sabato 1 agosto 2009

RU486: la pillola indigesta al Vaticano

In un Paese come l'Italia il via libera, deciso pochi giorni fa dall'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), alla vendita della pillola RU486 non poteva ovviamente che scatenare le solite trite polemiche sull'aborto, con il ridicolo corollario delle scomuniche da parte del Vaticano.

Intanto il governo, tramite Sacconi, ha già chiesto all'AIFA "indicazioni certe circa i modi di utilizzo del farmaco affinché esso sia vincolato nella prassi al rispetto dei profili della legge attraverso l`individuazione di un percorso attentamente definito per l`interruzione volontaria di gravidanza farmacologica".

E oggi l'AIFA ha risposto che fornirà tutte le indicazioni per l'utilizzo della RU486, attraverso una delibera del Cda, che saranno pubblicate poi sulla Gazzetta Ufficiale intorno a metà settembre.
Il direttore generale dell'AIFA Guido Rasi, ha infatti assicurato che "Dopo questa pubblicazione tutte le procedure che non rientreranno nelle indicazioni date saranno fuorilegge: si mettera' fine al Far West che c'e' ora nell'utilizzo della pillola" [...] i medici dovranno trattenere la paziente fino all'espletamento della procedura di espulsione del feto, che sarà accertata presumibilmente ad una diagnosi ecografica. Se non ci sono rischi di sanguinamento la paziente può andare a casa [...] La durata del ricovero andrà da un giorno e mezzo a 4 giorni, e tutta la procedura avverrà esclusivamente in ospedale".

Comunque questa volta sarà difficile per il Vaticano far cambiare idea al governo, visto anche che la moglie di Sacconi è Enrica Giorgetti, direttore generale di Farmindustria....


A settembre la vendita in farmacia e le Regioni non possono bloccarla
di Michele Bocci - La Repubblica - 1 Agosto 2009

Quando arriverà negli ospedali italiani la Ru486?
"Il farmaco dovrebbe essere disponibile nei reparti di ginecologia a settembre. La delibera approvata giovedì dall'Aifa nei prossimi giorni sarà trasmessa alla Gazzetta Ufficiale per la pubblicazione, che sancirà l'ingresso definitivo della Ru486 nel prontuario farmaceutico italiano".

Come avverrà la somministrazione del farmaco?
"Alla donna saranno date tre compresse di Ru486. Il trattamento dovrà avvenire entro la settima settimana di gestazione (per l'aborto chirurgico il limite è di 12 settimane e 6 giorni). Nel 70% dei casi l'interruzione di gravidanza avviene entro le 4 ore, nel restante 30% entro 24. Almeno 36 ore dopo il primo farmaco verrà data alla donna una prostaglandina per indurre l'espulsione del materiale abortivo, che avviene dopo meno di 4 ore".

Il ricovero sarà obbligatorio?
"La permanenza della donna in reparto durante la procedura, cioè dalla prima somministrazione all'espulsione, è uno dei punti su cui si concentrano parte delle polemiche di questi giorni. L'Aifa ha chiesto che nel rispetto della legge 194 alla donna sia "garantito il ricovero in una struttura sanitaria dal momento dell'assunzione del farmaco sino alla certezza dell'avvenuta interruzione di gravidanza". E' però un dato di fatto che nessuno può essere obbligato a restare in ospedale (salvo in caso di trattamento sanitario obbligatorio, di solito giustificato da problemi psichiatrici). La donna teoricamente potrebbe firmare dopo aver preso la Ru486 e tornare a casa".

Quanto costerà e chi pagherà il farmaco?
"Il costo della Ru486 è stato stabilito dall'Aifa circa un mese fa: 14,28 euro per la confezione da una compressa, 42,80 per quella da tre. La spesa sarà a carico del servizio sanitario nazionale, visto che si tratta di un farmaco di fascia H, cioè somministrato esclusivamente all'interno di una struttura ospedaliera".

Quante italiane che decidono di interrompere la gravidanza la useranno?
"Non è facile dare un dato sicuro. In certi ospedali, come quello di Pontedera dove la Ru486 è stata introdotta 4 anni fa, gli aborti farmacologici sono il 20% del totale. "Oggi - dice il ginecologo torinese Silvio Viale - la quota delle interruzioni sotto la settima settimana non supera il 5%. Con la Ru486 questa percentuale è destinata ad aumentare"".

É possibile che una Regione rifiuti di introdurre nel suo sistema sanitario la pillola?
"No, perché la registrazione nel prontuario farmaceutico è un atto amministrativo che autorizza l'uso del medicinale in Italia. Negare il farmaco dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale equivarrebbe a non rispettare i Livelli essenziali di assistenza, cioè le prestazioni che tutte le Regioni sono obbligate ad erogare ai cittadini. Medico e donna a cui viene negato il farmaco potrebbero aprire un contenzioso nei confronti della Regione".

Quanto è stata usata fino ad ora nel nostro paese la Ru486?
"Sono 26 gli ospedali italiani dove è stato somministrato il farmaco, prevalentemente acquistandolo direttamente dalla casa produttrice. Nel 2005 è stato usato in Piemonte e Toscana, per un totale di 132 casi. Nel 2006 si sono aggiunte Emilia Romagna, Marche e Provincia autonoma di Trento, per un totale di 1.151 casi. Nel 2007 anche la Puglia ha iniziato a somministrarlo e i casi sono stati 1.010, cioè lo 0,8% di tutte le interruzioni di gravidanza".

Come funziona la pillola abortiva?
"Blocca il progesterone, un ormone fondamentale per lo sviluppo della gravidanza. Inibisce lo sviluppo embrionale e causa il distacco e l'eliminazione della mucosa uterina, un processo simile a quello che avviene durante le mestruazioni".

Quali sono le controindicazioni e gli effetti collaterali?
"Non può essere somministrata a chi prende anticoagulanti o cortisonici. É gravemente controindicata in caso di gravidanza extra-uterina. Tra gli effetti collaterali ci sono dolori addominali, nausea, vomito e emorragie. In questi giorni si è parlato molto dei decessi. Sono stati 29 negli ultimi venti anni, come hanno detto i detrattori delle Ru486 citando un documento della stessa ditta produttrice, la Exelgyn. La pillola abortiva è stata somministrata ad oltre un milione e mezzo di donne in Europa e a più di 650 mila negli Usa".


La volontà di punire
di Natalia Aspesi - La Repubblica - 1 Agosto 2009

I nemici della pillola Ru486 hanno trovato un nuovo slogan per combatterla, anche adesso che è stata approvata dai sapienti componenti dell'Agenzia italiana per il farmaco: il suo uso indurrebbe a una "clandestinità legale" chi affronta con quel metodo una interruzione di gravidanza.

Anche se verrà somministrata solo in ospedale, che non si può definire un luogo propriamente clandestino. Come slogan non ha alcun significato, ma consente di riavvicinare alla parola aborto la parola clandestino, cioè a ricacciare quel drammatico evento esclusivamente femminile nell'ombra non solo del peccato ma anche in quella del crimine.

Ancora una volta donne assassine, sia pure in modo legale. Insomma, criminali legalizzate. Sono almeno trent'anni, da quando si cominciò a parlare di una possibile pillola abortiva, che fu giudicata ancora più diabolica dell'intervento chirurgico, pur spaventoso; è da più di venti, da quando in Europa ha cominciato ad essere prescritta negli ospedali e in alcuni casi venduta nelle farmacie (e adesso anche su Internet), che in Italia la si combatte con tanta fermezza che ogni tentativo di introdurla e sperimentarla alla luce del sole, cioè legalmente, è stato contrastato e fatto fallire. Naturalmente la guerra non è finita: agli obiettori di coscienza dell'intervento chirurgico si aggiungeranno quelli della pillola: a meno che, e questo sarebbe un imprevisto capovolgimento, pur di impedire l'uso luttuoso della stessa, si finisca con ritenere un male minore l'aborto tradizionale.

Tra i detrattori della povera Ru486 ci sono quelli che sbandierano i 29 decessi che avrebbe causato non si sa in quanti anni né in quanti paesi: sinceramente quando l'aborto era clandestino e quindi illegale, e al posto della chirurgia c'erano i ferri da calza e della pillola il decotto di prezzemolo, erano migliaia all'anno le donne che morivano. E a meno che ai nostri difensori dell'embrione interessi solo la sopravvivenza delle donne portatrici dello stesso, e da tener quindi lontane dalla eventuale pericolosità della pillola, bisognerebbe impedire agli italiani tutti di guidare la macchina visti i più di 5000 morti l'anno sulle strade, e anche in alcuni casi di lavorare, contando i tre morti al giorno su impalcature, pozzi, fornaci eccetera.

Clandestinità legale e decessi sono le solite espressioni di stanca ipocrisia che si ritengono dovute per ragioni politiche e non certo morali. Allora paiono più accettabili gli anatemi terrorizzanti che neppure Savonarola avrebbe pronunciato e che richiamano antichi dipinti popolari pieni di diavoli che strappano la lingua o impalano dal di dietro certi poveri nudi peccatori.

In questi casi non ci si attiene alla realtà e alla logica, ma all'apocalisse più punitiva.
"Veleno letale" è una bella espressione forte, vaticana, ancora più forte "pesticida umano", lanciato come un dardo dal vescovo di San Marino. Il più savio da quelle parti è monsignor Fisichella che ricorda, come è giusto per lui, come è l'aborto in sé ad essere per un cattolico peccato grave, così grave da meritare la scomunica, come ricorda monsignor Sgreccia, appellandosi però non alle coscienze morali e religiose delle persone, ma al solito governo, perché si svegli dal suo torpore sul tema.

La parlamentare Carlucci tuona, tanto per dire una sciocchezza, "si legalizza l'aborto fai da te", colpa naturalmente della sinistra anche se molte sue colleghe di coalizione, più accorte, o tacciono o non hanno nulla in contrario. C'è chi da gentiluomo, come il sottosegretario Mantovano, vuole soccorrere le donne che si sa sono sempre incapaci e sventate e guai ad abbandonarle a se stesse come avverrebbe con la pillola. Brilla come sempre per pugnace crudeltà il presidente del Movimento per la Vita Carlo Casini, al fronte antiabortista sin dagli anni 70, e da allora non si è mai fermato. Il suo timore è che la pillola banalizzi l'aborto, che le donne, inaffidabili, la prendano come un bicchier d'acqua, non percepiscano l'abisso del loro gesto, non soffrano abbastanza ed estinguano il senso di colpa e il rimpianto in meno di cent'anni.

Ci sarebbero altre cose da dire, poi viene in mente che da anni si dicono sempre le stesse, anno dopo anno, non solo contro la legge che consente l'interruzione di gravidanza (quella clandestina non interessa), ma anche contro la prevenzione, gli anticoncezionali, i condom, ugualmente degni di scomunica. Si vorrebbe che almeno per una volta visto che siamo anche noi, povere italiane, cittadine d'Europa più che del Vaticano, non si facesse tanto ripetitivo casino attorno a quell'interruzione di gravidanza che non sarà mai sconfitta né da leggi proibizioniste, né da anatemi vescovili, né dal dolore individuale o dal senso di irrimediabile perdita: perché questa è la vita delle donne, oggi di quelle più povere, più abbandonate e più sole, e meno male che adesso c'è (speriamo) la Ru486.


RU486. Le madri cattive
di Rosa Ana De Santis - Altrenotizie - 31 Luglio 2009

Via libera dall’AIFA (Agenzia Italiana del farmaco): la pillola abortiva RU486 potrà essere commercializzata negli ospedali ed utilizzata entro la settima settimana di gravidanza. Con ritardo e alla fine di un dibattito ingessato in apologie di fede, finalmente l’Italia si allinea ad altri Paesi Europei. La voce del No tuona dal Vaticano, che minaccia scomuniche per quanti la prescriveranno e quante vi faranno ricorso. Tuona anche dai cattolici seduti in Parlamento, che ufficialmente reclamano maggiori chiarimenti sugli effetti collaterali del farmaco, ma che sotto banco s’indignano per un’accessibilità probabilmente più fluida, meno irta di ostacoli e più ampia al diritto dell’aborto che, allo stato attuale, pur con la sacrosanta legge 194, continua a veicolare - per come viene spesso applicata dalle istituzioni preposte - una subcultura di sospetto e controllo psicologico e corporeo sulle donne che decidono di interrompere la gravidanza.

Che non si tratti di un farmaco ad uso e consumo “fai da te” è stato ampiamente ribadito. Che sarà per questo utilizzata in ambito ospedaliero, l’ha ribadito l’assessore alla Sanità della Regione Emilia-Romagna, Bissoni. Che non sia da confondere con la pillola del giorno dopo, considerata come “contraccettivo d’emergenza”, per composizione e metodo di dosaggio ed azione, è stato chiarito. Ma la posizione dominante del dibattito di casa nostra è sempre quella della “china pericolosa”, del rischio incontrollato e delle conseguenze cosiddette indirette.

Non si parte mai dal presupposto che il farmaco sarà dispensato in modo corretto e che le donne che vi ricorreranno saranno ben informate e consapevoli dell’azione che compiono. E’ questa l’altra faccia del paternalismo. Il medico che guida, lo Stato che decide, la Chiesa che insegna la morale per cittadini, i quali - se ne deduce - sono poco più che inetti e incapaci di scegliere. Il trittico che inchioda gli italiani al regresso della cultura morale è esattamente questo.

Al fondo c’è la storia di un paese che non è confessionale sulla carta, ma che il diritto all’aborto non l’ha digerito. Ha tradotto la problematicità morale di una scelta difficile e articolata con la tentazione di restringere il diritto il più possibile, di sopportarlo, di collocarlo in una zona d’ombra che non è più clandestina per legge, ma che lo rimane nella cultura diffusa. Se l’aborto conserva lo status a priori di azione sbagliata nell’opinione pubblica, è soprattutto perché non esiste il riconoscimento pieno dell’autodeterminazione delle donne.

L’idea che colei che vuole abortire possa essere aiutata in termini economici per decidere diversamente, o che sia spesso raccontata come una donna di basso profilo culturale, o come una donna dai costumi leggeri che ricorre all’aborto come un contraccettivo qualunque, è un modo, soltanto più sofistico, di non riconoscere come pienamente legittima la scelta di una donna che ricorre all’aborto.

Accanto a questa clandestinità diffusa esiste un problema parallelo che è quello del pensiero del dolore. Un marchio italiano. Entra e si diffonde come un’arteria in ogni spazio del pensiero morale. L’equazione tra sofferenza e rigore morale è piuttosto implicita e scontata. E’ la croce, un simbolo che vale un pensiero unico. E, come ci insegna la dottrina, se questo vale per tutti, vale un po’ più per le donne che nel dolore di Eva dovranno partorire, figurarsi abortire.

Distillare sofferenza sembra essere propedeutico a una maggiore comprensione della gravità morale della propria scelta o forse, molto più volgarmente, a comminare punizioni - meritate dice la società giusta - per il peccato commesso. L’idea che l’aborto possa diventare non chirurgico, meno invasivo, più tollerabile per il corpo delle donne, sembra da un lato un modo per assolvere la Medea, dall’altra l’invito ad abortire con disinvoltura.

Desta panico, par di capire, la via farmacologica all’interruzione di gravidanza, anche perché azzera del tutto i ruoli di quanti, all’interno dell’ospedale, sul dolore e sul dramma delle donne che faticosamente scelgono, s’impiegano a tempo pieno come delegati urbi et orbidel senso di colpa. E persino gli uomini, la cui condivisione della scelta e il cui supporto è auspicato, trovano minore rilevanza nell’ingestione di una pillola che in un intervento chirurgico. Pur senza nessuna superficialità, senza l’ombra di disinvoltura, ora le donne acquistano ulteriore libertà, autonomia, responsabilità. Questo spaventa.

E lo spavento, quando non dispone di scomuniche, si dota di dichiarazioni scomunicanti di aspiranti tutori della pubblica morale. Su tutte, le dichiarazioni dell’on. Volontè, che riemerge dal sarcofago solo quando le donne assurgono a notizia invece che a veline. Emblematiche per il taglio catechistico, per la faziosa lontananza dai termini autentici del problema. La medicina e la paura degli effetti del farmaco come scusa per una restrizione del diritto all’aborto, inteso anche come diritto delle donne a scegliere. La cultura che Volontè definisce mortifera, è invece solo cultura. Punto. Senza inquinamenti pubblici di dogmi e derivati.

La cantilena è la stessa che abbiamo sentito persino sul vaccino contro il cancro dell’utero, sia nella sua forma tetravalente che bivalente. La scusa erano i protocolli, le reazioni collaterali, i rischi. Quelli che sono presenti in tutte le casistiche dei farmaci, persino dei banali antidolorifici. La ragione sostanziale era il timore che il vaccino potesse deresponsabilizzare e indurre le adolescenti, le candidate migliori, ad avere una normale e consueta vita sessuale. Potremmo chiamarlo il serio e il vecchio male di tutta la farmacia allopatica. L’ospedale pubblico sarà garante massimo su questa linea.

Vorremo scandalosamente osare di più. Ci piacerebbe pensare ad uno Stato davvero laico, nel quale negli ospedali pubblici fosse rispettata talmente in toto la legge e i diritti contemplati da mettere al bando le restrizioni penalizzanti, de facto dovute alla presenza degli obiettori di coscienza. Obiezione che dovrebbe diventare talmente legittima e riconosciuta da mettere i medici e farmacisti obiettori nelle condizioni di andare a lavorare in strutture religiose e non più negli ospedali della Repubblica Italiana o nelle farmacie comunali. Obiezione che rende le donne cittadine di serie B, meno tutelate e meno riconosciute da un diritto che, ancora una volta, parla a tutti ma intende maschi, penalizzando la libertà delle sole donne.

Quanto alla scelta e alla responsabilità che la governa, il vero nervo scoperto dell’affanno veterodemocritiano, non c’è garanzia che lo Stato possa istituire per legge un’assicurazione su un tema che è rigorosamente privato. Bisogna rassegnarsi. Sarà sovrano l’esercizio di responsabilità di ogni singola donna.

L’attacco alla RU486 è un attacco volgare ed ignorante all’aborto e va denunciato per quello che è. Se questa pillola consentirà alle donne di interrompere una gravidanza prima di arrivare alla 194, questo non genererà automaticamente una facilitazione emotiva e di pensiero alla scelta di non diventare madri. Chi pensa questo riduce la maternità all’essere gravida. Un dato sconfessato dal patrimonio culturale del pensiero delle donne e da un conseguente riscatto sociale che questo Paese, vecchio e troppo padre, non ha ancora perdonato.