domenica 2 agosto 2009

Update italiota

Qualche aggiornamento sulla penosa situazione politica italiota.

Ma bisogna comunque ammettere che questo governo continua a contribuire con successo al buonumore del popolo italiano...

Dopo la ridicola procedura adottata dal governo per approvare un decreto anticrisi che contemporaneamente però ne aboliva un altro passato in Parlamento con un voto di fiducia un minuto prima, oggi il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta ha detto che "in Italia la crisi economica non c'e' mai stata, anzi 30 milioni di italiani hanno visto aumentare il proprio potere d'acquisto, visto che l'inflazione e' diminuita in questi 12 mesi mediamente circa dell'1,5%".

Grasse risate in sala.


Il no della Banca centrale europea "Quella norma viola il Trattato UE"
di Massimo Giannini - La Repubblica - 2 Agosto 2009

"L'oro alla Patria", grida Giulio Tremonti nel malcelato tentativo di allungare le mani sulle riserve auree della Banca d'Italia. "Giù le mani da quell'oro", rispondono all'unisono le autorità monetarie da Via Nazionale e dall'Eurotower di Francoforte. Il conflitto tra il governo italiano e l'Eurosistema delle banche centrali, invece di sciogliersi nel buon senso politico, continua a covare sotto le ceneri dell'irresponsabilità istituzionale.

Berlusconi ha deciso di andare avanti comunque, nonostante i paletti del Quirinale e i veti della Bce. Nel pasticciaccio brutto del decreto anticrisi, l'articolo 14 che introduce l'imposta sulle plusvalenze sull'oro non industriale di società ed enti è un capolavoro di ambiguità e ipocrisia. Il comma 4 prevede che la tassa una tantum sulle disponibilità in oro della Banca d'Italia, per un gettito fissato in 300 milioni di euro, possa essere applicato solo "previo parere non ostativo della Banca centrale europea" e comunque attraverso un decreto non regolamentare del ministero dell'Economia, "su conforme parere della Banca d'Italia". Il premier, con tanto di comunicato ufficiale accluso al decreto, spiega che la norma non si presta così a fraintendimenti: garantisce in ogni caso l'indipendenza istituzionale e finanziaria della Banca centrale.

Messo in questi termini, il caso sembrerebbe risolto. In realtà le cose non stanno così. Banca d'Italia e Bce assistono silenti ma attonite alle mosse del governo. Che senso ha introdurre una Golden Tax inattiva, vincolandone l'applicazione a "un parere non ostativo" che la Bce ha già negato, e a un "conforme parere" che la Banca d'Italia non emetterà mai? Questa, oggi, è la replica che si raccoglie presso le autorità monetarie. La Banca centrale europea ha già formulato ben due pareri, sul tema della tassazione delle plusvalenze sulle riserve auree, che non lasciano margini di dubbio. Il 24 luglio l'Eurotower ha scritto chiaro e tondo che quella forma di imposizione, tanto più se concepita come una tantum, viola l'indipendenza finanziaria e istituzionale della Banca d'Italia. Non solo: nella misura in cui prefigura un gettito con effetto retroattivo, su una plusvalenza non realizzata, da Banca d'Italia a Tesoro, configura una forma di finanziamento monetario al settore pubblico che è palesemente incompatibile con il Trattato di Maastricht. Dunque, è la linea dell'Eurosistema delle banche centrali, non ha senso scrivere una legge in cui si subordina il via libera a questa forma di imposizione fiscale a un "parere non ostativo della Bce", perché a invalidare alla radice una misura del genere non è un verdetto specifico di un'istituzione europea, ma una "grundnorm" del diritto costituzionale comunitario.

Per questo, adesso, tra Eurotower e Palazzo Koch si registra un preoccupato stupore per la scelta fatta da Berlusconi e Tremonti. Bce e Banca d'Italia non hanno nulla da aggiungere a quanto già non sia stato scritto negli atti ufficiali diffusi fino ad oggi. Non ci sono altri pareri da esprimere, perché quelli già espressi dicono tutto. La Golden Tax è illegittima, punto e basta. Se poi il governo italiano, per ragioni di strategia interna o di tattica comunitaria, deciderà di andare avanti lo stesso con la tassazione, se ne assumerà fino in fondo la responsabilità, e si metterà in moto la fisiologica dialettica istituzionale di "check and balance". Sul piano interno, il presidente della Repubblica Napolitano valuterà nelle prossime ore se il nuovo decreto anticrisi, così formulato e corredato dal comunicato di Palazzo Chigi, risponde ai requisiti di legittimità richiesti dalla Costituzione italiana. Sul piano comunitario, pare evidente e scontato che la Bce non esiterà a far ricorso alla Corte di Giustizia del Lussemburgo, ai sensi dell'articolo 230 del Trattato europeo.

La domanda che rimbalza tra Roma e Francoforte è la seguente: a chi giova, questa sfida agli equilibri istituzionali, in un momento di crisi economico-finanziaria ancora così acuta? E perché accentuare le tensioni, quando sul piatto della bilancia ci sono solo 300 milioni di gettito? Tremonti, con la consueta logica del bastone e carota, alterna minacce populiste e aperture riformiste. Da un lato dice "quell'oro è del popolo, non di Via Nazionale" (e qui, per inciso, si potrebbe chiosare: se è del popolo, e lo vuoi colpire con una nuova imposta, stai facendo pagare più tasse agli italiani, contraddicendo uno dei dogmi della tua ideologia politico-economica).

Dall'altro aggiunge "se ci saranno spazi per attivare la norma sull'oro senza forzature, c'è la possibilità di raccogliere fondi contro la crisi anche da lì". Dunque, ancora una volta, qual è il vero volto del ministro dell'Economia? Quello che intima o quello che dialoga? E un modestissimo "tesoretto" da 300 milioni di euro vale uno scontro istituzionale di portata globale? A Palazzo Koch e all'Eurotower si fa fatica a capire. C'è una possibile spiegazione nazionale. E' probabile che Tremonti abbia voluto tenere ancora carica la pistola della Golden Tax sulla tempia del governatore per non abbassare la guardia nel duello sotterraneo e strisciante, che lo induce a vedere in Mario Draghi un potenziale competitore politico, più che un naturale interlocutore economico. Ma c'è anche una possibile spiegazione sovra-nazionale. E' probabile che Tremonti voglia ritagliarsi il ruolo di capofila di un fronte inter-governativo europeo che, in nome del popolo che vota, punti a sottrarre legittimità (e quindi sovranità) alle tecnocrazie di Bruxelles e di Francoforte.

In questo scenario il governo italiano, con la sua norma sull'oro, inattiva ma attivabile, cercherebbe prima o poi di aprire una falla, nella quale si potrebbero inserire anche le altre cancellerie. Con l'obiettivo di rimettere in discussione il primato delle banche centrali, e in prospettiva gli equilibri stessi del Trattato Ue. Con il Cavaliere potrebbe essere schierato su questa linea Sarkozy, forse Zapatero e qualche altro primo ministro dell'Europa centro-orientale. Non la Merkel, visto che in Germania un analogo tentativo di rimettere in gioco le riserve auree è stato respinto senza appello dalla Bundesbank. Ma in ogni caso, se questa fosse la scommessa di Roma, sarebbe comunque ad altissimo rischio. Come già accadde nella legislatura 2001-2006, gli italiani tornerebbero a riproporsi alla comunità internazionale con la consueta, squalificante immagine di sempre: i soliti furbi. E in ogni caso, si dovrebbe passare comunque per uno strappo istituzionale con la Bce, e per un contenzioso costituzionale con la Corte di Giustizia.

Quello che ci si chiede, e non solo lungo l'asse Roma-Francoforte, è molto semplice. Se l'Italia va avanti sulla Golden Tax, rischia una procedura d'infrazione alla Ue e una condanna a Lussemburgo. Un presidente del Consiglio come Berlusconi, già così screditato dalle sue avventure personali, può far pagare al suo Paese anche il "supplemento" di un danno politico così devastante?


Allarme rosso. L'Italia si sfascia
di Eugenio Scalfari - La Repubblica - 2 Agosto 2009

Le notizie sono tante ed emergono da vari fronti, ma il loro senso si racchiude in tre parole: implosione, disfacimento, secessione. Tre parole che non riguardano soltanto il governo, i partiti, l'economia, la scuola, il federalismo, l'immigrazione, la sicurezza, il Mezzogiorno, le mafie, ma riguardano l'intero sistema-paese. Riguardano l'Italia. Riguardano le istituzioni e lo Stato.

Credo sia il momento di lanciare l'allarme rosso perché i segnali sono univoci: l'Italia, lo Stato italiano sono a rischio di implodere e non è uno scenario collocato in un futuro sia pur prossimo, ma già visibilmente in corso.

Bombe a orologeria brillano una dopo l'altra. Alcune sono già esplose. Se le altre non saranno subito disinnescate, se non avrà inizio subito un'inversione virtuosa, tra qualche mese la conflagrazione sarà generale. Stiamo ballando sull'orlo di un vulcano e pochissimi se ne rendono conto.

Tra quei pochissimi c'è sicuramente il Capo dello Stato. Se dovessi fare altri nomi significativi sarei molto imbarazzato. Il solo dato confortante è l'esistenza d'una massa cospicua di persone che percepiscono questa situazione di gravissima crisi e vorrebbero contribuire a spegnere gli incendi già appiccati e impedire che i focolai dilaghino; ma non hanno strumenti, non hanno punti di riferimento, hanno perso la fiducia o non sanno su chi riporla.

Questa massa di persone, al di là degli schieramenti, della condizione sociale, della geografia, rappresenta un deposito di energie potenziali prezioso, ma purtroppo inerte; un esercito di riserva che nessuno è in grado di schierare; una sorta di vecchia e giovane guardia che se entrasse in linea oggi potrebbe capovolgere gli esiti di questa deriva. Sarebbe un miracolo. Io non credo nei miracoli ma in questo ancora ci spero.

* * *
Citerò un esempio dell'implosione in corso, tra i tanti che si possono fare: la penosa vicenda del decreto legge anticrisi che si è conclusa ieri dopo settimane e giorni di reiterati strappi istituzionali e costituzionali.

Il governo emana un decreto che contiene misure urgenti per fronteggiare la crisi economica. Il presidente della Repubblica, al quale non compete di esaminare il merito di quelle misure ma soltanto la loro urgenza, ravvisa che questo requisito esiste e ne autorizza la presentazione in Parlamento. Il provvedimento di conversione del decreto, che deve compiersi entro 60 giorni, inizia alla Camera dei deputati. Le competenti commissioni lo esaminano ma mentre l'esame è già in corso cominciano a piovere emendamenti di estrema importanza presentati dal governo, sicché la materia da esaminare cambia in continuazione sotto gli occhi dei deputati e del presidente della Camera.

Vengono introdotte norme su questioni di grande rilievo tra le quali lo scudo fiscale, la sanatoria per le badanti, spostamenti di risorse e di spese da un capitolo di bilancio ad un altro ed infine un complesso di norme che di fatto tolgono alla Corte dei Conti i poteri effettivi di indagine dei quali dispone.

La pioggia degli emendamenti è talmente copiosa da trasformare il decreto in una sorta di "passe-partout" senza alcun riguardo né all'omogeneità delle norme né alla loro urgenza. La lista degli articoli, dei commi e degli allegati si allarga a dismisura. Il presidente della Camera cerca di arginare quel diluvio ma riesce solo ad aprire un ombrellino bucherellato.

Alla fine, dopo l'ultimo emendamento inserito mezz'ora prima, il decreto va al voto su cui il governo ha posto la fiducia e passa con una stentata maggioranza, molto minore di quella di cui il governo dispone sulla carta.
A questo punto il Capo dello Stato convoca al Quirinale il ministro Tremonti, autore del decreto e di gran parte degli emendamenti che l'hanno trasformato, e in un colloquio di tre ore gli segnala una serie di punti istituzionalmente e costituzionalmente irricevibili. Si augura che il Senato in seconda lettura li emendi, fa capire che in caso contrario rinvierà il decreto alle Camere per un secondo esame come la Costituzione gli dà il potere di fare.

Tremonti ascolta, discute, controbatte; alla fine si impegna ad emendare il decreto. Ma poco dopo fa sapere che le correzioni suggerite da Napolitano non avverranno in Senato dove invece il decreto sarà approvato e convertito in legge con (ennesimo) voto di fiducia senza cambiare una sola virgola. La correzione avverrà subito dopo attraverso un decreto-bis (anch'esso da convertire in legge) che modificherà la legge appena approvata.

Una procedura macchinosa al limite della Costituzionalità, voluta dal governo per un solo ma decisivo motivo: il timore che la maggioranza al Senato si sfaldi e la legge affondi. Con un nuovo decreto ci saranno invece altri due mesi di tempo.

Il Capo dello Stato accetta questa procedura (che ha un precedente che può giustificarla) ma mette una condizione: il nuovo decreto dovrà essere emesso un minuto dopo il passaggio del vecchio decreto al Senato. Napolitano firmerà contemporaneamente la promulgazione della legge e il decreto-bis che la modifica, che è quanto finalmente è avvenuto ieri.

Ho motivo di pensare che il presidente della Repubblica avrebbe di gran lunga preferito che gli emendamenti da lui sollecitati fossero decisi dal Senato. Ma ho anche motivo di pensare che a Napolitano stesse più a cuore che la legge fosse emendata piuttosto che la procedura per ottenere quel risultato.

La morale che emerge da questa penosa vicenda è la seguente: il governo se ne infischia della Costituzione ed anzi opera in tutte le occasioni per svuotarla usando strumenti di urgenza anche dove l'urgenza non c'è e usandoli in modo da scavalcare filtri ed ostacoli. Si è arrivati al punto che una norma di legge fiscale, quella sul pagamento delle imposte da parte dei terremotati dell'Aquila, sia stata emendata con una circolare della Protezione civile anziché con un provvedimento legislativo perché il governo non si fida più della sua maggioranza se non vincolandola con il voto di fiducia. Questo è solo un esempio che dimostra il marasma istituzionale in cui ci troviamo.

* * *

La Lega nord è perfettamente consapevole di questo marasma come del resto lo siamo tutti. Ma la Lega non ne è affatto allarmata, anzi lo desidera. La Lega è un piromane che attizza l'incendio. Per mimetismo è spuntato un altro piromane in Sicilia. Se la Lega incendia anche la Sicilia incendierà. Se il governo si schiera con il leghismo di Bossi e di Tremonti, anche i siciliani adotteranno il metodo del ricatto e frantumeranno la maggioranza.

Per evitare (per ora) l'incendio generale Berlusconi sgancia a Palermo quattro miliardi e (per ora) il leghismo siciliano rinfodera le armi. Quei 4 miliardi in realtà sono finti, prelevati da risorse già destinate alla Sicilia ma bloccate. Semplicemente sono state sbloccate anche se la cassa non ci sarà fino al 2010.

A questo punto entrano in fibrillazione la Calabria, la Basilicata, la Puglia. Ma anche la Liguria, il Veneto, il Piemonte. Perché la Sicilia sì e gli altri no?
Berlusconi promette un piano Marshall per il Sud ma se ne riparlerà a settembre e i fondi comunque sono sempre quelli già stanziati ma non disponibili. La cassa ci sarà, a dio piacendo, tra il 2010 e il 2013. Intanto la secessione silenziosa della Lega va avanti.

* * *
L'esercito italiano è un'espressione "nazionale" e come tale si dà carico di rappresentare il paese nei luoghi dove la pace è minacciata dal terrorismo o da altre emergenze. Ma alla Lega nulla importa che l'Italia sia presente come Stato e chiede il ritiro da tutte le missioni all'estero. Meglio impiegare i soldati per spazzare i rifiuti e per impedire gli sbarchi dei migranti.
La scuola ha una missione culturale nazionale ma la Lega se ne infischia anzi non le piace affatto. Comincia col chiedere un esame di dialetto per i docenti destinati al nord, poi ripiega (ripiega?) su la nascita dei docenti nel territorio e su un esame di abilitazione per la storia e il linguaggio locale. Il ministro Gelmini acconsente.

La Lega non vuole l'integrazione degli immigrati regolari e cerca di seminarla di ostacoli. Sapete, cari lettori, quanti sono oggi gli immigrati regolari? Sono ormai cinque milioni, una massa di persone eguale agli abitanti del Lazio. Ma non si fermeranno qui. Fanno figli, chiamano a raggiungerli altri membri della famiglia, pagano tasse, reclamano diritti. Quale politica si farà per integrare questo flusso? Quanto costerà? Quanto renderà?

Nessuno se ne preoccupa. Così il federalismo. Così la Sanità. Quanto costerà il federalismo? Tremonti non dà cifre perché non le ha. Il costo del federalismo è come il budino: sapremo qual è solo dopo averlo mangiato. Intanto si procede alla cieca perché così vuole la Lega e così vuole Berlusconi che è sotto ricatto: se la Lega lo lasciasse cadrebbe il giorno dopo, anzi quel giorno stesso. Questa è l'implosione, il disfacimento, la secessione silenziosa. Questo è l'allarme rosso che è necessario lanciare.

P. S. Ho chiesto domenica scorsa che fine avessero fatto i 35 miliardi di maggiori spese ordinarie fatte dal governo senza che se ne conosca la destinazione e il perché. Ovviamente il ministro dell'Economia non ha risposto. Né, nelle sedi istituzionali, è stato incalzato a rispondere. Ha risposto sulle minori entrate ma non sullo sfondamento sorprendente della spesa ordinaria.

Mi permetto di domandare a Casini, a Franceschini, a Bersani, a Di Pietro, a Ferrero: a voi non interessa sapere perché uno sfondamento così sorprendente è avvenuto? La più pesante manovra finanziaria degli ultimi vent'anni fu quella fatta da Giuliano Amato nel 1992: novantamila miliardi di lire. Lo sfondamento della spesa di quest'anno (35 miliardi di euro) è pari a 70 mila miliardi di lire. Nessuno è interessato a capire in quale buco nero e perché sono finiti?


Berlusconi irriso all'estero, ma agli italiani va bene così?
di Massimo Fini - www.massimofini.it - 31 Luglio 2009

Nei giorni del G8 ero in Corsica, ho comprato l’Expresse e sono sobbalzato. Il titolo di copertina recitava a tutta pagina: "Enquête sur le bouffon de l’Europe: Berlusconi". Era il culmine di una serie di pesantissime critiche portate al premier italiano da vari giornali europei americani, giapponesi, buona parte dei quali liberali: Financial Times, Daily Telegraph, Wall Street Journal, Herald Tribune, El Pais, El Mundo, Youmuri Shimbun, Vremia Novosti, Tagespiel, Le Monde, The Guardian, The New York Times.

Poi il G8 è andato bene (nel senso che non è successo nulla di male) e Obama ha risdoganato, sul piano internazionale, Berlusconi definendolo una "leadership forte", ma i problemi posti dalla figura del Cavaliere al nostro Paese sono rimasti tali e quali. Sono quelli indicati dall’Express che, dopo il titolo irridente, si limita a farne una nuda elencazione.

1) Nel maggio del 1990, quando nessun "accanimento giudiziario" di tipo politico poteva essere ipotizzato nei suoi confronti, Berlusconi è stato dichiarato "testimone spergiuro" dalla Corte d’Appello di Venezia (aveva cioè giurato il falso in tribunale dichiarando che stava nella P2 solo da tre giorni mentre era iscritto da tre anni). Fu salvato da un’amnistia voluta dagli odiati comunisti per ripulirsi delle loro rogne (finanziamenti illeciti da Mosca).

2) Proprietario di metà del sistema televisivo nazionale, là dove in nessun Paese liberaldemocratico un uomo politico può possedere nemmeno un giornale di quartiere. Per cercare di spiegare l’"anomalia" italiana, altrimenti incomprensibile ai suoi lettori, il columnist del New York Times Robert Mackey ha scritto:
"Immaginate un mondo dove Donald Trump possedesse la NBC, fosse presidente degli Stati Uniti, offrisse a Miss California, in cambio dei suoi favori, un seggio al Senato, e sarete solo a metà per capire che cosa succede in Italia".

3) Un colossale conflitto di interessi che si estende dalla Tv all’editoria di carta stampata (è proprietario della più grande casa editrice italiana e di un importante quotidiano) al settore immobiliare, finanziario, assicurativo e persino al calcio, che Berlusconi promise di risolvere nel 1994 ma che da quindici anni sta lì e pesa come un macigno sulla vita politica ed economica italiana.

4) Una serie di leggi "ad personam" e "ad personas" per cavare dagli "impicci giudiziari" sè e i suoi amici, leggi che hanno scardinato codici penali italiani rendendo quasi impossibile il perseguimento di alcuni reati. Berlusconi è stato processato per falso in bilancio, fondi neri, frode fiscale, finanziamenti illeciti, corruzione della Guardia di Finanza, corruzione di magistrati. In alcuni casi se l’è cavata abolendo, per legge, il reato di cui era imputato, in altri con la prescrizione, ma almeno in due occasioni la Cassazione, giudicando sul processo connesso, ha accertato che il Cavaliere quei reati li aveva commessi anche se non erano più perseguibili per il decorso del tempo.

5) "Lodo Alfano" che sottrae il premier a ogni tipo di processo (anche per omicidio) fino alla conclusione del suo mandato, violando il principio-cardine della liberaldemocrazia: l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.

6) Sentenza di primo grado del Tribunale di Milano che ha accertato che Berlusconi ha corrotto con 600mila dollari un testimone, l’avvocato inglese David Mills, perchè rendesse testimonianze false (testimonianze che gli hanno consentito di essere assolto in altri processi).

7) Cena con due giudici della Suprema Corte che dovranno decidere sulla costituzionalità del "lodo Alfano".

8) Intercettazione delle telefonate Berlusconi-Saccà da cui si evince che il premier usa la Rai-Tv, Ente di Stato, per piazzare favorite, sue o dei suoi amici (i cosidetti casi Noemi ed escort, di cui pur l’Express si occupa, non li prendiamo in considerazione perchè le vicende private del premier, come quelle di qualsiasi altro cittadino, se non si concretano in reati, sono fatti suoi).

Domenica scorsa il Daily Telegraph, quotidiano conservatore britannico, ripercorrendo questa lista ha scritto: "In qualsiasi altro Paese Berlusconi, come politico, sarebbe morto e sepolto da tempo". Agli italiani invece va bene così.


Grillo lancia il suo partito "Liste alla Regionali 2010"
di Mauro Favale - La Repubblica - 2 Agosto 2009

Beppe Grillo scende in campo. Il fustigatore dei partiti ha deciso: fonda un suo partito. Si chiamerà "Movimento di Liberazione Nazionale". Battesimo in autunno. Un "soggetto politico a Cinque stelle", lo definisce il comico genovese. Un richiamo agli hotel di lusso che però, nel linguaggio dei grillini, ha tutt'altro significato: le stelle sono "ambiente, acqua, sviluppo, connettività e trasporti", il cuore della campagna politica del comico.

Ieri il blog di Grillo, (una "corazzata" virtuale da alcune centinaia di migliaia di contatti quotidiani) si apriva ieri con una foto della Sfinge col volto del comico e un titolo: "Comunicato politico numero 24". L'annuncio, nelle ultime righe: "Dopo l'estate lancerò le Liste regionali a Cinque stelle per le elezioni del 2010". In autunno, invece, "nascerà un nuovo Movimento di Liberazione Nazionale, un soggetto politico espressione dei cittadini. Un esempio di democrazia diretta".

Una retromarcia, quella di Grillo. Per lo meno rispetto alle dichiarazioni che aveva rilasciato all'indomani del V Day di Bologna, l'otto settembre 2007. "Io non voglio fare un partito - aveva detto in quell'occasione - io li voglio distruggere i partiti, perché sono il cancro della democrazia". Stupiti ma entusiasti anche i lettori del suo blog: "Finalmente hai smesso di criticare i partiti e stiamo per fare qualcosa di concreto! Sono contento. Finalmente ci voteremo", scrive Gianluca.

"Gran bella notizia! Spero in un'alleanza con l'Idv, altrimenti non si va da nessuna parte", chiosa Fabrizio. Antonio Di Pietro, per ora, non commenta. Ieri sera, in Abruzzo, a Montenero di Bisaccia, il suo paese, tagliava il pane per la cena di oltre mille suoi concittadini. E ha poca voglia di parlare anche Debora Serracchiani, eurodeputata Pd, alla quale Grillo si era rivolto quando, alcune settimane fa, aveva provato la "scalata" al Partito Democratico. Il lancio del suo movimento arriverà in autunno, a distanza ravvicinata col congresso del Pd. E solo questo ha in mente la Serracchiani: "Preferisco pensare al nostro congresso. È lì che costruiremo delle alternative".

Insomma, Grillo dopo averci provato col Pd si fa il suo partito. Una lenta maturazione, culminata a giugno con la presentazione di alcune liste (64 in altrettanti comuni) per le amministrative. Risultato: i grillini sono riusciti a far eleggere in totale 23 consiglieri comunali e 6 consiglieri di circoscrizione.

La discesa in campo di Grillo è fondata su alcune premesse: "L'assalto alla diligenza Italia - scrive il comico - è in corso. Gli unici esclusi sono i cittadini, coloro che si ostinano a chiamarsi italiani e a pagare le tasse". Grillo se la prende con il ministro Tremonti, definito "Tremorti, il grande elemosiniere con il debito degli italiani". Quello che arriverà, sarà "un autunno flambè" con licenziamenti, chiusura delle fabbriche e allargamento della fascia di povertà. "A 150 anni dall'Unità d'Italia ci sono otto milioni di poveri. Questa Italia è fallita". "Quando i soldi finiranno - conclude Grillo - allora inizierà il ballo. Nessuno può dire di che tipo: secessionista, peronista, federalista, pre-unitario, fascista. Una danza a cui dobbiamo partecipare, non assistere".