Il secondo mandato alla guida della Fed di Bernanke sarà caratterizzato da due principali sfide: una sul lato economico, con la Fed che dovrà decidere come e quando ritirare le misure di emergenza messe in atto. L'altra invece sarà sul lato politico, con Bernanke intento a cercare di difendere i poteri e l'indipendenza della Fed mentre la Casa Bianca e il Congresso discutono la riforma delle regole del sistema finanziario.
Proprio qualche giorno fa Bernanke aveva detto che la ripresa dell'economia sarà probabilmente "lenta all'inizio. Dopo essersi contratta profondamente nell'ultimo anno, l'attività economica appare stabilizzarsi, sia negli Stati Uniti sia fuori, e le prospettive per un ritorno alla crescita nel breve termine sono buone. Anche se abbiamo evitato il peggio, difficili sfide ancora ci attendono. Dobbiamo garantire una ripresa economica duratura e costruire un nuovo quadro normativo, che rifletta gli insegnamenti di questa crisi e prevenga il ripetersi degli eventi degli ultimi due anni".
Questo cauto ottimismo di Bernanke era sopraggiunto 24 ore dopo l'intervista a Bloomberg tv di Martin Feldstein, professore di economia all'università di Harvard che aveva invece affermato che l'economia americana è a rischio di una nuova contrazione il prossimo anno dopo che gli effetti del piano di stimolo fiscale varato dall'amministrazione si esauriranno "L'economia è ancora debole e non è ancora chiaro se il miglioramento a cui abbiamo assistito recentemente sia l'inizio di una sostanziale ripresa. C'è il serio rischio che fra le fine dell'anno e l'inizio del prossimo possiamo assistere a un nuovo calo".
Si accettano già scommesse...
I nuovi pacchetti tossici che minacciano i mercati
di Mauro Bottarelli - www.ilsussidiario.net - 25 Agosto 2009
Ci risiamo. Dopo aver fatto le brave per qualche tempo, onde evitare il linciaggio e soprattutto di non ottenere i fondi statali per i piani di salvataggio, le banche Usa hanno ripreso le vecchie abitudini: bonus rivoltanti ai manager e, soprattutto, il brutto vizio di cercare di scaricare lo schifo presente nei propri assets spezzettandolo e rivendendolo come sicurissimo prodotto nuovo.
Siamo al passo successivo, all’evoluzione della specie dei re-remics (resecuritization of real estate mortagage investment conduits), ovvero una nuova generazione di cdo (collateralized debt obligations) che già ad inizio anno aveva cominciato a far luccicare gli occhi agli operatori della City e di Wall Street. Ma partiamo dai cdo per capire meglio di cosa stiamo parlando. Come ormai saprete i cdo sono dei pacchetti con un’obbligazione emessa dalla banca e con all’interno diversi debiti che cercano un investitore per coprirli, tra cui anche i tanto giubilati subprime.
Accade dunque che una banca che vuole dei finanziamenti emette questi cdo cercando credito, promettendo di ripagare il tutto con relativi interessi: in caso di mancato rimborso, però, la banca ci rimetterà i soldi investiti nel mutuato e i soldi da restituire all’investitore vedendo svalutare questi titoli e quindi anche il proprio portafoglio.
Cosa sono invece i re-remics? Un fondo di investimento in mutui ipotecari su immobili. In realtà si prendono un bel po’ di mutui, molti dei quali rischiosi, li si spezzetta, li si trasferisce in bond che vengono mischiati per bene e immessi nel mercato: una macedonia di cdo. Nei primi cinque mesi dello scorso anno, mentre la crisi esplodeva in tutta la sua virulenza, il volume di investimento in re-remics ha toccato quota 9,3 miliardi di dollari (il 47% di tutti i bond di debito emessi in quel periodo escludendo quelli di Fannie Mae e Freddie Mac, tre volte tanto rispetto allo stesso periodo del 2007).
Goldman Sachs, JP Morgan Chase e altre sei banche d’affari prima dell’estate si sono lanciate su questo mercato riassicurando pacchetti di investimenti che come cdo non riuscivano più a trovare mercato ma che come re-remics diventavano appetibili. Il perché è presto detto: i re-remics contengono meno di dodici tipi di bond a loro interno, quindi appaiono più analizzabili e soprattutto sono formalmente formati solo da debiti con rating AAA, sicurissimi sulla carta. Solo che la differenza tra i cdo subprime e i re-remics è quantomeno comica alla luce di quanto accaduto: nel primo caso si garantivano mutui a potenziali insolventi, nel secondo caso la controparte non è tenuta a provare il proprio reddito.
Ma non è tutto visto che grandi merchant bank e alcuni segmenti di hedge funds in questi giorni di turbolenza hanno creato desk appositi per l’acquisto di cdo e re-remics, investimenti che nel lungo termine possono risultare fruttuosi visto che prima o poi la crisi immobiliare finirà e il sottostante di quei veicoli sono beni immobili. Non male, alla faccia dei green shots borsistici, degli Stati che si svenano, dei cds sul rischio di default sul debito dei paesi dell’Est e baltici in continua crescita, della Cina che sbanda e degli Usa che - nonostante i buoni propositi - continuano a piazzare sul grande mercato delle riserve estere il debito sempre crescente.
Ma se l’atteggiamento di alcuni trader può apparire criminale (in effetti non lo è del tutto, l’evidenza storica sembra infatti mostrare che il rendimento medio di lungo periodo dei titoli “buoni” e dei junk bonds sia stato abbastanza allineato - ovviamente, basso e stabile il primo; grandi guadagni che si alternano a grandi perdite per i secondi. Nel caso specifico dei re-remics la spiegazione potrebbe essere che il prezzo è precipitato ed è ovviamente il momento di comprare: chi non ha problemi di deleveraging, eccessiva esposizione, può farlo con fondi propri e fa un affare), capire a quale gioco si stia giocando sul mercato delle commodities appare davvero un rompicapo. Ma di questo tema vi parlerò in un prossimo articolo.
La crisi corre verso altri disastri
di Mazzetta - Altrenotizie - 24 Agosto 2009
L'ottimismo sparso a piene mani da media e politici si é rivelato inutile e la crisi bussa di nuovo alle porte. Sembra ormai imminente uno shock ancora peggiore di quello dell'anno passato e non saranno certo le parole interessate dei demagoghi e di chi sta guadagnando anche dalla crisi a impedire la resa dei conti.
Se c'é una certezza è che le parole non sono mai bastate a saldare i conti e lo stato dei conti non é affatto migliorato dall'anno scorso, tanto più che i massicci interventi governativi sembrano essere finiti nuovamente nelle tasche dei finanzieri, aumentando significativamente il debito pubblico nelle economie avanzate senza effetti sensibili sui conti, sulla produzione o sull'occupazione.
Uno sguardo al maggior mercato mondiale, quello americano, e alla fabbrica-mondo cinese, non lascia dubbi. In Cina le fabbriche si svuotano e basta il dato del calo del 48% dei consumi elettrici a rendere la dimensione del calo della produzione reale nascosto dietro le dichiarazioni dei dirigenti cinesi, che cercano ovviamente di limitare il panico.
Negli Stati Uniti le cose sono più complesse, come si conviene a un'economia più sofisticata, ma non c'è alcun dubbio che si vada verso un altro schianto imminente. Come previsto, il massiccio intervento statale è stato incamerato dalla finanza statunitense e non poteva essere diversamente, visto che la task-force chiamata da Bush a “risolvere il problema” era composta degli stessi avidi incapaci (in realtà abilissimi) che hanno provocato il disastro.
Fidando nella copertura di un governo americano fin troppo amico e legato a doppio filo con l'elite finanziaria, i grandi player della finanza hanno incamerato gran parte dei fondi destinati al “salvataggio” dell'economia, senza mutare sostanzialmente i loro comportamenti; anche il pacchetto di “stimolo” deciso da Obama si sta rivelando funzionale agli stessi interessi (e non poteva essere diversamente).
L'attuale confronto sulla riforma sanitaria ha messo in chiaro che solo la lobby assicurativa è in grado di schierare sei lobbysti per ogni deputato statunitense, produrre vagonate di spot falsi e tendenziosi e persino di sollevare discrete folle di americani arrabbiati, convinti da repubblicani e lobbysti che l'introduzione di un'opzione per la copertura sanitaria pubblica significa delegare al governo il diritto di vita e di morte sugli anziani, ai quali verrebbero negate le cure perché conviene poco curarli vista l'età.
Non diversa la reazione delle corporation dell'energia al piano “verde” dell'amministrazione, che attraverso il finanziamento dell'American Petroleum Institute (API) stanno promuovendo una resistenza analoga a difesa dei propri profitti e bombardano di falsità l'opinione pubblica americana, promuovendo assurdità come il “carbone pulito”, spargendo falsità sulle energie alternative e negando in ogni modo l'esistenza della minaccia di cambiamenti climatici determinata dalle emissioni inquinanti.
Una marea di falsità auto-evidenti che però attecchiscono come le balle di Berlusconi grazie alla complicità di media e politici legati a filo doppio agli stessi interessi. Nonostante la sanità “privata” americana, che lascia molti cittadini e molte patologie senza copertura, costi il 17% del Pil americano a confronto del 10% mediamente impiegato dai paesi avanzati per coprire tutti i cittadini e tutte le patologie, sembra che la riforma sanitaria non passerà, lasciando al paese una palla al piede incredibile e altrettanto incredibili profitti alle corporation.
Non è un caso che gli Stati Uniti siano l'unico paese a continuare in questa scelta suicida. Un dato che le assicurazioni e la canea che finanziano riescono a oscurare, terrorizzando l'elettorato più ignorante e trasformando questa gente in folle di squilibrati arrabbiati che assalgono le riunioni volute dall'amministrazione per spiegare la riforma sanitaria.
Un clima che spiega benissimo come i grandi della finanza siano riusciti ad evitare le conseguenze del fallimento e siano restati saldamente in sella nel corso dell'ultimo anno. Anno trascorso a saccheggiare il saccheggiabile, attraverso le alchimie contabili ormai note e che permetterà loro, abbastanza incredibilmente, di lucrare compensi superiori a quelli degli anni passati. Un successo ottenuto socializzando parte delle perdite e investendo gli aiuti governativi in operazioni spericolate che, invece di ridurre il rischio sistemico, lo sta aumentando, come evidenzia il caso di Goldman Sachs.
Questa, dopo aver rinunciato allo status di banca d'affari e aver scelto di diventare una banca “normale” per ottenere gli aiuti governativi, sta ora operando spericolatamente in regime di “proroga”; ma non prima di aver cambiato le proprie regole contabili, “perdendo” il disastroso dicembre 2009 nel passaggio, potendo così annunciare profitti puramente teorici che ingrasseranno il management, ma non gli azionisti e nemmeno l'azienda nel lungo periodo.
Le operazioni di Goldman Sachs negli ultimi mesi hanno aumentato il rischio di sistema statunitense e i bonus dei suoi dirigenti senza altri vantaggi per nessuno. Non di meglio hanno fatto i concorrenti, che pur non potendo contare sugli ex-dipendenti nella cabina di regia dei salvataggi, hanno selvaggiamente approfittato della possibilità offerta dal governo di taroccare i bilanci valorizzando i titoli-spazzatura come se fossero buoni.
Citigroup ad esempio, già “salvata” dal governo e ora de facto di proprietà pubblica, conserva oltre 83 miliardi di dollari di assetti dal valore reale attualmente prossimo allo zero e parcheggiati in un capitolo contabile denominato “Special Asset Pool”, che di speciale non ha proprio nulla. Non diversamente fanno gli altri giganti della finanza.
Non potendo riempire i buchi, il governo americano ha infatti offerto a banche e finanziarie la possibilità di coprirli virtualmente, assegnando valori di fantasia a robaccia priva di valore in attesa di tempi migliori: una soluzione che ha le gambe corte e che sta già rivelando i suoi limiti. L'unica speranza di emendare veramente i bilanci, è l'avvento di una spirale inflazionistica che deprezzi il valore reale dei debiti; e già è all'opera un robusto partito che spinge per questa scelta, per nulla preoccupato dalle conseguenze devastanti che potrebbe avere per le popolazioni.
Di buone intenzioni sono lastricate le fosse, ma anche ammesso che le intenzioni fossero buone, i falliti della finanza internazionale (non solo gli statunitensi) hanno preso i soldi pubblici e hanno continuato a fare esattamente quello che facevano prima. Se i governi speravano che l'iniezione di soldi buoni nel sistema avrebbe riaperto le dighe del credito, si sono dovuti presto ricredere: i grandi prestatori al consumo stanno taglieggiando i piccoli consumatori, spingendoli sempre di più verso la miseria e le aziende non se la passano tanto meglio.
Persino Toyota ha dovuto accettare finanziamenti molto opachi legati alla sorte dei famigerati “derivati”, che continuano a circolare perché nessuno ha il coraggio di vietarli. A vuoto anche il tentativo di regolamentare il mercato di questi titoli tossici, stante la pretesa dei loro detentori di giungere a un regime fondato sull'auto-regolamentazione. Una chiara beffa che per il momento non ha avuto sbocchi lasciando il problema sul tavolo, più esattamente spingendolo sotto il tappeto.
Al quadro già pessimo si sono aggiunti comportamenti ancora più censurabili, come la corsa al trading ad alta frequenza, un'attività resa possibile dal vantaggio di una frazione di secondo nel conoscere le operazioni di borsa che alcuni grandi operatori ottengono pagando (legittimamente, pare) il New York Stock Exchange, e che poi sfruttano con computer potentissimi, lucrando senza fatica e con nessuna utilità per il sistema sulla massa delle operazioni finanziarie.
Nemmeno gli altri fondamentali dell'economia statunitense offrono conforto. I prezzi degli immobili restano sdraiati, dopo che si è avuta conferma che la crisi non è stata determinata dai mutui sub-prime e che la percentuale dei mutui immobiliari in default è in aumento costante, il settore inclina al pessimismo. Ormai è accertato che i “cattivi clienti” ai quali erano stati concessi i sub-prime (comunque una percentuale risibile sul totale) rispettano i loro impegni più dei clienti ritenuti solidi e garantiti che, travolti da una disoccupazione galoppante, sono ormai giunti all'esaurimento dei risparmi e degli ammortizzatori sociali, quando ce li hanno.
I valori di borsa hanno goduto di un effimero rally al rialzo che è durato qualche mese, per lo più determinato proprio dai tagli selvaggi dell'occupazione; che notoriamente in questa economia malata aumentano i valori di borsa delle aziende (ai quali sono legati i bonus dei dirigenti); operati anche da aziende più o meno sane, ma che a loro volta determinano e amplificano l'erosione del consumo, trascinando tutto il sistema nella spirale al ribasso.
Qualche centinaio di banche americane è in lista per il fallimento e nell'anno in corso falliranno più banche che durante il precedente, anche il recente crack di un gigante come Colonial BancGroup Inc. conferma la tendenza. Fallimenti che non mancheranno di scatenare effetti a catena in giro per il mondo.
Se la ricetta per la salvezza del sistema prevede la ripresa dell'erogazione del credito e il sostegno ai consumi, è fin troppo evidente che la finanza mondiale stia andando nella direzione opposta, incamerando i finanziamenti pubblici a coprire le perdite pregresse e a retribuire lautamente i maghi della finanza fin che si può. Non vi è traccia di responsabilità sociale ai piani alti dell'economia. I consumi, infatti, continuano a diminuire ovunque, anche se i media passano con la fanfara solo dati parziali che raccontano di minimi aumenti calcolati su dati già sprofondati nella tragedia.
Un'assenza di responsabilità che da diverso tempo è stata rilevata e stigmatizzata, ma alla quale nessuno sembra voler porre rimedio; difficile attendersi provvedimenti draconiani da una classe politica da tempo al soldo della grande finanza. Un'assenza di responsabilità che giunge addirittura ad intaccare l'istituto proprietario, fino al punto che negli Stati Uniti stanno lavorando attivamente per negare agli azionisti persino la possibilità di criticare le retribuzioni degli amministratori, con il risultato paradossale d'impedire ai proprietari di sindacare l'operato di quelli che, almeno formalmente, sono loro dipendenti, spesso strapagati e spesso responsabili di aver condotto le loro aziende sull'orlo del fallimento, mentre personalmente si arricchivano in misura oltraggiosa. L'immagine di un capitalismo che arriva a minacciare la proprietà privata dovrebbe preoccupare e smuovere anche i più adamantini sostenitori dell'attuale falsa economia di mercato, ma ancora non succede.
Una situazione tragica che non mancherà di esigere il conto e che è ancora in grado di travolgere e mandare a gambe all'aria l'intera economia globalizzata, costruita, come si è visto, su fondamenta di cartaccia, valori virtuali e falsità fin troppo reali. Non per niente la grande crisi del '29, alla quale si paragona l'attuale, durò anni e non lo spazio di qualche quadrimestre come commentatori e politici cercano di farci credere annunciando ormai da mesi l'arrivo della ripresa.
Nel nostro paese non andrà meglio che altrove e non abbiamo nemmeno bisogno di altri shock catastrofici per mordere la polvere nei prossimi mesi. Le sciocchezze sparse a piene mani dal gran bugiardo a capo del governo, non producono reddito e non riempiono le dispense. Il peggioramento dei conti pubblici è lì a dimostrare che il debito pubblico è destinato ad aumentare, anche se Tremonti non ha scucito un Euro a favore dei cittadini comuni ed è stato parco anche nel restituire multipli della ridicola “Robin Hood Tax” alle banche e distribuire elemosine agli imprenditori amici.
Anche in Italia tutti i dati macroeconomici volgono al peggio e la disoccupazione impennerà dall'autunno in avanti in coincidenza con l'esaurimento degli ammortizzatori sociali, che fino ad ora avevano consentito la sopravvivenza di disoccupati a cassintegrati. Previsioni pessime ed esiti inevitabili, tanto più che il ministro dell'economia non ha soldi in cassa e che il debito già enorme non consente politiche di spesa simili a quelle intraprese dai partner europei. L'ondata di mancati rinnovi contrattuali nel pubblico impiego, su tutti quelli nel settore dell'istruzione, aggiungeranno benzina al rogo delle speranze dell'italiano medio.
Tempi ancora più cupi all'orizzonte, quindi, aggravati dall'evidente incapacità della classe politica di ritrovare il filo del discorso e dall'avida irresponsabilità della classe imprenditoriale e finanziaria, nel nostro paese, più che altrove dipendente dagli aiuti pubblici. Un futuro che è facile prevedere sarà caratterizzato da una sequenza di shock destinata a ripetersi nel corso dei prossimi anni senza che nessuno dei responsabili o dei cantori di un'economia malata e insostenibile abbia il coraggio di dire basta e di accettare l'evidente necessità di pesanti riforme, giacché perdurando gli attuali assetti, non saranno certo loro a pagare il terribile prezzo di questa follia.
Verso un'economia sana
di Rudo de Ruijeter - www.courtfool.info - 4 Giugno 2009
Traduzione a cura di Carlo Pappalardo per www.comedonchisciotte.org
A volte il denaro viene definito la linfa dell'economia, ma quest'ultima, come la crisi creditizia ha clamorosamente dimostrato, richiede un apporto continuo di crediti: non appena le banche stringono i freni, le aziende falliscono e i licenziamenti di massa si susseguono a catena.
Siamo portati a credere che i problemi dei mutui subprime siano stati un mero incidente. Con un'iniezione megamiliardaria di capitali, qualche regola in più, e una supervisione un tantino più accurata, il sistema bancario riprenderà a funzionare in modo impeccabile; e, beh sì, poi ovviamente potremo avere di nuovo fiducia nelle banche.
La principale causa della crisi creditizia
La causa principale delle crisi creditizia è il sistema banca/denaro stesso. Il concetto cardine del sistema monetario è che il denaro entra in circolazione quando si eroga credito e svanisce quando il debito è stato rimborsato. Le banche occidentali devono rispettare due regole di funzionamento: (1) disporre di un capitale proprio pari a un mero 8% delle somme erogate [1], e (2) disporre di una certa liquidità agli sportelli per effettuare le transazioni richieste dai clienti e i pagamenti in contanti.
Attenendosi a queste due regole, è possibile prestare la maggior parte del denaro (alla Triodos il 65% [2], in altre banche molto di più) depositato dai clienti nei conti correnti e di risparmio, che viene poi speso da chi ha sollecitato il prestito e finisce su altri conti in altre banche. A questo punto i clienti della prima banca hanno ancora a disposizione il capitale contabilizzato nel proprio estratto conto, ma questo capitale è stato anche incluso nel bilancio delle banche depositarie finali, che sono quindi ora in condizione di erogare nuovi crediti. Il giro ricomincia, e ogni volta il bilancio delle banche si moltiplica.
Si tratta del cosiddetto "sistema bancario a riserva proporzionale" [3]. Le banche possono far fronte solo a una minima parte dei propri impegni, perché hanno prestato i soldi dei clienti (anche se questi hanno il diritto di chiederne immediatamente la restituzione), scommettendo sul fatto che non ritireranno mai denaro per un totale superiore a quello disponibile agli sportelli, e che, se necessario, la banca centrale correrà in loro aiuto. La percentuale minima che le banche non possono prestare (la cosiddetta riserva bancaria) può essere stabilita per legge (negli USA era 1:9), o, come in molti paesi, essere fissata dalla banca centrale (a mia conoscenza, prima della crisi la riserva bancaria nei Paesi Bassi era solo del 3%).
Ogni volta che qualcuno spende denaro ricevuto da una banca, il denaro passa a un'altra banca, che ne trae vantaggio prestandone a sua volta la maggior parte. Lo stesso capitale viene così prestato più e più volte: fino a 9 volte in un sistema 1:9, fino a 32 volte in un sistema che preveda una riserva bancaria del 3%. E ad ogni passaggio una banca lucra interessi.
Il rischio classico delle banche è che il prestito non possa essere rimborsato. Il rischio aumenta se il numero di nuovi prestiti concessi è inferiore a quello dei prestiti rimborsati: in tal caso il circolante diminuisce. In effetti, per l'industria bancaria un contesto in cui l'erogazione di danaro cresce in permanenza è più rassicurante, e la banca centrale se ne occupa (la cosiddetta inflazione 2%). Se necessario, le banche possono attingere alla banca centrale, usando come collaterali azioni od obbligazioni.
Anche quando il governo prende in prestito denaro il totale del circolante in un paese aumenta, ma naturalmente l'aumento è in massima parte dovuto all'effetto moltiplicatore realizzato dalle banche stesse. Quando cresce l'effetto moltiplicatore i prestiti possono essere rimborsati più facilmente, e inoltre si allarga il giro d'affari delle banche. Vi è quindi una naturale tendenza a erogare ogni volta percentuali più alte. Per ridurre i rischi, le banche possono dimostrarsi più esigenti sulle garanzie richieste ai clienti, ma una tale scelta significa ridurre le riserve bancarie.
Lo scopo della riserva bancaria è quello di mettere a disposizione denaro contante per i clienti e, soprattutto, per i pagamenti tra conti in banche diverse. Quando il cliente della banca A effettua un pagamento a favore di un cliente della banca B, una parte della riserva bancaria della banca A passa alla banca B; quando il cliente di un'altra banca effettua un pagamento a favore di un cliente della banca A, la riserva bancaria di quest'ultima aumenta nuovamente. Il denaro si sposta così continuamente da una banca a un'altra.
In passato potevano essere necessari fino a tre giorni per effettuare un pagamento a favore di un cliente di un'altra banca, e le banche avevano quindi bisogno di una grossa riserva bancaria. Ma da allora il sistema dei pagamenti è stato modernizzato: i pagamenti arrivano a destinazione in giornata, e così lo stesso denaro può essere usato per migliaia di pagamenti interbancari contemporanei. Per la compensazione reciproca degli ordini di pagamento basta una riserva bancaria limitata.
Le banche hanno anche fatto in modo che i clienti abbiano bisogno di ben poco denaro liquido: per cominciare, i datori di lavoro sono stati obbligati a pagare i salari su un conto bancario. Tutti hanno quindi dovuto usare assegni o bollettini di pagamento, e successivamente carte plastificate o pagamenti via internet. Nei Paesi Bassi già da qualche anno la carta bancaria viene sempre più richiesta anche per i piccoli pagamenti: le banche possono prestare un multiplo di ogni euro che non avete in tasca ...
Una sempre maggiore erogazione di denaro è necessaria per ridurre il rischio che il sistema crolli a causa dei rimborsi in sofferenza, ma d'altra parte l'effetto moltiplicatore finisce col generare una sua crescente instabilità e col ridurre le riserve di cassa. Quando una banca deve mettere in bilancio una perdita, non solo si riduce il capitale, ma anche, di solito, la riserva bancaria; se il capitale scende al di sotto dell'8% richiesto (in rapporto ai prestiti in essere), o se la riserva bancaria diventa troppo esigua, allora, secondo le norme in vigore, la banca è fuori gioco.
Nel 2007 i mutui subprime hanno fatto incagliare il sistema, ma in realtà la crisi avrebbe potuto esplodere a causa di perdite anche più grandi, ad esempio i prestiti al Terzo mondo: per dirla con parole semplici, le banche avevano riserve troppo esigue per poter far fronte alle perdite. E una volta che una banca si trova nei guai, i problemi possono facilmente diffondersi ad altri istituti, dato che, per ottimizzare i bilanci, gl'istituti bancari si prestano reciprocamente denaro o comprano titoli tra di loro. Il fatto che i mutui subprime siano stati impacchettati come prodotti finanziari complessi ha solo ampliato l'effetto, ma la causa principale della crisi non va cercata nelle perdite per i mutui subprime quanto piuttosto nella ridotta capacità strutturale delle banche di far fronte alle perdite. E questo come conseguenza della dinamica naturale insita nel "sistema bancario a riserva proporzionale".
Presi in ostaggio
In molti paesi i governi sono stati sollecitati a correre al salvataggio delle banche. La cosa è sorprendente, dato che il sistema bancario funziona al di fuori di qualsiasi controllo democratico: i direttori delle banche centrali hanno incontrato i ministri delle Finanze nel corso di riunioni internazionali (o di contatti personali) e hanno ottenuto finanziamenti inconcepibilmente alti a favore degl'istituti in difficoltà, finanziamenti che noi tutti garantiamo con i proventi delle future tasse. Le banche dovranno però pagare interessi di mercato su questi prestiti. Per dirlo in altro modo, li caricheranno sui clienti: voi e me. In effetti i ministri delle Finanze sono stati messi con le spalle al muro. Le banche non potevano fallire, erano troppo importanti.
In passato i parlamentari hanno rinunciato a esercitare il loro potere di controllo sulla moneta, perché non avevano la minima idea di cosa fosse e di come funzionasse il sistema; oggigiorno, quindi, sono le banche a decidere quanto denaro deve circolare e quanto devono pagare i cittadini per il servizio. L'effetto moltiplicatore ha portato a uno spostamento del centro di potere nei paesi: le banche prendono un numero sempre maggiore di decisioni d'investimento, mentre i governi ne prendono sempre meno.
E dal momento che c'è una quantità sempre crescente di denaro in circolazione, sempre più cose possono essere comprate; si è arrivati così a rinunciare, ad esempio, a gran parte delle funzioni di competenza dello Stato: servizi importanti per il buon andamento della società (come trasporti pubblici, poste, telefoni, distribuzione idrica e fornitura di energia) sono passati nelle mani di quelli che cercano solo benefici finanziari.
Le aziende private funzioneranno forse meglio, ma in effetti l'operazione nasconde un trasferimento di poteri grazie al "sistema bancario a riserva proporzionale".Noi pretendiamo ancora di vivere in una democrazia, ma il parlamento non ha voce in capitolo per quanto riguarda la moneta, uno dei più importanti fattori nella società. Per riportarne il controllo nel contesto democratico sono sufficienti alcuni piccoli cambi alle leggi. Disgraziatamente gli attuali parlamentari, con pochissime eccezioni, continuano a non capire niente del sistema monetario. È una vera disgrazia: riprendendone il controllo e riformando adeguatamente il sistema bancario, potrebbero bloccare immediatamente la crisi creditizia [4].
Riforma bancaria
Per sintetizzare, la riforma bancaria dovrebbe essere più o meno questa: la banca centrale diventa banca di Stato, alle dipendenze del ministero delle Finanze, con il diritto esclusivo di creare denaro per i finanziamenti. Il parlamento decide a quali tipi di finanziamento dare la priorità, nell'interesse della società. I prestiti vengono erogati a condizioni favorevoli. In tal modo il parlamento avrà un'influenza molto più importante nel modellare la società.
Le attuali banche commerciali diventano sportelli d'interfaccia tra pubblico e Stato e gestiscono titoli e conti correnti dei loro clienti per conto della banca di Stato, senza poterne però disporre liberamente e senza poter quindi gonfiare il bilancio. Possono però raccogliere fondi da dare in prestito.
Etica
Se il tesoriere del club sportivo locale investe di nascosto il denaro in cassa e si arricchisce, corre il rischio di essere condannato. Ma quando i banchieri fanno lo stesso usando il vostro denaro, restano in libertà.
Il ruolo corrotto delle banche è nato da parecchio tempo, quando gli orefici dapprima e i banchieri poi hanno cominciato a raggirare i propri clienti [5]. La sola differenza tra quel che succedeva in passato e quel che succede adesso è che il sistema è diventato ufficiale e la legge lo permette.
Naturalmente dei dettagli si parla il meno possibile: non troverete nessun sito di banche o di banche centrali che spieghi chiaramente come funziona una banca o come funzioni il sistema. E a scuola, tranne rare eccezioni, l'argomento non viene affrontato, anzi non viene nemmeno incluso nei programmi di studio della maggior parte dei corsi di economia.
È soprattutto dal 1913, dopo la nascita della Federal Reserve Bank statunitense, che in molti paesi i banchieri sono riusciti ad ottenere un proprio quadro giuridico di riferimento, ed hanno preso il controllo della moneta locale. In ciascun paese a una banca è stato assegnato il ruolo di banca centrale.
Il nome delle banche centrali è stato scelto in modo da far credere che si tratti di istituzioni governative, mentre, al contrario, sono del tutto indipendenti dal parlamento e dal governo: De Nederlandse Bank N.V. (1914), Bank of Canada (1935), National Bank of Danmark (1936), Deutsche Bundesbank (1957), Banque de France (1993), Bank of Japan (1997) e via di questo passo. Sulle banconote appare spesso il ritratto di re o statisti, e in molti casi l'illusione che il denaro sia dello Stato viene alimentata dal fatto che lo Stato si è accollato l'onere di coniare le monete metalliche. Anche su queste ultime ci sono spesso immagini di prestigio, e, se necessario, viene addirittura invocata la religione: sul fiorino olandese c'era l'iscrizione "Dio è con voi" e sulla valuta USA si può leggere "Abbiamo fede in Dio".
Crescita economica ininterrotta
Se il moltiplicatore monetario non ha dato luogo a problemi, ma ha addirittura impresso un forte impulso alla crescita economica, bisogna ringraziare il potenziale di crescita economica e la sempre maggiore disponibilità di materie prime e di energia nell'ultimo secolo.
La mia tesi è che l'odierno sistema bancario rappresenta un pericolo per il futuro dell'umanità. L'inflazione permanente, insita nel sistema, è un incitamento a un'attività economica sempre più frenetica che permetta di compensare la perdita di valore dell'unità monetaria e di ottenere una parte del denaro supplementare immesso in circolazione. Secondo il mio punto di vista, è da qui che nasce l'ostinata convinzione che l'economia debba crescere per essere sana (e non, ad esempio, per soddisfare il desiderio naturale della classe operaia di lavorare sempre più duramente).
La sostenibilità, invece, suppone un equilibrio con il nostro ambiente, che non cresce in parallelo al crescere dell'attività economica e della popolazione, ma ne viene anzi distrutto [6].
Dobbiamo sbarazzarci al più presto del nostro sistema bancario inflazionario e ridare il controllo della moneta a colui cui appartiene per natura in una democrazia: al parlamento.
Note:
[1] La clausola dell' 8% di capitale è una clausola standard dell'Accordo di Basilea del 1998, cui però si applicano una caterva di eccezioni. Ad esempio, per i prestiti assortiti di ipoteca sulla casa, le banche devono disporre di una controparte di capitale pari solo al 4% del finanziamento concesso. Per i prestiti ad altre banche la percentuale è di solito ancora più bassa, e nel caso di prestiti garantiti dallo Stato è pari allo 0%.
http://www.bis.org/publ/bcbs04a.htm & http://www.bis.org/publ/bcbs04a.pdf?noframes=1
Nel 2004 la Commissione europea ha proposto di abbassare il tasso dell'8% al 6% e quello del 4% al 2,8%.
http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=MEMO/04/178&format=HTML&aged=1&language=EN&guiLanguage=en
L'accordo Basilea II del 2006 offre ancora più possibilità alle (grandi) banche di scegliere il metodo più favorevole per determinare i propri rischi.
http://www.bis.org/list/bcbs/tid_22/index.htm
[2] Alla Triodos Bank viene erogato il 65%.
http://www.triodos.com/com/whats_new/latest_news/general/response_fin_crisis
[3] http://www.mises.org/story/2882#3 cfr. i capitoli Fractional Reserve Banking, Central Banking, Deposit Insurance. Si noti che Murray N. Rothbard (1926–1995) era un paladino del ritorno allo standard aureo, come ancora oggi, ad esempio, il congressista statunitense Ron Paul. Anche se comprensibile nella prospettiva storica americana, un sistema monetario basato sull'oro presenta numerosi inconvenienti. I paesi senza miniere dovrebbero comprare oro (il che vuol dire consegnare beni e servizi ai paesi con miniere) al solo scopo di disporre di mezzi di pagamento nazionali. All'arrivo di nuovi quantitativi di metallo prezioso sul mercato, sarebbero inoltre obbligati ad acquistarne una parte per evitare la svalutazione della propria valuta nei confronti dei paesi che aumentano le proprie riserve. Le industrie del settore minerario finirebbero con l'avere poteri sovranazionali superiori persino a quelli attuali della FED. L'oro non ha un valore stabile; il suo prezzo può essere influenzato dai detentori di grosse riserve (ad esempio le industrie minerarie e le banche centrali), ma anche da una schiera di piccoli acquirenti o venditori mossi dalla paura o dall'avidità. Tutte queste fluttuazioni possono costituire un pericolo per qualsiasi economia la cui valuta sia legata all'oro. Ancor più di oggi, l'oro genererebbe conflitti, oppressione e guerre.
[4] Le banche sono in crisi? Riformiamole!
http://www.courtfool.info/it_Le_banche_sono_i_crisi_Riformiamole.htm
[5] Segreti di denaro, interesse e inflazione
http://www.courtfool.info/it_Segreti_di_denaro_interesse_e_inflazione.htm
[6] La crisi energetica: una svolta per l'umanità
http://www.courtfool.info/it_Crisi_energetica_Una_svolta_per_l_umanita.htm
Dopo l’enorme successo di Euroschiavi, scritto a quattro mani con Marco Della Luna, Antonio Miclavez torna a denunciare quelle irregolarità del sistema bancario che hanno pesanti ricadute sulla vita quotidiana di ognuno di noi. Ma questa volta l’autore si spinge oltre, proponendo un concetto tanto semplice quanto osteggiato.
L’euflazione, vero e proprio neologismo attualmente bannato da Wikipedia, rappresenta quella quantità di denaro che dovrebbe essere messa in circolazione per mantenere un’economia sana. Dove sana significa a vantaggio dei cittadini, o meglio … della maggior parte di loro. Ne abbiamo parlato con l’autore.
Antonio Miclavez, inflazione e deflazione sono situazioni economiche di cui tutti parlano e che influenzano in maniera decisiva la vita di tutti, dal governo di uno Stato alla grande multinazionale, dalla famiglia al piccolo risparmiatore. Esiste però un terzo concetto di cui nessuno parla mai: l’euflazione. Di cosa si tratta?
"L’euflazione è la quantità di denaro adeguata a garantire stabilità ai prezzi e a facilitare le transazioni commerciali nel modo più agile e meno costoso. È la situazione più vantaggiosa per i cittadini, ma la più sconveniente per le banche. Le banche infatti si arricchiscono quando il denaro scarseggia, perché – creandolo dal nulla – possono prestarlo ai cittadini a tassi d’interesse estremamente alti. L’attuale mancanza di denaro in circolazione non è altro che il risultato di una strategia di arricchimento del cartello bancario".
L’euflazione è quindi una manna dal cielo per i cittadini. Ma allora perché nessuno ne parla?
"Perché è un concetto tanto semplice quanto fastidioso e perché la cultura finanziaria è manipolata dal cartello bancario. I media non ne parlano, i governi non la incoraggiano e gli istituti finanziari non la perseguono. Persino wikipedia l’ha bannata! Il mio nuovo libro nasce proprio per rompere questo muro di silenzio e denunciare al tempo stesso la falsità e la corruzione del regime monetario e finanziario internazionale".
Come farà l’euflazione a liberarci dall’inflazione e a salvarci dall’attuale crisi finanziaria?
"Quando il concetto di euflazione comincerà a circolare, sarà immediato comprendere che la messa in circolo di nuovo denaro rappresenta un contesto vantaggioso per l’economia dei cittadini. A quel punto il cartello bancario non potrà più giustificare la mancata messa in circolazione di denaro nuovo con la scusa che questo crea inflazione, ovvero troppo denaro".
Perché quindi leggere Euflazione. L’anello mancante dell’economia?
"Per renderci conto che la crisi di liquidità in circolazione è voluta dalle banche e che la soluzione è semplice: mettere in circolazione denaro a costo zero. Tanto per cominciare, il denaro necessario a sanare il cosiddetto debito pubblico si potrebbe avere a costo zero, se solo venisse creato dallo Stato e non dalle banche. Perché pagare le banche, che ormai posseggono quasi tutti i titoli di Stato? Ma soprattutto perché continuare a pagare un debito matematicamente insanabile?"
A chi si rivolge il libro?
"Ai cittadini che vogliono capire perché c'è la crisi pur essendoci risorse in abbondanza; ai docenti universitari di economia perchè, visto che la finanza è "creativa", è ora che inizino a insegnare quella che avvantaggia i Cittadini e non le Banche; ai Finanzieri, ignari esecutori in buona fede di un sistema fiscale al soldo delle Banche; alle società che sono nel discutibile business del recupero crediti, e senza rischiare in proprio, chiedono in nome dello Stato e con interessi da capogiro ciò che lo Stato dovrebbe riscuotere da sè a costi ben più contenuti; ai Presidenti d'Italia che hanno firmato il Golpe di Maastricht, cedendo definitivamente la sovranità monetaria a un organo privato sovranazionale; ai Governatori di Bankitalia, che vengano finalmente eletti dal popolo e non dalla Goldman Sachs; ai Commercialisti, che si rendano conto che applicando leggi che sanno essere ingiuste e anticostituzionali (come per esempio quella sullo studio di settore), diventano il tramite di un furto legalizzato che danneggia i loro concittadini; a chi è fallito, per fargli capire che forse non è stata solo colpa sua. E infine a chi vuole creare un mondo libero da un sistema bancario nemico dell'Umanità".
Intervista a Corrado Passera
di Paolo Annoni - www.ilsussidiario.net - 24 Agosto 2009
Ospite del Meeting di Rimini dove partecipa all’incontro “Affrontare la crisi e rilanciare le imprese: da dove partire?”, Corrado Passera, ad di Intesa Sanpaolo, parla a ilsussidiario.net della situazione del mondo finanziario e del rapporto banche-imprese. In particolare, Passera spiega come sia «importante sostenere quelle aziende che hanno problemi finanziari contingenti e non definitivi». Ci sono vari segnali positivi o meglio sono venuti meno alcuni segnali negativi. Il fatto che l’economia abbia smesso di calare in alcuni Paesi è un fatto positivo, ma ciò non è avvenuto in tutti i Paesi e in particolare non è ancora avvenuto in Italia. Occorre poi avere presente che non basta che l'economia non cali, ma è necessario che cresca in modo sostenibile per recuperare occupazione e assicurare la tenuta dei conti pubblici. È verosimile che nei prossimi mesi la crescita non sarà sufficientemente robusta e la ripresa possa forse manifestarsi nel 2010. Come Italia veniamo da un lungo periodo di crescita insufficiente, ora siamo in un periodo di calo e non sappiamo quando finirà la crisi. Dobbiamo fare di tutto per uscire dalla recessione. Tra pochi giorni sarà trascorso un anno dal fallimento di Lehman Brothers: secondo lei il sistema bancario internazionale in questi dodici mesi ha avviato un reale risanamento? Innanzitutto occorre precisare che alcuni Paesi hanno reagito meglio alla crisi finanziaria e altri hanno avuto maggiore difficoltà. In alcuni Paesi, come il nostro, le regole e i controlli hanno funzionato meglio mentre in altri Paesi, come l’Inghilterra e gli Stati Uniti, le regole e i controlli si sono dimostrati carenti. Questa mancanza di regole e controlli ha portato all’accumulo di attività finanziarie tossiche che speriamo in gran parte si siano assorbite. Contemporaneamente il sistema finanziario in una fase di grande recessione soffre per il deterioramento della qualità del credito. In particolare le banche commerciali stanno soffrendo per l’aumento delle sofferenze, degli incagli e di tutto ciò che è cattivo credito. Ciò indebolisce il sistema creditizio. Il nostro Paese ha reagito bene a questa situazione non facendo venire mai meno il credito all’economia. Il sistema bancario ha continuato a portare risorse sia a quella parte del sistema che ce la fa sia, con interventi di moratoria, a quella parte dell’economia che ha avuto maggiori difficoltà. Le istituzioni finanziarie devono far fronte sia alla necessità di preservare la propria solidità patrimoniale che a quella di non far mancare ossigeno al sistema produttivo. Come si possono conciliare utilmente queste due esigenze in una fase economica così delicata? Bisogna avere più coraggio, stando vicino a quegli imprenditori che hanno la lungimiranza di investire e continuare a crescere. Ovviamente il primo dovere della banca è quello di concedere il credito alle imprese che hanno le caratteristiche per reggere, e svilupparsi .La crisi globale si è originata proprio dall’aver dato cattivo credito e dall’aver finanziato creditori che non avevano le caratteristiche adatte. Adesso occorre rendersi disponibili sia ad aiutare quella parte dell’economia che ce la sta facendo e anche bene, sia quella parte dell’economia che pur essendo in difficoltà è comunque in condizione di andare avanti. Il sistema produttivo italiano è costituito da Pmi, spesso sottocapitalizzate, che hanno tra i propri punti di forza la capacità di innovazione... Le variabili chiave per la crescita delle aziende sono l’innovazione e l’internazionalizzazione; per le imprese italiane che sono molto spesso piccole e patrimonialmente deboli, tutto questo è più difficile. Intesa Sanpaolo si è sempre impegnata per favorire le imprese che si mettono insieme, si patrimonializzano e investono perché sono quelle che in futuro riusciranno a raccogliere le sfide. La banca può poi svolgere un ruolo di ponte tra imprese e università per la ricerca, così come svolgiamo un ruolo di ponte tra pubblico e privato per le infrastrutture. Intesa Sanpaolo è molto impegnata anche nel settore del non profit... Noi abbiamo creato Banca Prossima proprio per favorire le imprese sociali che hanno un compito sempre più importante da svolgere per costruire bene comune. Sono sempre di più i servizi alla persona che il privato non è interessato a svolgere e il pubblico non ha più le risorse sufficienti per farlo. La moratoria dei crediti promossa da Abi e Confindustria sotto la regia del Tesoro, cosa può cambiare nella concessione del credito? Intesa Sanpaolo aveva già sottoscritto un accordo simile con Confindustria a luglio e si era mossa in questa direzione, perciò possiamo solo accogliere con piacere il fatto che l’intero sistema abbia fatto lo stesso passo. È importante venire incontro a quelle aziende che hanno problemi finanziari contingenti e non definitivi perché diversamente verremmo meno ai nostri compiti di selezione del credito.