venerdì 20 febbraio 2009

Crisi economica: banche tra nazionalizzazioni e abolizione del segreto bancario

Ieri, in occasione dell'incontro con il premier inglese Gordon Brown, anche Berlusconi si e' lasciato sfuggire la frase "I leader mondiali stanno lavorando per trovare soluzioni condivise alla crisi economica internazionale[...]Sul tavolo ci sono diverse teorie, anche una che sembrerebbe in contrasto con il sistema capitalistico, e cioè la nazionalizzazione delle banche".
Precisando poi comunque che "La nazionalizzazione è solo un'ipotesi e non riguarda le banche italiane in quanto nel nostro paese il sistema bancario è solido".
Ma il tabu' della nazionalizzazione delle banche e' stato infranto anche nel Belpaese. Meglio tardi che mai.

Nel frattempo la crisi economica riempie i forzieri delle banche caraibiche, ma fa crollare per la prima volta il muro del segreto bancario in Svizzera. Il via libera delle autorità svizzere a Ubs, che due giorni fa ha rivelato agli USA i nomi di centinaia di correntisti americani inseguiti dal fisco USA, è una decisione senza precedenti che rischia di cancellare per sempre l'istituzione elvetica del segreto bancario.

L'altroieri l'autorità federale svizzera dei mercati finanziari (Finma) ha infatti acconsentito all'accordo con gli USA, spiegando che in gioco c'era la sopravvivenza della stessa Ubs "Le conseguenze di un minaccioso procedimento penale a carico della banca di Zurigo avrebbero potuto essere drammatiche per l'istituto di credito e il sistema bancario elvetico".

In base all'accordo, Ubs comunicherà alle autorità statunitensi i dati di un numero imprecisato di clienti americani accusati di aver frodato il fisco, 200-300 clienti secondo il ministro delle Finanze svizzero Hans-Rudolf Merz.
La banca pagherà inoltre 780 milioni di dollari per evitare una procedura penale e il ritiro della licenza.

Il dipartimento di Giustizia americano vuole però di più. Ha chiesto che Ubs riveli al Fisco USA anche l'identità di altri 52 mila clienti americani titolari di conti segreti illegali, pari a 14,8 miliardi di dollari.
Se ciò non avverrà comincerà un'azione legale per costringere Ubs a rivelare i conti all'Internal Revenue Service, il fisco americano. Nell'azione legale presentata a Miami si afferma che circa 52 mila clienti Usa hanno tenuto illegalmente i loro conti segreti al governo americano.

Comunque quest'apertura rischia di aprire un breccia alle numerose richieste di far cadere il segreto bancario da parte di molti Paesi, che vedono nella normativa svizzera uno scudo per l'evasione fiscale.
La Commissione europea, per esempio, potrebbe chiedere di estendere alla Svizzera la richiesta di maggiore trasparenza sui conti dei cittadini dei 27 Paesi membri.

E' storicamente risaputo che il punto di forza della "cassaforte" svizzera, che al contrario degli Usa non punisce penalmente l'evasione fiscale, è proprio la confidenzialità delle informazioni relative a chi apre un conto in una banca della confederazione, sia nei confronti dei privati che delle amministrazioni, sancita dalla legge sulle banche del 1934.
La Svizzera è così riuscita ad attrarre in oltre 70 anni il 27% di tutti i conti offshore detenuti a livello globale.

Ma lo stesso Merz ha gia' messo le mani avanti "Il segreto bancario resta intatto ma, come previsto dalla normativa svizzera, non copre coloro che si macchiano di frode fiscale" (che, a differenza dell'evasione, è un reato in Svizzera, ndr.).

Resta comunque il fatto che una breccia nel sistema bancario svizzero e' stata aperta ed e' destinata ad allargarsi sempre piu' in futuro.
Anche in Svizzera le banche cominciano a piangere.



18 mila miliardi € è la cifra bomba sulla quale è seduta l’Europa

di Stefania Peveraro e Roberto Sommella - www.milanofinanza.it - 19 febbraio 2009

La cifra è praticamente impronunciabile, letteralmente quasi inscrivibile in qualsiasi formula: 18 mila miliardi di euro o, per dirla all'americana, 18 trilioni, qualcosa di più dello stesso Pil statunitense. È la stima shock sull'entità degli asset a rischio di tossicità delle banche europee inserita in un documento segreto preparato dalla Commissione europea e discusso la scorsa settimana dai ministri delle finanze della Ue riuniti in sede Ecofin. Il documento della Commissione, che è una prima bozza delle linee guida che i governi dovranno tenere in tema di quantificazione degli asset tossici nei bilanci delle banche europee, è datato 6 febbraio ed è stato finora tenuto riservato.

Ma è proprio alla luce di questo documento che si comprendono sia i toni dell'ultima riunione dei ministri finanziari al G7 di Roma, dove pure il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi ha lanciato un appello drammatico, sia l'uscita particolarmente preoccupata di ieri del commissario alla concorrenza Ue Neelie Kroes, che incita a una risposta immediata e coordinata dei governi al problema degli asset tossici delle banche. Il tutto con i titoli dei principali istituti di credito europei in picchiata.

Ma cosa contengono le 17 pagine del documento di cui MF-Milano Finanza è venuto in possesso? Una cosa semplice. E terribile. Gli Stati membri della Ue devono allacciare le cinture e usare tutti gli sforzi possibili per indurre le banche a tirare fuori gli asset tossici dai loro cassetti, stimare il reale fair value ed effettuare adeguate svalutazioni (praticamente una rivoluzione) perché occorre fare il check -up di una quantità mostre di prodotti ad alto rischio tossicità.

In particolare, come si legge nell'Allegato 2 al paper di Bruxelles a pagina 16, gli asset tossici nei bilanci delle banche europee si possono trovare tra gli strumenti finanziari computati nel trading book o tra quelli che devono essere valutati al fair value («circa 13.700 miliardi equivalenti al 33% del valore di bilancio di tutte le banche europee») e tra gli strumenti finanziari computati come disponibili per la vendita («approssimativamente 4.500 miliardi di euro equivalenti all'11% del totale dei bilanci delle banche Ue»).

Insomma, fatti i conti, il 44% degli asset delle banche europee dovrà sostenere il cosiddetto impairment test per un totale appunto di 18.200 miliardi. Chi supererà il test e quanti asset invece diventeranno impaired, cioè verranno svalutati? Difficile fare un pronostico, ma l'Europa è comunque seduta su una bomba ad alto potenziale distruttivo.

Non a caso ieri il commissario Ue Neelie Kroes, in un discorso all'Ocse ha detto chiaro e tondo: «I numeri dell'esposizione delle banche sono sbalorditivi» e per questo «bisogna affrontare il tema degli asset svalutati con specifiche nuove misure che possano riportare la fiducia del mercato nella solvibilità presente e futura delle banche».

Kroes non ha fatto preciso riferimento allo stock di asset passibili di svalutazioni così come riportato dal documento della Commissione, anche se si capisce che ha parlato avendo quei numeri ben presenti.

Il commissario Ue, infatti, si è limitata a segnalare che «le stime circa l'esposizione delle istituzioni finanziarie agli asset valutati continua a crescere» e che «secondo l'Fmi il potenziale deterioramento degli asset creditizi originati negli Usa detenuti dalle istituzioni finanziarie è cresciuto da 1.400 miliardi di dollari a fine ottobre a 2.200 miliardi».

In ogni caso, recita ancora il documento a pagina 5 a proposito di un intervento dei governi che dovrebbero farsi carico degli asset tossici in pancia alle banche, «le stime sul totale delle svalutazioni di asset suggeriscono che i costi di bilancio (pubblico, ndr), attuali e contingenti, di un rilievo di attività potrebbe essere molto ampio in termini assoluti e relativi rispetto al Pil degli Stati membri».

Già perché la Commissione con il suo documento ha sdoganato il concetto di «asset tossico allargato». Alle pagine 9 e 10 del documento, infatti, si precisa che con il termine di asset tossici ci si riferisce in genere solo a quegli strumenti che hanno innescato la crisi finanziaria, come i titoli delle cartolarizzazioni di mutui residenziali e commerciali Usa e i loro successivi rimpacchettamenti, tutti strumenti che sono diventati ampiamente illiquidi o comunque che hanno subito severi aggiustamenti di prezzo.

Certo, continua il report top secret, restringere il campo degli asset eleggibili a essere rilevati dai governi soltanto agli asset tossici secondo la comune accezione limiterebbe l'esposizione dei governi a possibili perdite e contribuirebbe a prevenire distorsioni della concorrenza.

Tuttavia, una misura che prevedesse «un rilievo di asset troppo limitato implicherebbe il rischio di riportare la fiducia nel sistema bancario solo per poco», date le differenze tra i problemi specifici incontrati nei differenti Stati membri e nelle diverse banche e considerato che il problema delle valutazioni si è ormai allargato ad altri tipi di asset. Quindi? Ci vorrà un «approccio pragmatico», che estenda l'eventuale soccorso governativo anche agli asset non strettamente tossici, ma comunque illiquidi e contagiati dalla crisi.



Dissesto geopolitico globale

di Felice Capretta - http://informazionescorretta.blogspot.com/ - 17 Febbraio 2009

La quinta fase della crisi economica: il dissesto geopolitico globale

Rilasciato ieri il GEAB numero 32: è il report mensile del gruppo Europe2020. Chi ne sentisse parlare per la prima volta, puo’ approfondire qui.

Il nuovo report, che anticipa le tendenze geopolitiche per il quarto trimestre del 2009, non è dei più confortanti. Lo scenario tratteggiato dagli esperti di Europe2020 è a tinte fosche.

Ne pubblichiamo, come sempre, ampi stralci in italiano.

Nel Febbraio 2006 il report stimava che la crisi economica si sarebbe articolata in quattro fasi principali:
  • avvio
  • accelerazione
  • impatto
  • decantazione
A causa della incapacità dei leader globali di comprendere la portata della crisi in corso (vista la loro determinazione nel curare le conseguenze anzichè le cause della crisi), la crisi sistemica globale entrerà nel quarto trimestre del 2009 in una quinta fase: la fase del dissesto geopolitico globale.Questa nuova fase della crisi sarà determinata da due principali processi strategici
  1. La scomparsa della base finanziaria (dollaro + debito) in tutto il mondo
  2. La frammentazione degli interessi dei principali blocchi e dei principali attori globali
Questi due processi avranno come conseguenza strategica due concatenazioni parallele di eventi (che probabilmente si svilupperanno in momenti separati piuttosto che simultaneamente):

  • Rapida disintegrazione degli attuali sistemi internazionali
  • Dissesto strategico dei principali protagonisti globali

In questo post affrontiamo i primi due processi strategici, nel seguente le due conseguenze strategiche.

1. La scomparsa della base finanziaria (Dollaro + debito) a livello mondiale

Le fondamenta del sistema finanziario, sulla quale banche, assicurazioni e istituzioni globali si sono basate fino ad oggi, stanno crollando così come crollerebbe una città costruita su una faglia vulcanica: improvvisamente si realizza che la solida terra che avrebbe dovuto sostenere solidamente i palazzi non è altro che una sottile crosta sotto la quale c’e’ una miscela di gas tossici e ghiaia alquanto instabile.

La situazione (di crisi), infatti, non si affronta in nessun modo con alcuna delle misure prese oggi contro la crisi mondiale. I leader di USA, EU, Giappone e Cina si accontentano di iniettare massicce quantità di nuova liquidità sotto forma di moneta.

Cercano così di sostituire il debito pubblico al debito privato tossico, come se aggiungere altro gas e sostituire ghiaia instabile con altra ghiaia instabile potesse prevenire il crollo totale.

Le massicce iniezioni di liquidità, soprattutto negli Stati Uniti, non fanno altro che pompare un gas ancora più rarefatto, diluendo il valore della moneta, mentre la continua crescita del debito pubblico sta rendendo gli asset pubblici (come i buoni del tesoro) tanto tossici quanto gli asset privati che avrebbero dovuto sostituire.

(Questa analisi sugli effetti del piano geithner non è una novità per i lettori assidui di Informazione Scorretta)

Più una regione o una nazione dipende dal dollaro e dal livello di indebitamento dei suoi principali operatori economici (famiglie, imprese, settore pubblico), tanto più il tessuto stesso della società subirà il disseso nel quarto trimestre del 2009, o meglio, tanto più il processo di dissesto sarà più evidente e più veloce, visto che è già in corso in molti casi (disordini , altri disordini , altri ancora a guadalupa ).

I sintomi sono facili da identificare: bilanci sempre meno "bilanciati", beni in costante perdita di valori, debito pubblico in crescita esponenziale, servizi pubblici bloccati, incapacità crescente di frotneggiare impegni finanziari di ogni tipo, moltiplicazione dei fallimenti aziendali, perdita di fiducia nel denaro contante.

USA e UK saranno i più colpiti, ma è ovvio che anche il resto del mondo ne risentirà.

Il processo di scomparsa delle fondamenta finanziarie risulterà, alla fine del 2009, nell’accelerazione del processo di perdita di potere, ricchezza, influenza e standard di vita per una grande maggioranza di protagonisti della scena geopolitica.

Questo accadrà a velocità e proporzioni diverse: il mondo si restingerà ma non nello stesso modo per tutti.
















(nell'immagine, il ridimensionamento del valore delle principali banche dal 2007 al gennaio 2009, fonte bloomberg/jpmorgan)


2. La frammentazione degli interessi dei principali blocchi e dei principali attori globali

Il secondo processo strategico di destrutturazione che contribuirà al dissesto geopolitico consiste in una crescente frammentazione degli interessi dei principali blocchi ed attori globali.

L’attuale dibattito sui “pericoli di un ritorno al protezionismo” è contemporaneamente un indicatore ed una componente di questo processo.

Sicuramente il protezionismo è tornato, perchè la globalizzazione degli ultimi due decenni si è arrestata. I discorsi dei leader globali a riguardo sono patetici nella misura in cui continuano a riaffermare la loro opposizione ad ogni ritorno del protezionismo [...], ma in realtà stanno facendo l’esatto opposto, come ci dimostrano:
  • la campagna “Buy American” di Obama
  • la svalutazione competitiva della sterlina inglese
  • gli aiuti alle compagnie automobilistiche di Sarkozy (e non solo)
  • i progetti di “stimolo” tedesco e cinese

I leader globali stanno diventando schizofrenici: le loro azioni ed il loro linguaggio divergono sempre di più.

Dopo il G20 di Aprile 2009, i leader del mondo non manterranno più nemmeno la finta pretesa di avere visioni condivise.

La loro sopravvivenza politica all’interno delle loro nazioni li spingerà a concentrarsi sulle emergenze del breve e del medio periodo.

La frammentazione seguirà uno schema relativamente semplice: le grandi potenze esportatrici (Cina, Giappone, Germania ed EU) stanno cercando di preservare il loro accesso ai mercati solvibili rimasti, e dovranno prendere atto della situazione a metà 2009.

Se i loro sforzi saranno vani o poco efficaci a causa della caduta del commercio globale, queste nazioni non avranno altra scelta che rivolgersi ai loro mercati interni, se abbastanza solvibili, altrimenti passeranno a strategie regionali in spregio degli accordi multilaterali e delle regole esistenti.

Ne’ il WTO ne’ le Nazioni Unite potranno farci alcunchè, visto che quete organizzazioni derivano il loro potere dal fatto che la maggior parte dei loro membri accettano di rispettare le regole del gioco. Se i membri preferiscono rifiutare le regole, queste istituzioni sono destinate a restare senza alcun potere.

Questa frammentazione potrebbe evolversi come un frattale.

Questo significa che ogni Stato, ed all’interno di ogni stato ogni regione, provincia, comune, saranno tentati dal considerare rapidamente i loro interessi vitali e quanto costa loro continuare ad osservare le vecchie regole. Le crisi di proporzioni storiche tendono a mettere in discussione i fatti più “ovvi”, in termini di integrità territoriale e/o lealtà politica.

(NDFC: Da questo articolo su effedieffe:

Otto Stati USA hanno varato risoluzioni con cui reclamano la loro sovranità rispetto al governo federale, in base al nono e decimo emendamento della Costituzione. Sono Arizona, Hawaii, Montana, Michigan, Missouri, New Hampshire, Oklahoma e Washington. Altri venti Stati sono pronti a fare lo stesso entro l’anno. Fra essi, Alaska, Alabama, Arkansas, California, Colorado, Georgia, Idaho, Indiana, Kansas, Nevada, Maine e Pennsylvania (fonte worldnetdaily)

Non è il preludio a una nuova guerra di secessione (per ora) ma sono riaffermazioni della sovranità fiscale locale di fronte all’aumento di spesa del governo federale, giudicata irresponsabile.

I primi conflitti tra gli “alleati” stanno già prendendo forma sotto i nostri occhi.

Alcuni assaggi di quello che sarà il futuro:

Sarkozy denuncia pubblicamente l’inefficienza della politica di Gordon Brown

Gordon Brown e molti leader britannici spingono per la priorità dei lavoratori inglesi sugli altri (europei inclusi)

I leader cinesi criticano con forza l’attuale mancanza di alternative alla diversificazione per dollari e buoni del tesoro e lo Yuan è la sola moneta criticata al recente G7 di Roma

Vladimir Putin accusa Washington e Londra di essere il cuore pulsante della crisi attuale

Il fondo sovrano di Singapore cambia la direzione ed indirizza i suoi investimenti altrove dalle istituzioni finanziarie inglesi e americane

Seguirà a breve la seconda puntata sulle due concatenazioni di eventi come conseguenze strategiche dei due processi esposti sopra.

Saluti felici




Unicredit/La banca di Profumo rischia "una Stalingrado monetaria"
di Mauro Bottarelli -
Il sussidiario.net - 17 Febbraio 2009

Normalmente chi si occupa di economia e finanza legge come primi giornali della giornata quelli anglosassoni, ovvero Wall Street Journal e Financial Times. Poi, a cascata, quelli europei: Faz, Suddeutsche Zeitung, Le Monde, El Pais. Difficile, invece, concentrarsi in una rassegna stampa seria e ragionata dei giornali austriaci. Un errore. Grave, in questi giorni. Ma partiamo dal principio.

La scorsa settimana il ministro delle Finanze austriaco, Joseph Pröll, ha infatti messo in atto un disperato tentativo di racimolare 150 miliardi di euro per un piano d’intervento per l'ex blocco sovietico a rischio default: non stupisce, visto che l’Austria ha prestato 230 miliardi di euro a paesi di quella regione, qualcosa come il 70% dell’intero Pil austriaco. La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo valuta il tasso di debiti negativi - ovvero, di fatto inesigibili - al 10% con possibilità di arrivare al 20: peccato che una percentuale del 10 già rappresenta il crollo tecnico del mercato finanziario austriaco, come scriveva il quotidiano viennese Der Standard.

Eccoci, quindi, l’aggancio con il precedente richiamo alla lettura della stampa austriaca. Da alcuni giorni, infatti, oltre le Alpi i quotidiani parlano molto chiaro rispetto al futuro di due banche: Bank of Austria e la sua proprietaria, ovvero Unicredit, rischierebbero infatti «una Stalingrado monetaria» se le istituzioni internazionali non porranno in atto un piano di aiuto e salvataggio per paesi come la Lituania, l'Ucraina e la Repubblica Ceca, debitori e potenziali insolventi.

D’altronde, basta guardare ai dati. Stephen Jen, capo del monetario alla Morgan Stanley, valuta infatti in 1,7 trilioni di dollari la mole di denaro presa a prestito dall’Europa dell’Est, quasi tutta su short-term maturities. Ovvero, da ripagare in fretta. Basti pensare che entro quest’anno dovrebbero essere ripagati agli istituti europei finanziatori, qualcosa come 400 miliardi di euro: buona fortuna, il default è alle porte visto che il mercato del credito è una finestra sbarrata e il Fondo Monetario Internazionale è già corso in soccorso di Islanda, Ucraina, Pakistan, Bielorussia, Lituania e Ungheria (e ora tocca alla Turchia) dissanguandosi.

Non se la passa meglio la Russia che deve ripagare 500 miliardi di dollari di prestiti contratti dagli oligarchi, peccato che il rublo vada a picco, economia e Borsa pure e soprattutto visto che il budget del 2009 è stato elaborato basandosi sul costo del barile di petrolio - il cosiddetto Brent degli Urali - a 95 dollari, quindi un input importante per la casse di Mosca. Solo che oggi il petrolio viaggia sui 33-34 dollari e molti analisti parlano di 25 dollari al barile entro aprile-maggio: un bagno di sangue.

Insomma, o si salva l’Est oppure salta tutto. Ma il fatto che la Germania, attraverso Peer Steinbruck, abbia già detto all'ultimo vertice dell'Ecofin che quello del default dell’ex blocco sovietico è «un problema austriaco e non dell'Ue» aggiunge preoccupazione a preoccupazione. Il perché di questo è presto detto. Si avvicina, infatti, il momento della nazionalizzazione di una banca tedesca. Tutti i nodi non sono ancora stati sciolti ma il governo federale ha confermato che un progetto di legge per permettere la nazionalizzazione di un istituto di credito è in via di definizione e verrà discusso dal consiglio dei ministri di domani: una modifica legislativa è necessaria poiché attualmente in Germania l'acquisizione d'imperio da parte dello Stato non è permessa.

La candidata principale alla prima nazionalizzazione dalla fine della Seconda guerra mondiale è Hypo Real Estate, istituto di credito che ha già beneficiato di aiuti miliardari in questo ultimo anno e mezzo ma che versa ancora in enormi difficoltà: impossibile per Berlino non intervenire, visto che l’istituto è cruciale per il mercato dei Pfandbriefe, le obbligazioni ipotecarie: a tal fine il governo sta ancora trattando con il socio di riferimento, l’investitore J.C. Flowers, per trovare un’eventuale intesa sul prezzo.

Domenica intanto il ministro delle Finanze Peer Steinbrück ha detto che la situazione delle banche tedesche è fonte di «grande preoccupazione». Se a questo uniamo il fatto che i governi europei sono esposti per il 74% dell’intero portafoglio di prestiti dei mercati emergenti (un altro scherzetto da 4,9 trilioni di dollari) e che il Fondo Monetario Internazionale sta finendo le sue riserve di 200 miliardi di dollari, il quadro appare davvero fosco.

Almeno quanto quello prefigurato sull’inserto Business del Sunday Times da Simon Johnson, ex capo economista proprio del Fondo Monetario Internazionale, secondo il quale o il prossimo G7 porrà al centro della sua agenda il salvataggio dell’Irlanda oppure la tigre celtica andrà in default sul debito entro la primavera: si parla di 70 miliardi di euro di debito per un paese di pochi milioni di abitanti con un’economia a pezzi, il mercato immobiliare in fallimento e la delocalizzazione delle major statunitensi che sta distruggendo il sogno della ripresa.

I credit default swaps per assicurarsi sul default del debito irlandese venerdì scorso hanno toccato i 350 punti base, un dato devastante: per assicurare 100 dollari ne servono 3,5 di rischio paese mentre esattamente un anno fa bastavano 10 pence ogni 100 dollari.

La vera crisi sta arrivando, fino ad oggi abbia visto soltanto il trailer. Dalle stanze della politica romana, così come dai giornali italiani, registriamo un rumoroso silenzio al riguardo.




La bolla economica 2.0: Il Piano di recupero finanziario dalle viscere dell'inferno
di Michael Hudson - Global Research - 11 Febbraio 2009
Tradotto per www.comedonchisciotte.org da Jjules

Martin Wolf ha iniziato la sua rubrica sul Financial Times di oggi (11 febbraio) con la coraggiosa domanda: “La presidenza di Barack Obama ha già fallito?” [1] Anche il mercato azionario è stato dello stesso avviso, precipitando di 382 punti. Dopo aver promesso il “cambiamento”, Obama ci sta dando un altro assaggio di Clinton-Bush attraverso il protetto di Robert Rubin, Tim Geithner. Il Piano di Stabilizzazione Finanziaria di martedì da 2.500 miliardi di dollari per rigonfiare la Bolla Economica è fondamentalmente un prolungamento del regalo Bush-Paulson – altra Rubinomia [2] per gli addetti ai lavori finanziari dei cartelli emergenti di Wall Street.

Il sistema finanziario si concentrerà in un cartello di pochi enormi conglomerati che agiranno come i principali pianificatori economici e assegnatari di risorse. Tutto questo rende le banche le grandi vincitrici del gioco del “pollo” che stanno facendo con Washington, un sequestro che sta tenendo in ostaggio l’economia. “Dateci quello che vogliamo oppure faremo precipitare l’economia in una crisi finanziaria.” Washington ha dato loro fino ad ora 9.000 miliardi di dollari, con la promessa di altri 2.000 miliardi – e oltre.

Una vera riforma – una riforma concepita per riparare le distorsioni sistemiche del mercato che hanno portato alla bolla immobiliare – avrebbe preparato il ribaltamento della revoca avvenuta da parte di Clinton-Rubin della legge Glass-Steagall in modo da impedire i viziosi conflitti di interesse che hanno portato ai cartelli verticali di Citibank e Bank of America/Countrywide/Merrill Lynch. Dando libero sfogo a questi grupos di conglomerati (per utilizzare il termine reso famoso da Pinochet sotto la guida dei Ragazzi di Chicago – una prova generale dei fallimenti finanziari di massa che hanno provocato in Cile alla fine degli anni ’70) l’amministrazione Clinton ha permesso alle banche di fondersi con le società di mutui spazzatura, i manager di denaro spazzatura, le società fasulle di valutazione degli estimi catastali, e le società specializzate in cavilli legali, tutte con lo scopo di impacchettare i debiti agli investitori che si fidavano quanto bastava per consentire loro di rastrellare sufficienti commissioni e guadagni in conto capitale per far diventare i loro manager i pianificatori economici più pagati del pianeta.

Il crollo economico di oggi è il diretto risultato della loro filosofia di pianificazione. In realtà veniva insegnata come “creazione della ricchezza” e lo è ancora oggi, perché la si crede più produttiva della regolamentazione e della vigilanza pubblica così detestata da Wall Street e da suoi aficionados di Chicago. La centrale finanziaria creata da questa filosofia del “libero mercato” abbraccia l’intero settore FAI – finanza, assicurazioni e immobiliare, “finanzializzando” i mercati delle abitazioni e delle strutture commerciali in modi garantiti per fare soldi creando e vendendo debito. I consiglieri di Obama sono esattamente quelli che nell’amministrazione Clinton appoggiavano la creazione di un cartello del settore FAI. Questo è lo strumento ampiamente deregolamentato grazie al quale il disastro odierno dei debiti tossici è stato in grado di diffondersi molto più rapidamente rispetto a qualunque altro periodo dagli anni ’20.

Le banche commerciali hanno utilizzato il loro potere di creazione del credito non per espandere la produzione di beni e servizi o per aumentare il tenore di vita ma semplicemente per gonfiare i prezzi del mercato immobiliare (facendo fare soldi a palate ai loro intermediari, periti stimatori e affiliati assicurativi), delle azioni e delle obbligazioni (facendo fare soldi a palate alle loro banche di investimenti consociate), delle belle arti (la cui richiesta ora è sostanzialmente per trofei, umiliando di conseguenza il concetto di arte) e altri beni già esistenti.

Le risultanti bolle delle dot.com e del mercato immobiliare non erano inevitabili né economicamente necessarie. Erano state progettate finanziariamente dal potere politico di deregolamentazione acquisito dalle banche corrompendo il Congresso attraverso campagne di contributi ed “esperti” di pubbliche relazioni (più con le caratteristiche del Bispensiero orwelliano) per promuovere l’assurda storiella che Wall Street può essere, e infatti lo è, automaticamente autoregolamentata. Questa è una parodia della “Mano invisibile” di Adam Smith. Questa mano è meglio considerarla come nascosta. Ora si pensa che il mito dei “mercati liberi” consista nei governi che si ritirano dalla pianificazione e della tassazione della ricchezza, lasciando l’assegnazione delle risorse e l’avanzo economico ai banchieri piuttosto che ai rappresentanti pubblici regolarmente eletti. Questa da sempre viene definita oligarchia, non democrazia.

Questa centralizzazione della pianificazione, della creazione del debito e del potere di ricavare profitti viene difesa come l’alternativa alla strada verso la schiavitù di Hayek. Ma è essa stessa una strada verso la schiavitù del debito, vale a dire l’economia post-industriale o l’”Economia delle informazioni”. Quest’ultimo termine è un’altra parodia eufemistica visto il tipo di informazioni che il sistema bancario ha promosso nella contabilità spazzatura abilmente manipolata dai loro studi contabili e dai loro avvocati tributaristi (voci fuori bilancio registrate in isolotti offshore), le acclamazioni di “AAA” fornite come “informazioni” agli investitori dal cartello di valutazione delle obbligazioni, e gli indici di produttività nazionale che dipingono il settore FAI come parte dell’economia “reale”, non come un garbuglio istituzionale di interessi speciali e di privilegi sanciti dal governo che agisce in modo parassitario piuttosto che produttivo.

“Grazie per i bonus,” hanno testimoniato i banchieri americani e inglesi questa settimana di fronte al Congresso e al Parlamento. “Ci terremo i soldi ma vi assicuriamo che siamo veramente dispiaciuti di dovervi chiedere ancora altre migliaia di miliardi di dollari. Almeno dovreste ricordare il nostro motivetto: siano ancora manager migliori del governo, baluardi contro l’assegnazione burocratica di risorse da parte del governo”. Questa è la Grande Menzogna venduta dalla celebrazione del “libero mercato” della Scuola di Chicago per aver smantellato il potere del governo sulla finanza, giustificata da complessi calcoli matematici che fanno a gara con la fisica nucleare sostenendo che il settore finanziario fa parte dell’economia “reale” e che produce automaticamente un equilibrio equo e giusto.

Non sono cattive notizie per gli azionisti delle banche locali e delle banche relativamente in buona salute (in buona salute nel senso di evitare un equity negativo). Le loro azioni sono salite alle stelle e sono state tra quelle che hanno guadagnato maggiormente nel mercato azionario di martedì, mentre le grandi Banche Cattive di Wall Street sono sprofondate a nuovi minimi. Le banche locali solvibili erano la normalità prima dell’abrogazione della Glass-Steagall. E ora saranno acquisite dalle grandi banche “in difficoltà”, i cui “mutui tossici” riflettono una filosofia operativa fondamentalmente tossica. In altre parole, le banche piccole che hanno erogato prestiti con accortezza saranno inglobate in Citibank, Bank of America, JP Morgan Chase e Wells Fargo – le quattro o cinque grandi banche dove sono concentrati i mutui, i CDO e i derivati spazzatura e che hanno utilizzato i soldi del Tesoro dell’ultimo salvataggio per acquisire banche più piccole che non erano state infettate da un tale sconsiderato opportunismo finanziario. Persino il Wall Street Journal ha pubblicato un editoriale riguardo al nuovo “Fondo di Investimento Pubblico-Privato” dell’amministrazione Obama che inietterà un migliaio di miliardi di dollari in questo pasticcio. “Sarebbe saggio da parte di Geithner affidare il fondo ad una persona forte ed indipendente – qualcuno che sappia dire di no al Congresso e non abbia legami con Citigroup, con Robert Rubin o con Wall Street.” [3]

Nulla di tutto questo può risolvere il problema finanziario di oggi. Il peso del debito supera di gran lunga la possibilità dell’economia di estinguerlo. Se le banche facessero veramente quello che le persone nominate dal presidente Obama le stanno implorando di fare ed erogassero maggiori prestiti, il peso del debito diventerebbe ancora più insostenibile e l’accesso alla casa ancor più oneroso. Quando le banche ripensano così appassionatamente a quello che Alan Greenspan chiamava “creazione della ricchezza”, possiamo vedere oggi che una terminologia meno eufemistica sarebbe “creazione del debito”. Questo è l’obiettivo del nuovo regalo bancario che minaccia di diffondere le distorsioni che le grandi banche hanno introdotto finché l’intero sistema probabilmente assomiglierà a Citibank, da tempo il colpevole numero uno dell’”ampliamento dei propri orizzonti”, eufemismo per infrangere la legge poco per volta e sfidare i regolatori governativi e i pubblici ministeri a provare a fermarli facendo di conseguenza sprofondare nella crisi il sistema finanziario americano. Questo è il sequestro che è stato operato questa settimana. E l’amministrazione Obama ha ammiccato – come hanno fatto questi stessi regolatori quando erano incaricati della politica bancaria dell’amministrazione Clinton. E’ veramente un peccato per il cambiamento promesso!

Il programma del Tesoro su tre fronti sembra essere solamente la Fase Uno di un “piano di recupero da sogno” per Wall Street da realizzarsi in due fasi. Alcuni indizi sono trapelati negli ultimi tre mesi negli editoriali del Wall Street Journal rivelando quello che ci potrebbe essere in cantiere. Date un’occhiata alla parolina magica “equity kicker”, apparsa per la prima volta nella crisi dei mutui delle casse di risparmio negli anni ’80. Si riferisce alla quota dei guadagni in conto capitale del banchiere, vale a dire l’inflazione sul prezzo dei beni della Bolla Numero Due che il Programma di Recupero spera di sostenere.

La prima domanda da fare riguardo ad un qualsiasi Programma di Recupero è: “Recupero per chi?” La risposta che è stata data martedì è: “Per le persone che hanno creato il programma e il loro elettorato” – in questo caso, la lobby bancaria. La seconda domanda è: “Ma che cos’è che vogliono recuperare?” E la risposta è: la Bolla Economica. Per il settore finanziario si è trattato dell’età dell’oro, l’aver goduto della Bolla Greenspan li ha resi così ricchi che i loro manager vorrebbero tanto altra ricchezza per sé indebitando ancor di più l’economia “reale” gonfiando di nuovo i prezzi per realizzare nuovi guadagni in conto capitale.

Il problema per le élite finanziarie di oggi che è che non è possibile gonfiare un’altra bolla con i livelli di indebitamento attuali, la diffuse negatività degli equity, e i prezzi ancora elevati del mercato immobiliare, delle azioni e delle obbligazioni. Nessun nuovo capitale può indurre le banche a concedere credito al mercato immobiliare che è già sovra-ipotecato oppure ai singoli individui e alle aziende che sono già ultra-indebitate. Moody’s ed altri importanti osservatori professionali hanno previsto che i prezzi delle proprietà continueranno a scendere almeno fino all’anno prossimo, che è quanto più lontano si riesca a scorgere nelle attuali condizioni di instabilità. Il denaro più accorto sta ancora aspettando come un avvoltoio – in attesa che il governo garantisca che i prestiti tossici verranno ripagati. Un altro profitto privato a rischio zero che sarà sovvenzionato dalle perdite del settore pubblico

Mentre i principali pianificatori dell’amministrazione Obama si stracciano le vesti in pubblico e dichiarano ai debitori in generale “che capiamo il vostro dolore”, sanno che gli ultimi dieci anni sono stati periodo d’oro per il sistema bancario e per il resto di Wall Street. Come un signore feudale che rivendica l’avanzo economico per sé mentre si amministra l’austerità per la gente comune, l’1% più ricco della popolazione ha aumentato la propria ripartizione dei profitti nazionali – dividendi, interessi, affitti e guadagni in conto capitale – dal 37% del totale di dieci anni fa al 57% di cinque anni fa al quasi, a quanto pare, 70% di oggi. Si tratta della più alta proporzione da quando si registrano queste informazioni. Ci stiamo avvicinando ai livelli della cleptocrazia russa.

I funzionari attinti da Wall Street che ora controllano il Tesoro e la Federal Reserve ripetono la Grossa Menzogna della destra: le povere “famiglie subprime” hanno abbattutto il sistema, sfruttando i ricchi cercando di imitare le loro cose migliori e vivendo al di sopra dei propri mezzi. Accendendo un mutuo subprime e non rivelando la loro reale impossibilità a pagare, i poveretti (senza reddito, senza lavoro, senza controllo) hanno firmato per ottenere i “prestiti dei bugiardi” poiché non era richiesta nessuna documentazione (come nei mutui a medio e basso rischio) nel mercato finanziario della carta straccia.

Ho scoperto come stavano le cose alcuni anni fa a Londra, parlando con un banchiere commerciale. “Abbiamo avuto un’importante conquista intellettuale”, disse. “Ha cambiato la nostra filosofia del credito.”

“Di che si tratta?”, chiesi io, immaginando che se ne sarebbe uscito con una nuova formula matematica.

“I poveri sono onesti”, ha detto, accompagnando le sue parole con viva sorpresa come per dire “Chi l’avrebbe immaginato?”

Il significato era abbastanza chiaro. I poveri pagano i loro debiti come se fosse una questione di onore, addirittura con grandi sacrifici personali e con quello che il linguaggio neoliberista odierno della Scuola di Chicago chiamerebbe comportamento anti-economico. A differenza di Donald Trump, i poveri difficilmente abbandonano la propria casa quando i prezzi di mercato scendono al di sotto del livello del mutuo. Questa ingenuità sociologica non ha alcun senso economico ma riflette una moralità di gruppo che li ha resi dei ricchi polli da spennare per dei prestatori di denaro rapaci come Countrywide, Wachovia e Citibank. Dunque non è colpa dei “poveri bugiardi”, ma dei bankster!

Per questa élite la Bolla Economica è stata una politica premeditata che vorrebbero tanto recuperare. Il problema è come iniziare una nuova bolla per ricominciare a fare soldi a palate! L’alternativa non è così malvagia – tenersi i bonus, i guadagni in conto capitale e i paracadute d’oro che si sono assegnati e svignarsela. Ma forse possono fare di meglio nella Bolla Economica Numero Due.

Il nuovo Piano di Stabilità Finanziaria del Tesoro (Il Salvataggio 2.0) è solamente il primo passo. Punta a mettere in piedi un’adeguata capacità di erogare prestiti da parte delle banche per iniziare a gonfiare di nuovo i prezzi sul credito. Ma una nuova bolla non può essere fatta iniziare partendo dai livelli dei prezzi dei beni di oggi. Com’è possibile ripetere l’impennata da 10.000 a 20.000 miliardi di dollari di guadagni in conto capitale in un’economia dove è “tutto dato a prestito”?

Una cosa che Wall Street sa è che per fare soldi, i prezzi dei beni non solo hanno bisogno di aumentare ma anche diminuire di nuovo. Senza diminuzione, dopotutto, come possono aumentare? Senza prima mettere in croce l’economia, come ci può essere una resurrezione? Più frenetica sarà la fibrillazione dei prezzi, più sarà facile per i programmi computerizzati di compravendita fare soldi sulle opzioni e sui derivati.

Quindi ecco la situazione per come la vedo io. Il primo obiettivo è quello di preservare la ricchezza della classe creditrice – Wall Street, le banche e gli altri veicoli finanziari che arricchiscono l’1% più benestante e, sicuramente all’interno della nuova emergente oligarchia finanziaria americana, il 10% più ricco della popolazione. La Fase Uno comporta l’acquisto dei loro mutui tossici ad un prezzo che evita loro di accollarsi perdite. Il denaro sarà descritto agli elettori come un “prestito” che verrà ripagato estraendo nuovi sufficienti oneri di debito nel gioco truccato che il Tesoro sta predisponendo. Le perdite attuali saranno spalmate sui “contribuenti” e compensate da nuovi debitori – in entrambi i casi la forza lavoro, sulle cui spalle, dal 1980 si è spostato il peso fiscale, costantemente, passo dopo passo.

Una banca “aggregante” (assomiglia alla parola “alligatore”, dalle paludi dei rifiuti tossici) acquisterà i prestiti tossici e li collocherà in un ente pubblico che il governo definirà banca “cattiva”. (Questo è il primo punto di Geithner). Ma risulta utile anche per Wall Street – comprando i prestiti che sono andati male, insieme alle fideiussioni sui prestiti e sui derivati e agli swap che all’inizio non erano andati bene. Se il settore privato si rifiuta di acquistare quei mutui tossici al prezzo che chiedono le banche, perché il governo dovrebbe far finta che queste richieste di debito valgano di più? Si dice che i fondi sciacalli offrano all’incirca quanto offrivano quando Lehman Brothers è fallita: 22 centesimi di dollaro. Le banche stanno domandando 75 centesimi di dollaro. Che cosa offrirà il governo?

Forse l’alternativa peggiore è che quella che viene sostenuta oggi in tandem dalle banche e dagli sciacalli: il governo garantirà il prezzo al quale gli investitori privati acquisteranno dalle banche i rifiuti finanziari tossici. Un fondo sciacallo sarebbe ben contento di pagare 75 centesimi di dollaro per dell’inutile spazzatura se fosse il governo a dare una garanzia. Il tesoro e la Federal Reserve fanno finta che che si tratti solamente di un’operazione per “fornire liquidità” ai “mercati congelati”. Ma il problema non è la liquidità e questa non è soggetta alla “psicologia del mercato”. Si tratta di “solvibilità”, cioè la realistica presa di coscienza che i rifiuti tossici e le pessime puntate sui derivati sono spazzatura. Geithner non è stato in grado di accettare il modo di valutare tutto questo – senza abbattere l’amministrazione Obama in un’ondata di protesta populista – più di quanto Paulson sia stato in grado di portare avanti, su questa falsariga, la sua proposta originaria del programma TARP.

Il lavoro più difficile per i bankster di oggi è quello di ravvivare le opportunità per i creditori di compiere un nuovo omicidio (ed è naturalmente l’economia a venire assassinata). Questo sembra essere l’obiettivo della società di investimenti Pubblico/Privato che Geithner sta costituendo come secondo punto del suo piano. Il regalo più semplice è quello di cavalcare l’onda di una nuova bolla – cioè introdurre una nuova ondata di inflazione sul prezzo dei beni per “curare” il problema della deflazione del debito.

Ecco come penso possa funzionare questo stratagemma. Supponiamo che una famiglia sventurata abbia acquistato una casa per un valore di 500.000 dollari, con un mutuo variabile al 100% la cui rinegoziazione è prevista quest’anno all’8%. Supponiamo anche che l’attuale prezzo di mercato scenderà a 250.000 dollari, una perdita del 50% entro la fine del 2009. Un periodo imprecisato intorno alla metà del 2010 sembra essere una fase abbastanza lunga per la discesa dei prezzi per rendere possibile un “recupero” – la Bolla Economica 2.0. Senza un simile crollo, non ci sarebbe nessuna economia da “recuperare”, nessuna possibilità per Tim Geithner e Laurence Summers di “capire il vostro dolore” e tirare fuori di tasca questo pacchetto – una variante dei “contanti in cambio di spazzatura”, un ente pubblico che acquista un mutuo da 500.000 dollari andato in malora, che conduce ad un prezzo di mercato di soli 250.000 dollari.

La “banca cattiva” non era ancora pronta per essere creata questa settimana, ma il suo embrione è già impiantato. Avrà la forma di una partnership pubblico/privata (PPP) come quella che Tony Blair ha reso così tristemente nota in Gran Bretagna. E a proposito di Blair, sto scrivendo questo articolo dall’Inghilterra, dove quasi tutti gli osservatori che scrutano l’America con cui ho parlato hanno espresso il loro stupore per l’uscita di Obama della settimana scorsa quando idealizzava la controparte inglese in George Bush quanto a impopolarità. La permanenza in carica di Blair è stata un racconto dell’orrore, non certo qualcosa per cui ricevere dei complimenti. Ha privatizzato le ferrovie ed è entrato nella disastrosa partnership pubblico/privato che ha raddoppiato, triplicato o quadruplicato il costo delle opere pubbliche inserendo un gravoso onere finanziario. Se Obama non si rende conto di quanto abbia sconvolto la Gran Bretagna e la maggior parte dei paesi europei con le sue lodi, c’è il pericolo che rifili un’analoga “partnership” finanzializzata pubblico/privato agli Stati Uniti.

Il nuovo istituto pubblico/privato sarà finanziato con fondi privati – a dire il vero, con il denaro che viene ora utilizzato per ricapitalizzare le banche americane (capeggiate dalle banche di Wall Street che hanno fatto così male). Le banche utilizzeranno il denaro del Tesoro che hanno ricevuto per “prendere a prestito” dai loro mutui spazzatura alla pari o quasi per acquistare azioni in un nuovo istituto da 5.000 miliardi di dollari creato sulla falsariga degli sfortunati Fanny Mae e Freddie Mac. Le sue obbligazioni saranno garantite. (Questa è la parte “pubblica” – la “socializzazione” del rischio). L’istituto PPP avrà il potere di acquistare e rinegoziare i mutui che sono passati nelle mani del governo e di altri detentori. Il “Fondo di Salvataggio delle Famiglie” utilizzerà i suoi fondi privati per l’obiettivo “socialmente responsabile” di “salvare il contribuente” e i proprietari di casa della classe media rinegoziando il mutuo al ribasso dal suo valore di 500.000 dollari al nuovo prezzo di mercato di 250.000 dollari.

Ecco il gergo che aspettavamo, con i soliti eufemismi orwelliani. La PPP di Salvataggio delle Famiglie apparirà come un’autentica Banca della Salvezza risorta dalle rovine della Bolla Numero Uno. I suoi clienti saranno le famiglie divorate dai mutui e che si sentono sempre più disperate mentre il prezzo del loro bene più importante sprofonda sempre più nel territorio dell’equity negativo. A loro, la PPP dirà: “Possiamo fare un affare per salvarvi. Rinegozieremo al ribasso il vostro mutuo al prezzo di mercato attuale, 250.000 dollari, e diminuiremo anche il vostro tasso di interesse ad appena il 5,50%, il nuovo tasso. Questo ridurrà il vostro onere mensile di debito di quasi due terzi. Non solo vi potrete permettere di rimanere in casa vostra, ma sfuggirete dal vostro equity negativo.”

La famiglia probabilmente dirà “Fantastico.” Ma dovranno fare una concessione, ed è qui che la nuova partnership pubblico/privata compie il suo omicidio. Finanziata con denaro privato che si accolla il “rischio” (e che, inoltre, si intasca i profitti), la Banca della Salvezza dirà alla famiglia che è d’accordo per rinegoziare il suo mutuo: “Ora che il governo ha assorbito una perdita (nella parodia odierna di “socializzare” il sistema finanziario) permettendovi di rimanere in casa vostra, abbiamo bisogno di recuperare il denaro che è andato perduto. Se vi risarciamo, anche noi vogliamo essere risarciti. Quindi, quando arriverà il momento di vendere la vostra casa o rinegoziare il mutuo, la nostra PPP di Salvataggio delle Famiglie otterrà un guadagno in conto capitale fino alla somma originale stipulata.”

In altre parole, se il proprietario di casa vende il suo immobile per 400.000 dollari, la PPP di Salvataggio della Famiglie otterrà 150.000 dollari dal guadagno in conto capitale. Se la casa viene venduta per 500.000 dollari, la banca ne otterrà 250.000. E se viene venduta ad un prezzo maggiore, grazie a qualche nuovo clone di Alan Greenspan nelle vesti del “maestro delle bolle”, il guadagno in conto capitale sarà in qualche modo spartito. Se la ripartizione è di un 50/50 e la casa viene venduta per 600.000 dollari, il proprietario spartirà gli ulteriori 100.000 dollari del guadagno in conto capitale con la PPP di Salvataggio delle Famiglie la quale intascherà molto di più dei guadagni in conto capitale (con la nuova inflazione sul prezzo dei beni alimentata dal debito che è stata messa in campo) più di quanto ne ricaverà con gli interessi!

Per Wall Street questo renderà la Bolla 2.0 addirittura più succulenta della Bolla Greenspan! L’ultima volta fu la classe media a guadagnarci – anche se i nuovi acquirenti dovevano entrare nel girone del debito a vita per comprare abitazioni dal prezzo elevato. Era in realtà la banca a guadagnarci, ovviamente, perché gli interessi sul mutuo assorbivano l’intero valore dell’immobile dato in affitto e persino il guadagno sul prezzo sperato. Ma i proprietari di casa almeno avevano una possibilità di avere il loro “giro omaggio”, se non sperperavano i loro soldi per rifinanziare i loro mutui per “monetizzare” sul loro capitale per sostenere il loro tenore di vita in una generazione in cui i livelli dei salari sono fermi dal 1979. Come Greenspan faceva osservare in una deposizione resa di fronte al Congresso, un motivo importante per il quale i salari non sono aumentati è che i lavoratori hanno paura di scioperare o addirittura di lamentarsi di lavorare troppo (“aumentando la produttività”), perché rischiano di non pagare l’ultima rata del mutuo – o, se in affitto, rischiano di rimanere senza un tetto.

Questa è la felice condizione di normalità che i pianificatori finanziari di Wall Street vorrebbero ristabilire. Questa volta potrebbero non essere costretti a guadagnare in modo che anche la classe media intaschi qualcosa. Sulla scia della Bolla Economica Numero Uno, i proprietari di casa di oggi, divorati dai debiti, sono disposti a firmare un piano che li lasci semplicemente in casa loro! Per le sue banche azioniste e gli altri grandi investitori, la PPP di Salvataggio delle Famiglie può appropriarsi dei guadagni in conto capitale che sono stati il volano della “creazione della ricchezza” americana, in stile bolla. Ecco che cosa significa il termine “equity kicker”.

Questa situazione porta l’economia ad un bivio. Le uniche politiche ritenute politicamente corrette oggi sono quelle che peggiorano le cose: ulteriore denaro governativo nella speranza che le banche creino ulteriore credito/debito per aumentare i prezzi delle abitazioni e renderli ancora meno convenienti. Il credito/debito per gonfiare una nuova Bolla Economica Numero Due.

I lobbisti degli enormi conglomerati delle Banche Cattive di Wall Street stanno gridando che tutte le soluzioni al problema del debito odierno e il trasferimento delle imposte sui lavoratori sono politicamente scorretti, soprattutto le sacre svalutazioni del debito per riportare il peso del debito nella possibilità di essere ripagato. Questo è quello che si pensa che faccia il mercato, dopotutto, portando al fallimento in un crollo anarchico se questo non avviene con politiche governative più mirate. Le Banche Cattive, avendo preteso il “libero mercato” in tutti questi anni, hanno paura di un vero libero mercato quando vengono minacciati i loro bonus e tutti gli altri profitti. Per Wall Street, il libero mercato è “libero” dalla regolamentazione pubblica, “libero” dalla tassazione della ricchezza in modo da trasferire questo onere sui lavoratori, “libero” per il settore finanziario di avvolgersi intorno all’economia “reale” come un’edera parassita si avvolge intorno ad un albero per estrarne il nutrimento.

Questa è la parodia della libertà. Come spiegava il neoliberista putativo Adam Smith, “Il governo di una società esclusiva di mercanti è, forse, il peggiore di tutti i governi.” Ma peggio di tutti è la “libertà” del dibattito economico odierno dalla saggezza dell’economia politica classica e dall’esperienza storica in merito a come le società, nel corso delle varie epoche, hanno affrontato il peso del debito.

Come salvare l’economia da Wall Street

Esiste un’alternativa per evitare tutto questo ed è la classica definizione di libertà dalla schiavitù del debito e dal credito rapace. L’unica vera soluzione alla sporgenza odierna del debito è una svalutazione del debito stesso. Finché questo non avverrà, fiumi di denaro a debito verranno lasciati là fuori a spendere in beni e servizi e non ci sarà alcuna ripresa. La deflazione del debito trascinerà in basso l’economia mentre i beni saranno trasferiti ulteriormente nelle mani del 10 per cento più ricco della popolazione, operando attraverso il settore finanziario.

Se Obama intendesse fare quello che dice, utilizzerebbe la sua carica come un pulpito spavaldo per insistere sull’abrogazione dell’attuale legge sul fallimento a favore dei creditori sostenuta dalle banche e dalle società di carte di credito. Farebbe una campagna per ripristinare la tendenza a lungo termine di leggi a favore dei debitori invece che dei creditori, e introdurrebbe una legge per ripristinare la prassi di svalutazione dei debiti che riflettano la possibilità del debitore di pagare, imponendo la realtà del mercato ai debiti che vanno ben oltre ogni valutazione realistica.

Una seconda politica sarebbe quella di ristabilire il potere dei procuratori generali dello Stato affinché possano spiccare accuse di truffa finanziaria nei confronti delle più importanti società di erogazione di mutui – i procedimenti giudiziari che l’amministrazione Bush è riuscita a rigettare sostenendo che, secondo un articolo della legge nazionale bancaria del 1864, il governo federale aveva il diritto di scavalcare i procedimenti penali statali nei confronti delle banche nazionali – e quindi nominando un non-pubblico ministero per l’applicazione di questa posizione.

Sulla base delle accuse reintegrate di truffa, il governo può recuperare i bonus bancari, gli stipendi e le remunerazioni che hanno rappresentato i profitti della più grande truffa finanziaria e immobiliare della storia americana. E per impedire il ripetersi dei fatti dell’ultimo decennio, l’amministrazione Obama può favorire la diffusione di una nuova psicologia del debito. Il governo potrebbe incoraggiare “i poveri” ad agire “in modo economico” come farebbero Donald Trump o Angelo Mozilo, mettendo in chiaro che le svalutazioni del debito sono un diritto.

Inoltre, per evitare il ripetersi della Bolla Economica, il Tesoro potrebbe imporre la “Tobin tax” all’1% sugli acquisti e sulle opzioni per azioni, obbligazioni e valuta straniera. Coloro che criticano questa tassa fanno notare che potrebbe essere evasa dagli speculatori che trattano offshore in nome di securities detenute in conti americani. Ma il governo potrebbe semplicemente rifiutarsi di fornire un’assicurazione sui depositi ed altri aiuti agli istituti che negoziano offshore, oppure potrebbe semplicemente dire che le attività commerciali in simili “ricevute di deposito” per azioni non avrebbero corso legale. Per quanto riguarda i derivati, gli istituti di deposito – compresi i conglomerati che detengono tali banche – potrebbero essere proibiti essendo intrinsecamente insicuri. Se gli stranieri vogliono speculare nelle corse di cavalli finanziarie, che facciano pure.

La politica finanziaria alla fine fa affidamento sulla politica fiscale. E’ la possibiltà di imporre una tassa, dopotutto, che dà valore al denaro del Tesoro (così com’è stata l’impossibilità di riscuotere i debiti a svalutare il valore dei depositi delle banche commerciali). Per la politica fiscale è abbastanza semplice evitare una nuova bolla immobiliare: occorre riportare semplicemente il sistema fiscale a com’era in origine, sul valore del terreno che si dà in affitto. Il “giro omaggio” (quello che John Stuart Mill definiva “plusvalenza” dell’aumento dei prezzi fondiari, un guadagno che i proprietari terrieni realizzavano “mentre dormivano”) servirebbe come base imponibile invece di far pesare sulla forza lavoro e sull’industria le imposte sui redditi e sulle vendite. Questo realizzerebbe il genere di libero mercato che descrivevano Adam Smith, John Stuart Mill e Alfred Marshall, e che l’Epoca Progressista voleva raggiungere con la prima imposta americana sul reddito nel 1913. Sarebbe un mercato libero senza i giri omaggio che i Ragazzi di Chicago sostengono che non esistono. Ma la recente Bolla Economica e il successivo Salvataggio di oggi riguardano sicuramente la conquista del giro omaggio.

Un’imposta fondiaria impedirebbe il nuovo aumento dei prezzi immobiliari. Si tratta oggi della tassa più odiata d’America, in parte a causa della campagna di disinformazione che è stata allestita dagli interessi immobiliari e amplificata dalle banche che stanno dietro di loro. Il fatto è che la tassazione dell’apprezzamento del valore del terreno invece che dei salari e degli utili aziendali eviterebbe ai proprietari di casa di doversi indebitare così tanto per avere un’abitazione. Eviterebbe all’economia di vedere la “creazione della ricchezza” prendere la forma di una “plusvalenza” che viene capitalizzata in prestiti bancari ancor più elevati insieme ai loro oneri accessori (interesse e ammortamento).

L’imposta sul patrimonio in origine ricadeva principalmente sulle proprietà immobiliari. La priorità più urgente e politicamente fattibile dell’amministrazione Obama dovrebbe essere perciò quella di eliminare i forti tagli fiscali alle fasce di reddito più elevato operati dall’amministrazione Bush e la moratoria sull’imposta di successione. L’obiettivo sarebbe quello di ridurre la netta separazione tra creditori e debitori che ha concentrato più dei due terzi dei profitti nell’1% più ricco della popolazione.

Se non verranno sostenute delle alternative alla Bolla Economica come queste, sapremo che le promesse di cambiamento erano pura retorica, in stile Tony Blair.


[1] Martin Wolf, “Why Obama’s new Tarp will fail to rescue the banks”, Financial Times, 11 febbraio 2009.
[2] Rubinomia, un neologismo creato dalle parole Rubin ed economia, fu utilizzato per descrivere le politiche economiche del Presidente americano Bill Clinton e del suo Segretario al Tesoro Robert Rubin [NdT]
[3] “Geithner at the Improv”, editoriale sul Wall Street Journal, 11 febbraio 2009.



E' tempo di cambiare i paradigmi economici del XX secolo?
di Richard Heinberg - The Ecologist - 5 Febbraio 2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Angela Corrias

Cento anni fa governavano i mercati: furono create le fortune, i lavoratori venivano abusati, le bolle scoppiavano. La Scuola austriaca di economisti, guidata da Ludwig von Mises, disse che andava bene così: nonostante la temporanea confusione, nessuno sa meglio del mercato.
Ma la confusione dei mercati era inaccettabile per i socialisti, alcuni dei quali guidarono la rivoluzione in Russia per stabilire la prima economia controllata dallo stato.

Le catastrofi della Grande Guerra e della Grande Depressione hanno condotto verso l’ascendente di John Maynard Keynes, che sostenne che persino le economie capitaliste hanno bisogno di essere regolate per evitare manie e successive implosioni.

Allora regnò il Keynesianesimo, e la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la maggior parte degli altri paesi adottarono regolamenti per il sistema bancario, finanziario e industriale, in molti casi nazionalizzando le ferrovie e altri aspetti centrali dell’economia produttiva.

Nel frattempo, l’economista rivale Friedrich von Hayek silenziosamente tramava la vendetta della Scuola Austriaca, la cui ragione fu offerta dalla stagflazione e dalle agitazioni dei lavoratori negli anni ’70. Von Hayek, che aveva lavorato duramente in segretezza, era diventato allora l’uomo del momento; i suoi accoliti Margaret Thatcher e Ronald Reagan promisero di mostrare la strada per tornare alla prosperità: il governo era il problema e la privatizzazione la soluzione!

I tre decenni seguenti hanno visto economisti tornare numerosi dalla parte della nave “Lascia che Regoli il Mercato”, lodando vertiginosamente le meraviglie della globalizzazione e del libero mercato.

Fin dal Crollo del 2008, gli economisti si stanno precipitando ad annunciare una nuova era di neo-Keynesianesimo: la mancanza di regolamento nell’industria finanziaria ci ha condotto sull’orlo del disastro e solo un massiccio intervento del governo può rimetterci in carreggiata.

Purtroppo, adesso le carreggiate sono finite. I grandi paradigmi economici hanno semplicemente dato troppe cose per scontate. Hanno assunto che le economie dipendono da soldi e lavoro, ma hanno ignorato i ruoli di energia e ecosistemi. Hanno assunto che siccome la popolazione, l’estrazione delle risorse e l’energia disponibile erano cresciute per tutti i secoli XIX e XX, sarebbero cresciute in eterno una volta che i giusti rapporti tra soldi, forze del mercato e regolazione governativa fossero risolte. Quasi nessuno ha smesso di pensare che i limiti ai bacini di carbonio atmosferico della terra e le scorte di combustibili fossili, strato superficiale del terreno e acqua potessero imporre un limite definitivo all’attività economica.

I campi di economia ecologica e economia biofisica sono spuntati per riempire questo punto debole del pensiero economico convenzionale, ma entrambi sono ancora marginalizzati.

Nei mesi futuri vedremo una battaglia titanica su chi può ristabilire la beata condizione di eterna crescita. Purtroppo né i sostenitori del libero mercato né i controllori statali hanno la risposta. L’umanità ha raggiunto limiti fisici alla crescita – picco petrolifero e cambiamento climatico – che sono la rovina di tutte le filosofie economiche che non considerano tali limiti.

Quanto ci vorrà ai teorici per capirlo? Quanto del nostro restante benessere distruggeranno in un inutile sforzo per provare che i loro paradigmi sono validi per sempre? Per quanto la società si disferà prima che qualcuno al potere cominci a mettere in dubbio la saggezza ricevuta?

È meglio sperare che imparino velocemente.


Richard Heinberg è Senior Fellow del Post Carbon Institute e autore di "Peak Everything"