lunedì 31 agosto 2009

Un'informazione a puttane

Nessun altro commento per una vicenda che rappresenta un'ulteriore riprova che il Paese è ormai senza speranze.


Fate quel che dico, ma non dite quel che faccio
da bamboccioni alla riscossa - 31 agosto 2009

Da una parte la (presunta) coda di paglia dei cavalieri senza macchia. E la (presunta) solidarietà pelosa della Casta dei giornalisti. Dall’altra le notizie usate non per informare, ma come arma per atterrare l’avversario in una guerra tra poteri forti. Anzi, tra bande. Comunque la si voglia girare la parabola umana di Dino Boffo - da direttore dell’Avvenire, quotidiano dei vescovi; a protagonista dell’ennesima (presunta) vicenda boccaccesca di questa tragicomica estate italiana - è una brutta storia. Tutta italiana. E - come da consolidata tradizione del Belpaese dei misteri - tutta da chiarire.

Passo indietro indispensabile. Tra ieri e oggi - con una tecnica di distrazione di massa consolidata - giornali e tiggì hanno seppellito... quer pasticciaccio brutto di Piazza carbonari (dove ha sede appunto il giornale dei vescovi) con la parola “polemica”. Perchè nel nostro Belpaese è così: quando una vicenda è scottante diventa “motivo di polemiche”. Ma le polemiche - cioè gli urlacci e le risse - da che mondo e mondo non aiutano a capire. Solo a far caciara. E allora, appunto: è meglio - per spiegare cosa diavolo è successo anche a chi fosse digiuno di quanto accaduto (ma gli altri questa parte, se la possono saltare) - tornare a ieri. Quando il quotidiano berlusconiano “Il Giornale” ha pubblicato ampi stralci da una nota informativa che accompagnava il rinvio a giudizio - disposto dal giudice per le indagini preliminari di Terni - del direttore di “Avvenire”. Nota informativa che lasciava - per lo meno in apparenza - poco spazio per dubbi e fantasie.

«…Il Boffo - recita uno degli stralci della nota informativa pubblicata da “Il Giornale” - è stato a suo tempo querelato da una signora di Terni destinataria di telefonate sconce e offensive e di pedinamenti volti a intimidirla, onde lasciasse libero il marito con il quale il Boffo, noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni, aveva una relazione»

Come è andata a finire la querela? Semplice. Un altro stralcio della solita nota pubblicata dal solito “Il Giornale” spiegava che:

«Rinviato a giudizio il Boffo chiedeva il patteggiamento e, in data 7 settembre del 2004, pagava un’ammenda di 516 euro, alternativa ai sei mesi di reclusione»

Per altro:

«Precedentemente il Boffo aveva tacitato con un notevole risarcimento finanziario la parte offesa che, per questo motivo, aveva ritirato la querela…»

In pratica. Per quel che par di capire: il direttore del giornale dei vescovi sarebbe gay. Avrebbe avuto una relazione con un altro uomo. E avrebbe - telefonicamente e non solo - per giunta molestato la moglie di quell’uomo. Ma tutto questo - la vicenda sentimental-giudiziaria e il patteggiamento - risalirebbero a parecchi anni addietro. Le telefonate sconce e i pedinamenti addirittura al 2001 e al 2002. Il patteggiamento, appunto, al 2004. E qui viene il bello. Perchè un altro giornalista, Mario Adinolfi - che nulla a che fare con “il Giornale” e con Berlusconi; e che invece ha lavorato proprio all’Avvenire - giura che la vicenda era ben nota nelle redazioni di mezza Roma. Ma tutti si erano ben guardati dallo scrivere una riga che fosse una. Fino a ieri, appunto. Quando - tanto per cambiare e con l’unica eccezione de “Il Giornale” - invece dello scandalo, sono esplose le “polemiche”.

Possibile? Beh, per quanto la vicenda a questo punto acquisti le tinte del surreale, la risposta è: parrebbe di sì. Perchè proprio Adinolfi - che oggi milita nel Piddì ed è in forza a Red Tv, televisione satellitare vicina a Massimo D’Alema - nel 2005 (ben prima del’inizio della stagione di papi e pupe; e quindi in tempi non sospetti) sul suo blog aveva scritto nero su bianco che:

Pare che il direttore di un quotidiano cattolico abbia ricevuto un decreto penale di condanna. Ma non oggi, l’anno scorso. Tutti i giornali ne sono a conoscenza, a Roma se ne chiacchiera con gusto giusto da un anno, ma per quello strano patto che fa sì che i direttori di giornali si proteggano tra loro, sui giornali non troverete una riga sull’argomento.

Adinolfi, in quel post del 20 settembre 2005, chiedeva al direttore in questione di farsi avanti e raccontare cos’era successo. Ma niente, silenzio. Per quattro anni. Poi, ieri, sempre Adinolfi è tornato sull’argomento proprio per ribadire che sì quel direttore di quel giornale cattolico era proprio lui, Dino Boffo.

La storia di Dino Boffo, direttore di Avvenire, e dei suoi rapporti omosex sfociati in una condanna per molestie era nota ai giornali da almeno cinque anni e ai lettori di questo blog da tre. Il titolone con cui Il Giornale di Vittorio Feltri, per primo, ha rotto un muro di omertà attorno a questa vicenda chiama in causa ipocrisie e giornalismi all’italiana.

Non solo. Ma oggi Adinolfi ha pure aggiunto un altro particolare non di poco conto. Scrivendo che:

La citazione, poi, dei comportamenti omosessuali di Boffo “attenzionati” dalla polizia inquieta qualcuno, mentre i più sanno che è conseguenza delle frequentazioni del direttore di Avvenire dei luoghi della prostituzione maschile milanese.

Ma Adinolfi è stato uno dei pochissimi giornalisti italiani - ad eccezione va da sè di quelli de “Il Giornale” - a salutare con favore lo stop dell’embargo alla notizia. “La Repubblica”, per mano del vicedirettore Giuseppe D’Avanzo, ha parlato di “aggressione come” nuova strategia berlusconiana (e praticamente non ha minimamente spiegato la disavventura sentimental-giudiziaria di Boffo). “La Stampa”, per voce del direttore Mario Calabresi, ha chiesto di mettere la parola “fine” all’”estate dei veleni” (e tanto per cambiare non ha minimamente spiegato la disavventura sentimental-giudiziaria di Boffo). Il Sole 24 ore, per bocca di Stefano Folli, ha dottamente spiegato che “la strategia (aridanghete) delle ritorsioni non conviene a nessuno (e per non sbagliarsi non ha minimamente spiegato la disavventura sentimental-giudiziaria di Boffo). E perfino l’Antefatto - il blog che fa da anteprima a “Il Fatto”, il nuovo quotidiano targato Travaglio&Padellaro - ha parlato di informazione fatta con i “manganelli” (copyright Luca Telese) e di una strategia (ari-aridanghete) che sarebbe controproducente per il Cavaliere (copyright Travaglio). Ma a dispetto del nome del giornale che verrà, anche qui il fatto - quello con protagonista Boffo, il presunto amante e la moglie del presunto amante - non era minimamente ricostruito. Magari con un intervista proprio a Boffo. Anche perchè - già nel pomeriggio di ieri - il direttore del giornale dei vescovi aveva vergato sull’edizione elettronica di “Avvenire” parole piene di sdegno:

La lettura dei giornali di questa mattina mi ha riservato una sorpresa totale, non tanto rispetto al menù del giorno, quanto riguardo alla mia vita personale. Evidentemente «il Giornale» di Vittorio Feltri sa anche quello che io non so, e per avallarlo non si fa scrupoli di montare una vicenda inverosimile, capziosa, assurda. Diciamo le cose con il loro nome: è un killeraggio giornalistico allo stato puro, sul quale è inutile scomodare parole che abbiano a che fare anche solo lontanamente con la deontologia. Siamo, pesa dirlo, alla barbarie.

Nel confezionare la sua polpettona avvelenata Feltri, tra l’altro, si è guardato bene dal far chiedere il punto di vista del diretto interessato: la risposta avrebbe probabilmente disturbato l’operazione che andava (malamente) allestendo a tavolino al fine di sporcare l’immagine del direttore di un altro giornale e disarcionarlo. Quasi che non possa darsi una vita personale e professionale coerente con i valori annunciati. Sia chiaro che non mi faccio intimidire, per me parlano la mia vita e il mio lavoro(…).

Parole piene di sdegno, dicevamo. Ma che lasciavano - per lettori, elettori e comuni mortali - una lunghissima scia di punti interrogativi. Dino Boffo è davvero omosessuale? Ha davvero avuto una relazione con un uomo sposato? Ha davvero patteggiato quell’ammenda per quelli che lui chiama semplici “fastidi telefonici”? E’ vero, come ha scritto sempre il quotidiano diretto da Vittorio Feltri, che del reato che ha commesso e delle debolezze ricorrenti di cui soffre e ha sofferto il direttore Boffo, «sono indubbiamente a conoscenza il cardinale Camillo Ruini, il cardinale Dionigi Tettamanzi e monsignor Giuseppe Betori»? E se quei pochi stralci della nota informativa pubblicati da “Il Giornale” non sono stati montati ad arte, ma raccontano la pura e semplice verità, che ci fa Boffo ancora alla guida di un giornale che dell’etica cattolica non fa solo la sua bandiera, ma la sua ragion d’essere?

Tante domande. Nessuna risposta. Perchè cane non mangia cane. E i giornalisti - a quanto pare - non sono abituati a fare domande scomode in generale. E figuriamoci ai colleghi giornalisti. Neppure quelli de “Il Giornale”. Che a Boffo - come ha scritto nero su bianco lo stesso Boffo - non hanno chiesto nulla. Del resto a Vittorio Feltri, neo direttore del foglio berlusconiano, evidentemente interessava solo poter dire che “nessuno, tantomeno al Giornale, si sarebbe occupato di una cosa simile se lui (Boffo, NdA), il Principe dei moralisti, non avesse fatto certe prediche dal foglio Cei (sigla che sta per Conferenza episcopale italiana, NdA) per condannare le presunte dissolutezze del Cavaliere”. Cioè levare a Berlusconi Silvio, fratello del suo editore Berlusconi Paolo, le castagne dal fuoco di escort e Noemi varie. E oggi, nel suo ultimo editoriale, appunto, c’è finalmente riuscito.

Lo avevamo scritto al principio: una storia tutta italiana, insomma. Dove nessuno fa quel che dovrebbe fare. Ma tutti dicono cosa dovrebbero fare gli altri. Ma continuiamo pure così. Finchè dura.


Dov'è finita l'informazione
di Edmondo Berselli - La Repubblica - 31 Agosto 2009

Esploso in questi mesi come una battaglia di verità, davanti alle contraddizioni e alle bugie del premier, lo scandalo Berlusconi diventa oggi un problema di libertà, come sottolineano tutti i grandi quotidiani europei, evidenziando ancor più il conformismo silente dei giornali italiani. Prima la denuncia giudiziaria delle 10 domande di "Repubblica", un caso unico al mondo: un leader che cita in giudizio le domande che gli vengono rivolte, per farle bloccare e cancellare, visto che non può rispondere. Poi l'intimidazione alla stampa europea, perché non si occupi dello scandalo. Quindi il tentativo di impedire la citazione in Italia degli articoli dei giornali stranieri, in modo che il nostro Paese resti all'oscuro di tutto. Ecco cosa sta avvenendo nei confronti della libertà di informazione nel nostro Paese.

A tutto ciò, si aggiunge lo scandalo permanente, ma ogni giorno più grave, della poltiglia giornalistica che la Rai serve ai suoi telespettatori, per fare il paio con Mediaset, l'azienda televisiva di proprietà del premier. È uno scandalo che tutti conoscono e che troppi accettano come una malattia cronica e inguaribile della nostra democrazia. E invece l'escalation illiberale di questi giorni conferma che la battaglia di libertà si gioca soprattutto qui.

La falsificazione dei fatti, la mortificante soppressione delle notizie ridotte a pasticcio incomprensibile, rendono impossibile il formarsi di una pubblica opinione informata e consapevole, dunque autonoma. Anzi, il degrado dei telegiornali fa il paio con il pestaggio mediatico dei giornali berlusconiani. Molto semplicemente, il congresso del pd, invece di contemplare il proprio ombelico, dovrebbe cominciare da viale Mazzini, sollevando questa battaglia di libertà come questione centrale, oggi, della democrazia italiana.

In quest'ultima stagione del berlusconismo abbiamo contemplato l'apice del conflitto d'interessi, l'anomalia più grave (a questo punto la mostruosità) della politica italiana. Si è vista l'occupazione della Rai e specialmente dei vertici dei telegiornali, cioè ruoli pubblici trasformati in postazioni partigiane; e nello stesso tempo la blindatura militare dei media di proprietà diretta o indiretta del capo del governo.

Berlusconi voleva un'anestesia della società italiana, in modo da poter comunicare ai cittadini esclusivamente le sue verità, i successi, le vittorie, le sue spettacolari "scese in campo" contro i problemi nazionali. L'immondizia a Napoli, il terremoto in Abruzzo, la continua minimizzazione della recessione. Una e una sola voce doveva essere udita, e gli strumenti a disposizione hanno fatto sì che fosse praticamente l'unica a essere diffusa e ascoltata.

Ma evidentemente tutto questo non bastava. Non bastava una maggioranza parlamentare praticamente inscalfibile. Non bastava al capo del governo neppure il consenso continuamente sbandierato a suon di sondaggi. Nel momento in cui la libertà di informazione ha investito lo stile di vita di Berlusconi, e soprattutto il caotico intreccio di rozzi comportamenti privati in luoghi pubblici o semi-istituzionali, il capo della destra ha deciso che occorreva usare non uno bensì due strumenti: il silenziatore, per confondere e zittire l'opinione pubblica, e il bastone, per impedire l'esercizio di un'informazione libera.

Negli ultimi mesi chiunque non sia particolarmente addentro alla politica ha potuto capire ben poco, in base al "sistema" dei telegiornali allineati, dello scandalo che si stava addensando sul premier. Un'informazione spezzettata, rimontata in modo incomprensibile, privata scientemente delle notizie essenziali, ha occultato gli elementi centrali della vicenda della prostituzione di regime.

Allorché alla lunga lo scandalo ha bucato la cortina del silenzio, è scattata la seconda fase, quella dell'intimidazione. L'aggressione contro il direttore di Avvenire, Dino Boffo, risulta a questo punto esemplare: il giornale di famiglia, riportato rapidamente a una funzione di assalto, fa partire il suo siluro; nello stesso tempo l'informazione televisiva, con una farragine di servizi senza capo né coda, rende sostanzialmente incomprensibile il caso.

Come in una specie di teoria di Clausewitz rivisitata e volgare, il killeraggio giornalistico, cioè una forma di guerra totale, priva di qualsiasi inibizione, si rivela un proseguimento della politica con altri mezzi. In grado anche di fronteggiare le ripercussioni diplomatiche con la segreteria di Stato vaticana e con la Cei. La strategia rischia di essere efficace, peccato che configuri un drammatico problema di sistema.

Ossia una ferita gravissima a uno dei fondamenti della democrazia reale (non dell'astratta democrazia liberale descritta dai nostri flebili maestri quotidiani). Purtroppo non si sa nemmeno a quali riserve di democrazia ci si possa appellare. Ci sono ancoraggi, istituzioni, risorse di etica e di libertà a cui fare riferimento? Oppure il peggio è già avvenuto, e i principi essenziali della nostra democrazia sono già stati frantumati?

Basta una scorsa alla più accreditata informazione straniera per rendersi conto del penoso provincialismo con cui questo problema viene trattato qui in Italia, della speciosità delle argomentazioni, del servilismo della destra (un esponente della maggioranza ha dichiarato ai tg che la rinuncia di Berlusconi a partecipare alla Perdonanza, dopo l'attacco del Giornale a Boffo, "disgustoso" per il presidente della Cei Angelo Bagnasco, era un atto "di straordinario valore cristiano").

Oltretutto, risulta insopportabile l'idea che nel nostro futuro, cioè nella nostra politica, nella nostra cultura, nella nostra idea di un paese, ci sia un blocco costituito dall'informazione di potere, un consenso organizzato mediaticamente nella società, e al di fuori di questo perimetro pochi e rischiosi luoghi di dissenso. Questa non è una democrazia. È un regime che non vuole più nemmeno esibire una tolleranza di facciata. Quando tutti se ne renderanno conto sarà sempre troppo tardi.


Il giornalismo italiano non può non prendere parte alla mobilitazione
di Roberto Morrione - www.liberainformazione.org - 30 Agosto 2009

Dopo l’orgia delle nomine Rai di mezz’estate, antica consuetudine bi-partisan, ma con i diktat e la diretta supervisione del premier nella scelta dei direttori ( in puro stile berlusconiano) si accende ora lo scontro su Rai 3 e TG 3, che nello schema della lottizzazione storica dominante nel Servizio Pubblico spettano alle scelte del PD, ma che il premier dichiaratamente non sopporta, per i contenuti antitetici al suo modello di informazione allineata, asettica, priva di denuncia critica e autonoma.

Sullo sfondo, nel paludoso quadro della gestione aziendale dominata dal conflitto d’interessi, dalla legge Gasparri e dai proconsoli della maggioranza di governo, sembra riaprirsi così una giostra di nomi, il cui esito dipenderà da giochi di potere, anche con personalismi all’interno del CDA, non certo da oggettive valutazioni sulle professionalità e le esperienze acquisite, la qualità dei contenuti, i bilanci degli ascolti, il consenso di quella parte dei cittadini che, considerate le scelte delle altre Reti, già permeate dal modello evasivo e propagandistico caro al premier, su Rai 3 appuntano i residui motivi di affezione al Servizio Pubblico.

Il PD a sua volta, immerso a testa bassa solo nel confronto congressuale, sembra vivere su un altro pianeta e rischia di essere posto all’angolo, assumendosi brutalmente l’immagine del lottizzatore, per di più sprovveduto e attaccabile “da sinistra”, secondo una definizione di un tempo magari declinabile oggi in chiave “dipietrista”…

E tutto questo passerà largamente al di sopra della società italiana, tramortita da un quadro dell’informazione televisiva fatto del nulla, dove la banalità e il conformismo affogano gli enormi problemi della realtà, della crisi, delle tragedie collettive sul mare e di quelle quotidiane di milioni di persone rese realmente “clandestine”, dell’assenza di legalità e di responsabilità, in un Paese sempre più irriconoscibile e privato della parte migliore delle proprie radici, in un mondo di contraddizioni e drammi che la TV del consumo e dell’effimero ignora.

E’ su questi contenuti che occorre invece puntare e farlo subito, prima che con l’Autunno si profili minaccioso il piano di definitiva occupazione mediatica annunciato da Berlusconi, a partire dalla legge sulle intercettazioni, il cui contrasto non potrà essere affidato solo alla vigilanza costituzionale e all’intervento del Presidente Napolitano.

E’ decisivo comprendere come gli attacchi di Berlusconi a Rai 3 e il tentativo di cambiarne assetti, gestione e probabilmente scelte editoriali non sono cosa diversa, ma costituiscono una parte essenziale di questo piano, che non si accontenta più del servilismo dell’impero mediatico, sul parametro del TG 1, ma che esige un bavaglio più stretto, rifiutando anche sprazzi di verità, di memoria critica, attraverso inchieste, news non reticenti, uso della diretta giornalistica nel vivo delle situazioni sociali e delle battaglie sui diritti.

Sull’obiettivo di salvare e rendere anzi più incisivi i Report, gli approfondimenti del TG 3, le serate di Lucarelli, le inchieste di Jacona, come la satira intelligente e creativa, si può saldare subito uno schieramento, che veda insieme i tanti giornalisti e tecnici Rai che non accettano di esercitare il mestiere ammanettati dal potere e da direttori grati a chi li ha messi a quel posto e gli autori, i programmisti, gli sceneggiatori, i tanti collaboratori esterni e soprattutto la parte responsabile della società civile.

Anche riaprendo un’analisi intelligente sulla fiction, come hanno fatto con grande incisività i Procuratori di Palermo Ingroia e Scarpinato ponendo interrogativi reali su come la TV pubblica e privata stia trattando da anni i temi della lotta alla mafia, con esiti culturali e sociali, soprattutto fra i giovani, estremamente rischiosi e problematici.

Il giornalismo italiano, attraverso le sue rappresentanze sindacali, ma anche quella parte di redazioni che non vuole rinunciare a esprimere un approccio con la realtà tetragono all’edulcorato appiattimento sul potere, non può non rispondere a questo tipo di mobilitazione. Libera Informazione, come Articolo 21, faranno la loro parte, ma spetta alla FNSI il compito di muoversi subito per coordinare e attivare queste energie, fissare un programma d’azione, collegarsi a chi – come il segretario del PD Franceschini ha fatto in una dichiarazione importante, ma finora solitaria – ha preannunciato per Settembre una forte protesta popolare per fermare il disegno berlusconiano.

Non dimentichiamoci la scena finale del “Caimano” di Nanni Moretti: quando si accendono roghi, niente di meglio della stampa per alimentarli e le immagini, come i byte, ardono benissimo.