Un paio di articoli sulla scandalosa e penosa vicenda della presidenza della Commissione di Vigilanza RAI.
Una telenovela da vomito.
Vigilanza RAI: e ora chi schioda il democristiano?
di Mariavittoria Orsolato – Altrenotizie – 22 Novembre 2008
Continua a trascinarsi in una penosa catena di eventi il melodramma della commissione di vigilanza Rai. L’elezione a tradimento dell’ex Udeur Villari, come preannunciato, ha sollevato un polverone di polemiche e ha scoperto altarini che in molti disperavano ormai di vedere svelati. Dopo il battibecco sulla legittimità di un’elezione avvenuta fuori dalle normali consuetudini, le dimissioni di quello che già sembrava un cavallo di Troia, erano intese ed attese come atto dovuto ma, ad una settimana dall’annuncio, il nostro Villari Riccardo non sembra proprio intenzionato a lasciare la sedia a Sergio Zavoli - senatore Pd nonché ex presidente Rai - su cui i favori di entrambi gli schieramenti sono caduti dopo l’impasse Orlando. E siccome, a quanto si dice, “ la parola dimissioni non esiste nel vocabolario di un democristiano”, l’attuale presidente di commissione si dichiara “sereno” e prepara già bozze di regolamenti e ordini del giorno perché “è mia intenzione ferma porre al primo posto la priorità di ogni parlamentare, che è quella di rispettare e garantire le istituzioni repubblicane”. Come suol dirsi, il patriottismo è l’ultima spiaggia dei cialtroni.
Espulso lo scorso giovedì dal suo partito di riferimento, il Pd, Villari è ormai osteggiato anche da quella maggioranza che l’ha votato ed ora va letteralmente in onda il più classico degli scaricabarili. Per Veltroni la patata bollente passa nelle mani del governo: “Abbiamo fatto un’intesa con palazzo Chigi su un nome di assoluto livello. A questo punto il problema non è più mio, ma riguarda il Pdl. Sta a loro, se lo ritengono, risolvere la questione. Sta a loro applicare l’intesa”.
Fini e Schifani, come due maschere teatrali, pregano cortesemente Villari di abbandonare Palazzo San Macuto senza troppi strepiti e lo stesso Berlusconi afferma: “Maggioranza e opposizione hanno condiviso e concordato la designazione del senatore Zavoli a presidente della commissione di Vigilanza. Il senatore Villari può dirsi soddisfatto - ha ribadito - di avere in fondo contribuito a determinare queste condizioni e può quindi serenamente rassegnare le dimissioni convinto di rendere così un servizio alle istituzioni”.
Ad oggi le dimissioni non sono arrivate, ma in compenso è stato emanato un lungo comunicato a cui Villari affida le sue ragioni chiedendo "rispettosamente a tutti i colleghi della commissione, di compiere un atto di coraggio e di permettere a questo organo di garanzia di svolgere il suo delicato e impegnativo lavoro. Chiedo alla politica dei partiti di fare un passo indietro per lasciare che le scelte almeno negli organi di garanzia vengano effettuate dai parlamentari e venga rispettata la dignità della politica delle istituzioni". Dopo la polemica defezione degli esponenti dell’Italia dei Valori, avvenuta dopo il rinnego dell’ex candidato Orlando, anche i commissari del Pd hanno deciso di non partecipare alle prossime sedute della Vigilanza Rai fino a quando Villari non lascerà l’incarico.
Una commedia degli equivoci, quindi, che lascia il Paese sostanzialmente stupefatto davanti a cotanta faccia tosta. Solo un paio di giorni fa, in diretta su La7, si discuteva proprio della vicenda vigilanza, ospiti in studio ad “Omnibus” Donadi per l’IdV, Latorre per il Pd e Bocchino per il Pdl. Nel pieno di uno scontro tra Donadi e Bocchino, le telecamere hanno pizzicato il senatore Latorre, dalemiano doc che con Villari condivide la provenienza geografica, suggerire con un bigliettino la risposta giusta all’avversario Bocchino per mettere in difficoltà l’alleato - per lo meno sulla carta - Donadi.
Una scena patetica e degradante che nemmeno le risate preregistrate di “Striscia la Notizia”, su cui è andato in onda il replay, sono riuscite a edulcorare. Una scena che però ha avuto il merito di fungere da epifania per tutti quelli che ancora credevano che il Pd fosse un organo di opposizione. L’immagine che questa vicenda restituisce all’elettorato è senza dubbio quella di una politica che, più che con la democrazia, ha a che fare con la cortigianeria di bassa lega: Di Pietro nel suo lessico indubbiamente folkloristico ha reso bene l’idea: “Vendersi per trenta denari”.
Qualunque sia l’epilogo di questa tragicomica situazione, è bene rendersi conto - come afferma Curzio Maltese su La Repubblica - che “l'intero sistema politico è tenuto in scacco da un trecartista mastellato, per giunta su una vicenda, il potere in Rai, che di suo dà il voltastomaco alla maggioranza degli italiani”. Comunque vada sarà un successo, diceva Chiambretti riguardo al suo Sanremo; qui al massimo si potra dire “comunque vada sarà un disastro”. Lo è già, almeno per quella poca credibilità che la politica italiana ancora detiene.
Il prodotto della furbizia
di Curzio Maltese – La Repubblica – 21 Novembre 2008
Nel teatro classico del trasformismo, la Rai, va in scena l'eterno conflitto delle classi dirigenti italiane: di qua i furbi, di là gli incapaci. Al centro, un personaggio che incarna bene i vizi di entrambi, il senatore Riccardo Villari.
Figura mediocrissima, un peone d'altri tempi, ma alla quale dobbiamo una lezione esemplare sui mali della politica nazionale. Democristiano di quarta fila e piccolo barone della medicina, Villari è stato riciclato prima da Mastella e poi da Rutelli non tanto in virtù di dubbie doti politiche, quanto per la conclamata cortigianeria. Cioè la principale e a volte unica competenza richiesta per fare carriera in politica.
E' noto tuttavia, dai tempi di Hegel, che un servo gode di un vantaggio decisivo sul padrone: può sempre trovarsene un altro. Magari più ricco e potente. Villari, a giudicare da come si muove, deve averne trovato uno ricchissimo.
Eletto senatore con i voti della sinistra e presidente della Commissione Vigilanza Rai con i voti della destra, il senatore Villari ha subito annunciato urbi et orbi che non si sarebbe dimesso. Non perché fosse un traditore, un opportunista dei tanti, un cialtrone insomma. No, non si sarebbe dimesso per "rispetto nei confronti delle istituzioni". Infatti, ha chiesto d'incontrare i presidenti di Camera e Senato, dai quali ha ottenuto copertura istituzionale, in cambio di un solenne giuramento: "Mi dimetterò il giorno in cui sarà trovato un nome condiviso da maggioranza e opposizione". Poi il nome eccellente è stato trovato, quello di Sergio Zavoli.
Eppure l'eroico Villari non si dimette lo stesso. Le istituzioni, una dopo l'altra gli hanno ritirato la copertura, a cominciare da Fini, seguito da Schifani e in ultimo da Berlusconi. Gli chiedono di andarsene. Ma lui resta. Fedele all'unica istituzione che quelli come lui riconoscono tale: se stesso. Se il mandante del pasticcio è Berlusconi, com'è ovvio sospettare, si capisce che abbia scelto uno così. Chi altri, del resto? Dall'istante in cui approda a Palazzo Chigi, Berlusconi ha la prima e l'ultima parola su tutto quanto riguarda la televisione, il suo regno privato. Decide il presidente della Rai, dopo aver esaminato i candidati nella sua residenza privata. Decide in prima persona il direttore generale, i direttori di telegiornali e perfino le presentatrici. Decide quali trasmissioni possono continuare e quali si debbono chiudere.
Con l'elezione a sorpresa di Villari, il premier ha voluto scegliere anche il presidente della Commissione di Vigilanza che spetta all'opposizione. Con fiuto infallibile, ha pescato nel mucchio il tartufo. Tartufo Villari, o dell'ipocrisia.
La trappola era ben congegnata e lanciata fra i piedi di un'opposizione già in difficoltà. L'immagine della leadership democratica esce indebolita dalle sempre più evidenti contraddizioni del partito. Perché, per esempio, l'espulsione di Villari e neppure un cartellino giallo per Nicola Latorre, che durante un talk show ha suggerito con un bigliettino la risposta giusta all'avversario politico Bocchino per mettere in difficoltà l'alleato Donadi? Un distinguo etico fra i due è arduo. Uno politico no. Villari è un cane sciolto, ereditato da Mastella, mentre Latorre è il messo di D'Alema, un intoccabile.
Comunque vada a finire, la fotografia di queste ore è desolante. L'intero sistema politico è tenuto in scacco da un trecartista mastellato, per giunta su una vicenda, il potere in Rai, che di suo dà il voltastomaco alla maggioranza degli italiani. Veltroni ne esce come un vaso di coccio fra due vincitori, il "furbo" Berlusconi e l'"onesto" Di Pietro. Per uscire dall'impasse, ci vorrebbe un gesto d'orgoglio, magari l'abbandono definitivo del tavolo di trattative Rai, con annesso balletto di nomine.
Ma forse è chiedere troppo a un ceto politico che considera la televisione il principale strumento di legittimazione, l'oggetto unico del desiderio. Disposti a tutto pur di ottenere la benedizione di un Vespa, un consigliere d'amministrazione, le briciole della torta regalata tanto tempo fa a uno solo, che ora vuol portarsi via pure il vassoio.