martedì 18 novembre 2008

Crisi finanziaria globale: la lezione cinese

Qui di seguito un paio di articoli sul saggio e lungimirante modo con cui la Cina ha reagito alla crisi finanziaria globale e su cio' che potra' accadere nelle prossime settimane.

La Cina non comprera' piu' il debito USA per sostenere la sua economia (reale)
di Henry Short - venexie.org - 16 Novembre 2008

E pensare che ci avevano detto: Ben Bernanke, il governatore della FED, è un grande intellettuale, il massimo studioso della Depressione anni '30, sta facendo le cose giuste per scongiurare che il crack finanziario si trasformi in un'altra Grande Depressione.

Quanto al ministro del Tesoro Hank Paulson, la sua potenza intellettuale era attestata dal semplice fatto d'essere stato il capo supremo, e strapagato, di Goldman Sachs: come si può anche solo dubitare che la più brillante banca d'affari della storia non dia il comando e miliardi di bonus solo ai «best and brightest», ai migliori e più acuti?

Saranno anche cinici, ma sono bravi; dunque, la crisi è in buone mani. E invece, a far la cosa giusta subito, senza perdere tempo, è stata la dirigenza cinese. Con lo stanziamento colossale di 600 miliardi di dollari (un sesto del PIL cinese) per il lancio alla grande di infrastrutture come ferrovie e reti elettriche, case a basso prezzo e spese sociali - sanitarie - insomma lo stimolo fiscale keynesiano - ha mostrato più audacia e più intelligenza degli intelligentissimi americani. E adesso sono loro, i maestri, che stanno cercando di imitare l'allievo. Goffamente e in ritardo.

Anche Paulson, come ricordiamo, ha immediatamente stanziato una cifra astronomica, estorcendo ai contribuenti e al Congresso 700 miliardi di dollari. Ma per quale scopo?

Quello che gli suggeriva il suo istinto di finanziere-speculatore: non salvare l'economia reale (di cui a Goldman Sachs non sanno nulla), bensì le finanziarie speculative. E ha cercato di farlo in modo che le banche e gli speculatori non pagassero alcun prezzo per la crisi che hanno provocato. Anzi.

Con i 700 miliardi, Paulson - o meglio lo Stato americano - ha voluto comprare tutti gli «attivi tossici», ossia tutti i titoli-spazzatura oggi invendibili che le banche hanno in pancia, a prezzi superiori alle loro attuali quotazioni (che sono più o meno zero); insomma liberare i bilanci delle banche dai crediti sub-prime ed altri derivati putrefatti, non solo gratis, ma facendo loro anche regali.

Ora però ha rinunciato. Il genio della finanza si rimangia tutto, fa flip-flop.

Il 12 novembre Paulson ha ammesso che «comprare gli attivi illiquidi connessi ai mutui» non è «il modo più efficace di usare i fondi» che ha estorto. E ha annunciato che ne userà una parte per iniettare capitale nelle banche (ossia: in cambio dei soldi, almeno si farà dare azioni delle banche), per sostenere i prestiti dati agli studenti, ai compratori di auto a rate e alle carte di credito; e per ridurre i pignoramenti, aiutando i padroni di casa col mutuo che non possono pagare, a ristrutturare il mutuo, e restare nelle loro case con rate che possano permettersi.

Un aiuto all'economia reale, finalmente: se quelli con il mutuo continuano a pagarlo, essi sostengono anche i titoli composti da mutui, e dunque le case di mattoni sostengono la finanza.

Ma Paulson non ha capito: voleva salvare la finanza e non i debitori col mutuo. Ora lo fa con un ritardo fatale, quando ormai le case sequestrate sono una valanga. Al punto che la superbanca Citigroup ha rinunciato a pignorare gli immobili dei suoi debitori insolventi: ciò che otteneva era solo un parco di case vuote, abbandonate al saccheggio e dunque con valore precipitante, su cui per di più doveva pagare le tasse di proprietà.

La presunta mente superiore si è rivelata una figura meschina di incompetente, guidato non da un sapere economico basato sull'esperienza, ma da una ideologia fallimentare. E dall'istinto di salvare i «colleghi» di speculazione, di ripararli dalla rovina comune e di mantenere il loro potere sul deserto che hanno fatto.

E che dire di Bernanke? Lui non è uno speculatore, ma un economista universitario, un pensatore. Uno che per tutta la vita ha studiato il 1929 e gli errori che allora i governi e la Federal Reserve commisero, trasformando il crack in Depressione epocale, onde non ripeterli più. Ebbene, che ha fatto questo genio?

Dopo aver iniettato capitali sulle banche anche lui, spargendo dollari con l'elicottero senza esito (le banche continuano a non fare credito, nemmeno alle altre banche) ecco che ricorre alla misura che gli sembra acuta: taglia i tassi d'interesse, ormai vicini allo zero.

Insomma commette quell'errore, o meglio quella scemenza intellettuale, che Keynes ha chiamato «pushing on a string». Tenete a mente questa frase, perchè la troverete ripetuta spesso nel prossimo futuro. Significa, letteralmente, «spingere con un filo».

La metafora è quella del filo che tiene un palloncino: con il filo, tu puoi «tirare giù» il palloncino, ma non spingerlo sù se è sgonfio. Agire sul filo per «spingere», non funziona.

Fuor di metafora: tagliare gli interessi (ossia rendere il denaro meno costoso) è utile ad innescare una ripresa in tempi normali, perchè incoraggia aziende e privati a prendere più denaro a prestito, e ciò stimola economia e consumi. Ma questi non sono tempi normali.

Sono i tempi segnalati da Keynes, in cui le imprese non si vogliono indebitare nemmeno a costo zero, perchè la recessione non dà prospettive di profitti con cui pagare i debiti; e i privati, già stra-indebitati, allarmati dalla disoccupazione incombente, stringono la cinghia e non si vogliono indebitare ancora.

In Italia, i vecchi economisti usavano un'altra metafora: «Il cavallo non beve». Per quanta acqua gli si dia a disposizione (liquidità a costo zero), se il cavallo («the animal spirit of capitalism»), non ne ha voglia, non beve.

E' per questo che Keynes consigliava l'intervento diretto dello Stato nell'economia, a sostituire con la spesa pubblica la mancata spesa delle imprese e dei consumatori. Quel che ha fatto appunto la Cina.

Come uno studente del primo anno alla Bocconi, Bernanke adotta la ricetta semplice - e sbagliata. Per di più, in tragico ritardo. Quando ormai nè le banche vogliono prestare, nè i privati o aziende vogliono chiedere in prestito. Così comincia il guaio vero.

Perchè quando arrivano momenti come questi - che le masse cessano di indebitarsi e cominciano (tutti insieme) a risparmiare, e consumare meno - succede una cosa terribile: la massa monetaria si riduce drasticamente, dato che il denaro oggi viene creato indebitando la gente.

Indebitandola ad interesse, il che significa che la massa dei debitori deve più dell'ammontare che ha preso in prestito; sicchè quando la massa complessiva cessa di chiedere prestiti, l'effetto finale è che non c'è abbastanza denaro - nemmeno abbastanza perchè i debitori che vogliono rientrare possano pagare le bollette e insieme, «servire» (cioè restituire a rate quote di capitale e d'interessi) il debito precedentemente contratto.

Per questo si dice che, mentre l'inflazione favorisce i debitori (annacquando i loro debiti), la deflazione li strangola.

In deflazione, il debito (mutui, carte di credito, prestiti-auto) diventa schiacciante, anche se il denaro è a tasso zero; perchè i redditi scendono, mentre il debito resta fisso, e dunque a tassi reali comunque troppo alti.

Negli anni '30, i contadini americani non riuscivano a pagare i mutui sui terreni, perchè il grano che mietevano ribassava di continuo. Furono ridotti alla fame e a vagare raminghi nel West, dopo aver perso tutto e sì che negli anni '30 l'indebitamento generale era una sciocchezza, rispetto ad oggi.

Insomma: dopo aver studiato tutta la vita come scongiurare la deflazione post-29, Bernanke - giunto alla prova suprema della sua esistenza, per cui si era preparato - ha fatto cilecca.

Ormai, in USA ma anche in Europa, la deflazione è instaurata.

Già si comincia a vederne il sintomo più sinistro: rallentano gli acquisti di auto e case. Non solo perchè la gente è più povera; anche perchè c'è l'aspettativa che forse, tra sei mesi e un anno, le case e le auto te le tireranno dietro, pur di venderle.

Questo crea il circolo vizioso deflazionista: ritardi gli acquisti, in attesa di ribassi; a forza di ribassi, le ditte falliscono perchè non riescono a pagare i «loro» debiti; alla fine anche tu non puoi comprare l'auto nuova al 50% di sconto, perchè sei stato licenziato e non hai più reddito.

Anche Bernanke, come Paulson, si è rivelato un cretino storico; e non perchè manchi di cervello, ma perchè anche lui si è lasciato guidare dall'ortodossia economica-liberista, terminale (della Banca Centrale Europea non è nemmeno il caso di parlare: Trichet si è rivelato anche più torpido e confuso economista dei suoi compari americani; qui non siamo alla stupidità, ma al mongolismo clinico).

Bernanke doveva fare subito come il regime di Pechino: lanciare grandi programmi di opere publiche, aiuti agli Stati che rischiano di chiudere scuole e servizi, rinnovare infrastrutture, come minimo mettere i soldi in tasca ai consumatori. Ma poi, poteva?

Un momento: fra Cina e USA c'è una differenza sostanziale. La Cina può stanziare 600 miliardi in opere pubbliche e infrastrutture perchè ce li ha. Sono le sue riserve, guadagnate a forza di esportazioni e di lavoro (malpagato) dei suoi cinesi. E invece l'America, se vuole spendere 600 miliardi in un programma keynesiano di spesa pubblica, dove li prende?

Come al solito: a credito dalla Cina. Ossia deve spacciare ai cinesi altri Buoni del Tesoro denominati in dollari.

Fino ad oggi, la Cina ha sempre accettato questi BOT in pagamento delle sue merci, perchè così facendo dava agli americani il denaro per comprare i suoi prodotti. Così ha finanziato e rifinanziato di continuo il consumo americano. Ossia: quando i BOT venivano a scadenza, non pretendeva denaro vero (magari oro), ma si contentava di altri BOT a scadenza più lontana.

Oggi, però, non solo il consumatore americano comprerà meno merci cinesi, e a Pechino lo sanno, dunque il loro interesse per i consumi USA diminuisce; la Cina, soprattutto, oggi ha bisogno dei capitali che prima prestava, per alimentare il suo programma di opere pubbliche. Con ciò, conta di creare lavori per i cinesi che lo stanno perdendo a causa della crisi dell'export mondiale.

Ma, una volta di più, il tipo di rilancio cinese mostra un'intelligenza che manca in Occidente.

Pechino non mette in tasca 600 dollari ad ogni cittadino (come ha fattto Bush con gli americani), nè inventa «rottamazioni» per invogliare a comprare auto con lo sconto (come fanno qui i servi della Fiat). Pechino estende le reti elettriche e i treni nel suo vasto interno rimasto povero, dato che il boom ha sviluppato solo le zone costiere. In altre parole, costruisce le basi per la prossima fase di sviluppo, per un'economia ancora più forte in futuro.

E' persino simbolica la decisione di puntare sulle ferrovie: questo disprezzato residuo dell'Ottocento - disprezzato dalla finanza speculativa - la più trascurata delle infrastrutture (in Italia non meno che in USA), è stata la spina dorsale dello sviluppo europeo e americano di due secoli fa: creò ricchezza che prima non esisteva; lo farà ancora una volta. Ma non più per l'Occidente.

E l'America e l'Europa, intanto, dovranno emettere BOT su BOT, sperando che qualcuno li compri. In tempi di credito diffidente e scarso, sarà da vedere chi li compra. E poi, diciamolo, conviene comprare ancora titoli dei debiti pubblici occidentali?

Si sa che quegli Stati non li ripagheranno mai veramente, ossia con il flusso di cassa proveniente dagli introiti fiscali. Questi Paesi hanno debiti pubblici colossali (USA come Italia), si stanno impoverendo, la loro popolazione (in Europa) è vecchia, la demografia in ribasso, i giovani sono più ignoranti e quindi meno produttivi e creativi, la de-industrializzazione ha fatto perdere competenze tecniche alla nostra civiltà, sicchè il capitale investito qui rende poco; dietro quei BOT, insomma, non c'è prospettiva di un ritorno del capitale e di frutti solidi, risultato di una creazione di ricchezze reali.

Al massimo, l'Occidente li ripagherà stampando moneta, ossia la moneta deprezzata. E perchè i cinesi dovrebbero comprarli, dovrebbero rifinanziarci ad infinitum?

Non sono mica cretini, loro.


Comprendere l'attuale crisi...per sapere come si concludera'
di Pierre Laconte - forumpourlafrance - 17 Novembre 2008

Sono parecchi anni che spieghiamo, specialmente nei nostri libri, alla luce delle analisi svolte dagli economisti della Scuola austriaca (Carl Menger, Ludwig von Mises, Friedrich von Hayek, etc.) e dai loro colleghi liberali francesi (Jacques Rueff, Charles Rist, Maurice Allais, etc.), che la crisi finanziaria, borsistica, obbligazionaria e poi economica a venire era ineluttabile e che la sua causa principale sarebbe di natura monetaria.

In effetti, a provocare la cronica instabilità monetaria nazionale ed internazionale è il progressivo abbandono, nel corso del XX secolo, della base aurea e dei tassi di cambio fissi, abbandoni che hanno dato agli Stati e alle banche centrali i poteri esorbitanti di creare sempre più moneta ex nihilo. nonché di manipolare in permanenza i tassi di cambio e d’interesse. Da una parte, perché « quando la moneta cessa di essere un bene reale o di riferirsi ad un bene reale, essa diventa un buono d’acquisto poco distinguibile dal credito » (Raymond Aron) e, dall’altra parte, perché l’esperienza storica dimostra che ogni volta che uno Stato o una banca centrale ha disposto del monopolio di creare moneta, ne ha sempre abusato.

A questo proposito, il crollo finale del Sistema monetario internazionale (rinnovato con gli accordi di Bretton Woods del 1944), a causa della voluta cessazione nell’agosto 1971 della convertibilità del dollaro in oro e di tutte le altre monete nel dollaro, fino a quel momento reputato « buono quanto l’oro », ha alla infine dato agli Stati Uniti l’esorbitante privilegio monopolistico di fare della loro moneta nazionale, da quel momento di carta e puramente fiduciaria (« fiat currency »), la moneta mondiale. E dunque, da quel momento in poi, di poterla emettere a seconda dei loro bisogni in quantità sempre più considerevoli, poiché non erano più costretti a limitare la sua produzione in funzione delle loro riserve d’oro.

Tutto questo, oltre alla fine di ogni etica di responsabilità nella maggior parte delle gestioni pubbliche come dimostra il lassismo delle « politiche monetarie », ha avuto infine come conseguenze : l’estrema volatilità dei tassi di cambio, la perdita costante del potere d’acquisto di tutte le monete, gli incontrollati slittamenti inflazionistici, l’aumento senza limiti del debito pubblico e privato, il ricorso a tutti i possibili meccanismi di credito basati sul nulla, la moltiplicazione di strumenti finanziari speculativi, la generalizzazione di dubbie pratiche da parte di sempre più intermediari finanziari, etc. E, più in generale, ogni sorta di squilibri economici, commerciali, sociali e politici, all’interno degli Stati come tra di essi, che hanno dato vita a molteplici crisi successive, ognuna più distruttiva della precedente, fino all’attuale debacle, iniziata nel 2007 e della quale avevamo annunciato con molta precisione i tristi successivi sviluppi, come il crac borsistico finale. La cosa non è sorprendente, poiché « nessun sistema monetario può sussistere se i detentori della moneta non sono convinti che il potere d’acquisto di tale moneta resterà stabile per un periodo di tempo relativamente lungo » (Rist) e che « la moneta è il carburante che alimenta sempre l’inflazione… Senza ordine monetario, non ci sono che rovina e schiavitù» (Rueff).

L’attuale crisi, iniziata dapprima negli Stati Uniti con l’implosione dei crediti « subprime », sottoscritti con la benedizione dei « regolatori » da debitori privati americani poco solvibili che non sono stati più in grado di assicurarne il rimborso (degli interessi e del capitale) in seguito alla caduta dei prezzi immobiliari in quel paese, trova anch’essa la sua origine nella cartolarizzazione. Questa innovazione finanziaria, sviluppata anch’essa di concerto con i « regolatori » che hanno permesso di integrare questi « subprime » senza valore in molteplici strumenti obbligazionari anch’essi tutti tossici (eppure valutati con favore dalle agenzie di rating complici) venduti dalle banche americane ad ogni sorta di investitori e di banche nel mondo intero, ha alla fine contaminato tutto il sistema bancario americano e poi quello internazionale che ha sfiorato la distruzione. Se la « politica monetaria » americana, decisa da Alan Greenspan per mettere fine al precedente crac borsistico, non si fosse tradotta in un ribasso senza precedenti dei tassi d’interesse americani a breve termine e in un’emissione, anch’essa esagerata, di liquidità, l’attuale crisi mondiale del credito non sarebbe avvenuta in un modo così drammatico. In modo tale che la principale responsabilità del presente disastro non incombe sugli attori dei mercati, ma sui «regolatori» e sulla stessa Federal Reserve, sulle irresponsabili agenzia di rating come sui dirigenti di certe banche, la cui propensione al guadagno e la cui megalomania si sono potute esercitare senza limiti, perché erano persuasi che il denaro pubblico si sarebbe sempre mobilitato per riportarli a galla in caso di difficoltà. Calcolo che, ahimè, si è rivelato esatto, salvo che per i capi di Bear Stearns, di Lehman Brothers e di altra AIG che se ne sono comunque usciti con dei bonus o con altri considerevoli « paracadute d’oro » ! Tali pratiche non hanno niente a che vedere con il liberalismo ma, al contrario, con un «socialismo di mercato » che non ha mai creato ricchezza come ci renderemo conto tra alcuni anni quando faremo il bilancio dell’attuale ondata di nazionalizzazioni delle banche europee, del piano Paulson da 700 miliardi di dollari e di altre azioni irresponsabili come la mobilitazione di una sessantina di miliardi di franchi svizzeri per salvare l’UBS che dovrebbe essere smantellata e poi venduta senza perdite per i contribuenti !

Qui osserveremo, contrariamente a tutte le bestialità proferite negli ambienti più disparati, che il liberalismo economico non è più responsabile dell’attuale implosione monetaria e finanziaria di quanto non lo sia stato delle crisi precedenti, poiché dal 1971 sono in grandissima parte gli Stati e le banche centrali – e non più gli attori economici – a decidere della quantità di moneta emessa, nonché a stabilire i tassi di cambio e d’interesse. In effetti, in quanto si sono liberati dei meccanismi automatici costituiti dall’autentico liberalismo economico secondo i quali funzionava la base aurea, i poteri pubblici hanno potuto condurre delle « politiche monetarie », indebitandosi sempre di più, hanno potuto intervenire in tutti i modi possibili sulle economie, istituire dei monopoli a beneficio dei loro « clienti », fare le più costose guerre della storia, con i risultati disastrosi che oggi si possono constatare. Von Mises, che aveva capito dove tutto questo avrebbe portato, aveva già constatato a ragione che « le crisi economiche sono provocate dalle politiche monetarie delle banche centrali ». Dopo Hayek, tutti sanno che la maggior parte degli squilibri imputati al « mercato » non sono che i sottoprodotti degli incoerenti interventi statali per cui la salvezza non è da ricercare in un maggiore peso dello Stato, ma, al contrario, in più libertà. Essendo il liberalismo economico – che si esprime nell’economia di mercato – inseparabile dal liberalismo politico – che si esprime nella democrazia rappresentativa - tutto ciò che va contro il primo non può che limitare il secondo, in modo tale che la sistematica distruzione della moneta da parte delle « politiche monetarie » non può che portare al totalitarismo. Prima di sotterrare il liberalismo, bisognerebbe che un giorno esso fosse applicato, cosa non ancora avvenuta. In compenso, il comunismo ed il socialismo sono stati applicati e hanno fallito !

Come al solito, invece di lasciar andare in fallimento le banche e le imprese che hanno assunto dei rischi sconsiderati, i poteri pubblici hanno deciso di trattare la crisi con il massimo ribasso dei tassi d’interesse a breve termine e con la massiccia creazione ex nihilo di moneta fiduciaria di carta senza, evidentemente, giungere finora ad evitare il crac borsistico e la paralisi del credito interbancario. Questo non sorprende, dal momento che Von Mises già constatava : « bisognerà pure che si capisca che i tentativi di abbassare artificialmente, con l’estensione del credito, il tasso d’interesse che si forma liberamente sul mercato, non possono risolversi che in risultati provvisori e che la ripresa degli affari, che interviene all’inizio sarà per forza seguita da una più profonda ricaduta, la quale si tradurrà in una completa stagnazione dell’attività industriale e commerciale ». Perché « non c’è alcun mezzo per sostenere durevolmente un boom economico risultante dall’espansione del credito, l’alternativa è pervenire ben prima ad una crisi per arresto voluto della creazione di moneta oppure, ben più tardi, il crollo della moneta che sta avvenendo ». Scegliendo di far esplodere i deficit pubblici e di distruggere la credibilità dei bilanci delle banche centrali con la fornitura illimitata di liquidità alle banche e alle imprese e con l’assunzione incondizionata dei loro prodotti tossici, gli stessi poteri pubblici hanno accelerato il processo di distruzione, le une dopo le altre, delle monete fiduciarie cartacee (come attesta il recente crollo dell’euro dopo quello precedente, su un periodo più lungo, del dollaro). Questa alimenta già la prossima crisi, la quale si tradurrà nel crollo delle obbligazioni di Stato nel contesto dell’iper-inflazione che prossimamente non mancherà di svilupparsi quando le centinaia di miliardi di dollari distribuite dai poteri pubblici a tassi d’interesse vicini allo zero cesseranno di essere tesaurizzati e si metteranno a circolare nel sistema economico.

Invece di ricreare uno stabile Sistema monetario internazionale con il progressivo ritorno alla base aurea, le grandi potenze hanno recentemente cominciato a concertare per mettere in campo una pseudo riforma che non risolverà le due questioni essenziali da trattare che sono :

1 – chiudere con il dollaro come moneta base, per mettere fine all’eccessiva creazione monetaria, alla maggior parte dei meccanismi speculativi nonché agli immensi squilibri commerciali internazionali;
2 – farla finita con le banche centrali, con il Fondo Monetario Internazionale e con alter strutture costruttiviste per ripristinare delle monete stabili agganciate a beni reali, messe al riparo da ogni intervento statale e politico, nelle quali le popolazioni possano avere di nuovo fiducia per svolgere le loro transazioni e risparmiare i frutti del loro lavoro.

Per sapere come finirà…

Quanto precede permette dunque di pensare che i mercati azionari si stabilizzeranno solo da se stessi, quando il loro potenziale di ribasso a breve termine si sarà esaurito agli occhi di un numero sufficiente di attori economici che giudicheranno esser giunto il momento di comprare, perché le quotazioni delle azioni delle imprese saranno ridivenute attraenti circa la possibilità di loro profitti futuri. A nostro avviso, siamo prossimi a tale percezione in modo tale che il livello più basso dell’ottobre 2008 sui principali mercati azionari (che da un anno a questa parte hanno avuto un crollo tra il 40 e il 50%) dovrebbero tenere e si dovrebbe sviluppare un sostanziale rimbalzo fino alla fine del 2008 (obiettivo : 10.500 sul DJIA). Per poi cambiare discorso agli inizi 2009 e frantumare durante il 2009 i livelli più bassi raggiunto nel 2008, quando la crisi finanziaria si trasformerà in vera crisi economica e non si verificheranno i profitti sperati dalle imprese.

In compenso, c’è da scommettere che ad essere molto prossimi a subire un tracollo di grande portata saranno i mercati delle obbligazioni di Stato, in particolare quelli americani che sono la madre di tutte le bolle. Questo farà ripartire violentemente verso l’alto l’euro sul dollaro e abbassare sensibilmente lo yen, sempre contro il dollaro ma, soprattutto, farà rialzare l’oro ( che pensiamo dovrebbe raggiungere – secondo i diversi scenari previsti – tra i 1,400 e i 2,100 dollari l’oncia prima della fine dell’attuale decennio). A questo proposito, si constaterà che l’oro ha tenuto molto bene in un contesto di « deleveraging » e di liquidazione generale di tutti gli attivi ancora in guadagno da parte degli operatori che avevano bisogno di ricostituire più cassa possibile per pagare un po’ dappertutto le loro perdite. Senza contare che certi analisti non esitano a prevedere una mancanza di pagamento degli Stati Uniti nel 2009 che frantumerebbe in modo duraturo il dollaro e le obbligazioni, in particolare quelle di Stato emesse in tale moneta; alla fine, l’oro ridiventa l’attivo da cui nessuno si vorrebbe separare ! Inoltre si noterà che la questione dei CDS (Credit Default Swaps), il cui considerevole ammontare in circolazione è stimato in circa 55.000 miliardi di dollari, che permettono di assicurarsi contro i rischi di mancato pagamento di chi emette obbligazioni, non è in alcun modo regolata e che ogni rialzo dei tassi d’interesse a lungo termine collegato con un crac delle obbligazioni di Stato avrebbe l’effetto di far implodere numerosi CDS, ma anche i rialzisti del credito che già sono sull’orlo del fallimento.

Nel 2007 Patrick Artus constatava che « da quindici anni c’è una crisi finanziaria ogni quattro anni perché le banche centrali escono da ogni crisi con una politica monetaria eccessivamente espansionistica che, a sua volta, produce una nuova bolla ». In ragione dell’attuale stato d’indebolimento economico generale dei paesi occidentali e della diminuzione della loro crescita, prevista per il 2009, la prossima bolla, di ampiezza considerevole se si considerano le piramidi di cassa iniettate dai pubblici poteri americani ed europei, probabilmente non colpirà né le azioni né ancor meno le obbligazioni, ma ha tutte le possibilità di portarsi sull’oro e sulle materie prime. Le quali si sono aggiustate fortemente, ma il cui ciclo di rialzo non è terminato in considerazione della domanda dei paesi emergenti che continua a crescere, nonché delle future penurie, le quali romperanno il precario equilibrio domanda/offerta di numerosi di loro. Il rischio mondiale a venire non sta in un’immaginaria deflazione, bensì in una reale iper-inflazione distruttrice per le monete esistenti! Se le principali potenze economiche e politiche non arriveranno ad intendersi sul ritorno ad un nuovo ordine monetario internazionale in cui la moneta sia depoliticizzata, è molto probabile che il prossimo decennio si aprirà sulla pura e semplice scomparsa della maggior parte delle monete fiduciarie cartacee in seguito al rifiuto delle popolazioni di continuare ad utilizzarle. Il che costituirebbe un grande progresso ma potrebbe temporaneamente funzionare male, se questo radicale cambiamento non fosse condotto in modo concertato.