato in una bozza precedente.
Le forze Usa passano sotto il controllo del governo di Baghdad, e non potranno più condurre operazioni militari senza concordarle con gli iracheni. In particolare, non potranno più fare raid nelle case degli iracheni, se non con l’ordine di un magistrato iracheno.
I casi degli oltre 16.000 detenuti attualmente in custodia degli americani verranno trasferiti alle autorità giudiziarie di Baghdad, che dovranno decidere il da farsi.
Secondo Dabbagh, Washington avrebbe accettato la richiesta irachena di ispezionare tutte le merci in partenza e in arrivo nel Paese.
Per quanto riguarda la questione più spinosa, quella sulla quale gli Usa non intendono cedere – ovvero l’immunità dei militari statunitensi rispetto alla legge irachena, il portavoce governativo ha parlato di un comitato tecnico, che verrebbe creato per indagare sulle eventuali “violazioni” da essi commesse. Ma non ha detto nulla di specifico.
L’Iraq aveva chiesto di poter perseguire tutti i reati commessi dai militari Usa (nonché dai cosiddetti contractor), ma Washington aveva accettato solo nei casi di reati gravi e intenzionali, che dovessero essere commessi dai soldati fuori dalle basi, e quando non sono in servizio.
Dabbagh ha tenuto a sottolineare che il calendario per il ritiro è “specifico e definitivo”, e non dipende dalle condizioni sul campo.
Positivi i commenti del ministro degli Esteri Hoshyar Zebari, secondo il quale sono stati raggiunti dei compromessi soddisfacenti per la parte irachena.
"Ora abbiamo un accordo che possiamo difendere”, ha detto il ministro alla Reuters, aggiungendo che esso “verrà reso pubblico e distribuito, e tutti i Paesi confinanti ne riceveranno una copia".
In delegazione da Sistani
Nella giornata di ieri, le voci che l’accordo sarebbe stato approvato dall’esecutivo – oggi o domani – si erano fatte più insistenti.
Esponenti politici molto vicini al premier Maliki avevano fatto sapere alla stampa che la versione finale dell’accordo aveva l’Ok del Primo Ministro (che fino a oggi non si è espresso pubblicamente a riguardo), mentre una delegazione era partita da Baghdad alla volta della città santa sciita di Najaf, con l’ultima copia del documento, per conferire con il Grande Ayatollah Ali al Sistani, il leader religioso più influente fra gli sciiti iracheni.
Sistani, a detta di un alto funzionario del suo ufficio, avrebbe fatto capire che da parte sua non ci sarà opposizione, se l’accordo avrà il via libera del governo e del Parlamento.
Il rifiuto dei sadristi, l’incognita del Parlamento
Ed è il Parlamento adesso ad avere l’ultima parola.
Secondo Dabbagh, il testo dell’accordo avrebbe dovuto essere passato all’assemblea già nella giornata di oggi, ma non è chiaro quando si voterà.
A fine mese ci sarà una pausa dei lavori, per la stagione del Hajj – il pellegrinaggio che ogni anno porta alla Mecca, in Arabia Saudita, milioni di musulmani da tutto il mondo.
Khalid al Attiya, uno dei due vice presidenti (e uno di quelli che ieri erano andati a parlare con Sistani), dice che la prima lettura ci sarà domani. Il presidente dell'assemblea, Mahmud al Mashhadani, ha cancellato tutti i permessi e i viaggi fuori città per i deputati, per garantire il quorum durante le votazioni.
Chi proprio non ci sta sono i sostenitori di Muqtada al Sadr, che proprio un paio di giorni fa aveva ribadito il suo rifiuto di qualunque accordo con gli Usa, e annunciato la creazione di una nuova milizia per combattere gli “occupanti”.
“Questa approvazione sottovaluta il sangue dei martiri, l’opinione degli esponenti religiosi, e il rifiuto popolare di questo accordo”, ha dichiarato alla Agence France Presse Hazem al-Araji, uno dei più influenti leader sadristi, annunciando una manifestazione di protesta venerdì a Baghdad..
"Oggi il Consiglio ha accettato di porre l’Iraq sotto il mandato delle forze di occupazione americane”, ha detto alla Reuters il portavoce dei sadristi in Parlamento, Ahmed al-Masudy, che parla di un fatto “profondamente deplorevole e doloroso", e invita gli iracheni a “organizzare manifestazioni e sit-in per fermare questa farsa".
Se l’opposizione parlamentare dovesse limitarsi ai sadristi, che hanno solo una trentina di seggi (su 275), è probabile che l’accordo passi.
E tuttavia è difficile fare previsioni. L’Iraqi Accord Front, la maggiore coalizione sunnita, vuole un referendum popolare (chiesto anche dal leader dell’Iraqi Islamic Party, nonché vice presidente iracheno, Tariq al Hashemi), e il suo portavoce, Salim al Juburi, ha detto che il gruppo cercherà di bloccarne l’approvazione in Parlamento.