La pericolosa onestà dei ministri italiani
di Maso Notarianni - Peacereporter - 11 Agosto 2009
Meglio La Russa, e meglio Franco Frattini, di chi oggi dovrebbe stare all'opposizione e ieri stava al governo di questo Paese.
Senza ipocrisie, il ministro degli Esteri e quello della Difesa ci dicono che l'Italia è in guerra. Per preparare la pace.
Non c'era bisogno di loro per capire che questo Paese è precipitato nella barbarie.
Le fabbriche chiudono, e l'opposizione si occupa delle sue poltrone e delle altrui puttane.
Si attacca l'unità dello Stato e l'opposizione si occupa delle sue poltrone e delle altrui puttane.
Si cancella la libertà di informazione e l'opposizione si occupa delle sue poltrone e delle altrui puttane.
Si elimina il servizio pubblico radiotelevisivo, rapinando miliardi di euro ai cittadini, e l'opposizione si occupa delle sue poltrone e delle altrui puttane.
Si dice con malcelato disprezzo che la Costituzione italiana è carta straccia e l'opposizione si occupa delle sue poltrone e delle altrui puttane.
Siamo in guerra, ve ne rendete conto? Sveglia!
1) Secondo la giurisdizione internazionale, il governo legittimo dell'Afghanistan è ancora quello talebano. Dice il generale Fabio Mini, cioé una persona molto lontana dal poter essere definita pacifista. "I talebani non sono semplici terroristi. O meglio non sono soltanto questo: sono anche i rappresentanti del governo legittimo dell'Afghanistan precedente alla guerra. In linea teorica, la loro legittimità sull'Afghanistan si esaurisce con la debellatio, cioè con la loro sconfitta, con la fine della guerra e con l'instaurazione di un nuovo governo legittimo. Ma se gli americani continuano la guerra contro di loro significa che la debellatio non è stata completata, che il governo è un fantoccio degli occupanti e che in sostanza i talebani continuano a combattere giuridicamente in nome di uno Stato che non ha firmato alcuna resa e che non ha cessato di rivendicare la propria sovranità contro l'occupante di turno".
2) "Oggi la Costituzione con l’articolo 11 rifiuta la guerra. Dovremmo interpretare quel rifiuto alla guerra includendo anche le azioni propedeutiche al creare la pace", dice il ministro Frattini, perché "qui non si tratta di esercitazioni, bensì di azioni nelle quali davanti a noi ci sono terroristi, talebani, insorti ai quali la pace la dobbiamo imporre perché non c’è ancora. La imponiamo con la legittimazione della Nato, dell’Onu, ma parlare di una situazione di pace è come nascondersi dietro a un dito".
Frattini dice una cosa giusta e una cosa sbagliata: la Nato approva e legittima la guerra in atto. L'Onu invece no: le Nazioni Unite hanno dato il via libera, un po' obtorto collo per la verità, ad una missione internazionale di peacekeeping. Oggi invece quella missione non esiste più.
Si chiamava "International Security Assistance Force", e secondo il sito dell'esercito italiano ha il compito di garantire un ambiente sicuro a tutela dell'Autorità afghana che si è insediata a Kabul il 22 dicembre 2001 a seguito della Risoluzione n. 1386 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 20 dicembre 2001. (Authorizes, as envisaged in Annex 1 to the Bonn Agreement, the establishment for 6 months of an International Security Assistance Force to assist the Afghan Interim Authority in the maintenance of security in Kabul and its surrounding areas, so that the Afghan Interim Authority as well as the personnel of the United Nations can operate in a secure environment).
La missione Isaf è poi passata sotto lo stesso comando che dirige Enduring Freedom, tecnicamente la guerra di invasione dell'Afghanistan, e di fatto, essendo stata completamente snaturata, non esiste più. Il tutto, ovviamente, senza che in Italia fosse fatto un passaggio di discussione parlamentare, che pur sarebbe stato obbligatorio.
Quindi, secondo il ragionamento dei nostri ministri e della nostra opposizione che forse distratta dalla discussione sulle proprie poltrone e sulle altrui puttane ha subito approvato l'idea di Frattini e La Russa, è lecito combattere in armi un governo e un Paese purché come fine ultimo ci sia qualche cosa di alto e importante, come la pace. Un ragionamento assurdo, paradossale. Perché seguendolo se ne dedurrebbe che chiunque prenda le armi per un fine che lui e i suoi alleati ritengano importante e alto sarebbe legittimato. Lo sarebbe stato Saddam quando ha invaso il Kuwait, lo sarebbe stato Hitler quando ha invaso la Polonia, lo sarebbero stati - se è vero come dicono in molti che dietro le loro armi ci fossero i servizi segreti dell'Est - le Brigate Rosse.
E noi siam qui, costretti a leggere e ascoltare e vedere in tv non un ragionamento serio sulla paradossale situazione in cui siamo caduti, ma - quando va bene - una discussione sulle proprie poltrone e sulle altrui puttane.
Forse, quando ci faranno assistere ai combattimenti dei gladiatori e ai leoni che mangiano i diversamente credenti, qualcuno di potente si accorgerà che duemila anni di crescita civile sono stati spazzati via. Sempre che non sia distratto dalle proprie poltrone e dalle altrui puttane.
Talebani all'offensiva
da Peacereporter - 10 Agosto 2009
Sei razzi lanciati in rapida sequenza hanno raggiunto nella tarda serata di ieri l'aeroporto di Herat, quartier generale del contingente spagnolo della missione
Isaf in Afghanistan.
A dare la notizia è stato governo di Madrid che ha inoltre rivelato che l'attacco non avrebbe causato vittime. "L'azione si è svolta fra le 22.50 e le 23.10 locali (le 20.20 e le 20.40 italiane) quando sei razzi sono stati lanciati contro la base da una posizione situata a nord della base. - si legge in un comunicato stampa diramato dal ministero della Difesa - Gli ordigni non hanno colpito i militari spagnoli, ne' le attrezzature".
Herat, a ovest dell'Afghanistan, rappresenta una città chiave anche per le truppe dell'esercito italiano che nella zona operano a capo del Commando regionale occidentale.
Intanto poche ore fa si è registrato l'ennesimo episodio della drammatica escalation di violenza pre-elettorale. Un gruppo di talebani ha attaccato il quartier generale del governo e della polizia a Pul-i-Alam, a cinquanta chilometri a sud dalla capitale Kabul. Lo ha riferito ai media Din Mohammad Darwish, un portavoce del governo.
Secondo le prime ricostruzioni i ribelli avrebbero attaccato con una batteria di razzi i due edifici multipiano da una zona attigua, mentre le forze di sicurezza erano bloccate da un conflitto a fuoco con una parte dei miliziani. Darwish ha inoltre dichiarato di non avere ancora informazioni sull'eventuale numero di vittime.
A dieci giorni dalla tornata elettorale che decreterà il nome del nuovo presidente e la composizione dei nuovi consigli provinciali, continua imperterrita l'azione terrorista dei talebani che continuano a turbare il clima politico anche per mezzo di minacciosi appelli rivolti al popolo al fine di boicottare il voto.
In un'intervista rilasciata al Wall Street Journal, il generale Stanley McChrystal, comandante in capo dell'esercito USA in Afghanistan, ha dichiarato che i talebani stanno prendendo il sopravvento nel paese e si è detto preoccupato per un aumento dei decessi dei soldati statunitensi nelle zone di guerra.
Le previsioni per il futuro non sarebbero delle migliori secondo il generale che imputa la forza dei ribelli, che starebbero per riconquistare la loro ex roccaforte Kandahar, ad un uso più massiccio di bombe disseminate sulle strade del paese. A McChrystal, che ha evidenziato la necessità di un rinforzo del contingente, il presidente Barack Obama invierà altri 21.000 soldati, il che porterà il numero dei militari statunitensi impegnati nella regione alla cifra record di 68.000 unità.
Infine ci sono le dichiarazioni del ministro della Difesa italiano Ignazio La Russa che in un'intervista al Corriere della Sera ha sollevato una "questione temporale" sulle requisizioni ai fini di indagine dei Lince, i mezzi blindati in dotazione all'esercito italiano. Il ministro ha rivolto un appello ai giudici "affinchè il tempo di sequestro sia ridotto al minimo. Per la specificità della missione - ha sostenuto il politico - anche i blindati rotti ci servono per i pezzi di ricambio".
La Russa ha sostenuto che il problema nasce dal fatto che l'Italia si sta attualmente attenendo ad un codice militare di pace che comporta in caso di morti e feriti che la magistratura possa mettere i sigilli sui mezzi anche per lunghi periodi di tempo. "Non me la sentivo di appoggiare un ritorno al codice militare di guerra" ha sostenuto il titolare alla difesa, che ha poi avanzato una soluzione che dovrebbe prevedere la stesura nuovo "codice specifico per le missioni internazionali. Né di pace né di guerra". Se passasse all'attenzione del legislatore, la proposta del ministro potrebbe dare origine a problemi di natura costituzionale.
L'Italia per rispettare la dichiarazione di ripudio alla guerra contenuta nell'articolo 11 della costituzione, sostiene in Afghanistan una missione definita pacifica che, pertanto, viene regolata dall'attuale codice militare di pace. Per cambiare le regole di riferimento si dovrebbe implicitamente ammettere che la missione non sia affatto pacifica: servirebbe una legge costituzionale ad hoc per appoggiare il nuovo documento proposto da La Russa, che secondo il ministro dovrà comunque essere più simile ad un codice di guerra che non a uno di pace.
Gabbie salariali
di Mario Grossi - www.mirorenzaglia.org - 10 Agosto 2009
L’ha scritto Giovannino Guareschi che il sole d’estate, nella Bassa, picchia forte e la canicola si abbatte sulle nuche dei Padani come un maglio stordente. Per questo mi sono abituato alle solite esternazioni agostane di Calderoli. Semplicemente le considero figlie di quei bollenti demoni meridiani che in lui evidentemente si affollano al punto tale da tracimare incontinenti. Badate bene, spesso i suoi ragionamenti sembrano sensati, ma a guardarli bene si mostrano per quello che sono. Escrementi.
Quest’estate è la volta delle gabbie salariali. La scenetta si replica simile ad altri passati siparietti. La dichiarazione provocatoria del leghista duro e puro, il codazzo dei Sacconi che plaudono all’ideona, la CGIL che insorge per bocca dell’Harrison Ford dei rossi, la parziale retromarcia di Calderoli frenato dal PDL. Tutto già visto.
A condire di pepe la sceneggiata di quest’anno ci si è messa una ricerca della Banca d’Italia che ha sentenziato (e se lo dice la Banca d’Italia!) che al Sud il costo della vita è mediamente inferiore del 17% rispetto al Nord. Da qui la dichiarazione di Calderoli che gli stipendi dei salariati nordici dovrebbero essere più alti e da qui la ripresa di Sacconi che si dice favorevole a contrattazioni territoriali, deprecando solo la terminologia. Gabbie salariali è reputato inelegante, antiestetico. Che magnifico snob questo Sacconi, arriccia il naso disgustato da simile volgarità linguistica.
Andrà a finire che, invece di aumentare i salari ai lavoratori del Nord, diminuiranno prima quelli dei meridionali e poi quelli di tutti. Lo spirito della gabbia sarà rispettato, le differenze salariali tra Nord e Sud ci saranno lo stesso, i soliti noti ci faranno su i loro soldi, il lavoratore terrone se la prenderà in quel posto ancora una volta, trascinandosi dietro tutti gli altri. Se così fosse, se si spargesse la voce che al Sud i dipendenti si possono pagare meno, ci sarebbe il solito assalto alla diligenza, tanto noto in Italia, per definire da dove comincia il Sud.
Anch’io se fossi un imprenditore darei battaglia formidabile su questo punto. Il vantaggio economico sarebbe enorme. Se potessi dimostrare che la mia fabbrichetta è ubicata al Sud, immediatamente intascherei cospicui utili aggiuntivi sulla pelle dei lavoratori. Un tempo la CasMez, la famigerata Cassa del Mezzogiorno, finanziava iniziative industriali anche a Pomezia, a Velletri. Venafro è diventata terra di conquista, come Lanciano, per nuove speculazioni industriali spesso abortite.
Naturalmente c’è chi lotterebbe per dimostrare, come dicono da anni, che il Sud comincia al di là del Po, così tutti gli industriali emiliani ne usufruirebbero. Tutto il polo ceramico tra Sassuolo, Fiorano, Modena ne sarebbe avvantaggiato. Lo stesso Luca Cordero di Montezemolo potrebbe strizzare un po’ le palle ai suoi. La Marcegaglia, già agevolata per gli stabilimenti di Forlì e Ravenna, dal canto suo, condurrebbe una spietata battaglia per dimostrare che anche lo stabilimento di San Giorgio Nogaro in provincia di Udine deve rientrare nella fascia meridionale, essendo ubicato nella propaggine meridionale, ora italica, della Slovenia, nota regione del Sud dell’Impero Austroungarico. Subito affiancata dalle rivendicazioni degli imprenditori altoatesini che, con nome cambiato in imprenditori sudtirolesi, rivendicherebbero la loro meridionalità nei confronti del Tirolo del Nord e dell’Austria.
Tutto il Piemonte industriale insorgerebbe se fosse escluso dalle agevolazioni. Non sono forse i Piemontesi, i cugini meridionali cisalpini di quei cittadini transalpini che popolano quella terra di Savoia che è meridione francese? E che dire della Valle d’Aosta e di tutte le altre valli. Sono anch’esse adagiate sul versante meridionale delle Alpi e avrebbero diritto allo sconto. Come vedete, alla fine (e non dite che sto sragionando, gli esempi in Italia di questo tipo si sprecano), i salari diminuiranno per tutti.
Ma che cosa poi è più caro al Nord? Spulcio dai giornali e scopro intanto che cosa costa uguale. La benzina aumenta per tutti e costa in tutta Italia lo stesso. I treni, gli aerei, i traghetti (a parte qualche agevolazione per i residenti) non sono dissimili. Per equità, se passassero le gabbie salariali, i costi dei trasporti, dovrebbero calare al Sud. Ci si troverebbe in un guazzabuglio incredibile. Perché un salariato del Nord acquisterebbe un biglietto Milano - Reggio Calabria ad una cifra maggiore rispetto ad un salariato del Sud.
Ma che cosa succederebbe per il biglietto di ritorno Reggio Calabria - MiIano? Teoricamente il salariato nordico dovrebbe pagare sempre di più il biglietto. Allora dovrebbe esibire la sua busta paga al bigliettaio. Qui sorge un altro problema. Nel caso l’azienda, sua datrice di lavoro, avesse varie fabbriche disseminate in tutta Italia che cosa conta l’indirizzo legale o la sede di lavoro? La sede di lavoro, direi io. E allora il lavoratore dovrebbe esibire un documento o un certificato di residenza. Ma l’affare si complica ancora. Perché un lavoratore potrebbe lavorare in una fabbrica avendo la sua residenza in un altro luogo d’Italia. E allora il datore di lavoro dovrebbe rilasciargli una lettera (autenticata, naturalmente da un notaio) in cui dichiara, sotto la sua responsabilità, che il lavoratore presta servizio presso quello stabilimento. Davvero complicato. Forse sarebbe meglio, allora, istituire dei biglietti razziali. Tutti i terroni avranno un biglietto giallo con una tariffa e tutti i polentoni avranno un biglietto blu con un’altra tariffa.
Anche questo non funziona. Penso al mio caso. Nato a Pisa, da padre romano e madre siracusana, con nonno materno greco e bisnonna paterna inglese. Ho vissuto a Pisa, Lodi, Napoli, Grottaferrata, Frascati, Cagliari, Jejel (Algeria). Io chi sono? Biglietto giallo o blu? Per facilitare le cose si potrebbe cucire sui vestiti dei meridionali un simbolo giallo. Forse è la cosa più semplice. Ma conoscendo le abitudini levantine dei sudisti non si avrebbe mai la certezza che tutti se lo sono cucito addosso. Anche l’energia elettrica, il gas, il metano hanno tariffe praticamente unificate.
Qui è il Nord che insorgerebbe, sostenendo che è ingiusto avere tariffe uguali. Il clima al Nord impone di riscaldare di più le case e quindi il metano per equità dovrebbe costare meno al Nord che ne consuma di più. Si accoderebbero gli abitanti del comprensorio del Pollino, sostenendo, a ragione, che la Sila pur essendo profondo Sud è fredda più delle Alpi, spalleggiati dagli abitanti di Enna provincia più alta d’Italia e fredda anche se in Sicilia.
Ma nel differenziare i salari con le gabbie ci sarebbero altri problemi gravi da risolvere. Rispondete voi se vi riesce. La escort più famosa d’Italia, la D’Addario, quando la dà a Berlusconi a Bari dovrebbe essere pagata meno di quando gliela dà ad Arcore? Un bel problema davvero, che rende intricatissima una vicenda già intricata.
Tra le tante poi si scopre che gli hotel sono più economici al Sud che al Nord. Qui la richiesta di Calderoli diventa inaccettabile. Per un milanese non incide certo il costo di un albergo a Milano. Lui a Milano ha casa, mica va in albergo. E così il fatto che gli hotel sono meno cari al Sud costituisce un vantaggio per il Nord non uno svantaggio.
Poi c’è il capitolo ristorazione. Al Nord i ristoranti sono più cari anche del 30% rispetto al Sud. E anche qui avrei qualcosa da dire. Se a Milano si pretende di mangiare una cassata siciliana fresca di giornata non si può pretendere che costi come a Palermo. Lo stesso dicasi per il pesce. A Bari si può avere a prezzo contenuto perché pescato lì fuori. A Milano il problema potrebbe risolversi se si costruissero degli allevamenti di spigole e orate all’Idroscalo. È come ordinare polenta taragna a Catania o stufato d’alce ad Agrigento. Se li trovate avete idea di quanto possono costarvi?
Quello che in realtà costa in modo diverso e che fa la vera differenza, sono le case, gli affitti e i servizi privati come le visite mediche specialistiche. Anche qui non è semplice districarsi. Non è che in tutto il Nord le case e gli affitti costano di più. Ci sono casi e casi. Un mio collega veneto ha acquistato un casale con terreno a Maserà di Padova per una cifra che era esattamente la metà di quella che ho dovuto sborsare io per un appartamento a Frascati. E così per gli affitti: un attico a Piazza di Spagna e un appartamento alla Sgurgola hanno quotazioni diverse pur essendo tutti e due al Sud (Centro Sud diciamo).
Poi ci sono le visite specialistiche e qui non si capisce perché un oculista nordico debba rendere le sue prestazioni a un prezzo maggiore del 35% o giù di lì rispetto a uno del Sud. E qui subito insorgerebbero i professionisti nordici. Gli affitti sono più alti, le assistenti costano di più (anche quelle in nero), tutto è più caro e quindi anche le prestazioni nostre devono essere più care.
Alla fine comunque la vera differenza sta negli affitti e nel costo delle case. Allora invece di differenziare i salari tra Nord e Sud, idea che trovo bizzarra, si potrebbe proporre un’altra idea bizzarra. Un patto corporativo tra categorie. I proprietari dei terreni edificabili del Nord vendono i loro lotti al prezzo di quelli del Sud. I costruttori del Nord vendono le loro case al prezzo di quelle del Sud, visto che non devono ribaltare sull’acquirente un sovrapprezzo per il terreno. I proprietari d’immobili del Nord stipulano nuovi contratti con i loro inquilini per portarli al livello di quelli del Sud. I professionisti applicano tariffe calmierate visto che non hanno più bisogno di prezzi aggiuntivi sulle loro parcelle, da girare ai proprietari sotto forma di canoni di locazione alti.
Per i servizi pubblici ognuno si tiene quelli che ha. E qui il meridione dovrebbe insorgere visto lo schifo in cui versa la sanità e la pubblica amministrazione da quelle parti.
Un colpo di sole anche per me? Quando mai le corporazioni e le lobby accetterebbero minori guadagni in nome della giustizia sociale? E se ci pensasse lo Stato, costringendoli? Tra le gabbie salariali “liberamente” contrattate e il patto corporativo imposto quale sponsorizzereste ?
Gabbie salariali. Nemmeno a parlarne
di Alessandro Cardulli - www.dazebao.org - 7 agosto 2009
Come falchi si sono avventati sulla preda. Hanno preso spunto da una indagine condotta dalla Banca d’Italia sul costo della vita distribuito per aree geografiche per tornare a proporre le gabbie salariali. L’indagine scopre l’acqua calda: nel Mezzogiorno il costo della vita è più basso del 16,5% rispetto al Centro-Nord, per cui il lavoro deve avere una minore remunerazione.
Storia vecchia che gli economisti indipendenti, una razza sempre più in estinzione, hanno confutato fin dai tempi in cui appunto le gabbie salariali vennero abolite. Ma, in mancanza di meglio, ormai giocate quasi tutte le carte contro lavoratori e pensionati, l’occasione non poteva essere perduta. Ecco la Lega che con il ministro Calderoli, senza usar mezzi termini , proseguendo nella campagna di divisione del paese, pensa subito al ritorno delle “gabbie”.
Insieme partono i titoloni sui grandi quotidiani, le televisioni associate “ RaiSet”, non perdono l’occasione ed ecco che si apre il dibattito. Esperti, economisti, si cimentano nell’impresa. Anche dall’opposizione arriva qualche voce, come quella del senatore Pd Ichino che, dice, per legge non si può decidere una differenziazione salariale ma se i sindacati lo vorranno possono farlo con la contrattazione.
Ecco trovato l’inganno. Calderoli, che era uscito allo scoperto trovando ostacoli anche nella sua maggioranza da parte di ministri ed esponenti sudisti, smentisce se stesso e dice che anche lui pensava alla contrattazione. Davanti a soloni dell’economia, editorialisti specializzati, commentatori che vanno per la maggiore, esperti in statistica, uffici studi, noi ci leviamo tanto di cappello. Escono dall’imbarazzo di dover dare una valutazione sui provvedimenti anticrisi del governo che restano il vero problema dell’economia italiana e spostano la loro attenzione sulle “gabbie”.
Bella operazione, ma solo degli ignoranti o in malafede possono impostare l’equazione costo della vita-stipendi e salari. Nelle prime lezioni di statistica si indica con chiarezza il limite di questa scienza. Quello che Trilussa in modo semplice e chiaro spiegava : gli italiani non mangiano un pollo a testa, qualcuno infatti ne mangia due. Allora sarà il caso di ricordare agli “ specialisti” quali sono i costi, difficilmente traducibili in numero, che pagano i cittadini del Mezzogiorno per servizi sociali inadeguati, quando ci sono, a partire dagli asili nido fino alla sanità . Oppure si potrebbe parlare del sistema dei trasporti per valutare quanto deve pagare, in termini di tempo, un pendolare meridionale o un comune viaggiatore.
Il costo del biglietto è identico al Nord, al Centro, al Sud. Il tempo perduto non fa parte del costo della vita? Ancora. Un cittadino di Forte dei Marmi, dove l'insediamento di mafiosi russi ha fatto impennare prezzi già altissimi, ha spese certamente superiori a uno di Canosa, in Puglia, ma anche al cittadino che abita a pochi chilometri, diciamo a Montignoso di Massa.
Che si fanno le gabbie salariali all’interno di una stessa provincia? Proseguiamo, questa volta ci sono anche le statistiche: nel Mezzogiorno c’è la più alta percentuale di donne che non lavorano, di famiglie monoreddito, così come c’è la più alta disoccupazione. Spesso intere famiglie hanno il solo sostegno stabile nella pensione del nonno o nella pensione di invalidità.
Il monopolio Set-Rai
di Mariavittoria Orsolato - Altrenotizie - 10 Agosto 2009
Con i canonici sei mesi d’anticipo previsti dal contratto, lo scorso febbraio la Rai ha dato la sua disdetta a Sky per l’uso del criptaggio Nds, il che in parole povere significa che dal 1 agosto la piattaforma satellitare del magnate australiano Murdoch, non trasmette più il bouquet di canali Rai. Non è certo una notizia per cui strapparsi i capelli, ma il fatto che l’azienda di Stato compia una mossa del genere proprio nel momento cruciale di transizione al digitale, colora certamente di più l’argomento.
A tutti quelli che pensano che dietro questo divorzio ci sia lo zampino del premier e del suo digitale terreste, il direttore generale di viale Mazzini, Mauro Masi ha preventivamente risposto: “Se avessimo accettato le loro pretese (quelle di Sky ndr), la Rai avrebbe fornito gratuitamente alla piattaforma satellitare a pagamento la “chiave” per accedere a tutta la nostra offerta ed utilizzarla come traino per le proprie attività commerciali connesse alla ricerca di nuovi abbonati. Proprio nel momento in cui, con le fasi di switch over e di switch off per la transizione al digitale terrestre, il pubblico televisivo diventa più contendibile”.
Insomma se mamma Rai ha deciso di scendere dal satellite non è per fare un favore al biscione ma perché non vuole fare pubblicità gratuita ad un concorrente. Pare però che Sky pagasse profumatamente la gradita presenza del bouquet satellitare Rai: circa 400 milioni di Euro in sette anni, secondo l’ultima offerta rifiutata da viale Mazzini e, se la matematica non è un opinione, questi introiti avrebbero fatto molto comodo al dissanguato bilancio della tv di Stato, ormai stabilmente in rosso.
C’è poi un secondo non trascurabile problema in questa guerra satellitare: la Rai è un servizio pubblico; in quanto tale, ha l’obbligo di raggiungere tutte le case degli italiani, sia che questi abbiano il digitale terreste o meno e, viste le innegabili carenze del già obsoleto sistema di trasmissione, si presume che la tv di Stato dovrà sopperire alle eventuali mancanze.
A questo ci pensa infatti TivùSat, il nuovo soggetto satellitare nato lo scorso 24 settembre dall’alleanza di Mediaset, La 7 e appunto Rai, che mira a combattere il colosso Sky sul suo stesso terreno di gioco: le trasmissioni saranno gratuite e l’apparecchio per l’installazione costerà 100 euro una tantum; in questo modo chi non fosse raggiunto dal segnale digitale terrestre potrà optare per questo satellitare made in Italy.
Al di là degli aspetti tecnici, quello che preme segnalare in siffatta operazione è l’inedita alleanza tra Mediaset e Rai, tradizionalmente contrapposte e ora unite nell’opposizione al magnate di Adelaide, in nome di una libera concorrenza che a molti però pare a senso unico.
Se infatti si provano a fare due conti si scoprirà che per la Rai aver abbandonato la piattaforma di Sky è stato un costo più che un guadagno. Oltre i 50 milioni di introiti in meno l’anno, la Rai dovrà fronteggiare i costi del nuovo soggetto satellitare nella misura del 48%, dato che questa è la sua quota azionaria all’interno del progetto di joint venture con Rti e Telecom Italia Media.
Senza contare che la Rai dovrà rinunciare a contratti pubblicitari a 6 zeri: dal momento che lo share è calcolato sulla base di tutte le piattaforme di trasmissione, l’uscita da Sky comporterebbe la perdita di quel 13,2% di ascolti che, tradotti in raccolta pubblicitaria, corrisponderebbero circa a 150 milioni di euro in meno l’anno.
Ora, se non sapessimo che dal divorzio tra il tycoon australiano e la tv di Stato, Mediaset e il suo digitale terrestre hanno solo da guadagnare, forse leggeremmo questo inaspettato matrimonio tra i due duopolisti dell’etere nostrano con un’altra chiave. Ma dato che con TivùSat si è realizzato l’ennesimo monumento al conflitto d’interessi - con il presidente del consiglio che si troverà a gestire il 48% attraverso il Tesoro in veste di capo del governo e il 48% in veste di azionista di maggioranza di Mediaset - bisogna prendere atto che da questo esperimento satellitare nasce - di fatto - un soggetto di trasmissione con una possibilità di controllo senza precedenti nella breve storia della televisione.
Sarà per questo che l’ormai defunto centrosinistra, si è risvegliato dal lungo letargo e ha riproposto la questione irrisolta del mostruoso conflitto d’interessi presentando addirittura una proposta di legge al cui primo firmatario Walter Veltroni, seguono le sottoscrizioni di tutte le opposizioni. Meglio tardi che mai. Nel frattempo, nel regno catodico di Papilandia, l’informazione e il pluralismo, già vilipesi in abbondanza, danno l’estremo saluto alla libertà di opinione.
Il corpo delle donne
di Daniel Tarozzi - www.terranauta.it - 5 Agosto 2009
Il corpo delle donne è un documentario di 25 minuti che "mette a nudo" il degrado dell'immagine femminile nella televisione italiana. Il livello di mercificazione del corpo raggiunto negli ultimi anni ha superato ogni limite. Eppure ci siamo assuefatti.
Vittime sono le donne, gli uomini e la società tutta che perdendo i veri valori della femminiltà si impoverisce e involgarisce sempre più. Abbiamo intervistato Lorella Zanardo, autrice del documentario, per capire meglio la situazione.
Lavorare in una redazione web è diventato un compito arduo. Bisogna barcamenarsi tra il lavoro quotidiano e le centinaia di mail che inondano le nostre caselle postali. In una di queste ci veniva suggerito un link che riportava ad un breve documentario intitolato "Il corpo delle donne".
Dopo qualche giorno di limbo, ho trovato il tempo, mi sono seduto comodo, e ho visionato questo lavoro. Mentre le immagini di donne bellissime, denudate e smontate dalla telecamera scorrevano, un senso di malessere fisico si impossessava di me. Un malessere allo stomaco, al cuore e al cervello.
Eppure le donne mi sono sempre piaciute, sia vestite che non. Ma l’uso che di esse viene fatto in televisione è un problema che mi ha sempre turbato. Vedere 25 minuti de "il meglio di", commentato e analizzato è stato davvero intenso, quasi doloroso.
Il documentario è stato terminato in febbraio e messo in rete due mesi fa. In un mese e mezzo è stato visto da circa 220.000 mila persone, donne uomini, insegnanti, ragazzine. È stato mostrato durante una puntata dell’Infedele che ha ottenuto ottimi ascolti ed è stato anche tradotto in inglese e portoghese.
Ma di cosa parla questo benedetto video? La miglior descrizione ci viene fornita dal sito ufficiale:
"Siamo partiti da un’urgenza. La constatazione che le donne, le donne vere, stiano scomparendo dalla tv e che siano state sostituite da una rappresentazione grottesca, volgare e umiliante. La perdita ci è parsa enorme: la cancellazione dell’identità delle donne sta avvenendo sotto lo sguardo di tutti, ma senza che vi sia un’adeguata reazione, nemmeno da parte delle donne medesime. Da qui si è fatta strada l’idea di selezionare le immagini televisive che avessero in comune l’utilizzo manipolatorio del corpo delle donne per raccontare quanto sta avvenendo non solo a chi non guarda mai la tv ma specialmente a chi la guarda ma "non vede". L’obiettivo è interrogarci e interrogare sulle ragioni di questa cancellazione, un vero " pogrom" di cui siamo tutti spettatori silenziosi. Il lavoro ha poi dato particolare risalto alla cancellazione dei volti adulti in tv, al ricorso alla chirurgia estetica per cancellare qualsiasi segno di passaggio del tempo e alle conseguenze sociali di questa rimozione".
Abbiamo quindi deciso di intervistare l’autrice del documentario, Lorella Zanardo, "femmina e femminista", come si è definita in risposta ad una nostra domanda. Più che un’intervista è uscito fuori, un confronto, una piacevole chiacchierata tra un uomo e una donna che si interrogano su un tema così delicato.
Lorella Zanardo, in un periodo in cui si parla tanto di veline, escort e simili, il tuo documentario diventa uno strumento indispensabile per interrogarsi su quanto sta accadendo in Italia. Come vi siete posti in relazione a questi scandali?
Non abbiamo voluto cavalcare il tormentone veline-Berlusconi. La "questione femminile" è attuale da tempo; purtroppo forse i media se ne accorgono solo nel momento in cui un famoso politico ne resta coinvolto.
La mercificazione del femminile colpisce l’intera società e non solo la donna che ne è vittima. È tutta la società che risente della mancanza dell’equilibrio, mancanza dell’energia femminile, di questa volgarizzazione e sottomissione a livello spirituale. Siamo tutti vittime di questa cosa.
Mi interessa molto il parere degli uomini. Perché secondo te questa situazione potrebbe essere un problema anche per un maschio?
È un problema perché se cresci in un mondo in cui la donna è costantemente associata esclusivamente ad una merce, ad un corpo da usare, rischi di finire col ricercare quel modello di donna restando insoddisfatto delle donne reali che non assomigliano a quelle della tv. Questo ovviamente colpisce soprattutto l’immaginario adolescenziale, ma in una società come la nostra, in cui la chiesa reprime la sessualità e i valori maschili si impongono in tutto, noi cresciamo destabilizzati, repressi. Molti finiscono col ricercare esclusivamente una donna che corrisponda a determinati canoni estetici e stia zitta. Si perdono le caratteristiche e i valori. È una perdita mostruosa.
Una donna ovviamente coincide anche con la parte erotica e sessuale ma è anche molto altro.
Certo! La bellezza femminile è tutt’altro che quella televisiva. La seduzione è una cosa molto diversa. Io adoro il corpo femminile, ma non nel modo in cui viene mostrato. La telecamera gli toglie qualunque tipo di sensualità, è proprio pornografia pura. È più pornografica la velina che il film porno.
Questo è un argomento che ho affrontato con cautela perché si presta ad essere male interpretato. Mentre della pornografia se ne fa un suo privato, consapevole, queste immagini non riesci a combatterle, perché si presentono come immagini "normali", trasmesse a tutte le ore. Io credo che si potrebbe scrivere un pamphlet sulla gatta nera, la valletta di Mercante in fiera, una delle figure più inquietanti che la tv manda in onda.
Come è nata l’idea di realizzare questo documentario?
Io mi occupo da anni della questione di genere e ho vissuto a lungo all’estero. Quando mi sono ritrovata a guardate la tv non ho potuto esimermi dal fare qualcosa! Lo shock è stato fortissimo, come un pugno. Insieme all’indignazione e più forte dell’indignazione mi è scattata una sorta di curiosità antropologica. C’erano delle situazioni al di là dell’immaginario: è stato completamente sdoganato che alle sei di sera una ragazza venga ripresa da sotto le gonne, dentro le mutande, con la telecamera. Tu pensa che paese strano.
Questo studio fin dall’inizio è stato stimolato da due giovani uomini miei colleghi di lavoro, Marco e Cesare, che si occupano di video nella loro vita professionale e che mi hanno dato una grossa mano in questo progetto. È un lavoro che nasce con gli occhi di una donna che ha vicino due giovani uomini. Io sono assolutamente contraria alla divisione tra i sessi.
Le televisioni degli altri paesi sono diverse dalla nostra?
Io conosco bene la televisione del nord Europa e la tv inglese. Ovviamente anche qui troviamo la presenza della donna oggetto che però - e questa è la grande differenza – viene proposta accanto ad altri modelli femminili. Cioè, se è vero che ci può essere una figura di ragazza valletta scollacciata durante la presentazione del palinsesto televisivo, c’è poi la ragazza che viene chiamata per la sua competenza, la donna adulta matura. Questa proposta ossessiva della donna come corpo oggetto è una situazione tipicamente italiana. Sappiamo che nel nostro paese, dal femminismo in poi, non c’è stato un movimento che tutelasse l’immagine delle donne. Questa problematica non interessa alla società italiana né di destra né di sinistra.
Ricordo che quando arrivò Striscia la notizia le veline sembravano una provocazione e ancora faceva un po’ scandalo la mercificazione del corpo femminile. Paradossalmente sembra ci sia stata un’involuzione costante negli ultimi 15 anni: quello che prima era quasi trasgressivo adesso è scontato, nessuno si lamenta più. Secondo te questa mercificazione del corpo femminile è stata una scelta consapevole o inconsapevole del sistema mediatico?
Questa è una cosa che mi addolora, ma purtroppo molto vera.
Stiamo andando sempre peggio sotto questo puto di vista. Direi che è stata una scelta inconsapevole, almeno da parte delle donne che, dopo anni di lotte, negli anni ’80 e ’90 si sono giustamente rilassate. Quelle cresciute in questo periodo davano infatti ormai per acquisite determinate conquiste, mentre magari donne un pochino più adulte sono state più attente proprio perché venivano da situazioni di grande lotta. L’aver abbassato la guardia ha fatto si che si sono sdoganati certi comportamenti molto molto lesivi della dignità femminile.
Tutto questo avveniva in un momento in cui la logica del mercato era imperante ed ha finito per travolgere qualunque barriera etica. È stato sdoganato completamente il fatto che l’uso del corpo femminile faceva vendere e quindi era lecito farlo.
Condivido la tua analisi sulla mancanza di valori etici, ma sembra quasi che ci sia stata una guida senziente nel modo in cui è stato progressivamente mercificato il corpo femminile. Paradossalmente il nudo integrale è quasi scomparso, mentre il corpo femminile veniva progressivamente sempre più mercificato. Si è riusciti ad arrivare al colmo dei colmi: una sovrapposizione tra l’utilizzo continuo di immagini femminili discinte e una contestuale repressione e censura. Oggi un seno nudo, specie nella cinematografia italiana e statunitense, anche in contesto di film dove ci può stare, non si vede più. Negli anni ’80 si vedevano corpi nudi, ma solo in certi contesti, mentre oggi si vedono ovunque pezzi di carne tipo salumi però la nudità scompare, quasi si voglia renderla repressa e proibita. Sembra veramente un meccanismo voluto in qualche modo.
Su questo ci stiamo ragionando, non ho una risposta chiara, diciamo che è un argomento molto interessante. Perché non c’è più nudo? Perché il nudo a questo punto diventa inquietante. Il nudo a figura intera rappresenta un essere umano, un qualcuno che non è oggetto, che ha qualcosa da chiedere, ti costringe a confrontarti con un erotismo attivo di una donna che da e pretende. L’inquadratura dell’ultimo pelo dell’ultima parte intima dell’ultima soubrette immagino che porti ad una pratica onanistica ma sicuramente non a un discorso erotico.
Come mai moltissime donne, non solo ragazzine ma anche adulte, si prestano a questo e come mai nessuno dice più niente?
Perché viviamo in una società impostata sulla logica del mercato dove se non appari non esisti. Quindi vediamo questo fenomeno tristissimo di ragazzine che pensano che la vita sia stare in televisione, ma ancor più il fenomeno dei genitori è drammatico. Ci sono famiglie che per vari motivi non hanno una cultura che li rende consapevoli. Vendono la figlia pensando di garantirle un futuro quindi dal loro punto di vista al fin di bene. Abbiamo sdoganato l’idea che in questa società se non appari non esisti, io genitore faccio in modo che mia figlia sia velina perché così esiste, non la voglio condannare all’invisibilità. Ecco a me viene da dire che l’unica risposta che abbiamo di fronte a questi fenomeni può venire da una scuola forte, molto più forte di quella attuale, che faccia da contraltare, da barriera, alla forza dell’immagine televisiva.
Non sembra esattamente la descrizione della scuola italiana…
Vai al documentario "Il corpo delle donne": QUIVedo, sento, non parlo
di bamboccioni alla riscossa - 11 Agosto 2009
In Italia, ormai, può succedere di tutto. E questa settimana è successo anche questo. E’ successo - giusto mercoledì scorso - che il direttore de “L’Unità”, al secolo Concita De Gregorio ha vergato un altro dei suoi salaci editoriali. Per dire una cosa semplice semplice: le intercettazioni probabilmente più esplosive della Storia repubblicana - protagonista il solito Berlusconi e alcune “pupe” davvero di eccezione - sono serenamente transitate sui tavoli delle redazioni dei giornali (tutti tutti? Mistero).
Per poi finire nel cestino. In qualche cassetto. O inguattate in una cassaforte a doppia mandata. Senza che nessuno facese bau.
Addirittura? Addirittura. La biondissima e phonatissima direttrice del quotidiano del fu Piccì ora Piddì non ha dubbi. E infatti ha scritto nero su bianco - con una nonchalance davvero notevole - che era un autentico segreto di Pulcinella:
(…) lo sapevano tutti. I nastri delle celebri intercettazioni telefoniche (mai pubblicate) tra signorine poi diventate ministro sono stati sui tavoli delle scrivanie delle redazioni, dei ministeri, degli uffici parlamentari il tempo necessario - poco, ma sufficiente - ad essere letti, fotocopiati, spediti in allegato per e-mail a decine di persone, e da queste decine a centinaia perché ciascuno ha un paio di amici con cui condividere. È come la storia delle farfalline disegnate da Lui, delle cene di quaranta ragazze ogni venerdì, del via vai di sconosciute in auto blu a palazzo Grazioli. Lo sapevano tutti, non lo diceva nessuno. Tutti si fa per dire, certo. Tutti quelli che hanno accesso alle carte. Milioni di italiani no e tra questi milioni coloro che vedono solo la tv non l’avrebbero saputo mai (la televisione, come vi diciamo oltre, è Cosa Sua).
Dirà qualcuno di voi, vista anche la raffica di intercettazioni degli ultimi anni: ma di che sta parlando esattamente la direttrice de L’Unità? Presto detto. Estate scorsa, a governo Berlusconi appena eletto, si erano diffuse - grazie anche alla testimonianza diretta di una deputata del Popolo delle Libertà (ed ex craxiana di ferro), Margherita Boniver - voci sempre più insistenti sull’esistenza di intercettazioni un po’ particolari. Protagoniste: alcune ministre. Argomento: decisamente boccaccesco. Intercettazioni dal contenuto tanto pruriginoso, quanto misterioso. Le cui conseguenze Sabina Guzzanti - un anno fa, durante il “No Cav day” - aveva sintetizzato in maniera davvero pirotecnica: “A me non me ne frega niente della vita sessuale di Berlusconi. Ma tu non puoi mettere alle Pari opportunità una che sta lì perché t’ha succhiato l’uccello, non la puoi mettere da nessuna parte ma in particolare non la puoi mettere alle Pari opportunità perché è uno sfregio”. Roba da querela. Che infatti l’ex soubrette ora ministra, Mara Carfagna si premurò subito di fare.
Una storia vecchia. Che però - sempre questa settimana - il papà di Sabina Guzzanti, il senatore (fuoriuscito da Forza Italia) e giornalista Paolo Guzzanti ha pensato bene di rinverdire. Spiegando - urbi et orbi dal suo blog - non solo che quelle intercettazioni esistevano. Ma che “voci, che io ho potuto verificare come purtroppo attendibili” direbbero che “un famoso direttore ha mostrato e fatto leggere a un numero imprecisato di persone (deputati e deputate di Forza Italia per lo più) i verbali che tutti i direttori di giornale hanno, ma che avrebbero deciso di non usare su sollecitazione del Presidente Napolitano. Si tratta di trascrizioni da intercettazioni avvenute nell’ambito dell’inchiesta di Napoli e poi fatte distruggere da Roma, in cui persone che ora ricoprono cariche altissime si raccontano fra di loro cose terribili che la decenza e la carità di patria mi proibiscono di scrivere, anche se purtroppo sono sulla bocca di coloro che hanno letto i verbali”.
Curiosamente quotidiani blasonati come “La Repubblica” e il “Corriere della Sera” hanno piazzato le parole di Guzzanti senior in un paio di spazi grossi come cartoline, rispettivamente, a pagina 8 e 12 (ovvero lontano da prime pagine e titoloni cui si ferma normalmente il lettore). Cartoline altrettanto curiosamente accompagnate dalla smentita del Quirinale, cioè del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Ma non da quelle dei direttori dei giornali. Che - non solo quelli di Corriere e Repubblica, ma un po’ tutti - su questo caso di clamorosa autocensura non hanno proferito verbo. Ad eccezione di Concita De Gregorio. Che nel suo editoriale di mercoledì scorso ha pensato bene di tagliare la testa al toro. Dicendo chiaro che:
Io le intercettazioni di cui parla Guzzanti le ho viste e poco importava allora che il fido Ghedini dicesse che non esistevano, poco importa che dica adesso, smentendo se stesso, che sono state distrutte. Non erano «rilevanti penalmente», certo, ma esistevano eccome e pensandoci col senno di poi avrebbero potuto dare indicazioni certe sulla composizione definitiva del governo. Le protagoniste dei dialoghi siedono tutte in Consiglio dei ministri.
I contenuti?
Ricordo uno spettacolo di Luciana Littizzetto, l’estate scorsa al Festival di Spoleto, ne riferiscono le cronache del tempo. Trascrivo. «A proposito del caso delle intercettazioni il monologo ne svela i contenuti e racconta dei consigli sulle iniezioni da fare nel corpo cavernoso che trasformano il «walter» in una stecca da biliardo». Il corpo cavernoso, le iniezioni sul «walter». Lo sapeva anche lei.
E il presidente della Repubblica si era davvero mosso per bloccarle?
Ora la polemica è col Quirinale, che smentisce di aver chiesto che non fossero pubblicate come Guzzanti sostiene. È un tema minore: se qualcuno avesse voluto o potuto correre il rischio di pubblicarle violando la legge lo avrebbe fatto comunque, ignorando eventuali consigli. Non sarebbe del resto stata la prima volta, né l’ultima.
E verrebbe da dire: coraggiosa Concita. Se non fosse che la sua testimonianza - che potrebbe costarle una querela, nonostante il tono più allusivo che assertivo - più che offrire risposte, disegnano altri punti interrogativi. Perchè le parole del direttore de “L’Unità” - che dimostrerebbero al di là di ogni ragionevole dubbio che queste intercettazioni ci sono - si sono letteralmente arenate sulle pagine del quotidiano del fu Piccì ora Piddì e non hanno sollevato un enorme polverone? Perchè nessun giornalista - compresa Concita De Gregorio - ha mai pubblicato quei dialoghi che disegnerebbero - a differenza di escort e Noemi varie - un vero e proprio “metodo di governo” che va ben oltre i confini della decenza? E soprattutto: qualcuno ha forse anche chiesto qualcosa in cambio, per non pubblicare - o in qualche altro modo divulgare - una riga?
Domande - tutte - destinate, per certo, a rimanere senza risposta. Ma una certezza c’è. In questo Belpaese di inizio millennio, capire cosa facciano, e a cosa, e a chi servano i giornali sta diventando davvero sempre più difficile.
L'ossessione permanente
di Giuseppe D'Avanzo - La Repubblica - 11 Agosto 2009
L'Egocrate è ossessionato. Diventa isterico, quando lo si contraddice con qualche fatterello o addirittura con qualche domanda. Se non parli il suo linguaggio di parole elementari e vaghe senza alcun nesso con la realtà; se non alimenti le favole belle e stupefacenti del suo governo; se non chiudi gli occhi dinanzi ai suoi passi da arlecchino sulla scena internazionale; se non ti tappi la bocca quando lo vedi truccare i numeri, il niente della sua politica e addirittura le sue stesse parole, sei "un delinquente", come ha detto di Repubblica qualche giorno fa.
O la tua informazione è "giornalismo deviato": lo ha detto di Repubblica, ieri. Che al Prestigiatore d'affari e di governo appaia "deviato" questo nostro giornalismo non deve sorprendere e non ci sorprende. È "naturale", come la pioggia o il vento, che il monopolista della comunicazione giudichi il nostro lavoro collettivo una "deviazione". Lo è in effetti e l'Egocrate non sa darsene pace: ecco la sua ossessione, ecco la sua isteria. Deviazione - bisogna chiedersi, però - da quale traiettoria legittima? Devianza da quale "ordine" conforme alla "legge"? E qual è poi questa "legge" che Berlusconi ritiene violata da un giornalismo che si fa addirittura "delinquenza"? La questione merita qualche parola.
Il potere e il destino di Berlusconi non si giocano nella fattualità delle cose che il suo governo disporrà o ha in animo di realizzare, ma soltanto in un incantato racconto mediatico. Egli vuole poter dire, in un monologo senza interlocutori e interlocuzione e ogni volta che lo ritiene necessario per le sue sorti, che ha salvato il mondo dal Male e l'Italia da ogni male. Esige una narrazione delle sue gesta, capace di creare - attraverso le sinergie tra il "privato" che controlla e il "pubblico" che influenza - immagini, umori, riflessi mentali, abitudini, emozioni, paure, soddisfazioni, odi, entusiasmi, vuoti di memoria, ricordi artefatti.
Berlusconi affida il suo successo e il suo potere a questa "macchina fascinatoria" che si alimenta di mitologie, retorica, menzogna, passione, stupidità; che abolisce ogni pensiero critico, ogni intelligenza delle cose; che separa noi stessi dalle nostre stesse vite, dalla stessa consapevolezza che abbiamo delle cose che ci circondano. Mettere in dubbio questa egemonia mediatica che nasconde e, a volte, distrugge la trama stessa della realtà o interrompere, con una domanda, con qualche ricordo il racconto affascinato del mondo meraviglioso che sta creando per noi, lo rende isterico.
È una "deviazione" - per dire - ricordare che non si ha più notizia dei mutui prima casa e della Robin tax o rammentare che dei quattro "piani casa" annunciati, è rimasto soltanto uno, e soltanto sulla carta. È una "deviazione" ripetere che non è vero che "nessuno è stato lasciato indietro", come non è vero che i nostri "ammortizzatori sociali" siano i "migliori del mondo". È "criminale" chiedere conto a Berlusconi della realtà, delle sue menzogne pubbliche, delle sue condotte private che disonorano le istituzioni e la responsabilità che gli è stata affidata. Lo rende ossessivo che ci sia ancora da qualche parte in Italia la convinzione che la realtà esista, che il giornalismo debba spiegare "a che punto stanno le cose" al di là della comunicazione che egli può organizzare, pretendere, imporre protetto da un conflitto di interessi strabiliante nell'Occidente più evoluto.
Nessuna sorpresa, dunque, che l'Egocrate ritenga Repubblica un giornale di "delinquenti" indaffarati a costruire un'informazione "deviata". Più interessante è chiedersi se, ammesso che non l'abbia già fatto, il governo voglia muovere burocrazie sottomesse - queste sì, nel caso, "deviate" - contro questa "deviazione" - e deviazione deve apparirgli anche una testimonianza contro di lui di una prostituta che ha pagato o l'indagine di un pubblico ministero intorno ai suoi comportamenti. È un fatto che Berlusconi esige e ordina che la Rai si pieghi nei segmenti ancora non conformi, come il Tg3, a quel racconto incantato della realtà italiana. Ancora ieri, Berlusconi - mentendo a gola piena e manipolando le circostanze - ha tenuto a dire che "è inaccettabile che la televisione pubblica, pagata con i soldi di tutti, sia l'unica tv al mondo ad essere sempre contro il governo".
Sarà questa la prossima linea di frattura che attende un paese rassegnato, una maggioranza prigioniera dell'Egocrate, un'opposizione arrendevole. Lo si può dire anche in un altro modo: accetteremo di vivere nel mondo immaginario di Berlusconi o difenderemo il nostro diritto a sapere "a che punto siamo"? Se questa è la prossima sfida, i dirigenti i lavoratori della Rai, del servizio radiotelevisivo sapranno mettere da parte ambizione, rampantismo, congreghe e difendere la loro "missione" pubblica, la loro ragione di essere? Per quanto riguarda Repubblica, Berlusconi può mettersi l'anima in pace: faremo ancora un'informazione deviata dall'ordine fantastico, mitologico che vuole imporre al Paese.