sabato 8 agosto 2009

Italia: la fiction al potere

Ormai non costituisce più una novità il fatto che da più di un anno la realtà italiana descritta dal cosiddetto premier esiste solo nel suo cervello.
Ma il problema è che non si è ancora stancato di convincere con ogni mezzo tutti gli italiani che la realtà del suo cervello è quella vera.

Ad esempio ieri, durante una inconsueta/disperata conferenza stampa di agosto, ha esordito con questo capolavoro: "L'Italia è in forte ripresa, prima in Europa, i segnali sono evidenti anche all'Ocse, con il superindice italiano salito di 4,8 punti percentuali a 103,3".
Ha proseguito poi con la lista della spesa dei presunti successi del suo governo chiosando con "Credo che nessun governo abbia fatto tanto in 14 mesi di vita".

Ma le perle non finiscono qui. Ha anche detto che "Con l'arrivo della crisi economica siamo riusciti a garantire la pace sociale, mettendo da parte 34 miliardi per gli ammortizzatori sociali e allargando le categorie, e oggi non c'è nessuno in Italia che perde il posto di lavoro", ricordando di aver mantenuto la promessa di "non lasciare indietro" nessun cittadino.

Sul versante della politica estera poi le perle strabordano "l'intervento del governo italiano nella crisi Georgia-Russia è stato determinante, senza si sarebbe ricaduti nella guerra fredda" e il riavvicinamento fra Mosca e Washington "è stato favorito da me". E certo...

Ecco comunque un piccolo sunto delle altre cazzate vomitate dalla sua bocca:

- "Abbiamo risolto la tragedia dei rifiuti in Campania ereditata dal precedente governo. Una tragedia che riguardava i cittadini napoletani e l'immagine dell'Italia nel mondo".

- "Il ritorno al nucleare è stata una decisione importante da parte del governo perché gli italiani pagheranno meno l'energia. Stiamo stipulando importanti accordi con chi ha il know-how che noi abbiamo abbandonato a causa degli ambientalisti. In passato eravamo all'avanguardia nella ricerca sul nucleare ed eravamo quasi arrivati al punto di avere la nostra prima centrale nucleare. Purtroppo l'hanno bloccato facendo un regalo agli italiani che ora pagano il 40% in più l'energia rispetto ai partner europei".

- "Alitalia funziona ed è in accordo con il budget".

- "Non andrò all'Aquila questo pomeriggio, siamo avanti di tre giorni sul cronoprogramma di consegna delle case. C'è una grande contentezza in tutti e non ci sono contestazioni al governo e al premier".

- Sulla sua presenza al momento della firma dell'accordo sul gas fra Erdogan e Putin, Berlusconi è veramente esploso...''Ho fatto una grande attività su mandato esplicito di Putin nei confronti di Erdogan e di Erdogan nei confronti di Putin. In più, eravamo molto interessati perchè l'Eni è presente con South Stream e con l'oleodotto. Se questo non è un grande successo lo dica lei''.

Finita la lunga serie di barzellette sull'operato del governo, conclude con l'unico argomento su cui Berlusconi va preso sul serio.
A un giornalista del Tg3 ha detto "Lei appartiene a una testata che ieri sera ha fatto quattro titoli tutti negativi contro il governo. Non dobbiamo più sopportare, non possiamo più sopportare che sia l’unica tv pubblica del mondo che con i soldi di tutti attacca il governo. Ne approfitto per dire che il servizio pubblico non dovrebbe attaccare né me né il governo, né l'opposizione".

Amen...


Rai, tocca all'informazione salvare il futuro del servizio pubblico

di Aldo Grasso - Il Corriere della Sera - 8 Agosto 2009

Sulle prime sembrava scherzasse. Il presidente del Consiglio ama scherzare, ma poi i toni hanno preso una brutta piega e Silvio Berlusconi è arrivato a rappresentarsi la tv del Servizio pubblico a sua immagine e somiglianza. Il che forse è troppo, anche per uno insaziabile come lui.

Nella conferenza stampa di ieri si è parlato anche di Rai: «State bene? Che aria si respira in Rai con i direttori che ho fatto io?», ha esordito il premier, riferendosi alle recenti nomine Rai, dove ai posti di responsabilità sono stati messi uomini molto vicini alla maggioranza di Governo.

Non che in passato i direttori venissero eletti in altro modo, ma il viavai di candidati a Palazzo Grazioli è stato particolarmente intenso e sfacciato. Poi sono partite le bordate al Tg3. Alla giornalista che gli aveva posto una domanda ha così risposto: «Lei appartiene a una testata che ieri ha fatto quattro titoli tutti negativi e di contrasto all’attività di governo. Credo che sia una cosa che non dobbiamo più sopportare, non possiamo più sopportare: che la Rai, la nostra televisione pubblica sia l’unica televisione al mondo che, con i soldi di tutti, attacchi il governo. Siamo maggioranza, non vogliamo fare ciò che l’altra maggioranza di sinistra ha fatto in passato, quando la Rai ha continuato ad attaccare l’opposizione».

Ha poi aggiunto: «Quindi non è vero che c’è la libertà di stampa o di televisione e che compito di un media è quello di attaccare chi governa...». E poi l’affondo finale, su cui vale la pena riflettere: «Il mandato che io vorrei che la nostra televisione pubblica avesse, e che è il mandato che corrisponde (ho sondaggi precisi al riguardo) alla volontà degli italiani che pagano la Rai con i soldi di tutti, è che la Rai faccia veramente il servizio pubblico e che non attacchi né governo né opposizione».

Questa funzione anestetizzante del Servizio pubblico (SP) è una novità assoluta (anche se ricorda passati regimi), non la si trova nello statuto di nessuna tv europea.

Da parecchi anni la Rai non s’interroga più sul ruolo di SP e le giustificazioni che il dg Mauro Masi ha dato sul divorzio da Sky sono sintomatiche di un disinteresse totale per queste problematiche. Com’è noto, il concetto di SP qui da noi è ben presto degenerato in lottizzazione. Anzi, proprio in questi giorni, siamo tornati alla lottizzazione più selvaggia: al Tg1 e a Raiuno sono stati nominati ben 11 vicedirettori, per gratificare la maggioranza e accontentare un po’ l’opposizione (in stile riserva indiana).

Una lottizzazione così spudorata da essere fatta in videoconferenza (alcuni consiglieri non erano presenti a Roma, forse già in vacanza), una lottizzazione così affamata di posti da smembrare la direzione unica della radio per ricavarne altri. Anche la Lega, in passato così sprezzante nei confronti della pratica, si è adeguata: Antonio Marano ha accumulato così tante deleghe da lasciare le briciole agli altri vicedirettori generali. Più la si disprezza nei convegni, più la si pratica. La spartizione delle spoglie Rai è un rito tribale che appartiene ormai alla fisiologia della nostra democrazia: si confonde ora con il pluralismo ora con il clientelismo, ora con lo strumento di controllo ora con la spudoratezza.

Nessun moralismo al proposito, ma a rimetterci sono i prodotti (siamo persino arrivati alla lottizzazione della fiction!) e l’esistenza stessa del SP. Nato nell’età della scarsità dei beni televisivi, il SP si trova ora immerso nell’abbondanza. La deregulation dei media ha permesso la fine del monopolio, con la nascita di tv private prima (tra cui Mediaset, che ha giustamente conquistato il suo spazio) e di corporations internazionali poi. Così l’economia su scala mondiale dà il via a media giants , capaci di gestire l’intera filiera delle telecomunicazioni.

La digitalizzazione ha visto la nascita di nuovi canali e di nuovi media su cui è possibile fruire contenuti televisivi. Il pubblico è ormai artefice di un proprio palinsesto grazie alla sistematica ricerca, su più canali e più media, dei contenuti preferiti, da visionare dove e quando gli pare. In questo panorama, il SP pare perdere la sua identità e diventare una tv fra le tante.

Ma allora, cosa significa oggi SP e qual è il suo mandato? Ha ancora senso tenere in piedi una struttura elefantiaca per garantire il godimento di un bene ormai frantumato e fornito da altri? Perché pagare un canone? La risposta potrebbe essere ancora positiva. Ma a due condizioni irrinunciabili. Che non sia il SP auspicato da Berlusconi (l’informazione dovrebbe occuparsi di meteo e di traffico, ma anche così si correrebbero rischi di attacchi al governo, specie in caso di pioggia). Che sappia adeguarsi ai cambiamenti, il più in fretta possibile. Come è accaduto per la Bbc.

A questo punto entra in gioco il ruolo dell’informazione che, insieme alla qualità dei contenuti e alla qualità dell’audience, è uno dei baluardi irrinunciabili di una concezione moderna del SP. Il suo compito è di assicurare il pluralismo e, possibilmente, l’obiettività, prendere le distanze dal potere politico, nell’elogio e nella critica, garantire la rappresentanza alle minoranze. La strada è una sola: quella dell’autorevolezza.

Il direttore generale, i direttori delle reti e dei tg non dovrebbero più essere scelti in base alla loro appartenenza politica ma alla correttezza professionale. Non sono i sondaggi a dirlo, ma il buon senso. Che esiste ancora, ma, come diceva don Lisander, se ne sta nascosto per paura del senso comune.

L'isteria del potere
di Ezio Mauro - La Repubblica - 8 Agosto 2009

Un uomo politico che di criminali se ne intende, come provano le condanne inflitte per reati molto gravi ad alcuni dei suoi più stretti amici, ieri si è permesso di attaccare i cronisti politici di Repubblica, indicandoli così: "Quelli sono dei delinquenti".

Bisogna risalire a Richard Nixon nei nastri del Watergate per trovare un simile giudizio nei confronti di un giornale. Oppure bisogna pensare alla Russia dove impera a carissimo prezzo la verità ufficiale di Vladimir Putin, non a caso amico e modello del nostro premier.

Questa isteria del potere rivela la disperazione di un leader braccato da se stesso, con uno scandalo internazionale che lo sovrasta mandando a vuoto il tallone di ferro che schiaccia le televisioni e spaventa i giornali conformisti, incapaci persino di reagire agli insulti contro la libertà di stampa.

Quest'uomo che danneggia ogni giorno di più l'immagine del nostro Paese e toglie decoro e dignità alle istituzioni, farà ancora peggio, perché reagirà con ogni mezzo, anche illecito, al potere che gli sta sfuggendo di mano, un potere che per lui è un fine e non un mezzo.

Noi continueremo a comportarci come se fossimo in un Paese normale. In fondo, questo stesso personaggio ha già cercato una volta di comperare il nostro giornale e il nostro gruppo editoriale, ed è stato sconfitto, dopo che - come prova una sentenza - con i suoi soldi è stato corrotto un magistrato: a proposito di delinquenti. Non tutto si può comperare, con i soldi o con le minacce, persino nell'Italia berlusconiana.


"In autunno tenteranno di buttarmi giù"
di Claudio Tito - La Repubblica - 8 Agosto 2009

"Prepariamoci ad una fase difficile. In autunno ci sarà l'ultimo tentativo di buttarmi giù con le solite armi della sinistra". Solo pochi giorni fa, durante una cena con un gruppo di fedelissimi ad Arcore, Silvio Berlusconi ha iniziato a organizzare la "campagna d'autunno". Dopo gli ultimi passaggi parlamentari - in primo luogo l'approvazione faticosa del decreto anticrisi - il Cavaliere non ha nascosto i timori su quella che ha definito "una fase difficile". La paura del "complotto", i sospetti su eventuali "ribaltoni" e semplicemente i rischi di una dinamica economica ingarbugliata stanno agitando i sonni del premier. I quattro mesi di qui a fine anno sono infatti considerati "decisivi". Il vero banco di prova per l'esecutivo.

"Se lo supereremo - è la convinzione di tutto lo staff del presidente del Consiglio - tutto il resto sarà più facile". I timori, infatti, riguardano il possibile picco della crisi economica. L'ultimo dato sul pil ha segnato un'ulteriore flessione. Il meno 6% di ieri è un indice ancora peggiore rispetto alle previsioni, già fosche, di Palazzo Chigi. Le stime sul calo dell'occupazione indicano un profondo rosso. Un contesto che, coniugato alle vicende personali e al pressing di buona parte della stampa estera, sta allarmando il capo del governo. Il quale ha messo subito in cantiere le sue contromosse.

A suo giudizio, infatti, se davvero la recessione dovesse rilasciare i suoi effetti più negativi proprio in autunno, "qualcuno potrebbe approfittarne". Il sospetto della "campagna" di aggressione nei suoi confronti non riesce a dissolversi. Una manovra che, a suo giudizio, potrebbe essere giocata sulla paralisi economica, sugli scandali che negli ultimi tre mesi hanno condizionato l'attività dell'esecutivo e sulla sentenza della Corte costituzionale che si esprimerà sul Lodo Alfano, ossia sullo scudo che protegge le più alte cariche istituzionali dalle indagini della magistratura. Il tutto - ripete sempre più spesso il Cavaliere - "ingigantito" dai mass media. Un clima che - sono le osservazioni di molti dei suoi collaboratori - rischia di trovare sponde nei settori della maggioranza più "influenzabili". Non a caso, ieri il presidente del Consiglio ha insistito nell'allontanare alcune interpretazioni secondo cui le questioni private lo abbiano reso "ricattabile".

Per lo stesso motivo, dunque, ha puntato i suoi riflettori su giornali e tv. "Noi - spiegava nella stessa riunione che si è tenuta a Villa San Martino - dobbiamo riuscire a dire tutto quello che facciamo. Spesso non comunichiamo tutti i nostri risultati. Nei mass media ci sono troppi pregiudizi. E adesso è arrivato il momento di superarli". Non per niente ha premuto sull'acceleratore per le nomine della Rai. Come aveva fatto nel 2002 con il cosiddetto "editto di Sofia", anche ieri ha puntato l'indice contro la tv pubblica (in particolare il Tg3) e il gruppo L'Espresso-Repubblica.

Ma soprattutto ha ripreso a muoversi sullo scacchiere delle sue imprese editoriali. Ha "ripescato" Vittorio Feltri proprio per assegnare al Giornale una linea più aggressiva. Un direttore in grado di avere pure "una faccia televisiva". Ha spostato Mulè a Panorama dopo l'addio di Belpietro e ha fatto rientrare Giordano a Italia1. Tutte operazioni legate da un unico filo rosso: quello tessuto per allestire una difesa intorno al governo sotto il profilo della comunicazione.

Anche perché, sebbene Berlusconi parli di "record" per quanto riguarda gli indici di popolarità, nelle ultime settimane anche i suoi sondaggisti di fiducia hanno dovuto registrare un calo. Il 68% di popolarità non è più il 72% segnalato ad aprile. Una flessione - ripete in questi giorni - provocata soprattutto dalla scarsa attenzione degli organi di informazione all'attività dell'esecutivo. Senza contare la recente diffidenza emersa nel mondo cattolico e il fastidio che serpeggia nell'universo femminile in seguite ai noti scandali. Il precedente sondaggio, ad esempio, segnava un meno 13% tra le donne.

Un contesto, dunque, che per Berlusconi impone un contrattacco.

Tant'è che da settembre i suoi riflettori si accenderanno anche sull'altro punto: la politica internazionale. Perché, al di là delle dichiarazioni pubbliche, il premier si sta lamentando dei danni subiti dalla sua immagine all'estero. E dopo le vacanze estive è pronto ad un tour de force in giro per le cancellerie europee.


Il mondo meraviglioso del Cavaliere tra potere, menzogne, pubblicità e tv
di Giuseppe D'Avanzo - La Repubblica - 8 Agosto 2009

Abbiamo lasciato Berlusconi che organizza le sue serate a Palazzo o in Villa. Telefona ai suoi ruffiani, anche dieci volte al giorno, come posseduto da un'ossessione. S'informa delle ospiti. Ce ne sono di nuove?

Ne prescrive la mise. Si accerta che siano informate delle sue abitudini sessuali. Promette candidature politiche, ingaggi in tivvù, regali e "buste", cinquemila o diecimila euro secondo il gradimento. Contatta minorenni che non conosce, dopo averne scrutato il viso e il corpo da portfolio consegnatigli da salariati di Mediaset. Lo abbiamo visto in difficoltà quando anche la figlia Barbara (ma non i liberali di casa nostra) gli ricorda che, per un politico, per chi governa, privato è pubblico. Lo incontriamo ora a Palazzo Chigi con una gran voglia di far dimenticare quel che l'opinione pubblica internazionale conosce e soltanto tre italiani su dieci sanno (sette su dieci sono informati dalla televisione che egli controlla, e quindi non sanno alcunché). La scena è bizzarra per noi italiani e diventerà sorprendente per chi italiano non è.

Da solo, seduto a Palazzo Chigi, Silvio Berlusconi si racconta e riempie di se stesso ogni quadro possibile: planetario, europeo, nazionale, cittadino. Il suo ego non ha confini. Il mondo è lui nell'autorappresentazione che ci offre, nient'altro che lui con il suo carico di vitalismo, ottimismo, carisma, umanità, saggezza, savoir-faire, una capacità di lavoro senza eguali. In quattordici mesi, elenca l'Egocrate, centocinquantotto incontri internazionali, ventidue vertici multilaterali, dieci vertici bilaterali. Sono stato in piedi, dice, anche quarantaquattro ore con il solo ausilio di ventuno caffè.

Dovunque, successi. Soltanto successi. Anzi, un unico successo ininterrotto, senza pause, costante nel tempo, operoso in ogni angolo di mondo. Se le truppe di Mosca si sono fermate a quindici chilometri da Tbilisi scongiurando un conflitto Russia-Georgia, il merito è di Berlusconi che ha evitato l'inizio di una nuova Guerra Fredda. Se Barack Obama ha firmato a Mosca il trattato per la limitazione delle armi nucleari, il merito è di Berlusconi che ha favorito "l'avvicinamento" della nuova amministrazione americana al Cremlino. Se l'Alleanza atlantica è ancora vegeta, lo si deve al lavoro di persuasione di Berlusconi che ha convinto il leader turco Erdogan a dare il via libera alla candidatura di Rasmussen.

Se "l'Europa non resterà mai più al freddo", il merito è di Berlusconi che ha convinto Erdogan e Putin a stringersi la mano dinanzi al progetto del gasdotto South Stream. Nel mondo meraviglioso di Silvio Berlusconi non c'è ombra né crisi. Non c'è il disonore personale né le menzogne pubbliche. Non c'è recessione né sfiducia. Non c'è né sofferente né sofferenza. Non ci sono più immigrati clandestini, non c'è crimine nelle città, non c'è più nemmeno la mafia. Regna "la pace sociale" e "nessuno è rimasto indietro" e, per quanto riguarda se medesimo, "non c'è nulla di cui deve scusarsi". Anche l'Alitalia è diventata, nel vaniloquio, un miracolo d'efficienza. Grazie ai "colpi di genio" di Berlusconi, anche i terremotati delle tendopoli all'Aquila sono felici perché "molti sono partiti in crociera e altri sono ospitati in costiera e sono tutti contenti".

A incontrarlo al bar, un bauscia di questa incontinenza (bauscia è bava, saliva: e anche il bavante, il salivante, il moccioso) si chiederebbe al barista di azzittirlo o di allontanarlo, ma quel bauscia è il nostro capo del governo. Ora all'estero - anche ricordando come Berlusconi, intossicato dalla sexual addiction, trascorre in realtà le sue giornate - liquideranno il protagonismo dell'Egocrate come l'ultima arlecchinata di un clown italiano.

Noi, che da Berlusconi siamo e saremo governati, non possiamo farlo o per lo meno non possiamo limitarci alla derisione o all'invettiva. Più che disseccare le sue vanterie (per quanto riguarda il bilancio del governo, lo ha già fatto qui Tito Boeri, il 3 agosto) o autoconsolarci con uno sberleffo per quel "priapismo dell'Io", è più utile aprire gli occhi su quanto sta accadendo e accadrà. Meglio descrivere e decifrare quel che ci aspetta. Berlusconi va ascoltato con pazienza, infatti. Da gran fiume delle sue parole affiorano sempre, prima o poi, le "verità dell'asino", come ci ha spiegato Franco Cordero. Gli asini hanno una cattiva fama. Li dicono ottusi, poco intelligenti. Bestie trascurabilissime.

Ma, in realtà, il passo storto dell'asino è soltanto uno: "Svela piani che menti più sottili occultano". Càpita anche a Berlusconi e, solo, a Palazzo Chigi, ne offre un saggio. Se si riflette, le parole dell'Egocrate svelano una tecnica di dominio, un dispositivo di potere. La rappresentazione di se stesso e del lavoro del suo governo è esplicitamente "pubblicitaria", coerente con un'antica confessione di Berlusconi: "Non riesco a non vendere. Non ci riesco! Non riesco a svestire i panni del direttore commerciale" (D'Anna, Moncalvo, Berlusconi in concert). Soltanto nel linguaggio della pubblicità - senza profondità, istantaneo e istantaneamente dimenticato - può non esistere la realtà.

Così è nelle parole del premier: la recessione è alle nostre spalle; i disoccupati sono protetti e con un decente reddito; le imprese fiduciose; anche i terremotati sono contenti; le città sono sicure, mentre Obama Merkel Putin Erdogan - il mondo - pendono dalle labbra e dalle mosse del nostro premier. Nei modi d'espressione della pubblicità cade ogni scarto tra ciò che è davvero e ciò che si immagina possa essere, tra la situazione di fatto e il progetto. Ogni problema, per Berlusconi, è superabile con uno sforzo d'immaginazione, con una scarica di ottimismo e se ancora qualche problema persiste lo si deve alle forze del Male che non amano il Capo e quindi il popolo. Ogni dissenso è dunque un atto persecutorio contro il Capo e un'aggressione al popolo, un complotto contro gli italiani e l'Italia.

Questa scena, grottesca ma non per questo innocua, può diventare convincente soltanto se c'è un'informazione che la propone all'opinione pubblica come plausibile. E' quel che esplicitamente, come da verità dell'asino, Berlusconi chiede ai media italiani. Non facciano più domande, come già fanno i bravi giornalisti sportivi. Non diano conto del "negativo" perché, soprattutto per il giornalismo del servizio pubblico radiotelevisivo, "non sarà più sopportato". E che si sappia che è "anti-italiano" raccontare le difficoltà di un Paese in recessione, le sofferenze di chi - impresa, famiglia, lavoratore - ne è travolto. E' "anti-italiano" ricordare come il presidente passa il suo tempo a Palazzo e in Villa e con chi.

Pubblicità più televisione, il medium più potente, sono le armi del dispositivo con cui sempre di più avremo a che fare. Dobbiamo cominciare a fare i conti con il mondo di immagini che ha preso il posto delle realtà, svuotandola, a valutare gli effetti di una tecnica che ci defrauda dell'esperienza e della capacità di prendere posizione, che liquida ogni capacità di distinguere tra realtà e apparenza, che ci obbliga a un'abitudine che ci infantilizza. A ben vedere, pubblicità più televisione è la sola politica che ha in mente Berlusconi tra una cena a Palazzo Grazioli e una notte "a pagamento" a Villa Certosa.


Piano Sud: soldi alla Sicilia, tanti e subito
di Mariavittoria Orsolato - Altrenotizie - 6 Agosto 2009

I 4 miliardi di euro scippati ai Fondi per le Aree Sottosviluppate e stanziati espressi dal cavaliere, all’indomani della minacciata secessione politica della Sicilia dei Lombardo e dei Micciché, non bastano. O almeno, basterebbero se si trattasse di soldi da gestire alla luce del sole. Gira voce tra i professionisti della politica che la mossa del duo siculo altro non sia che uno scambio alla vecchia maniera: tu mi dai i soldi, io appoggio tutto quello che proponi o, meglio ancora, glisso su cose che so ma che non posso dire. Deve essere andata così la storia, quando in gioco ci sono soldi, non si fa mai niente per niente. Berlusconi, immerso fin sopra il toupè in problemi d’immagine e credibilità, si piega al volere dei siciliani recalcitranti assegnando una corsia finanziaria preferenziale ad una regione che molto ha di virtuoso, ma purtroppo non la gestione di fondi statali.

Che il premier abbia una predilezione particolare per l’isola lo si è evinto abbastanza chiaramente quando il suo personale medico, il dottor Scapagnini, in veste di sindaco ha fatto un buco da 300 milioni al comune di Catania. Che l’amore che ha per la Sicilia possa però essere come quello di Turiddu per la Santuzza della cavalleria rusticana - un amore quindi forzato e destinato alla tragedia - ce lo dicono centinaia di fascicoli processuali riguardanti le sue implicazioni con personaggi di ben nota fama, come lo stalliere mafioso Vittorio Mangano.

Fatto sta che proprio in questi giorni Berlusconi si sta prodigando come non mai per perorare la causa di quello che i giornali si ostinano a chiamare Sud, ma che in realtà altro non è che la Sicilia e le sue cruciali clientele. Passato lo scoglio del Senatùr che, alla faccia dei suoi fedelissimi elettori, ha dato il suo placet alla maxi operazione di drenaggio di fondi statali, ora il vero iceberg è Giulio Tremonti, superministro dell’economia con delega a tappabuchi. Quest’ultimo, assieme al direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli, ha recentemente fatto rotta verso la residenza di Arcore per tentare di dissuadere il premier da una manovra che, viste le miserrime condizioni dell’erario e l’inarrestabile crescita del fabbisogno statale (31,3 miliardi in più rispetto al 2008), parrebbe suicida.

La visita di cortesia non sembra aver sortito gli effetti desiderati: Berlusconi ha chiesto al ministro del Tesoro di appoggiarlo in quello che sarà il piano politico autunnale, un tentativo di ripresa che vede la Lega un po’ più defilata e che passa anche e soprattutto dai fondi che il Governo si deciderà a stanziare in favore delle regioni meridionali, Sicilia in testa. In ballo ci sono 60 miliardi di euro da spalmare fino al 2015 e, dopo 15 anni di oblio, si ritorna a parlare di Cassa del Mezzogiorno ribattezzata per l’occasione Agenzia per il Sud perché, come osserva caustico Calderoli, “la Casmez evoca ricordi negativi”. C’è poi la creazione ad hoc di una Banca del Sud, da ricavare, secondo il dl 112 del 2008 che per primo l’aveva proposta, “in una regione del mezzogiorno” e composta da un parco azioni in maggioranza privato: con questa si auspica di incentivare l’investimento popolare, sperando di non finire come la Banca Rasini.

Sulla carta il progetto pare ineccepibile: interventi mirati, opere ben definite, lotta allo spreco e all’illegalità. Se però guardiamo ai 4 miliardi stanziati ad hoc per la Sicilia, scopriremo che il progetto dalla potenza all’atto, subirà notevoli stravolgimenti. Secondo Domenico Nania e Giuseppe Castiglione, coordinatori regionali del Pdl, parte di questa generosa donazione andrà a coprire i salari degli operatori forestali, degli operatori di bonifica e di tutto quel sottobosco di precari della pubblica amministrazione, reclutati grazie al voto di scambio. Insomma come sempre è accaduto, la pioggia di soldi proveniente da Roma andrà a finanziare la spesa corrente, coprirà le voragini di debiti e non aiuterà in nessun modo lo sviluppo imprenditoriale e sociale della regione.

Per tutti quelli che, come noi, hanno guardato con sospetto a questa manovra del premier, la risposta pervenuta è che la Sicilia aveva da tempo presentato il suo Par (Piano Attuativo Regionale) all’esecutivo e che l’ultimatum di Micciché e Lombardo è stato solo un tentativo di accelerare i lunghi tempi della democrazia. Quello che però sta succedendo in questi giorni sull’isola, con le rivelazioni di Ciancimino e la riapertura di casi cruciali come quello sulla strage di via D’Amelio, non può non far pensare che in realtà ci sia molto di più che una mera richiesta di attenzione da parte di Palazzo Chigi.

Riaffiora in maniera non così tanto velata come vorrebbero farci credere, l’impellente questione della commistione viziosa tra Stato e Cosa Nostra e, conoscendo molto bene le amicizie sbagliate dei Silvio e dell’amico Marcello (condannato in primo grado dal Tribunale di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa) questa generosità e questo interesse paiono tutt’altro che spassionati.


Il dramma dei licenziati
di Lucio Gallino - La Repubblica - 6 Agosto 2009

La vicenda della Innse di Lambrate dimostra quali sviluppi drammatici possono presentarsi quando un numero crescente di persone vede violato a proprio danno un fondamentale diritto umano. E cioè il diritto ad una ragionevole sicurezza socio-economica. È l’esperienza di chi perde il lavoro senza averne alcuna responsabilità. Chi sia costretto a tale esperienza è colto anzitutto dall’angoscia per l’immediato futuro. Come farò, si chiede, a pagare le rate del mutuo e dell’auto, le cure odontoiatriche per i figli più piccoli, il costo della scuola superiore o dell’università per i più grandi.

In secondo luogo la stessa persona si sente vittima di una grave ingiustizia, di un inganno che qualcuno ha ordito alle sue spalle e che improvvisamente si rivela come tale. Quando si colpisce il diritto a una giusta sicurezza socio-economica, sono queste le emozioni che si diffondono come un incendio boschivo sia tra i diretti interessati, sia tra coloro - molto più numerosi - che pensano domani potrebbe toccare a me.

Il punto critico non è quindi se i lavoratori della Innse abbiano esagerato o no nel salire su una gru per impedire lo smantellamento dei macchinari da parte del nuovo proprietario, ovvero se non avrebbero potuto trovare forme di protesta o di contrattazione meno trasgressive. Il punto è se il nostro paese possa ancora permettersi a lungo l’assenza di una politica della sicurezza socio-economica. Dire che una simile politica non esiste da almeno vent’anni significa in verità dire troppo.

Le politiche del lavoro di tale periodo non ignoravano certo la questione. Semplicemente partivano dall’assunto, rivelatosi poi totalmente sbagliato, che in una economia dinamica, con elevati tassi di sviluppo, la sicurezza sarebbe stata assicurata agevolmente dal gran numero di veloci compensazioni che si svolgono sul mercato del lavoro: chi perda il lavoro il venerdì, si postulava, ne troverà sicuramente un altro il lunedì successivo. La moltiplicazione infinita delle occupazioni flessibili è stata fondata precisamente su tale assunto, che non ha alcuna base nemmeno negli Stati Uniti. Figuriamoci in Italia.

Al presente il problema, se possibile, si è ulteriormente complicato. Non soltanto l’economia crea nuovi posti di lavoro a un ritmo molto basso, ma è possibile che per un lungo periodo ne crei assai meno di quanti se ne stanno perdendo. E per accrescere la sicurezza dei milioni di individui che l’hanno già persa, o che temono di perderla tra breve, non basteranno né la ripresa - posto che questa arrivi nel 2010, o nel 2011, o ancora dopo - né un potenziamento dei cosiddetti ammortizzatori sociali.

Sarebbero assolutamente necessarie politiche industriali realmente innovative rispetto ai modelli precedenti, che in altri paesi a partire dagli Stati Uniti, si cominciano a intravedere. Ci vorrebbero inoltre interventi radicali di sostegno al reddito, quale sarebbe ad esempio un reddito di base o reddito di cittadinanza che sia, nonché una redistribuzione del lavoro disponibile che non abbia paura di quello che fu in passato uno slogan - lavorare meno per lavorare tutti - ma che potrebbe rivelarsi come una ricetta indispensabile per il prossimo futuro.

Bisognerebbe anche impedire che operazioni apparentemente razionali sotto il profilo industriale come il trasferimento di rami d’azienda, la vendita in blocco di imprese piccole e medie, o la cessione di impianti a terzi, non fossero usati semplicemente per licenziare d’un colpo centinaia di lavoratori senza giusta causa.

Per i lavoratori della Innse una soluzione dovrà essere comunque trovata in tempi rapidi. Senza ignorare che le imprese piccole e medie in difficoltà, da qui all’autunno, sono e saranno parecchie migliaia. Tuttavia a quei lavoratori va riconosciuto in ogni caso il merito di aver attirato l’attenzione, con il loro comportamento estremo, sulla necessità di riprendere a ragionare in merito all’economia e al lavoro come a strumenti che devono essere impiegati primariamente per assicurare al maggior numero di persone il diritto a un livello accettabile di sicurezza socio-economica. Non sarebbe nemmeno una novità.

Per almeno trent’anni, tra gli anni ‘50 e gli anni ‘80, quello che fu definito il compromesso capitale-lavoro funzionò efficacemente proprio nel produrre e diffondere in Europa tale forma essenziale di sicurezza e di diritto.


Enel e EDF all'assalto del nucleare italiano
di Alessandro Iacuelli - Altrenotizie - 5 Agosto 2009

Come i lettori di Altrenotizie certamente ricorderanno, lo scorso 24 febbraio, durante il summit Italia-Francia a Roma tra Silvio Berlusconi e Nicholas Sarkozy, è stato siglato un accordo per una collaborazione nella costruzione in Italia di almeno 4 centrali del tipo Epr. Proprio in seguito a quell'accordo, è nata in questi giorni una joint venture tra Enel e Edf, chiamata Sviluppo nucleare Italia srl, azienda che avrà il compito di realizzare gli studi di fattibilità per la costruzione delle quattro centrali nucleari con la tecnologia (obsoleta, anche se ultimamente si preferisce definire "avanzata) Epr.

Enel ed Edf, spiega una nota congiunta resa pubblica alla firma dell'accordo, possiederanno il 50% ciascuno della joint venture e la società, che avrà la sua sede a Roma...

dovrà avviare le necessarie attività di studio per la realizzazione delle centrali e prendere le adeguate decisioni di investimento. E' poi prevista la costituzione di altre società per la costruzione, proprietà e messa in esercizio di ciascuna centrale Epr.

La gestione di Sviluppo nucleare Italia sarà affidata ad un consiglio di amministrazione composto da otto membri: quattro nominati da Edf, tra i quali il presidente ed il vice presidente, e gli altri quattro designati da Enel, tra i quali sarà individuato l'amministratore delegato. "Una opportunità unica", secondo Fulvio Conti, Amministratore delegato di Enel, "per contribuire al rilancio dell'economia del nostro Paese, creando posti di lavoro specializzati e sviluppando l'occupazione". Da parte di Edf, il presidente e direttore generale, Pierre Gadonneix, ha dichiarato che "questa partnership è in linea con la strategia del gruppo Edf finalizzata a rafforzare la propria posizione in Europa e la leadership mondiale nella rinascita dell'energia nucleare".

Si è ormai perso il conto del numero delle volte in cui, anche da queste pagine, si è ricordato come in realtà Edf, azienda ancora sotto la stretta protezione del governo di Parigi, lanciatasi sul mercato durante i decenni del boom mondiale del nucleare, è ora in crisi per quanto riguarda il suo settore dedicato allo sviluppo e costruzione di nuovi reattori. Pertanto è all'affannosa ricerca di nuovi mercati da invadere; mercati che, per quanto riguarda il nucleare, si fanno sempre più rari a livello globale, trattandosi di una tecnologia in via di abbandono. Allora quale potenziale mercato può essere migliore dell'Italia, che abbandonato il nucleare 22 anni fa e pertanto ha anche perso le competenze tecniche per poter costruire e gestire da sola le centrali?

In questo momento l'Italia, per proseguire nel suo programma nucleare che è davvero unico al mondo (altrove infatti si chiudono le centrali), ha necessità di partners stranieri, perpetuando ed aumentando la sua dipendenza dall'estero per quanto riguarda la produzione energetica. Infatti, la collaborazione tra Enel e Edf è iniziata con la costruzione, nel 2007, del reattore Epr di Flamanville, in Normandia, che appartiene alla società francese, di cui Enel ha il 12,5% delle quote. Flamanville, anche se osannata dal ministro Claudio Scajola - che evidentemente non è molto preparato su temi tecnologici - è praticamente tra i peggiori biglietti da visita, avendo avuto una quantità elevatissima di problemi e guai già nella fase di costruzione, ancora in corso: una centrale che è riuscita ad avere incidenti, fughe radioattive, malfunzionamenti e guasti ancor prima di essere messa in esercizio.

Durante il mese di maggio 2008, l'Autorità francese per la sicurezza nucleare ha ordinato la sospensione dei lavori per irregolarità riscontrate nell'armatura in ferro dell'isolotto su cui dovrà poi poggiare il reattore nucleare e, non bastasse, sono anche state rilevate delle fessurazioni del cemento dovute alla scarsa qualità dei materiali e ad errori nella messa in opera dell' armatura in ferro. Errori che, secondo l'Asn, manifestano una mancanza di rigore inaccettabile e che non depongono assolutamente a favore di quanto potrebbe avvenire in futuro in Italia.

Per quanto riguarda la collocazione delle 4 nuove centrali nucleari italiane, Enel e Ministero dello Sviluppo Economico mantengono uno stretto riserbo, ma numerosi centri di ricerca hanno elaborato e presentato studi di fattibilità per l'individuazione dei possibili siti. I criteri per la scelta sono stati resi pubblici più volte: la centrale Epr richiede zone poco sismiche, in prossimità di grandi bacini d'acqua senza però il pericolo d’inondazioni e, preferibilmente, lontano da zone densamente popolate. In pratica, richiedono una zona che in Italia non c'è.

Fra i nomi apparsi, ufficiosamente, ritornano quelli dei vecchi siti nucleari: Caorso nel Piacentino e Trino Vercellese, che ospitavano gli impianti chiusi in seguito al referendum del 1987. Sono entrambi nella Pianura Padana e quindi con basso rischio sismico ed alta disponibilità di acqua di fiume, ma anche Montalto di Castro, in provincia di Viterbo, potrebbe essere riesumato, dato che unisce alla scarsa sismicità la presenza dell'acqua di mare. Secondo Legambiente ed il CNR, il quarto candidato ideale è Termoli, in provincia di Campobasso, mentre in altre circostanze si è fatto il nome di Porto Tolle, a Rovigo, dove c'è già una centrale a olio combustibile in processo di conversione a carbone. Gli altri nomi che ricorrono più spesso sono Monfalcone, Scanzano Jonico (Matera), Palma (Agrigento), Oristano e Chioggia.

Non sembrano molto d'accordo i sindaci di alcuni di questi comuni. Lo conferma il sindaco di Caorso che dichiara: "Basta centrali nucleari a Caorso dopo lo smantellamento (decommissioning) effettivo entro il 2019". Gli fa eco l'assessore regionale Duccio Campagnoli: "E' importante che Caorso venga subito depennato dalle liste che lo vorrebbero tra i nuovi siti nucleari". La ricerca non sarò facile, il consenso locale sarà difficilissimo.