Come era facilmente prevedibile, la farsa delle elezioni presidenziali afghane è stata caratterizzata da massicci brogli e frodi. I primi risultati parziali dovrebbero essere resi noti domani, mentre per quelli definitivi bisognerà aspettare alcune settimane, forse.
Ovviamente entrambi i principali contendenti, il presidente uscente Hamid Karzai e lo sfidante Abdullah Abdullah, reclamano di aver vinto nettamente.
Karzai infatti si è già dato vincitore col 70% dei consensi, mentre Abdullah in conferenza stampa ha dichiarato che "I rapporti che abbiamo ricevuto in merito sono allarmanti. Ci possono essere state migliaia di violazioni in tutto il Paese, non ho dubbi su questo".
Il portavoce della missione Onu in Afghanistan (Unama), Alim Sedik, ha comunque sottolineato che ogni dichiarazione di vittoria o sconfitta fatta da un candidato è prematura e l'unico organismo che può ufficializzare la situazione è la Commissione elettorale indipendente (Iec). Sedik ha smentito poi che fra le fonti citate per asserire l'ampia vittoria di Karzai vi possa essere "un tecnico dell'Unama. È un dato scorretto perché nessun membro del nostro organismo opera nella Iec e quindi nessuno può essere a conoscenza delle cifre dello spoglio. È importante che la Iec e la Commissione per i reclami elettorali (Ecc) possano fare il loro lavoro con cura e calma e quindi rendere noto il nome del vincitore. Chi sta cercando di utilizzare i media per manipolare l'informazione non sta facendo un favore al Paese".
Eh certo, ne sappiamo qualcosa in Italia...
Addirittura anche secondo Richard Holbrooke, l'inviato speciale di Obama per l'Afghanistan e il Pakistan, l'ipotesi di brogli è realistica.
"Me le aspetto" ha detto Holbrooke, e se lo dice lui allora possiamo essere veramente certi che a vincere le elezioni sono stati i brogli...
Intanto la guerra continua come se niente fosse. Oggi c'è stato un nuovo attacco al contingente italiano. Un ordigno è esploso al passaggio di un mezzo militare italiano vicino a Farah, nella parte occidentale del paese. Nessun ferito.
Mentre nel sud del Paese, nella provincia di Helmand, due soldati estoni sono morti in seguito a un attacco da parte di un gruppo di miliziani.
E a ulteriore conferma che le cose si stanno mettendo male per i soldati dell'Isaf, ieri l'ammiraglio Mike Mullen, il capo degli stati maggiori americani, ha ammesso che "L'insurrezione dei talebani è diventata più forte, più sofisticata nelle sue tattiche".
Mentre oggi il New York Times scrive che "Nonostante le truppe addizionali Usa arrivate nel Paese abbiano portato alcuni benefici nel sud, il numero complessivo rimane al di sotto delle necessità". E' quanto hanno detto alcuni generali USA a Holbrooke.
In Afghanistan ci sono attualmente 57.000 soldati USA, ma non è chiaro quante truppe in più abbiano chiesto i militari.
E comunque non basterà certo un'aggiunta di qualche migliaio di soldati per vincere definitivamente la guerra.
E' la storia dell'Afghanistan che l'insegna, ma in Occidente sembra proprio che nessuno l'abbia mai studiata.
Caos afghano
di Tariq Ali - Il Manifesto - 21 Agosto 2009
Visto che la democrazia appare svuotata nelle sue roccaforti in Nord America e nell'Europa occidentale, cosa dobbiamo attenderci in Afghanistan? Siamo solo a una imitazione, a una elaborazione ideologica che dovremmo giustamente definire «democratismo», il volto accettabile di un potere autoritario.
Lo abbiamo già visto in atto nell'Iraq occupato e nella farsa persino peggiore in corso in Afghanistan. L'idea che i risultati daranno legittimità al candidato vincente non è altro che una fantasia di qualcuno a Kabul e una cinica manipolazione dell'establishment occidentale e della sua stampa addomesticata. Qualunque sarà il risultato non cambierà nulla.
Hamid Karzai governa uno squallido narco-stato. Suo fratello Wali Karzai è l'uomo più ricco del paese che trae beneficio dai traffici di armi e droga e dalla presenza della Nato che tiene al potere suo fratello. I due candidati rivali di Karzai una volta facevano parte del governo. Entrambi sono dei buffoni desiderosi che Washington abbandoni Karzai e li metta alla prova. Lo stesso Karzai è coalizzato con religiosi fondamentalisti ultra-reazionari nell'Iran occidentale, sciiti ai quali ha promesso cinque incarichi di governo e l'approvazione di una legge volta a legalizzare lo stupro all'interno del matrimonio. Hillary Clinton tace. Lunga vita alla democrazia.
L'Afghanistan è occupato dagli eserciti della Nato sotto il comando Usa e della nuova Amministrazione. Questa ora è la guerra di Obama, che ha fatto campagna per inviare nuove truppe in Afghanistan e per estendere la guerra, se necessario, al Pakistan. Lo stesso giorno in cui Obama ha pubblicamente espresso dispiacere per la morte di una giovane donna iraniana vittima della repressione a Teheran, un drone statunitense ha ucciso 60 persone in Pakistan, tra cui donne e bambini, che anche la Bbc avrebbe difficoltà a descrivere come «militanti». I loro nomi non significano nulla per il mondo, le loro immagini non verranno mostrate dai network tv. Le loro morti sono avvenute per «una buona causa».
Lo scorso maggio, Graham Fuller, ex capo dell'ufficio della Cia a Kabul, ha pubblicato una analisi della crisi regionale sull'Huffington Post. Ignorato dalla Casa Bianca da quando ha messo in discussione gran parte delle valutazioni su cui è stata fondata l'escalation bellica, Fuller ha parlato a nome di tanti membri degli apparati di intelligence nel suo paese e in Europa.
Non capita spesso che mi trovi d'accordo con un uomo della Cia, ma Fuller non solo ha affermato che Obama «si è incamminato per lo stesso sentiero del fallimento in Pakistan percorso da George Bush» e che l'uso della forza non porterà alla vittoria, ma ha anche spiegato ai lettori che i taliban sono tutti etnicamente pashtun e che i pashtun sono «tra i più ferventi nazionalisti, tribali e xenofobi popoli del mondo, uniti solo contro l'invasore straniero» e che «in ultima analisi sono più pashtun che islamisti». «È una fantasia - ha scritto - pensare di poter sigillare il confine tra Pakistan e Afghanistan». Non credo che sia il solo uomo della Cia in pensione ad andare indietro ai giorni in cui la Cambogia venne invasa «per salvare il Vietnam».
Insomma, l'Afghanistan è nel caos. Il Pakistan è nel caos. La soluzione di Obama è parte del problema. C'è disperatamente bisogno di una «exit strategy». È in grado Obama di trovarne una prima della sua «uscita» dalla Casa Bianca? I segnali non sono incoraggianti.
Il groviglio di Kabul
di Bernardo Valli - La Repubblica - 24 Agosto 2009
Dove soffiano le passioni e prevale la violenza l'aritmetica è un'opinione. È quel che accade in queste ore a Kabul dove due candidati alla presidenza si dichiarano simultaneamente vincitori. Entrambi leggono i numeri come meglio gli aggrada. Non si conoscono ancora i dati ufficiali del voto di giovedì scorso, 20 agosto. Né quelli riguardanti la partecipazione, né i quozienti ottenuti dai vari candidati. Ma indiscrezioni insistenti danno in netto vantaggio Hamid Karzai, il presidente uscente, il quale potrebbe essere eletto al primo turno, avendo ottenuto, cosi pare, più del 50 % dei voti espressi.
È quel che emergerebbe dal conteggio. Ma nell'attesa che una qualche autorità convalidi questo risultato, il principale antagonista di Karzai, l'ex ministro degli esteri Abdullah Abdullah, denuncia "innumerevoli frodi e irregolarità". Dice, ad esempio, che nelle province del Sud, è stata registrata una partecipazione al voto del 40-45 %, mentre nella realtà sarebbe stata al massimo del 10%. La truffa avrebbe consentito a Karzai di aggiudicarsi voti inesistenti in quella zona abitata da pashtun, il suo gruppo etnico, ma anche infestata di Taliban. E quindi dove i seggi sono rimasti semideserti. Insomma, secondo Abdullah, Karzai avrebbe ricevuto i voti di legioni di fantasmi.
Un'elezione organizzata secondo i manuali democratici non è una pozione magica, a effetto stabilizzante sicuro, ovunque. Il fatto che sia stato possibile realizzarla in Afghanistan ha del prodigioso. Ed è stato giusto esaltare l'avvenimento. Ma l'elisir occidentale del voto crea situazioni diverse di contrada in contrada, e secondo le stagioni politiche. Chiusi i seggi e spentisi i primi euforici giudizi, l'imbroglio afgano sembra ancora più aggrovigliato, e insolubile, perlomeno nel futuro scrutabile.
A sostenere che la situazione "si sta deteriorando" è in queste ore lo stesso capo di stato maggiore americano, l'ammiraglio Mike Mullen. I militari della Nato, non solo americani, dichiarano che il conflitto si fa sempre più pesante perché le azioni dei Taliban sono sempre più efficaci.
Impegnati sul terreno, confrontati alla brutale realtà, essi cercano di dissipare l'illusione creatasi nelle ore successive al voto. Quando si ebbe l'impressione che gli elettori avessero messo in fuga i Taliban. Quelli che hanno osato andare alle urne li hanno sfidati con coraggio. Questo sì.
Nessuno pensava che il voto portasse per incanto la pace, ma l'affluenza alle urne e la sicurezza nei seggi avrebbero rivelato lo stato d'animo del Paese e la sua capacità di opporsi all'estremismo jihadista. Sono bastati pochi giorni, quelli necessari per conoscere sia pur sommariamente quel che è accaduto nelle province, per accorgersi che molti seggi erano rimasti semideserti, che molte donne li avevano disertati, nella stessa Kabul, e che, oltre alle minacce dei Taliban, avevano pesato sugli elettori anche abusi e prepotenze tribali. Esercitati dai sostenitori dei candidati. Karzai ha richiamato dalla Turchia l'uzbeco Dostom, un ex idraulico, un tempo prosovietico, diventato signore della guerra di Mazar-e-Sharif, e in quella veste autore di massacri che gli valsero di essere considerato un criminale di guerra.
Si può obiettare che ogni società polemizza, anima un dibattito elettorale, secondo i suoi costumi, le sue tradizioni. E in questa luce il voto afgano non è stato certo fiacco. C'è tuttavia un dato significativo: la partecipazione, della quale non si ha ancora il quoziente esatto, ma che stando a una stima ottimistica dovrebbe aggirarsi attorno al 45%, vale a dire circa il 30 % in meno delle precedenti elezioni presidenziali del 2004 (che conobbero un'affluenza superiore al 70%).
In questo caso l'aritmetica non è un'opinione. Rivela che sette anni dopo la cacciata dei Taliban dal potere e dopo cinque dalle prime elezioni presidenziali la fiducia nel regime, e nelle truppe straniere che lo sostengono, è diminuita, e che la paura (o l'influenza) dei Taliban è cresciuta. È difficile stabilire quanto abbiano rispettivamente pesato.
Sette anni fa i Taliban erano in fuga, sconfitti, inseguiti, detestati, screditati, sbattuti in prigione o al muro. Oggi i responsabili militari, compreso il generale Stanley McChristal, l'ufficiale americano più alto in grado a Kabul, parla di un nemico aggressivo, del quale bisogna fermare la dinamica. E aggiunge: "È una dura impresa".
La rissa sui risultati elettorali non aumenta la credibilità di Karzai, da tempo accusato di corruzione e di inefficienza, e adesso di brogli elettorali. Quest'ultimi potrebbero inquinare la legittimità della carica nella quale starebbe per essere riconfermato, se le indiscrezioni sono esatte. Il fronte anti jihadista dalla cui stabilità dipende l'esito della spedizione occidentale in Afghanistan non sembra uscire particolarmente rafforzato dal voto del 20 agosto e dalle polemiche che ne sono nate e che sono destinate a crescere.
È noto che la nuova amministrazione americana avrebbe preferito un cambio presidenziale a Kabul. Karzai non era il suo favorito. Ma il sistema elettorale, ricalcato sul modello democratico occidentale, per quanto imperfetto, resta il migliore: e bisognerà accettarne il verdetto, anche se influenzato dalle tradizioni locali.