giovedì 20 novembre 2008

Crisi finanziaria globale: valanga in arrivo


Ieri Wall Street ha chiuso pesantemente in negativo toccando i minimi storici da 5 anni e oggi le Borse asiatiche ed europee hanno seguito lo stesso trend negativo.

Sempre oggi il segretario della CGIL Epifani ha dichiarato che “dalla ricognizione che la Cgil sta facendo in queste ore esce un quadro sulla crisi molto più pesante: sta arrivando una valanga. La crisi sta colpendo le nostre strutture. Regioni come l'Emilia Romagna che non avevano avuto problemi, ne hanno di seri" e chiede al governo “un intervento molto forte. Prima di tutto favorire l'accesso al credito con la cessione della liquidità da parte delle banche che la trattengono, raggiungendo quindi un accordo serio con le banche restituendo fiducia al sistema bancario. La seconda cosa da fare è quella di sostenere la domanda''.


Ma Palazzo Chigi prima o poi si svegliera’ dal letargo, o no?

L’effetto placebo prodotto dall’inutile e stucchevole ottimismo sbandierato finora da Berlusconi sta per terminare e la valanga in arrivo non e’ ne’ azzurra ne’ tantomeno rosa.



Il peggio non e' passato

di Nouriel Roubini - Forbes - 14 Novembre 2008

Traduzione di JJULES per www.comedonchisciotte.org


Diffidate di quelli che dicono che abbiamo toccato il fondo.


E’ utile, in questo frangente, fare un passo indietro ed osservare attentamente il panorama economico – sia per come è ora e per come lo è stato nei mesi scorsi. Ecco dunque un riassunto dei numerosi punti che ho espresso negli ultimi mesi sulle prospettive per l’economia americana e globale, come pure per i mercati finanziari:


- Gli Stati Uniti subiranno la loro più grave recessione dalla Seconda Guerra Mondiale, molto peggiore, molto più duratura e profonda addirittura delle recessioni del 1974-75 e del 1980-82. La recessione continuerà almeno fino alla fine del 2009 con una diminuzione complessiva del prodotto interno lordo di oltre il 4%. Il tasso di disoccupazione raggiungerà probabilmente il 9%. Il consumatore americano è stremato, senza più risparmi e pieno di debiti: questa, per i consumatori, sarà la peggiore recessione degli ultimi decenni.


- La prospettiva di una recessione breve e superficiale della durata di sei-otto mesi a forma di V è stata scartata; ora vi è la certezza di una recessione della durata dai 18 ai 24 mesi a forma di U e la probabilità di una recessione peggiore, pluriennale, a forma di L (come quella del Giappone negli anni ’90) è ancora flebile ma affiorante. Anche se l’economia dovesse uscire dalla recessione entro la fine del 2009, il recupero potrebbe essere piuttosto fiacco, a causa dell’indebolimento del sistema finanziario e del meccanismo del credito che potrebbe sembrare una recessione anche se l’economia tecnicamente ne sarebbe fuori.


- Obama erediterà uno scompiglio economico e finanziario peggiore di qualunque cosa gli Stati Uniti abbiano fronteggiato negli ultimi decenni : la più grave recessione degli ultimi 50 anni; la peggiore crisi finanziaria e bancaria dalla Grande Depressione; un disavanzo fiscale in aumento che potrebbe raggiungere i 1.000 miliardi di dollari nel 2009 e nel 2010; un enorme disavanzo nella bilancia commerciale; un sistema finanziario che si trova in una grave crisi e in cui sta ancora avvenendo, molto rapidamente, una diminuzione della leva, causando perciò un peggioramento della crisi del credito; un settore immobiliare in cui milioni di famiglie sono insolventi, convogliate in territorio di equity negativo e sul punto di perdere la propria casa; un serio rischio di deflazione mentre diventa più profondo il ristagno nelle merci, nella manodopera e nel mercato delle commodity; il rischio di finire in una trappola di liquidità deflazionaria mentre la Fed si sta rapidamente avvicinando al vincolo del “limite zero” per il tasso dei propri fondi; il rischio di una grave deflazione del debito perché il valore reale delle passività nominali aumenterà, data la deflazione sui prezzi, mentre il valore dei beni finanziari sta ancora scendendo.


- L’economia mondiale subirà una grave recessione : la produzione si ridurrà drasticamente nell’Eurozona, nel Regno Unito e nel resto d’Europa, come pure in Canada, Giappone, Australia e Nuova Zelanda. C’è anche il rischio di un brusco ritorno alla realtà delle economie dei mercati emergenti. La crescita globale prevista – ai prezzi di mercato – sarà vicina allo zero nel terzo trimestre e negativa nel quarto trimestre. Lasciando da parte gli effetti dello stimolo fiscale, la Cina potrebbe dover fronteggiare un brusco risveglio con un tasso di crescita del 6% nel 2009. La recessione globale continuerà per quasi tutto il 2009.


- Le economie progredite affronteranno una stag-deflazione (stagnazione/recessione e deflazione) piuttosto che una stagflazione, perché il ristagno nelle merci, nella manodopera e nei mercati delle commodity porterà i tassi di inflazione delle economie progredite a scendere sotto l’1% entro il 2009.


- Attendiamoci il raggiungimento del vincolo del “limite zero” dei tassi di alcune economie progredite (sicuramente gli Stati Uniti e il Giappone, forse altre) entro i primi mesi del 2009. Con una deflazione all’orizzonte, il limite a zero sui tassi di interesse implica il rischio di una trappola di liquidità in cui il denaro e le obbligazioni diventano perfettamente sostituibili, in cui i tassi di interesse reale diventano elevati e tendenti al rialzo, perciò spingendo ulteriormente al ribasso la domanda aggregata, e in cui i rendimenti dei fondi del mercati monetari non riescono neppure a coprire i loro costi di gestione.


La deflazione implica anche una deflazione del debito in cui il valore reale dei debiti nominali aumenta, aumentando perciò il peso reale di tali debiti. Le agevolazioni di politica monetaria diventeranno più aggressive nelle altre economie progredite anche se la Banca Centrale Europea ha tagliato troppo poco e troppo tardi. Ma le agevolazioni di politica monetaria saranno scarsamente efficaci data la quantità eccessiva di offerta aggregata globale relativa alla domada – e data una gravissima crisi del credito.


- Per il 2009, le stime dei guadagni dell’opinione generale sono illusorie: le attuali stime valutano che i guadagni S&P 500 per azione (EPS) saranno di 90 dollari nel 2009, in aumento del 15% rispetto al 2008. Sono cifre del tutto ridicole. Se i guadagni per azione – com’è molto probabile – scenderanno ad un livello di 60 dollari, quindi con un rapporto tra Prezzo e Guadagno di 12, l’indice S&P 500 potrebbe scendere a 720 (cioè all’incirca il 20% sotto i livelli attuali).

Se il rapporto Prezzo-Guadagno scendesse a 10 – com’è possibile nel caso di gravi recessioni – l’S&P potrebbe scendere a 600, cioè il 35% sotto i livelli attuali.


E in una recessione gravissima, non possiamo escludere che gli EPS possano scendere a 50 dollari nel 2009, trascinando l’indice S&P 500 a quota 500. Quindi, anche se basati sui fondamentali e sulle valutazioni, ci sono importanti rischi di ribasso nelle equity americane (dal 20% al 40%).

Lo stesso discorso vale per gli equity globali: una grave recessione globale implica ulteriori rischi di ribasso negli equity globali nell’ordine del 20-30%. Perciò, la recente ripresa negli equity americani e globali è stata solamente una ripresa di un mercato in declino che è già finita – sepolta da una montagna di notizie macroeconomiche e finanziarie peggiori del previsto.


- Le perdite creditizie saranno ben superiori ai 1.000 miliardi di dollari, e vicine ai 2.000 miliardi, perché tali perdite si diffonderanno dai subprime verso i mutui ipotecari più “sani”; i prestiti sul valore reale dell’abitazione1 (e i relativi prodotti cartolarizzati); il mercato immobiliare commerciale; le carte di credito; i prestiti per le auto e per gli studenti; le estensioni di prestiti su altri prestiti esistenti; i leveraged buyouts; le obbligazioni comunali; le obbligazioni societarie; i prestiti industriali e commerciali e i credit default swap. Queste perdite creditizie porteranno ad una grave crisi del credito, data l’assenza di una rapida e aggressiva ricapitalizzazione degli istituti finanziari.


- Quasi tutti i 700 miliardi di dollari del programma TARP saranno utilizzati per ricapitalizzare gli istituti finanziari americani (banche, intermediari, compagnie di assicurazione, società finanziarie) perché l’aumento delle perdite creditizie (vicine ai 2.000 miliardi di dollari) sottintenderà che i 250 miliardi di dollari stanziati all’inizio per ricapitalizzare questi istituti non saranno sufficienti. Sarà necessario quanto prima un TARP-2, perché le esigenze di ricapitalizzazione gli istituti finanziari americani supereranno largamente i 1.000 miliardi di dollari.


- Gli spread attuali sulle obbligazioni rischiose si potrebbero allargare ulteriormente mentre uno tsunami di inadempienze colpirà il settore corporate; gli spread sulle obbligazioni sicure si sono allargati eccessivamente in relazione ai fondamentali finanziari, ma un ulteriore allargamento degli spread è possibile, guidato dalle dinamiche di mercato, diminuendo la leva e dal fatto che numerose società valutate con tripla A (diciamo, GE) non sono in realtà AAA, e dovrebbero essere declassate dalle agenzie di rating.


- Attendiamoci un disavanzo fiscale americano di quasi 1.000 miliardi di dollari nel 2009 e nel 2010. La prospettiva per il disavanzo della bilancia commerciale americana è incerta: la recessione, un aumento dei risparmi privati e una diminuzione degli investimenti, e un’ulteriore discesa dei prezzi delle commodity tenderanno a ridurla, ma un dollaro più forte, la debolezza della domanda globale e un disavanzo fiscale americano più elevato tenderanno ad aggravarla. Sulla rete, osserveremo ancora dei forti disavanzi fiscali e commerciali negli Stati Uniti – e una minore disponibilità e possibilità del resto del mondo a finanziarli a meno di un rialzo del tasso di interesse su tali debiti.


- In questo ambiente economico e finanziario, è prudente rimanere lontani dai beni più rischio per i prossimi 12 mesi: ci sono rischi di ribasso per gli equity americani e globali; gli spread sul credito – soprattutto quello più rischioso – potrebbero aumentare ulteriormente; i prezzi delle commodity scenderanno di un altro 20% rispetto ai livelli attuali; anche l’oro scenderà mentre prenderà piede la deflazione; il dollaro americano potrebbe indebolirsi ulteriormente nei prossimi 6-12 mesi mentre gli elementi dietro la recente ripresa svaniranno mentre i fondamentali a medio-termine tendenti al ribasso per il dollaro faranno di nuovo capolino; i rendimenti delle obbligazioni governative negli Stati Uniti e nelle economie progredite potrebbero diminuire ulteriormente mentre emergeranno recessione e deflazione ma, con il passare del tempo, l’impennata del disavanzo fiscale negli Stati Uniti e nel mondo ridurranno l’offerta di risparmio globale e porteranno tassi di interesse più elevati a lungo termine a meno che la diminuzione degli investimenti reale globali superi la diminuzione del risparmio globale.


Aspettiamoci ulteriori rischi di ribasso nei beni dei mercati emergenti (in particolare, equity and debiti valutari locali e stranieri), soprattutto nelle economie con vulnerabilità macroeconomiche, politiche e finanziarie. Il denaro contante e gli strumenti simili al denaro contante (obbligazioni governative datate a breve termine e obbligazioni indicizzate all’inflazione che farebbero entrambe bene in periodi di inflazione e deflazione) domineranno la maggior parte dei beni a rischio.


Quindi rimangono dei rischi seri e delle vulnerabilità e i rischi di ribasso per i mercati finanziari (peggiori di quanto si aspettassero le notizie macroeconomiche e le notizie sui guadagni e gli sviluppi nelle parti importanti del sistema finanziario globale) sovrasteranno, nei prossimi mesi, le notizie positive (i provvedimenti del G7 per evitare un crollo sistemico, e altre misure che, a tempo debito, potrebbero ridurre gli spread interbancari e creditizi).


Ma diffidate, comunque, di quelli che vi dicono che abbiamo raggiunto il fondo per i beni finanziari a rischio. Gli stessi ottimisti vi avevano detto che avevamo toccato il fondo e che il peggio era passato dopo il salvataggio dei creditori di Bear Stearns a marzo; dopo l’annuncio del possibile salvataggio di Fannie e Freddie a luglio; dopo il vero salvatagggio di Fannie e Freddie a settembre; dopo il salvataggio di AIG a metà settembre; dopo la presentazione della legge TARP; e dopo gli ultimi provedimenti del G7 e dell’Unione Europea.


In ciascun caso, gli ottimisti hanno sostenuto che l’ultima crisi e la risposta del salvataggio è stato l’evento catartico che ha indicato la fine della crisi e il recupero dei mercati. Si sono sbagliati per almeno sei volte di fila mentre la crisi – come io avevo già coerentemente previsto nell’ultimo anno – si aggravava sempre di più. Quindi, buona parte di questo eccessivo ottimismo si è dimostrato sbagliato almeno sei volte solamente negli ultimi otto mesi.


E’ necessario un esame della realtà per valutare i rischi – e per intraprendere i provvedimenti adeguati. E la realtà ci dice che abbiamo evitato a malapena – solamente una settimana fa – un crollo finanziario totale e sistemico; che i provvedimenti sono ora finalmente più aggressivi e sistematici, e più adeguati; che occorrerà un certo periodo di tempo affinché il credito interbancario si riprenda; che sono necessari ulteriori provvedimenti per evitare il crollo e una recessione ancor più grave; che le banche centrali, invece di essere prestatrici di ultima istanza, saranno per ora, prestatrici di prima e unica istanza; che anche se evitiamo il crollo, subiremo una grave recessione negli Stati Uniti, nelle economie progredite e, molto probabilmente, in tutto il mondo , la peggiore degli ultimi decenni; che ci troviamo nel mezzo di una grave crisi finanziaria e bancaria, la peggiore dalla Grande Depressione; e il flusso di notizie macroeconomiche e finanziarie non sorprenderà di ridimensionare il tutto (come è stato durante le scorse settimane) con ulteriori rischi per i mercati finanziari.


Per ora mi fermerò qui.



1. Negli Stati Uniti, un prestito sul valore reale dell’abitazione [Home Equity Loan] è un tipo di prestito nel quale chi chiede denaro impegna il “valore reale” [equity] della propria abitazione come collaterale. Questo valore reale si ottiene prendendo il valore di mercato dell’abitazione e sottraendone il mutuo e i debiti in sospeso [NdT]


Nouriel Roubini e' docente presso la Stern Business School alla New York University e presidente della Roubini Global Economics.




Qual sol per l'avvenire?

di Marco della Luna - 18 Novembre 2008


La presente crisi economica è un’operazione di riforma degli assetti globali e si articola in tre fasi, funzionalmente ben distinte.


La prima fase è consistita in un massiccio trasferimento-accaparramento del potere d’acquisto da parte di soggetti soprattutto finanziari che hanno speculato sul petrolio, sulle leve finanziarie, sui rialzi dei tassi, sul liquidity crunch da prodotto, e a danno di consumatori di petrolio, risparmiatori, fruitori del credito – ossia imprese, enti pubblici, soggetti privati; tutte queste categorie si trovano impoverite, incapaci di mantenere i consumi, di far fronte ai pagamenti, di conservare i mercati.


La seconda fase consiste nel rastrellamento degli assets: i soggetti che si sono arricchiti con la prima fase comperano sottocosto dai soggetti che essi, sempre con la prima fase, hanno impoverito: comperano quote del debito nazionale degli USA, di grandi società, di aziende strategiche, di risorse primarie (acqua, terreni agricoli).


La terza fase vedrà i potentati che hanno condotto le due prime fasi imporre una loro adeguata rappresentanza, o la loro leadership, negli organismi di potere globale – WTO, IMF, WB, BIS, etc. Il mondo ne uscirà assai diverso. Assai meno bianco. La Cina (che ha riserve valutarie immani) e i paesi arabi petroliferi, direttamente o con i loro fondi sovrani, saranno i principali vincitori di questa partita, ponendo fine all’egemonia occidentale – se la partita si concluderà così. Ma pare che la contromossa sia già ben avviata.


Gli USA sino a qualche settimana fa erano all’angolo – perdenti su tutta la linea: debito interno fuori controllo, debito estero fuori controllo, imprese militari in stallo, credibilità internazionale a picco, consenso alle istituzioni ai minimi storici. Attraverso le smagliature di una politica sempre meno condivisibile iniziava ad apparire l’establishment che quella politica aveva voluto, i gruppi di potere finanziario-militare organizzati di cui Cheney e i Bush sono i rappresentanti: la corporate society, la società governata dalle grandi corporations.


Con l’elezione di Obama, fermi restando il debito interno, il debito estero, lo stallo militare, e soprattutto fermo restando quell’establishment, la credibilità interna e internazionale del potere USA è stata rapidissimamente ripristinata, anzi esaltata con valenze messianiche, con aspettative di profonda innovazione morale – nonostante che Obama stesso non abbia affatto presentato un programma concreto in tal senso, ma solo fatto aperture in senso liberale in fatto di diritti civili (aborto, staminali, etc.). Il vero sistema di potere, le grandi corporations, sono usciti dal campo dell’attenzione, oppure appaiono come validamente controbilanciati dal presidente della speranza.


Se Obama avesse voluto veramente cambiare la realtà insoddisfacente, i meccanismi di fondo delle crescenti diseguaglianze, povertà, instabilità, avrebbe un apparato di sostegno e finanziamento opposto a quello repubblicano e avrebbe presentato un programma di riforma e regolamentazione della finanza e del settore monetario...


La circostanza che egli non lo abbia fatto, nemmeno in un periodo così drammatico (si è limitato a promettere una redistribuzione del reddito), la dice lunga. Obama ha adottato lo slogan “Change we can”, ma senza specificare che cosa si possa cambiare. Un promessa buona per tutti, proprio perché indeterminata.


Bush è l’archetipo del wasp arrogante, aggressivo, guerrafondaio, reazionario, fascistoide – e come tale si era bruciato, anzi era la giustificazione vivente di ogni critica, biasimo, aggressione, scetticismo verso gli USA. Il mite mulatto Obama è l’opposto: è l’icona dell’equiparazione razziale, la prova della democraticità del sistema, la dimostrazione della bontà morale profonda del popolo statunitense – della sua (solita) missione nel mondo. Nessuno può attaccarlo senza esporsi a un coro di riprovazione morale. La sua immagine è un capolavoro di ingegneria comunicativa.


La mossa Obama è stato un geniale colpo di scena da parte della politica statunitense, ma il risultato è molto pericoloso, perché combina in questa figura presidenziale grandi e irrazionali aspettative di moralità, di cambiamento, di azione, da una parte, con una situazione – dall’altra parte – di blocco imposto da un debito nazionale al 300% del pil e da un debito estero galoppante – una situazione che costringe la presidenza USA ad agire a tutti i costi per non tradire le aspettative e screditarsi definitivamente, ma che insieme non le lascia risorse per iniziative importanti. Amenoché si tratti di due opzioni molto speciali: la guerra e il ripudio del debito estero.


L’aura etica e messianica di cui è munito, consente a Obama di lanciarsi in entrambe queste avventure col consenso del suo popolo e con credibilità morale. Se lo farà, la manovra in tre fasi di cui si diceva sopra potrebbe fallire, e gli USA vincerebbero la III Guerra Mondiale con pochissime perdite, recuperando e confermando la loro egemonia mondiale.


Quali scenari si possono avverare?


Innanzitutto, ci si può aspettare (in tempi strettissimi, perché la crisi incalza a colpi di grandi fallimenti, come quello della GM e di tutto il settore automobilistico, oltreché bancario) la fabbricazione di un casus belli (come un raid israeliano seguito da un attacco terroristico negli USA più o meno autentico) per poter attaccare e conquistare l’Iran e i suoi giacimenti petroliferi per unirli ai campi petroliferi irakeni e a quelli di oppio afghani, ambedue già conquistati.


L’establishment USA dominerebbe così la gran parte del petrolio e della droga nel mondo. Già si vocifera di imminenti attentati in grande stile negli USA e Biden si è lasciato sfuggire che una tremenda prova attende Obama nei primi due mesi di presidenza, e che gli Americani dovranno avere fiducia in lui e nelle azioni che intraprenderà. In secondo luogo, ci si può aspettare la sostituzione dell’attuale moneta con una nuova moneta, ossia con un Dollaro emesso dal Tesoro anziché dalla Fed (ne ho già avuto in mano una banconota) oppure col famoso Amero.


Il vecchio Dollaro si potrebbe cambiare nella nuova moneta, ma a un tasso riduttivo, e si svaluterebbe di almeno il 50%, ma probabilmente dell’80%. Il problema del debito pubblico e del debito estero USA sarebbe risolto a spese di tutti i detentori di dollari o di crediti in dollari, compresi i bonds pubblici e privati, che resterebbero bidonati e perderebbero non solo in termini di valore patrimoniale, ma anche in termini di potere di condizionamento geopolitico.


La figura di Obama, bella, pulita, sana, credibile, giovane, amichevole, inoffensiva, sembra scelta o costruita apposta per queste due specifiche missioni. E Berlusconi lo sa bene. La sua battuta sull’abbronzatura di Obama in relazione alla futura visita di questi a Mosca, non era una gaffe. Era probabilmente un modo di evidenziare il carattere costruito, artefatto, di quella figura e di alludere al progetto strategico dei suoi costruttori, ossia ai presagi di guerra che essa contiene.


L’Italia, rispetto a molti altri paesi, è meno finanziarizzata, ha banche meno esposte, e anche una popolazione meno indebitata – e questo è un bene. Però il rating del suo enorme debito pubblico è crollato da AA+ ad A, e il tasso di interesse che essa (quindi il contribuente) deve pagare per finanziarsi vendendo i propri titoli del debito pubblico viaggia a 1,2 punti sopra quello che paga la Germania. A fine inverno dovrà rinnovare titoli per 193 miliardi, e sarà una mazzata per i conti pubblici, dato l’alto tasso passivo.


Inoltre in quel periodo gli enti pubblici dovranno dichiarare, in base alla nuove norme, i valori di mercato aggiornati dei contratti derivati che hanno stipulato negli anni passati – e ciò si tradurrà in un bel buco per il bilancio consolidato dello Stato, quindi in problemi di rispetto del patto di stabilità. In parallelo, la recessione, che già ora è profonda, comporterà un forte calo delle entrate tributarie. Si calcola che, per restare entro i parametri dell’Euro, occorreranno altri 40 miliardi.


Dove reperirà il governo Berlusconi i soldi necessari per colmare i buchi di bilancio? Nelle tasche degli italiani, con il torchio fiscale, finendo di ammazzare l’economia e tradendo in pieno le promesse elettorali? Oppure tagliando gli sprechi e le mangiatoie nel Sud, al prezzo di perdere i suoi indispensabili collegi elettorali (in buona parte controllati dalla criminalità organizzata)?


Oppure ancora vendendo La Maddalena alla Russia, con la giustificazione che bisogna controbilanciare i missili in Polonia e l’ampliamento della base USA di Vicenza? Oppure infine negozierà con la BCE di uscire dall’Euro, di fare un Euro Sud, che immediatamente si svaluterebbe di circa il 30% rispetto all’Euro attuale, decurtando così con una tassazione monetaria il valore dei risparmi degli Italiani? Noi abbiamo indicato (v. Euroschiavi – Arianna, III ed. 2007; La Moneta Copernicana – Nexus, 2008) una via di uscita alternativa e non distruttiva: l’emersione e la tassazione degli utili occulti delle banche, la riforma monetaria e il recupero al popolo e allo Stato della sovranità nella creazione della valuta legale, in attuazione dell’art. 1 della Costituzione.


Ma intanto i costosissimi parlamentari italiani (1,3 milioni all’anno cadauno), inconsapevoli e irresponsabili rispetto a questi drammatici problemi, perdono tempo in manovre intorno alle poltrone e in stupidaggini come la guerra per e contro Leoluca Orlando alla presidenza della commissione di vigilanza sulla Rai. Berlusconi si dimostra quindi, ancora una volta, realista nel procedere marginalizzando un parlamento ormai oggettivamente ridotto all’inutilità, ribollente di imbecilli e nominati della partitocrazia, privato di democrazia e rappresentanza, inerte rispetto alle sorti del Paese.


Il premier non può non sapere che qualora, nella perigliosa traversata della recessione, la sua politica fallisca, o egli stesso esca di scena per qualsivoglia ragione, allora buona parte dei consensi settentrionali di Forza Italia rifluirebbe al suo partito naturale: la Lega Nord. E a quel punto, nel marasma economico generale, il Nord si troverebbe a giocare l’estrema partita per liberarsi e salvarsi dall’abbraccio divorante e mortale del Sud e di Roma già sprofondanti nel Terzo Mondo – un abbraccio alla cui guida si candida, forse, l’inedito asse tra due statisti-statalisti ben credibili per questo ruolo: Fini e D’Alema.



L’altro salvataggio finanziario

di George Monbiot - Globalízate.org – 7 Ottobre 2008

Traduzione a cura di RICCARDO (http://www.alol.it/)


Un altro gruppo di imprese sta premendo per ricevere denaro pubblico. I governi devono lasciarle morire

Mentre tutti gli occhi sono puntati sul salvataggio delle banche, una grande quantità di denaro è stata trasferita nelle tasche di un’altra causa che non se lo merita. La scorsa settimana, Gorge Bush ha accordato il prestito di 25 miliardi di dollari al settore automobilistico. E’ un prestito a basso interesse, che costerà al governo 7.500 milioni di dollari (1). Poca gente si n’è accorta e meno ancora lo ha combattuto. La Camera dei Rappresentanti ha approvato la misura con 370 voti a favore e 58 contrari. Il gran salvataggio si sta estendendo come una piaga.

Ha già attraversato l’Atlantico. Ieri le imprese europee hanno domandato che l’Unione Europea accordasse loro 40 miliardi di Euro in prestiti agevolati per eguagliare i sussidi degli stati Uniti (2). Dove andrà a finire questa spesa pubblica?

Le imprese automobilistiche di entrambe le parti dicono che necessitano dei prestiti per aiutarle ad essere più ecologiche. Dicono che investiranno questo denaro in una nuova generazione di tecnologie pulite, che permetterà loro di adempiere agli standard di efficienza che stanno fissando i governi. C’è maggior piacere in paradiso quando un peccatore si pente… però, non è strano tanto entusiasmo verde adesso che profuma di denaro pubblico fresco? Durante gli ultimi 10 anni i fabbricanti di automobili hanno sbattuto ogni iniziativa verde contro un muro.

Nel 1998, i costruttori europei di automobili dicevano che potevano ridurre volontariamente i gas ad effetto serra. Alla fine del 2008, dicono che ridurranno le emissioni prodotte dalle loro automobili mediamente da 190 grammi di CO2 per chilometro a 140. Che cosa hanno fatto? Alla fine dell’anno scorso la media era di 158 gr/km in Europa (3) e 165 gr/km nel regno Unito (4): non centreranno l’obiettivo di un 40%.

Solo 10 anni dopo, che quelle promesse valgono meno di un’azione di Lehman Brothers, nel 2006 la Commissione Europea ha annunciato che avrebbe fissato un limite: nel 2012 tutte le imprese dovranno ridurre le proprie emissioni medie di CO2 a 120 gr/km. Sembrava un progresso, sino a che non si ricorda che 120 gr/km era l’obiettivo proposto dall’Unione europea nel 1994 da raggiungere nel 2005 (5). Venne ritardato ripetutamente dalle lobby del settore.

L’anno scorso l’obiettivo del 2012 cadde di fronte alle stesse misure. Angela Merkel, parlando a nome di imprese quali Daimler-Chrysler e BMW, domandò che l’Unione europea ponesse freno a tale misura (6,7). (Ironicamente fu proprio Angela Merkel, quale giovane idealista ministro dell’ambiente tedesco, a proporre per prima l’obiettivo di 120 gr/km per il 2005 (8)). La Commissione concordò nel rivedere il valore di 130 gr., e coprire la differenza con un incremento dell’uso di biocombustibili. Da allora in poi abbiamo osservato gravi indizi che la maggior parte dei biocombustibili, così come estendono la fame, producono più gas ad effetto serra che il petrolio (9, 10, 11), però la politica continua senza cambiare.

Adesso ci dicono che non si può osservare nemmeno l’obiettivo di 130 gr/km. Un mese fa hanno convinto la Commissione Industria del Parlamento Europeo che si facesse carico del loro caso: proponevano di ritardare l’obiettivo sino al 2015, ridurre le multe per inadempimento e permettere ai costruttori di arrestare le innovazioni ecologiche contro l’obiettivo anche se queste non riducono le emissioni (12). In definitiva, proporre di garantire in forma ufficiale un lavaggio verde. Fortunatamente questa truffa è stata rifiutata due settimane fa dal Comitato parlamentare per l’Ambiente (13).

Negli Stati Uniti, le aziende non hanno ancora raggiunto gli standard (media di 27,5 miglia per gallone) che si pensava avessero già raggiunto, sotto l’Energy Policy Conservation Act, nl 1985 (14).
L’automobile venduta oggi mediamente negli Stati Uniti è meno efficiente del modello T Ford del 1908 (15, 16).

Ciò che rende la questione tanto frustrante è che parlare nel 2008 di obiettivi di 130 o 120 gr/km è un po’ come discutere se gli attuali computer devono avere 10 file di palline o 100.
Nel 1974 una Opel T-1 faceva 377 miglia con un gallone (160 km/l) (17), il che equivale a 15 gr. Di CO2 per chilometro (18). Non esiste alcuna ragione tecnica perché il limite massimo per tutte le automobili sia di 50 gr/km.

Non c’è neppure alcuna ragione commerciale. Un’inchiesta del Newspaper Marketing Agency dimostra che l’80% degli acquirenti di automobili dicono che l’economia è più importante delle prestazioni (19). Il fiasco tecnologico dei fabbricanti di automobili deriva nella sua totalità dalle lobby delle compagnie che adesso reclamano soldi pubblici per convertirsi in ecologiche. Vogliono spremere sino all’ultima goccia la tecnologia esistente prima di cambiare verso modelli migliori.

Il sabotaggio della tecnologia ecologica che hanno realizzato è stato costante. Il film La película Who killed the electric car? (Chi ha ucciso la macchina elettrica?) mostra i fabbricanti, lavorando con le imprese petrolifere e ufficiali corrotti, affondando il tentativo della California di cambiare le tecnologie dei veicoli (20). Prima affossarono le batterie, persuasero il governo federale per investire nei veicoli ad idrogeno, essendo coscienti che gli ostacoli tecnologici sono tanto grandi che un modello economico prodotto in massa era impraticabile. Le auto elettriche, al contrario, sono pronte per il mercato di massa già da quasi un secolo. I 1.200 milioni di dollari che il governo degli Stati Uniti sta spendendo in ricerca e sviluppo delle automobili alimentate ad idrogeno (21) – o i 2.000 milioni di Euro dell’Unione Europea per lo stesso motivo (22, 23) sono un sussidio per evitare il cambiamento tecnologico.

Adesso, dopo tanta dilatazione, i fabbricanti di autovetture hanno la faccia tosta di chiedere denaro pubblico per raggiungere le politiche che hanno ritardato 50 anni e milioni di dollari in sabotaggi. Naturalmente, i “prestiti verdi” che stanno chiedendo non sono niente del genere. Aiutarle affinché raggiungano una maggior efficienza è semplicemente una scusa per salvare un’altra industria dal fallimento. Come risultato della crisi creditizia e l’alto prezzo dei combustibili, le immatricolazioni nel Regno Unito sono diminuite del 21% nel mese scorso (24). Negli Stati Uniti le vendite dei maggiori fabbricanti sono calate quest’anno tra il 20 e il 35% (25).

Non c’è bisogno di spendere un centesimo di denaro pubblico affinché l’industria sia più efficiente. Come dimostra una recente informativa del Comitato auditor ambientale del Parlamento, si può raggiungere lo stesso risultato creando una maggior differenza tra le fasce di imposta sugli automezzi: propone che la gente che compra le automobili meno efficienti paghi 2.000 sterline in più di quelli che comprano quelli più efficienti (26). Ciò provocherebbe la fine del mercato di automobili meno efficienti e obbligherebbe l’industria a mettere in pratica i cambiamenti a cui da tanto tempo sta resistendo.

Però il governo porta con sé tutte le critiche che una buona politica fiscale avrebbe generato ben pochi benefici. La sua controversa manovra fiscale risparmierà semplicemente 0,16 milioni di tonnellate di CO2 all’anno (27): una goccia nell’oceano moribondo. A praticamente lo stesso costo politico si sarebbero ridotte considerevolmente le emissioni e generato gran parte del denaro per rivoluzionare il sistema di trasporto pubblico. Si è prodotto di nuovo un pattinaggio storico: tra il 1920 e il 1948 le automobili pagavano imposte in ragione di 1 sterlina per cavallo vapore (28): in termini reali (e in alcuni casi in termini nominali (29)), abbastanza di più di quanto pagano oggi.

Ma i sussidi sono ciò che i governi pagano quando non esiste una regolazione. Se non c’è l’audacia di obbligare le imprese a fare qualcosa, allora bisogna corromperle. E’ una buona scommessa dire che i produttori europei continueranno a non perseguire gli obiettivi sulle emissioni, anche se si dia loro il denaro che richiedono. Il più ecologico che possono fare i governi è permettere che questi striscianti divoratori del pianeta affondino nella miseria.


Riferimenti:

1. Bernard Simon, 25th September 2008. House clears $25bn for carmakers. Financial Times.
2. ACEA (the European Automobile Manufacturers Association), 6th October 2008. European auto industry calls o n EU to help sustain changeover to low-emission car fleet.http://www.acea.be/index.php/news/news_detail/european_auto_industry_calls_on_eu_to_help_sustain_changeover_to_low_emissi
3. European Federation for Transport and Environment, August 2008. Reducing CO2 Emissions from New Cars: A Study of Major Car Manufacturers’ Progress in 2007.
4. Low Carbon Vehicle Partnership, 18th March 2008. Average UK new car CO2 emissions fell 1.4% in 2007. http://www.lowcvp.org.uk/news/866/bulletin/
5. European Federation for Transport and Environment, 26th August 2008. BMW leaps ahead o n new car CO2 emissions, others still stalling. http://www.transportenvironment.org/News/2008/8/BMW-leaps-ahead-on-new-car-CO2-emissions-others-still-stalling/
6. George Parker and Andrew Bounds, 31st January 2007. Brussels climbdown on car emissions. Financial Times.
7. European Commission, 7th February 2007. Commission plans legislative framework to ensure the EU meets its target for cutting CO2 emissions from cars. Press release.http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/07/155&format=HTML&aged=0&language=EN&guiLanguage=en
8. European Federation for Transport and Environment, 26th August 2008, ibid.
9. Joseph Fargione, Jason Hill, David Tilman, Stephen Polasky, Peter Hawthorne, 7th February 2008. Land Clearing and the Biofuel Carbon Debt. Science. Doi 10.1126/science.1152747.
10. Timothy Searchinger, Ralph Heimlich, R. A. Houghton, Fengxia Dong, Amani Elobeid, Jacinto Fabiosa, Simla Tokgoz, Dermot Hayes, Tun-Hsiang Yu, 7th February 2008. Use of U.S. Croplands for Biofuels Increases Greenhouse Gases Through Emissions from Land Use Change . Science. Doi 10.1126/science.1151861.
11. PJ Crutzen, AR Mosier, KA Smith and W Winiwarter , 1 August 2007. N2O release from agro-biofuel production negates global warming reduction by replacing fossil fuels. Atmospheric Chemistry and Physics Discussions 7, pp11191–11205. http://www.atmos-chem-phys-discuss.net/7/11191/2007/acpd-7-11191-2007.pdf
12. European Federation for Transport and Environment, 16th September 2008. MEPs’ call for ‘phased’ CO2 limits amounts to a postponement, IEEP study shows. http://www.transportenvironment.org/News/2008/9/MEPs-call-for-phased-CO2-limits-amounts-to-a-postponement-IEEP-study-shows/
13. European Federation for Transport and Environment, 25th September 2008. MEPs stand up for fuel-efficient cars. http://www.transportenvironment.org/News/2008/9/MEPs-stand-up-for-fuel-efficient-cars/
14. Kathy Gill, 28th April 2006. CAFE (Fuel Efficiency) Standards for Passenger Cars and Light Trucks. http://uspolitics.about.com/od/energy/i/cafe_standards.htm
15. The estimated average fuel efficiency for cars, including SUVs and pickups, in the US in 2008 is 20.8 mpg. http://epa.gov/otaq/cert/mpg/fetrends/420s08003.pdf
16. In 1908 the Ford Model T ran at 25mpg. Detroit News, 4th June 2003, cited by Want to Know, 11th July 2005. http://www.wanttoknow.info/050711carmileageaveragempg
17. See http://www.treehugger.com/files/2008/02/souped_down_old.php 18. According to Audi, 100km/l equates to 23.8gCO2/km.
http://www.audi.com/etc/medialib/cms4imp/audi2/company/financial_information/pdf_0803.Par.0103.File.pdf 19. Low Carbon Vehicle Partnership, 27th September 2008. Survey shows more buyers want low emission cars. http://www.lowcvp.org.uk/news/1013/survey-shows-more-buyers-want-low-emission-cars/
20. http://www.whokilledtheelectriccar.com/
21. Office of Science and Technology Policy, Executive Office of the President, no date given. Hydrogen Fuel Initiative. Research and Development Funding in the President’s 2007 Budget. http://www.ostp.gov/pdf/1pger_hydrogenfueliniative.pdf
22. No author, 16th August 2003. The clean green energy dream. New Scientist: Energy Special – Hydrogen.
23. The allocation for the current Framework Programme is E470m. European Union, 10th October 2007. The Fuel Cells and Hydrogen Joint Technology Initiative. Press release. http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=MEMO/07/404&format=HTML&aged=0&language=EN&guiLanguage=en
24. BBC o nline, 6th October 2008. New car registrations fall by 21%. http://news.bbc.co.uk/1/hi/business/7654648.stm
25. Suzy Jagger, 2nd October 2008. US carmakers forced to wait for $25bn ‘green’ loan. The Times.
26. House of Commons Environmental Audit Committee, 4th August 2008. Vehicle Excise Duty as an environmental tax.http://www.publications.parliament.uk/pa/cm200708/cmselect/cmenvaud/907/907.pdf
27. ibid.
28. ibid.
29. The top standard rate of vehicle excise duty from 2010 will be £455. The Mercedes-Benz SL is 604hp; the Lamborghini Murcielago is 640. http://www.autobytel.com/content/research/top10/index.cfm/action/highhorsepower/vehicleclass/sprt/listtype/9