venerdì 28 agosto 2009

Il Libano finalmente verso un governo di unità nazionale

In Libano, a quasi tre mesi dalle elezioni, le estenuanti negoziazioni per raggiungere l'equilibrio necessario a formare un nuovo governo sembrano essersi concluse positivamente, anche se persistono tuttora alcuni interrogativi riguardo ai tempi per la sua entrata in carica ufficiale.

Ma tutto lascia supporre che un governo di unità nazionale, con all'interno anche Hezbollah, vedrà presto la luce. D'altronde è una strada obbligata per il Paese, se vuole mantenere una relativa stabilità interna.

Inoltre ieri con un voto unanime e senza modificarne i compiti, il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha esteso sino al 31 agosto 2010 il mandato del contingente Unifil di 12 mila soldati, presente nel Libano meridionale.


Ma di fronte a tutto ciò, Israele non resterà di certo a guardare con le mani in mano...


Libano, la mossa di Hariri
di Christian Elia - Peacereporter - 27 Agosto 2009

''Il governo di unità nazionale includerà anche Hezbollah, che a Israele piaccia o meno. Gli interessi del Libano richiedono che tutte la parti in causa vengano coinvolte in questo esecutivo''. Poche parole quelle di Saad Hariri, ma diritte al nodo gordiano della questione.

Mossa a sorpresa? Hariri, il figlio dell'ex premier libanese Rafik assassinato a Beirut a febbraio del 2005, guiderà quindi un esecutivo di unità nazionale, che vedrà seduti l'uno al fianco dell'altro ministri del gruppo '14 marzo', quello dello stesso Hariri, e gli acerrimi nemici del blocco '8 marzo', che comprende il partito sciita filo iraniano Hezbollah e i cristiani guidati dal generale Aoun.

Le elezioni, all'inizio di giugno scorso, sono state vinte dalla coalizione di Hariri, che aveva cavalcato i temi noti fin dai tempi dell'assassinio del padre: l'opposizione alle ingerenze iraniane, la necessità di disarmare Hezbollah (che controlla il Libano meridionale), la vocazione 'occidentale' di un Paese che mira a ritenersi nella sfera d'influenza degli Stati Uniti e in buoni rapporti con Israele.

Hariri più di una volta durante la campagna elettorale aveva ammonito i libanesi a non dare fiducia a Hezbollah, la cui vittoria sarebbe stata causa a suo dire di un nuovo attacco israeliano sul Libano come quello dell'estate 2006. Dopo la vittoria elettorale, che garantiva al blocco guidato da Hariri 71 seggi contro i 58 degli avversari nell'Assemblea di Beirut, i giochi sembravano fatti per un governo che escludesse Hezbollah, entrato nel governo di unità nazionale che ha gestito il Paese dopo l'attacco israeliano nel quale i ministri sciiti avevano avuto potere di veto.

Ieri, all'improvviso, la svolta. Inattesa, però, solo per coloro che non avevano già intuito che un accordo era nell'aria da tempo. Avevano lasciato di stucco, infatti, a poche ore dallo scrutinio dei voti, le tempestive ammissioni di sconfitta del generale Aoun e di Hezbollah. Alcuni osservatori internazionali non si erano ancora pronunciati sulla trasparenza del voto, che già gli avversari di Hariri incoronavano quest'ultimo quale legittimo vincitore della tornata elettorale.

Oggi, dopo due mesi, Hariri esce allo scoperto e rende ufficiale quello che tutti sanno: nessuno può governare il Libano senza Hezbollah. Troppo forte e organizzato il partito armato per tagliarlo fuori dalla gestione del potere in un Paese da sempre diviso in tre anime: cristiani, musulmani sciiti e musulmani sunniti. Sarebbe stato come premere un pulsante per dare inizio alla guerra civile, che in Libano dal 1975 al 1990 ha causato la morte di centinaia di migliaia di persone. D'altra parte, Hezbollah è consapevole che non potrà mai aspirare al dominio assoluto sul Libano, perché troppe sarebbero le resistenze interne ed esterne a questa evoluzione.

Israele alla finestra. Il governo israeliano, come era prevedibile, non ha reagito con gioia alla notizia. Il premier di Tel Aviv Benjamin Nethanyau ha commentato che, con Hezbollah al governo, Israele riterrà colpevole l'intero esecutivo senza distinzioni di un eventuale attacco. La sensazione, però, è che il governo israeliano tenga pubblicamente un atteggiamento duro, ma che nelle staze degli ambienti diplomatici abbia già accettato l'idea di un coinvolgimento politico di Hezbollah.

Alla fine anche a Tel Aviv conviene che un partito come Hezbollah sia più coinvolto nell'ambito della politica che in quella della lotta armata. Il movimento sciita, per altro, ha mostrato di non aver alcuna intenzione bellicosa, dando la caccia a quei gruppi di miliziani che avevano tirato razzi sulle cittadine settentrionali israeliane. Adesso si aspetta di conoscere la composizione del governo, ma per molti osservatori i posti da ministro saranno ripartiti 15 a 10 in favore del blocco di Hariri.

Quest'ultimo si troverà a presiedere un Consiglio dei Ministri dove sederanno alcune persone che Hariri ritiene coinvolti nell'omicidio del padre. Ma i libanesi non si stupiscono più di niente.


A tre mesi dal voto il Libano non ha ancora un governo
di Carlo M. Miele - www.osservatorioiraq.it - 27 Agosto 2009

A quasi tre mesi dal voto il Libano è ancora privo di un governo.

Più arduo del previsto si sta rivelando il compito di Saad Hariri, rappresentante della maggioranza filo-occidentale 14 Marzo, incaricato lo scorso 27 giugno di mettere in piedi un esecutivo di unità nazionale.

In base al sistema confessionale previsto dalla Costituzione libanese, la compagine di governo dovrà includere gli esponenti delle maggiori comunità musulmane e cristiane del Paese, ossia anche i rappresentanti del blocco 8 Marzo, sconfitto alle elezioni dello scorso 7 giugno, tra cui gli sciiti del movimento Hezbollah e i cristiani del generale Michel Aoun.

Al termine di lunghe trattative, le due parti si sono accordate su una formula che prevede l’assegnazione di 15 seggi alla maggioranza, 10 all’opposizione e 5 di nomina presidenziale, ma non sono riuscite a trovare un intesa sui vari dicasteri.

Nodi interni e internazionali

A creare maggiori problemi ad Hariri – secondo quanto riportato dai media libanesi – è Michel Aoun, leader del Movimento libero patriottico, che chiede sei ministeri (tra cui quello dell’Interno) e la conferma di suo cognato, Gibran Basil, a capo delle Telecomunicazioni.

Incertezza sta creando anche il riposizionamento di Walid Jumblatt, leader druso e pilastro della coalizione 14 Marzo, che all’inizio del mese ha fatto sapere che la sua presenza all’interno della maggioranza filo-occidentale non è più scontata.

Ma sull’assetto del futuro esecutivo di Beirut gravano anche gli equilibri regionali. Non è un caso che nelle ultime ore il partito di Hariri, al-Mustaqbal, se la sia presa proprio con l’ingerenza delle forze straniere.

A condizionare la vita politica libanese sono innanzitutto i contrasti tra Arabia Saudita e Siria, a cui sono legate rispettivamente maggioranza e opposizione libanese. Secondo diversi analisti, sarà difficile trovare un equilibrio all’interno del Libano fino a quando non vi sarà un miglioramento delle relazioni tra Riyadh e Damasco.

Peso analogo ha l’atteggiamento di Israele. Proprio ieri Hariri ha risposto allo Stato ebraico, che aveva minacciato ritorsioni in caso di inclusione di Hezbollah all’interno del nuovo governo, confermando la presenza del movimento islamico “che Tel Aviv lo voglia o meno”.

Insofferenza

Intanto in Libano lo stallo attuale sta creando sempre più insofferenza..

L’associazione vicina alla maggioranza Multazimun (Impegnati), che riunisce giornalisti, intellettuali ed esponenti della società civile, è scesa in piazza a Beirut per protestare contro gli ostacoli interni e regionali che impediscono la nomina del nuovo esecutivo di unità nazionale.

La situazione attuale non piace nemmeno al presidente della Repubblica, Michel Suleiman, che ha chiesto ad Hariri e alle altre parti coinvolte di velocizzare il completamento della formazione del governo per non allungare il vuoto nel potere esecutivo, ed evitare così una impasse già più volte sperimentata dal Libano con risultati deleteri.

La formazione del nuovo governo, in ogni caso, non è attesa a breve. Le previsini degli analisti variano tra la fine del mese di Ramadan (seconda metà di settembre) e l’inizio del 2010.

"Finché i contatti continuano, tanto a livello locale che regionale, non bisogna perdere la speranza”, ha dichiarato all’agenzia spagnola Efe una fonte anonima vicina al presidente del Parlamento Nabih Berri. "Una sorpresa è sempre possibile”.


Giochi libanesi
di Marcello Brecciaroli - Peacereporter - 27 Agosto 2009

La coalizione guidata da Hezbollah ha perso le elezioni del mese scorso, oggi però il presidente Hariri vuole farli entrare nel governo. Israele storce il naso e tutti sembrano minacciare tutti. Cerchiamo di fare il punto della situazione con il professor Nicola Pedde, direttore del think tank di studi strategici Global Research, dell'Institute for Global Studies e editor della rivista Journal for Middle Easthern Geopolitics.

Professor Pedde, il presidente libanese Hariri ha dichiarato che Hezbollah entrerà a far parte del suo governo: siamo alla riedizione di un governo di unità nazionale cme quello precedente le elezioni?
L'ingresso di Hezbollah nel governo è anche parte di un processo di trasformazione interna al movimento. L' Hezbollah di oggi è molto diverso da quello che era due anni fa, così come è diversa la sua capacità di poter giocare un ruolo positivo all'interno di un governo. Oggi ha delle priorità e delle prospettive che sono senza dubbio differenti da quelle del passato.

Durane la campagna elettorale il blocco cristiano guidato da Michel Aoun ha sostenuto che includere Hezbollah in un governo è anche l'unico modo per disarmarlo.
Indubbiamente l'inclusione e quindi la trasformazione di Hezbollah in un elemento del processo di dialogo è una strategia vincente. Questo è stato premiante in molti casi nella regione, l'Organizzione per la Liberazione della Palestina (Olp) è forse l'esempio più calzante in questo senso. Che poi l'Olp non abbia avuto la capacità di rigenerarsi e quindi si sia suicidato da un punto di vista politico è un altro discorso, ma il fatto di averlo incluso nel processo politico ha contribuito enormemente a demilitarizzarlo.

Perché, stando a quanto sostiene Hariri, è assolutamente indispensabile inserire Hezbollah nel governo?
Perché Hezbollah è la forza politica probabilmente più importante del Libano a livello organizzativo e di controllo capillare del territorio. Averli contro la vedo come una mossa se non suicida quantomeno controversa. Sono senza dubbio una realtà imprescindibile della politica e soprattutto della società libanese.

Però Hariri ha vinto le elezioni anche ponendo l'accento sul fatto che una vittoria di Hezbollah avrebbe riproposto il rischio della guerra con Israele. Adesso questo pericolo non c'è più?
Io non credo che Hezbollah abbia alcun interesse oggi a scatenare un conflitto con Israele.

Quindi lei non vede la mossa di aver ammassato 40mila razzi al confine con Israele come un'esibizione di forza e una minaccia?
Queste minacce vanno innanzitutto verificate: credo che ci sia, purtroppo, ancora un'area grigia approposito di armamenti, non abbiamo esattamente il metro di quello che stà accadendo. Difficile dire se siamo in presenza di un riarmo cosi massiccio da parte di Hezbollah o se invece queste informazioni sono frutto di una retorica politica locale. Vorrei ricordare che il controllo degli armamenti da part del contingente internzionale è estremamente rigido, mi sembra perciò improbabile che Hezbollah sia riuscito davvero ad ammassare un tale arsenale. E poi ripeto, da un punto di vista politico e tenendo presente il futuro del movimento, penso che Hezbollah non possa trarre nessun vantaggio dal perseguire qualsiasi disegno bellico contro Israele.

Il premier israeliano Netanyahu ha dichiarato che se Hezbollah verrà inserito nel governo riterrà l'intero esecutivo responsabile per ogni tipo di attaco al suo territorio. Cosa significa?
E' il tentativo di mettere comunque Hezbollah dall'altra parte della barricata come un nemico. Bisogna ricordare che di recente sono stati lanciati dei razzi dal Libano meridionale e Hezbollah è stata la forza che più si è prodigata per individuarne i responsabili.

Lei crede che queste tensioni, seppur solo politiche, possano avere dei risvolti pratici per le popolazioni che vivono al confine e per la forza internazionale lì dislocata?
Fino a quando la tensione rimarrà elevata sarà difficile attrarre investimenti nella zona. Senza uno sviluppo economico adeguato saremo costretti ad avere una militarizzazione dell'area, anche se positiva come quella delle forze Onu. Prima ci sarà una normalizzazione e prima avremo investimenti e sviluppo sul territorio, consentendo alle forze Onu di ritirarsi.


Niente di nuovo al confine
di Marcello Brecciaroli - Peacereporter - 27 Agosto 2009

Intervista al Colonnello Perrone, portavoce del comandante del contingente italiano della missione Unifil

Colonnello com'è la situazione sul campo?
Direi che posso definirla estremamente calma, anche perché siamo nel mese del Ramadan che è una festività che viene rispettata da tutti, anche dalla popolazione cristiana. La convivenza delle varie confessioni qui è molto buona.

Colonnello i suoi uomini si occupano anche di monitorare il movimento di armamenti nell'area non è vero?
Questo per noi è uno preciso compito, controlliamo rigorosamente che non ci sia afflusso di armamenti nelle zone sotto il controllo Unifil.

Il giornale Ha'aretz ha denunciato che Hezbollah avrebbe ammassato 40 mila razzi al confine con Israele in vista di un attacco, vuole commentare?
Questo mi sembra un numero di pura invenzione. Anche noi abbiamo letto la notizia, ma ribadisco che garantire il rispetto della risoluzione 1701 sul controllo degli armamenti è una nostra priorità.
Noi effettuiamo pattugliamenti su tutta la blu line tra lo stato di Israele e il Libano.

Avete contatti con i media israeliani?
No, loro non vengono qui e il fatto che tra Israele e Libano non ci siano relazioni diplomatiche non consente neanche altri tipi di contatti.

Per quanto riguarda la parte israeliana invece avete notato situazioni anomale?
Anche Israele è costantemente monitorato e anche li siamo in uno stato di calma e di routine.

Per quanto riguarda il territorio invece, come interagite con la popolazione?
La nostra missione comprende un comparto SIMIC che si occupa della cooperazione civile-militare che porta avanti attività di grande impatto sulla popolazione. L'opera di sminamento che gli italiani portano avanti è estremamente rilevante per la popolazione che può riprendere possesso delle terre, attivando così un circolo virtuoso.
I nostri reparti medici inoltre operano nelle zone rurali dove altrimenti sarebbe difficile ricevere cure adeguate.


Se gli italiani sparano ad Hezbollah...
di Simone Santini - www.clarissa.it - 20 Agosto 2009

L'11 agosto 2006 la risoluzione ONU 1701 dava mandato ai caschi blu della missione Unifil, composta da militari italiani, francesi, spagnoli, di schierarsi come forza di interposizione di pace nel sud del Libano al confine con Israele. Erano le premesse per la cessazione delle ostilità della cosiddetta "terza guerra libanese" scoppiata per incidenti di confine tra le milizie sciite di Hezbollah e l'esercito di Tel Aviv.

I 34 giorni di conflitto avevano causato la morte di alcune migliaia di civili libanesi, quasi un milione di rifugiati e pesanti danni alle infrastrutture del Paese dei Cedri in seguito ai massicci bombardamenti dell'aviazione e l'invasione del sud da parte dell'esercito israeliano.

Tuttavia l'incapacità delle preponderanti forze di Tsahal (l'esercito israeliano) di piegare la tenace resistenza militare di Hezbollah e infine l'accettazione da entrambe le parti della risoluzione ONU, hanno lasciato la generale impressione di una vittoria, quanto meno politica, del Partito di Dio libanese.

Ma osservando i fatti in un contesto più ampio ed in una prospettiva di periodo, altre considerazioni si possono aggiungere. Israele fronteggia quattro scenari di possibile guerra o guerriglia. I "fronti interni" palestinesi (in particolare la Striscia di Gaza governata da Hamas), i confini nord con appunto Libano e poi Siria, e il nemico "finale" Iran, specialmente se quest'ultimo dovesse continuare la politica di dotarsi (come pretende la diplomazia occidentale) di armamenti atomici.

Israele ha considerato e sta considerando di affrontare uno scontro militare diretto contro l'Iran, che sarebbe soprattutto un confronto aereo e missilistico. In un tale drammatico contesto la sicurezza del paese necessiterebbe che le retrovie fossero poste sotto stretto controllo.

Infatti, con l'operazione Piombo Fuso dello scorso inverno, Israele sembra avere definitivamente invalidato la possibilità di Hamas di proporre con una qualche efficacia operazioni militari contro lo stato ebraico. Allo stesso modo la guerra del Libano del 2006 sembra aver posto sotto tutela eventuali velleità di Hezbollah.

La missione Unifil, fortemente voluta in Italia dall'allora governo Prodi, ed in particolare dal ministro degli Esteri Massimo D'Alema, col consenso pressoché unanime di tutte le maggiori componenti politiche anche d'opposizione, si insediò e partì con una ambiguità di non poco conto. Se la risoluzione 1701 prevedeva infatti, accanto al ritiro dell'esercito israeliano, il disarmo di Hezbollah da compiersi da parte dell'esercito regolare libanese e della stessa Unifil, fin da subito le forze in campo ritennero impraticabili operazioni di disarmo delle milizie combattenti, salvo doversi scontrare apertamente con esse.

Hezbollah ha quindi mantenuto la sua capacità militare, e gli uomini dell'Unifil si trovano tra due fuochi costantemente sul punto di riaccendersi. In questi tre anni non sono mancate provocazioni e rotture della tregua, sia da parte israeliana che da parte di groppuscoli riferibili alla resistenza libanese. Nel 2007 un attentato colpiva la missione provocando sei vittime nel contingente spagnolo.

E le notizie che arrivano in quest'ultimo periodo dal Libano non sono affatto rassicuranti. Il britannico Times ha riportato che Hezbollah ha ammassato al confine circa 40mila razzi di medio raggio in grado di colpire Tel Aviv. I comandi militari ebraici sostengono che "la guerra può scoppiare da un minuto all'altro".

Nel contempo il leader del Partito sociale progressista, appartenente alla componente drusa, Walid Jumblatt, ha dichiarato di voler lasciare la coalizione filo-occidentale appoggiata dall'Arabia Saudita che ha recentemente vinto le elezioni (in seggi anche se non in voti) ed ha espresso il primo ministro Saad Hariri. Questo rimescolerebbe le carte delle complesse alchimie ed alleanze che caratterizzano il panorama politico libanese, nonché determinare un momento di destabilizzazione e vuoto di potere.

In Italia è del tutto assente un dibattito politico ed intellettuale sulle sorti della missione nel caso che la situazione precipiti. Eventualità non certo trascurabile. Il rischio evidente è che la nostra classe politica possa trovarsi, come spesso accade, impreparata (volutamente impreparata?) agli eventi e quindi facilmente trascinata dentro scenari allestiti da chi possiede capacità strategiche e di analisi ben più sviluppate.

Fin dalla metà degli anni '90 i think tanks usraeliani concepirono la strategia che avrebbe improntato, fino ai nostri giorni ed a seguire, le mosse politiche di Tel Aviv, l'ormai celeberrimo Clean Break che avrebbe garantito ad Israele una pace duratura su una posizione di potenza nella regione.

In questo contesto tre sono i possibili scenari pesantemente critici:
- Israele attacca preventivamente l'Iran e lascia all'Unifil il compito di fermare con la forza una eventuale reazione delle milizie filo-iraniane di Hezbollah;
- incidenti di confine, provocazioni e contro-provocazioni, fanno divampare di nuovo la guerra e l'Unifil si trova nel mezzo degli scontri: se colpita, reagirà e contro chi?;
- l'instabilità politica interna libanese provoca una guerra civile sostanzialmente combattuta per procura, tra Iran e Siria da una parte ed Arabia Saudita e Israele dall'altra, attraverso le varie fazioni del paese.

Se all'Unifil venisse chiesto, come da suo mandato originario, di disarmare Hezbollah, come si dovrà comportare?

Un incubo è ricorrente nelle tre ipotesi. La missione di pace a guida italiana potrebbe essere costretta da eventi determinati da forze esterne ad entrare in armi nel conflitto contro una delle componenti sul terreno, Hezbollah e la resistenza libanese.

Rientra questo negli scenari previsti ed accettati dalla nostra classe politica, dall'intelligence, dai vertici delle Forze Armate? Più in generale corrisponde alla vocazione italiana che ha costruito tra innumerevoli difficoltà, e spesso con arditi equilibrismi geopolitici, una solida tradizione di mediazione e pacificazione nel Mediterraneo ed in Medio Oriente?
Siamo pronti a buttare al vento in questa partita decenni di politica internazionale? Perché siamo in Libano? Quali sono i nostri obiettivi strategici? Chi sono, se ci sono, gli alleati e chi i nemici? Quali regole di ingaggio devono adottare i nostri militari?

Furono probabilmente ben pochi gli italiani che nella matura estate del 2006 si posero queste domande. Ora devono essere molti meno visto che della nostra missione Unifil in Libano non si parla praticamente più. Invece è necessario che ogni cittadino che ha a cuore il destino del Paese si interroghi e ponga con forza alla nostra classe dirigente queste stesse domande, nel modo e con la possibilità che ognuno ha.

Altrimenti, a giochi fatti, potremmo ritrovarci a piangere nostri soldati, a celebrare nostri eroi, caduti, come troppo spesso negli ultimi anni, in una guerra forse non nostra, e combattuta per altri.


Libano. La tensione, a sud del Litani, torna a salire
di Dagoberto Husayn Bellucci - www.ariannaeditrice.it - 14 Agosto 2009

La frontiera meridionale che separa il Libano dalla Palestina occupata 'brulica' nelle ultime ore di movimenti 'cingolati'. Dall'una e dall'altra sponda della cosiddetta linea 'blu' che divide il paese dei cedri dall'"accampamento militare" sionista in Terrasanta si sono ammassati diversi mezzi corazzati e cingolati dei due eserciti contrapposti.

La linea blu è la linea di demarcazione ufficiale che separa Libano e entità criminale sionista ma vi sono ancora diverse zone occupate da "Israele": le fattorie di She'eba, le colline di Kfar Shouba e il villaggio di Ghajar sono tutti territori libanesi sotto occupazione israeliana.

Alcuni giorni or sono il "Times" (...occorrerebbe 'leggerne' il 'titolo' al 'contrario' si 'capirebbero' molte più cose...) di Londra aveva diramato la notizia secondo la quale Hizb'Allah ed il suo braccio militare, la Resistenza Islamica, fossero in stato di allerta per prevenire qualsiasi aggressione sionista. Qualche indiscrezione riferita dal quotidiano britannico riportava la disponibilità di oltre quarantamila tra razzi kathiusha e altri missili - fra i quali i Khaibar 2 di fabbricazione iraniana - nelle mani dell'organizzazione di resistenza del partito sciita filo-iraniano di Sayyed Hassan Nasrallah.

Ovviamente tali indiscrezioni, coperte dall'anonimato, reali o meno 'risultano' comunque 'sgradite' alle sempre 'pronte' 'attenzioni' israeliane. I sionisti dall'ultima aggressione dell'estate 2006 - e della quale tra quattro giorni ricorrerà il terzo anniversario di quella che gli sciiti libanesi riconoscono come la "vittoria divina" - contro il paese dei cedri non hanno mai smesso di indirizzare nuove minacce contro il Libano e Hizb'Allah.

La reazione del regime d'occupazione sionista non si è fatta attendere: alle voci che vorrebbero Hizb'Allah pronto a qualsiasi evenienza in caso di nuovi attacchi israeliani le autorità d'occupazione avevano già replicato con nuove minacce di 'farla finita' una volta e per sempre con il movimento islamico libanese. Minacce che si assommano a quelle che oramai da quasi tre anni continuano quasi quotidianamente a giungere da Tel Aviv.

Alcuni giorni or sono il vice-ministro degli Esteri del regime d'occupazione israeliano, Daniel Ayalon, aveva esortato Nethanyahu ed il suo esecutivo ad un nuovo attacco contro il Libano per chiudere "definitivamente i conti" con Hizb'Allah sostenendo palesemente quanto - da queste parti - più o meno sanno anche i sassi ovvero che "il prossimo confronto con Hizb'Allah è diventato inevitabile e arriverà presto".

I principali responsabili del partito di Dio sciita-libanese affatto intimoriti hanno replicato che "qualora il regime sionista pensasse di lanciare una nuova aggressione contro il paese ci troverebbero pronti a rispondere con ogni mezzo a nostra disposizione". E di mezzi a disposizione la Resistenza Islamica ne avrebbe, a sentire le ultime indiscrezioni uscite anche sulla stampa locale ed araba in queste ultime ore, parecchi e tutti 'puntati' contro l'entità criminale sionista in direzione Tel Aviv.

Dalle prime ore di questa mattina l'esercito libanese è entrato in stato d'allerta ed ha cominciato a presidiare la frontiera meridionale da quando - stando a fonti militari di Beirut - tre blindati israeliani accompagnati da un veicolo civile sarebbero stati avvistati nei pressi dell'area agricola formata dalle fattorie di She'eba ai piedi del monte Hermon occupate da "Israele" oramai dal 1967.

Questa zona si trova al centro, oramai da oltre quarant'anni, di un lungo contenzioso di confine tra il regime d'occupazione sionista, il Libano e la Siria. Secondo quanto riporta stamani l'agenzia ufficiale libanese, Nna, questi movimenti di truppe di 'tsahal' = l'esercito d'occupazione sionista, interesserebbero in particolar modo le coline di Kfar Shuba poco distanti dalla fattorie di She'eba.

Non sarebbero apparentemente state fornite motivazioni ufficiali da parte ebraica per il dispiegamento di queste unità militari anche se la stampa ebraica, Ha'aretz ed altri quotidiani sionisti, riportano di attività a "protezione di unità impegnate nel rafforzamento delle barriere di filo spinato" nell'area contesa. Lo stesso quotidiano aveva, non più di una settimana or sono, riportato di "movimenti di truppe libanesi" del quale nessuno ha visto traccia.

Anche l'Unifil, allertata dalle manovre militari israeliane che potrebbero creare i presupposti per la riapertura del fuoco incrociato tra i due eserciti, ha inviato nella zona alcune pattuglie per monitorare l'evoluzione della situazione.

La tensione, a sud del Litani nella fascia di confine tra Libano e Palestina occupata, torna a salire.