lunedì 3 agosto 2009

L'immigrazione se ne fotte di Maroni o Calderoli

In Italia, dopo la delirante introduzione del reato d'immigrazione clandestina che entrerà ufficialmente in vigore l'8 Agosto, il governo si è già diviso tra i sostenitori di una sanatoria non solo per badanti e colf ma da estendere anche ad altre categorie di lavoratori e chi vi si oppone duramente.
O meglio, è soprattutto all'interno del Pdl che si è palesata questa divisione visto che la Lega è da sempre fermamente contraria ad ogni estensione della sanatoria.

Ma non saranno certo nè il reato d'immigrazione clandestina nè i respingimenti in mare a fermare tutti coloro che, non avendo più nulla da perdere, sono disposti a tutto - anche a viaggi massacranti che molto spesso si concludono in tragedia - pur di cercare un futuro migliore per sè e la propria famiglia.

Persone che se ne sbattono altamente di un Maroni o di un Calderoli qualsiasi.


La mappa dei popoli
di Linda Chiaramonte - Peacereporter - 1 Agosto 2009

Raccontare i rifugiati, i migranti, i richiedenti asilo attraverso le mappe geografiche, è quello che fa Philippe Rekacewicz, cartografo d'inchiesta, geografo e giornalista fra gli ideatori e realizzatori del nuovo Atlante Un mondo capovolto di Le Monde Diplomatique/Manifesto uscito da poche settimane in Italia.

"La carta trasmette un messaggio politico", dice Rekacewicz, "è un mezzo di propaganda non un oggetto fedele alla realtà, ma soggettivo, che dipende dalle scelte del cartografo". Le carte dell'Atlante, oltre trecento, sembrano schizzi fatti a mano. "Una dimensione umana che semplifica, ma non semplicista, che cattura l'attenzione per diffondere ad un pubblico più ampio un oggetto scientifico che fornisce dati e trasmette emozioni, imprecisioni. Non è la precisione che importa quanto la rappresentazione simbolica per capire meglio il reale. L'uso dell'immaginazione e dell'arte serve per fare arrivare meglio il messaggio.

La manipolazione dell'uso delle carte serve come propaganda, ad esempio attraverso la misura, la scala utilizzata. Ingrandire le proiezioni aumentando le dimensioni mostra quanto un paese sia importante, grande e minaccioso. Anche la cartografia che appare più neutra nasconde alcuni elementi. La carta è un affare di stato, non un oggetto neutro". Abbiamo incontrato Philippe Rekacewicz a Bologna, ospite dei seminari di Le Monde Diplomatique organizzati nelle scorse settimane dal Dipartimento di discipline storiche dell'Università e dal mensile francese. Gli abbiamo rivolto alcune domande.

Quali sono limiti e meriti dei confini geografici?

La frontiera è un elemento della geografia molto ambivalente, rappresenta un ostacolo, un oggetto per respingere e al tempo stesso raggruppa e protegge la gente. Per rifugiati, migranti, viaggiatori, è un ostacolo, a volte facile da superare, a volte meno, che provoca morti e feriti. È una frammentazione tangibile artificiale del pianeta, strettamente legata a decisioni politiche di regolazione del territorio. Sul pianeta ci sono già paesi ricchi dominanti dove tutto è più facile, e poveri dominati, in cui la popolazione ha difficoltà a vivere, curarsi, istruirsi, accedere ai diritti fondamentali e alla democrazia. Nelle democrazie, dove questi diritti sono assicurati e nei cui spazi ci si può muovere facilmente, le frontiere esistono, sono barriere doganali, segnano il limite di sovranità di uno stato, ma gli uomini le possono attraversare quasi senza vederle.

Come nell'area Schengen. Elementi tangibili che diventano virtuali, esistono, ma di cui quasi non ci si accorge. Quando si proviene da un paese ricco è tutto più facile, ma la frontiera è un elemento discriminante e pericoloso per i quattro quinti del pianeta. Gente che ha bisogno del visto per attraversarla, che non si può muovere liberamente, a cui è vietato l'accesso a intere regioni e continenti. È un diritto fondamentale negato per una grande fetta del pianeta che spesso lascia paesi autoritari dove i diritti sono violati. È una discriminazione scandalosa perchè lascia vivere nella povertà estrema e impedisce alle persone di muoversi per accedere ai diritti fondamentali. È un oggetto paradossale e molto perverso che permette al tempo stesso di definire i limiti di una sovranità, di raggruppare i popoli in seno alla loro nazione sulla base di un senso di appartenenza legata ad un territorio definito da una frontiera che fa sentire protetti come in un guscio, ma pericolosa per tutti quelli che sono all'esterno che avrebbero legittimamente il diritto di entrare nel guscio e a cui è impedito farlo.

Un elemento che respinge, rigetta, discrimina, e impedisce di circolare liberamente nel pianeta. Talvolta divide, separa, popoli uguali o che si assomigliano, popoli amici. È stato straziante nella guerra nell'ex Jugoslavia federale, fatta da una mescolanza di serbi, croati e bosniaci. Dove far passare la frontiera nel caso di famiglie con padre croato e madre serba, al centro del letto? La frontiera che separa è inconcepibile, anche se serve per dividere popoli differenti, ma su quale criterio si decide che un popolo è diverso dall'altro e che bisogna separarli? Dove tracciarla? Su quale criterio si ammette la rivendicazione territoriale di un popolo su un determinato territorio? Storico, archeologico, sociale, nazionale? La maggior parte di questi criteri sono inammissibili, illegittimi. Sono per un mondo aperto con unità territoriali gestibili a misura d'uomo. Non so quale sia l'unità più adatta, la regione, il dipartimento, la città. La frontiera è strumento di pace formidabile per definire i limiti in cui vivere, ma mi ha molto emozionato il giorno in cui con Schengen sono state abbattute le frontiere e cancellati i controlli.

Quali sono gli elementi positivi delle frontiere?

La regolamentazione delle tariffe doganali, utile per proteggere da speculazioni, conquiste territoriali e commerciali. Alla fine degli anni '80, quando l'URSS e il comunismo si sciolsero, sarebbe stato necessario proteggere questi paesi proiettati verso un capitalismo selvaggio, quello della Russia di Eltsin, che oggi pagano un prezzo molto elevato per la crisi finanziaria e per essere stati precipitati in un sistema di mercato brutale che ha provocato povertà e discriminazione. Rinforzare la frontiera, regolare i flussi finanziari ed economici, li avrebbe senza dubbio preservati dal ciclone economico, dalla bolla speculativa enorme e dannosa che li ha investiti.

La frontiera è positiva quando serve a regolare e proteggere un'economia. È necessario avere territori, frontiere, stati di diritto, che legiferino per ristabilire una forma di uguaglianza fra le persone. Purtroppo accade raramente, inoltre oggi c'è la grande frontiera di Schengen, la più mortale e pericolosa al mondo, che uccide migliaia di persone, molto più di altre frontiere di paesi in conflitto definite pericolose. Una delle più sanguinanti di questa Europa che si sente a rischio e si protegge contro la terribile minaccia degli stranieri. Il ruolo della frontiera, aperta verso l'esterno e in cui c'è libera circolazione di persone e beni, da dentro sembra positivo, ma siamo ciechi davanti alla macelleria che provoca fuori per tutte le popolazioni che cercano disperatamente di entrare in Europa.

C'è una grande contraddizione: un mondo sempre più globalizzato, ma che costruisce sempre nuovi muri e barriere. Come si spiega?
È vero, c'è una grande contraddizione. È difficile cartografare un mondo che si globalizza, in cui i flussi finanziari sono sempre più rapidi, miliardi di dollari fanno il giro del pianeta in meno di un minuto, le frontiere non esistono. Un mondo virtuale, in cui si ha accesso a quasi tutti i media in tempo reale, l'accesso all'informazione è talmente enorme da produrre l'effetto contrario, come se non ci fosse. Avere milioni d'informazioni equivale a non averne, cosa che i sovietici avevano capito benissimo nel disegnare le carte, producendole talmente grandi e ricche di dati da non vedere più nulla e risultare inutili.

C'è un paradosso, le merci circolano quasi in maniera libera intorno al globo, passano dalle dogane, i prodotti coltivati in Senegal arrivano tutte le mattine sui banchi dei mercati di Parigi, il commercio internazionale è ben organizzato, ma alcuni accordi che servirebbero a proteggere i paesi più vulnerabili restano fermi. La finanza funziona, ma le frontiere sono chiuse per poveri e malati fatto che crea spesso rigurgiti di nazionalismo, sentimenti di appartenenza, come dalla caduta dell'URSS, la frammentazione di territori e l'insorgere di velleità di indipendenza. La divisione della Jugoslavia in molte unità territoriali sempre più piccole ha sviluppato sentimenti ultranazionalisti di difficile gestione.

La costruzione di nuove frontiere provoca separazioni di famiglie e popolazioni, è fonte potenziale di conflitti fra i paesi per l'acqua o l'approvvigionamento del gas, gli esempi sono numerosi. Dietro l'idea che la frontiera protegga esiste la minaccia di una migrazione che vuole invadere il territorio, come accade in Italia. Un'impressione virtuale che non corrisponde assolutamente alla realtà delle cifre sulla quantità delle persone che arrivano. Ci sarebbe una reale capacità dell'Europa di assorbire questa popolazione, basterebbe smettere di piegare i paesi poveri e organizzare un vero aiuto per sviluppare attività nei loro paesi. La gente parte perché le condizioni di vita sono impossibili. Oggi ovunque si costruiscono muri che separano le frontiere e le rendono ancora più pericolose. Prima dei muri si poteva passare in modo più o meno sicuro, ora dove c'è un muro ci sono pattuglie armate, morti. Le frontiere nazionali sono intese come qualcosa che protegge, ma c'è un'altra frontiera del tutto eccezionale: il muro palestinese, una frattura odiosa e orribile che dilania il paesaggio, con la particolarità di seguire la linea verde che non è veramente una frontiera, ma un limite internazionale, il solo riconosciuto.

La linea del '49, fa da ufficio di frontiera, è una linea invisibile che si può attraversare senza rendersene conto come a Gerusalemme, al punto che, poiché gli israeliani occupano la Cisgiordania e i territori palestinesi, hanno giudaizzato, israelizzato gli edifici pubblici, l'arredo urbano, creando una tale confusione da non capire che si è passati altrove e questa frontiera, legalmente riconosciuta da un'istituzione internazionale, l'ONU, sparisce, non esiste nel paesaggio. È pura virtualità. Al contrario il muro strazia il paesaggio si allontana di parecchi chilometri dalla linea verde e solca il territorio palestinese, è il caso in cui non esiste una frontiera, ma un muro di sicurezza per proteggersi dai barbari, i selvaggi.

Il muro ha di fatto la funzione di ufficio di frontiera ed è totalmente illegale, riconosciuto come tale dalla corte internazionale di giustizia, dalle Nazioni Unite, dalla comunità internazionale, ma è tangibile. C'è una frontiera legalmente riconosciuta, invisibile, che si può attraversare in ogni direzione e un'altra rappresentata da un muro orrendo che separa la popolazione palestinese che frammenta e sta uccidendo la società. Il muro è totalmente illegale, non ha alcuno status, è unilaterale. Ci sono altri muri interiori costruiti per proteggersi dall'altro. In molte città in Messico, Brasile, Argentina, il muro serve per non vedere le bidonville che stanno dietro, per negare e nascondere ciò che crea problemi.

Lo stesso nell'Irlanda del nord per separare cattolici e protestanti. Da una parte c'è una moltiplicazione di scambi che permette di andare dappertutto velocemente circolando intorno al pianeta in aereo, dall'altra popoli che si irrigidiscono sulle loro identità nazionali, costruendo muri che dividono ulteriormente i territori. È la logica delle gated communities in cui si rinchiude una popolazione in uno spazio perché c'è una grave minaccia esterna. Il muro, il limite, impedisce alla gente di andare in alcuni luoghi, è la strategia adottata anche nei supermercati o nei negozi degli aeroporti dove ci sono barriere artificiali a guidare il flusso della gente e invogliarla a spendere, il percorso non è libero, ma guidato. È una scienza.

Ci sono molti clichè sulle rotte percorse dai migranti, sono credibili?

È difficile dire da dove passano i flussi migratori. Niente di meno conosciuto, molti movimenti ci sfuggono. Forse si sanno le direzioni, ma non le rotte. Ci sono flussi che dall'Africa vanno in Europa con direzioni molto generali. Questo vale solo per una piccola parte di migranti, su un centinaio di migliaia di persone solo qualche decina utilizza le frontiere terrestri, molti prendono l'aereo. Molta migrazione "clandestina" è entrata in modo legale attraverso gli aeroporti. Non tutti sono sorvegliati come quelli americani, si può eludere la vigilanza uscendo senza troppi problemi. Alcuni aeroporti sono molto grandi e sono luoghi di passaggio per chi ha un passaporto falso. La polizia non ha la capacità di verificare i documenti di ogni viaggiatore, diverse migliaia al giorno. Oggi ci sono quantificazioni molto approssimative, non si conosce nel dettaglio la portata dei flussi, si lavora con dati anacronistici, dello scorso anno o più vecchi, non si fa monitoraggio sulla sorveglianza delle frontiere, le conoscenze sulle migrazioni sono frammentate.

Non solo i flussi non sono conosciuti, ma data la tendenza dei governi a chiudere i centri di accoglienza, c'è molto meno controllo. Esistono milioni di senza patria, gente senza identità, una popolazione sconosciuta, non identificata. Il Nepal ha capito che era meglio regolarizzarla dando a milioni di senza patria un'identità e una nazionalità, un certificato di nascita, cosa mai successa nella storia. È rimarchevole che il governo di un paese povero si sia lanciato in un'operazione simile, anche Thailandia e Cambogia stanno seguendo questa linea. I governi capiscono che per la sicurezza nazionale è più importante dare referenze alle persone, potendo esercitare più controllo su di esse. Non lo fanno per filantropia, ma per averne un'idea più precisa, quantificarli, dar loro uno stato civile, cosa che ne rende più facile la gestione.

Cosa pensa dei recenti casi di navi di migranti mandate indietro dall'Italia?
È scandaloso, ma è una pratica diffusa. Quando le guardie costiere recuperano barche di migranti nel mediterraneo, se possono li riaccompagnano indietro. Sanno che se li portano sulla terra ferma per curarli, per legge sarebbero obbligati ad accettare le richieste di asilo dei più vulnerabili e in pericolo. È più pratico mandarli indietro grazie agli accordi fra paesi, la cosiddetta esternalizzazione, delegando la gestione dei flussi alla polizia e allo stato libico, che lo fanno secondo le proprie leggi e i propri sistemi. Uno scivolamento a sud delle frontiere dell'Europa. C'è l'Europa con le frontiere di Schengen, ma quelle vere vanno più lontano. I migranti che provengono dai paesi poveri rappresentano reddito, c'è bisogno di loro per sopravvivere. È una situazione di legalità immorale, un comportamento avallato dalla legge, visti gli accordi bilaterali, ma immorale.

Si specula sulla pelle dei poveri, si è nella legalità della UE, ma anche nell'immoralità di valori umani calpestati come il diritto alla libera circolazione dei popoli che vivono in situazioni di conflitto, spesso provocate dalla nostra eredità coloniale. Oggi invece di affrontare queste responsabilità si spendono miliardi per mettere in sicurezza le frontiere, trascurando i più elementari diritti umani. L'Australia, ad esempio, ha deterritorializzato un'isola per evitare che i richiedenti asilo esercitassero questo diritto nel paese. Li sistema fuori dal territorio nazionale per impedire loro di rivendicare lo status di rifugiato.

Lei ha sottolineato come ormai un uomo sia considerato tale solo in virtù di un passaporto. È davvero così?
Un essere umano è tale con o senza passaporto. Chi proviene dal cosiddetto mondo referenziato, con passaporto UE, è avvantaggiato, ma quanto vale un passaporto nord coreano, turkmeno o senegalese? Il valore umano si attribuisce in rapporto all'identità e alla nazionalità scritte sul passaporto. Dietro a queste statistiche ci sono esseri umani che portano drammi terribili, ma anche una ricchezza per la comunità. Chi non ha passaporto né identità non è protetto da nessuno stato e ha legittimamente il diritto di ritrovarne una per diventare qualcuno.

È necessario guardare ai migranti con occhi nuovi, non come una minaccia. Oltre al concetto di frontiera in senso occidentale, come frammentazione dello spazio lineare, esiste un'accezione più orientale di spazio di transizione, territorio di passaggio come per i nomadi delle steppe dell'Asia centrale, dove la frontiera è il territorio stesso. C'è una totale fusione e confusione fra la frontiera e il territorio, in questo spazio transitorio c'è vita, come attorno al lago di Tiberiade dove non ci sono frontiere, ma accordi per l'uso dell'acqua e della terra. Lì drusi, ebrei, arabi, utilizzavano le sorgenti d'acqua sullo stesso territorio e s'incrociavano. Esistono molti territori interstiziali dove ci sono integrazioni, incroci di genti, senza conflitti per rivendicare un territorio. Oltre alle frontiere intese come limiti geografici, che separano la gente, la raggruppano attorno ad un'idea nazionale, la frontiera corrisponde anche alla speranza di spazi comunitari che appartengano e siano gestiti da tutti, e non per questo siano il caos.


Vite in fuga

di Christian Elia - Peacereporter - 31 Luglio 2009

L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) ha lanciato l'allarme: migliaia di civili in fuga dai combattimenti in Somalia si sono riversati nella città costiera di Bosaso, in attesa che i trafficanti di esseri umani possano portarli in Yemen.

Somalia in fiamme. La situazione a Mogadiscio e dintorni è disperata. Le milizie integraliste degli al-Shabaab e degli Hisb-ul-Islam combattono contro il governo provvisorio riconosciuto dall'Onu casa per casa. I civili, come sempre, sono al centro del fuoco incrociato. In passato, con l'intervento dell'esercito etiope, era stata ristabilita una parvenza di legalità in Somalia, ma le cosiddette Corti Islamiche si sono riorganizzate e, con l'appoggio dell'Eritrea, hanno lanciato una pesante controffensiva riuscendo a giungere di nuovo nella capitale Mogadiscio, dove il 28 luglio scorso i ribelli hanno proclamato un'amministrazione parallela. L'Unione europea attende, gli Usa si dicono vigili rispetto alla situazione, l'Unione africana manda truppe di pace ma è divisa al suo interno. Nel mentre la Somalia è un inferno, dal quale migliaia di civili tentano la fuga attraverso il golfo di Aden. Le sue acque sono infestati dai pirati, ma sono questi ultimi che gestiscono il racket dei viaggi dei disperati verso la penisola arabica e non li fermeranno certo loro.

Un mare di disperati. Secondi le stime dell'Unhcr, sono almeno 12mila i civili ammassati sulla spiaggia in attesa degli scafisti, ma nella città di Bosaso potrebbero arrivare più di 200mila persone in fuga da Mogadiscio. L'agenzia dell'Onu ha diffuso una nota nella quale avverte che la situazione umanitaria nella cittadina somala sta diventando sempre più difficile, anche perché la maggior parte degli sfollati potrebbe restare in città fino a settembre, quando le condizioni del mare potranno essere meno pericolose. Per capire l'entità del rischio della traversata basta sapere che sono mille le persone che hanno perso la vita nel 2008 e i dispersi sono stati almeno 225. Nel 2007 i morti ed i dispersi sono stati rispettivamente 267 e 118. Dall'inizio del 2009 sono già 300 le vittime delle correnti e degli scafisti senza scrupoli. Una strage che rischia, considerando quante persone tenteranno la traversata, di diventare un eccidio.

Yemen in difficoltà. Se la situazione a Bosaso non precipita prima e se i migranti riuscissero a raggiungere le coste dello Yemen, il governo di Sa'ana si troverebbe a gestire una vera e propria emergenza umanitaria. La legge yemenita riconosce ai cittadini somali lo status di rifugiati politici, che vengono accolti, curati, rifocillati e condotti nel campo di Kharaz (governatorato di Lahj), dove ricevono protezione legale, fisica e sanitaria. Solo che a Kharaz ci sono già 13mila persone, senza contare le migliaia di rifugiati e migranti che vivono nei sobborghi delle città più grandi in Yemen.

Una situazione difficile da gestire, anche con l'aiuto dell'Onu e delle sue agenzie. Alcuni dati rendono l'idea dell'enorme pressione migratoria alla quale è sottoposto un Paese non ricco come lo Yemen: nel 2008 sono giunte sulle coste yemenite almeno 50mila persone. Un incremento, rispetto all'anno precedente, del 70 percento. Solo nei primi mesi del 2009 sono state 30mila gli sbarchi.
Le autorità dello Yemen, con il supporto dell'Onu, stanno tentando di creare un database per registrare i somali e per distinguerli dai migranti economici del resto dell'Africa, ma non è facile.

I problemi di Sa'ana. Oltre ai problemi economici, lo Yemen attraversa una fase di grave instabilità politica. Nel governatorato di Sa'ada, nello Yemen settentrionale, è in corso da anni una vera a propria guerra civile tra i militari yemeniti e i ribelli seguaci di al-Houti, un predicatore sciita da sempre in conflitto con il potere centrale gestito dai sunniti. Lo Yemen ha spesso accusato l'Iran di fomentare la rivolta, ma al di là delle responsabilità politiche internazionali, resta un problema enorme di sfollati interni. Secondo i dati dell'Internal Displacement Monitoring Centre (Idmc), un'organizzazione non governativa che si occupa dei sfollati interni, sono almeno 100mila le persone in fuga dai combattimenti che hanno causato la morte di centinaia di civili.

Ad aprile, inoltre, dopo anni sono riapparse le bandiere e i militanti del Pdry, la sigla del governo socialista del sud che dichiarò la secessione. Nel 1994 alcuni ufficiali e politici di ispirazione marxista proclamarono la secessione della regione meridionale dello Yemen che assunse il nome di Repubblica Democratica dello Yemen con capitale Aden. Non riconosciuto internazionalmente, questo tentativo di secessione venne stroncato in due settimane di combattimenti dalle forze governative. La protesta era guidata dagli ex militari e funzionari pubblici che, in cambio della resa, avevano ottenuto la promessa di un reinserimento nella vita del Paese. Scontri, arresti e disordini.

Strategia della tensione. Il primo ministro yemenita, Ali Mujawir, in un'intervista concessa al quotidiano al-Sharq al-Awsat il 30 luglio scorso, ha dichiarato: ''Abbiamo scoperto la presenza di un legame tra i terroristi di al-Qaeda, i ribelli sciiti del nord e i secessionisti del sud. Quello che sta accadendo in questi mesi in Yemen ha una regia straniera. Questi tre gruppi satanici hanno contatti pregressi. Il nostro lavoro è quello di non consentire che lo Yemen diventi un rifugio sicuro per i terroristi''. Parole pesanti e un po' forzate. E' difficile immaginare un'alleanza tra ex marxisti golpsti, integralisti sunniti (al-Qaeda) e sciiti. La sensazione è che il governo dello Yemen si trovi in gravi difficoltà e che prepari un clima di tensione per giustificare l'uso massiccio della forza. I somali disperati in fuga dalla guerra rischiano, una volta passato il Golfo di Aden, di precipitare in un altro inferno.