di Mario Braconi – Altrenotizie – 9 Novembre 2008
Le statistiche dicono poi che gli Islandesi vivono a lungo (età media maschile di poco inferiore agli 81 anni, il terzo miglior dato al mondo), sono avidi lettori e vantano un elevatissimo tasso di partecipazione femminile al mondo
Se è vero che, come suggerisce il Presidente islandese Ólafur Ragnar Grímsson, “l’avvento della globalizzazione e l’abbattimento generalizzato di vincoli al commercio estero e al controllo dei capitali, rafforzato dalla innovazioni informatiche e tecnologiche hanno reso irrilevante l’isolamento geografico islandese”, i motori del recente boom islandese sono il suo sistema pensionistico, gonfio di denaro e con una buona propensione agli investimenti azionari, e l’industria per l’estrazione dell’alluminio, che oggi vale più di quella ittica.
Inoltre, nel corso degli ultimi cinque anni, le banche e i fondi islandesi, pilotate da un manipolo di trentenni rampanti, freschi di business school estere, hanno dimostrato atteggiamento molto aggressivo e grande voglia di crescere all’estero, in particolare in Gran Bretagna. La Kaupthing, che nella classifica delle istituzioni finanziarie internazionali potrà anche essere considerata una banca non importantissima (124-esimo posto), ha però realizzato operazioni in Gran Bretagna per l’equivalente di circa cinque miliardi di euro; ha finanziato il fondo islandese Baugur, che detiene partecipazioni azionarie in importanti catene distributive al dettaglio inglesi (Hamleys, House of Fraser, Oasis, Debenhams, Iceland); ha investito pesantemente nel mercato immobiliare londinese e ha acquistato per 547 milioni di sterline un’antica banca d’affari britannica, la Singer & Friedlander.
A sostenere la fase crescente della parabola della Kaupthing, la bolla
Con il deprezzamento della corona islandese, che da un lato sottraeva valore alle attività reali in Islanda, gonfiando il valore dei debiti in divisa contratti all’estero, il sistema bancario islandese ha cominciato a scricchiolare; quando le banche internazionali hanno cominciato a chiudere i rubinetti del credito (il cosiddetto credit-crunch) il Governo islandese è stato costretto a nazionalizzare una dopo l’altre le tre banche. Poiché la Kaupthing, come anche la Landsbanki, avevano diverse migliaia di clienti in
IceSave invece, a differenza della concorrente Kaupthing Edge, pur non avendo sede in Gran Bretagna vi operava mediante “passaporto” islandese; un sistema secondo cui un’istituzione regolamentata nel paese di origine è automaticamente autorizzata ad operare anche nel paese di destinazione. Una forma di tutela molto debole, dato che non è detto che i risparmiatori conoscano le normative bancarie
Così il Governo britannico ha dovuto farsi avanti e garantire i suoi cittadini a rischio di truffa, congelando nel contempo i fondi di IceSave nell’unico modo possibile: ricorrendo ad una legge anti-terrorismo che a rigore farebbe dell’intera Islanda uno stato-canaglia. Di qui una grave crisi diplomatica tra l’Islanda e il Regno Unito, deciso a tutelare ad ogni costo, oltre agli interessi dei suoi cittadini, quelli degli oltre cento tra comuni, autorità di polizia e dei pompieri inglesi che, avendo investito la propria liquidità in IceSave, ci hanno rimesso circa 800 milioni di sterline.
Quando sono arrivati i fallimenti e le nazionalizzazioni, il paese si è risvegliato dal suo delirio, per ritrovarsi davanti agli occhi un sistema finanziario oberato da 100 miliardi di dollari a fronte di un prodotto interno lordo di soli 14 miliardi di dollari. Inevitabile l’intervento del Fondo Monetario Internazionale che, come contropartita ad un finanziamento di due miliardi di Euro, ha preteso un rialzo dei tassi interbancari dal 6% al 18%; misura praticamente inevitabile in un paese cui il drastico deprezzamento della divisa ha prodotto un tasso di un’inflazione del 15%.
Non è però solo la turbo-finanza a spingere la neo-benestante Islanda sull’orlo del baratro: in un bell’articolo pubblicato qualche giorno fa dal quotidiano britannico The Times, infatti, la cantante islandese Björk prende una posizione netta contro il progetto di realizzare nel suo paese due nuovi impianti di produzione di alluminio, che dovrebbero affiancarsi ai tre esistenti. Le accresciute necessità di energia elettrica renderebbero inevitabile la costruzione di nuovi impianti geotermici e la realizzazione di nuove dighe, con effetti devastanti su una natura
Paradossalmente, l’attuale crisi finanziaria viene invocata nel Parlamento islandese come pretesto per accelerare sulla realizzazione dei nuovi impianti, liquidando come un impaccio inopportuno ogni valutazione sull’impatto ambientale delle nuove opere: non a caso, sembra che le multinazionali