sabato 28 febbraio 2009

Per Obama anche i ricchi devono piangere

Barack Obama presentando ieri il piano di bilancio del governo USA ha parlato di "Sacrifici, soprattutto per i ricchi, ma anche maggiore equità sociale, con l'assistenza sanitaria per tutti gli americani".
Dalla finanziaria per l’anno fiscale 2010 emerge che il deficit degli Stati Uniti si dovrebbe attestare nel 2009 a 1.750 miliardi di dollari, il più alto dai tempi della Seconda guerra mondiale. E Obama ha annunciato che intende dimezzarlo entro la fine del suo primo mandato, nel gennaio 2013, e che sono stati già identificati risparmi per circa duemila miliardi di dollari.

Sulla sanità Obama ha chiarito che il suo bilancio si prefigge di rendere l'assistenza più accessibile ai milioni di americani che hanno perso il posto. Obama ha parlato di un sussidio, in vigore dal 26 febbraio, che aiuterà sette milioni di americani che hanno perso il lavoro a conservare la mutua che avevano prima del licenziamento. La misura è compresa nel pacchetto di stimolo.

Obama ha poi rivolto all'America un invito alle "rinunce" per uscire dalla crisi "Dovremo rinunciare a cose che ci piacciono ma che non ci possiamo permettere [...] Anche a livello di governo sarà necessario tagliare cose che non ci servono per pagare quelle che servono, ovvero una grande riforma della sanità, per estendere a tutti l'assistenza pubblica, anche tassando i più ricchi".

Più in particolare per finanziare la nuova manovra che riguarda la sanità (la spesa prevista è di 634 miliardi di dollari) il presidente ha proposto il primo aumento delle tasse da 16 anni per le famiglie ad alto reddito (quanti guadagnano più di un quarto di milione di dollari all'anno) e una drastica revisione dei pagamenti alle assicurazioni private collegate a Medicare, la mutua per gli anziani.

Il piano di bilancio prevede di risparmiare svariati miliardi di dollari non rinnovando gli sgravi fiscali concessi all'amministrazione Bush ai già ricchi. Saranno interessati da questo provvedimento tutti gli americani che guadagnano oltre 250.000 dollari o 250.000 per le coppie sposate. Per i contribuenti oltre questa soglia, l'incidenza fiscale passerà rispettivamente dal 33% e dal 35% al 36% e al 39,6%.

Un capitolo a parte nella legge di bilancio è dedicato alle guerre. Obama ribadisce quanto annunciato già in altre occasioni sull'Iraq: le truppe americane andranno via dall'agosto 2010. Tuttavia Obama ha precisato che lascerà da 35 a 50mila soldati come consiglieri delle forze irachene e per proteggere gli interessi statunitensi.

Obama ha previsto per le guerre in Iraq e in Afghanistan, dove invece intende rafforzare la presenza militare americana, spese pari a 130 miliardi di dollari nel 2010. Quest'anno le spese militari per le due guerre prevedono stanziamenti eccezionali per 75,5 miliardi, con richieste complessive del Pentagono pari a 141 miliardi. Complessivamente, le spese militari previste per l'esercizio 2010, che scatta il primo ottobre, sono pari a quasi 664 miliardi di dollari, in aumento dell'1,5%.

L'amministrazione Obama potrebbe chiedere inoltre al Congresso nuovi fondi per il maxi-salvataggio del sistema finanziario: altri 750 miliardi di dollari da mettere a disposizione delle istituzioni finanziarie travolte dalla crisi.
Nel frattempo si configura una "seminazionalizzazione" di Citigroup, che potrebbe presto annunciare di aver trovato un accordo con il governo americano per nuove infusioni di capitale in cambio di una partecipazione a favore del Tesoro che potrebbe raggiungere il 40%.


La Finanziaria di Obama: uno schiaffo all'America di Bush
di Ilvio Pannullo - Altrenotizie - 28 Febbraio 2009

Sacrifici per i ricchi, una maggiore equità sociale con l’introduzione di un sussidio per i disoccupati ed una idea nuova di produzione e di consumo. Barack Obama ha presentato così il piano di bilancio del governo federale degli Stati Uniti dove, tra gli altri provvedimenti che l’amministrazione s’impegna a prendere, è contenuto anche “un impegno storico per la riforma della sanità”. Una cosa è certa: a Washington la musica è cambiata. Pur non nascondendo la drammaticità del momento, il nuovo presidente americano, nel presentare la sua manovra per l’anno fiscale 2010, promette di "offrire chiarezza su come viene speso ogni singolo dollaro dei contribuenti americani". Sembra passato un secolo da quando G.W. Bush precipitava il mondo intero nel disastro da cui oggi questo è chiamato a risollevarsi.

Non è un quadro felice - e non potrebbe esserlo - quello che emerge dal testo della legge presentata ieri al Congresso americano: il deficit degli Stati Uniti si dovrebbe infatti attestare nel 2009 a 1.750 miliardi di dollari, il più alto dai tempi della seconda guerra mondiale. Una legge dai numeri difficilmente comprensibili per paesi, come il nostro, abituati a gridare al saccheggio per manovre di risanamento dalle poche decine di miliardi di euro. Un progetto di bilancio decisamente ciclopico: 3.500 miliardi di dollari di spesa totale, 1.350 di solo disavanzo commerciale (praticamente l'intero Prodotto Interno italiano) e ben 318 miliardi di nuove entrate fiscali imposte al reddito di chi guadagna oltre 250 mila dollari l'anno, per creare un fondo di riserva per la futura copertura sanitaria universale, che ammonta complessivamente 634 miliardi. Numeri che, se compresi, mettono paura.

Lo stesso Obama ha tuttavia puntualmente precisato l’impegno di dimezzare l’ormai elefantiaco debito entro la fine del suo primo mandato, nel gennaio 2013, dichiarando, già oggi, l’identificazione da parte del governo di risparmi per circa 2.000 miliardi di dollari. Il presidente ha infatti citato, in particolare, risparmi per quasi 50 miliardi raggiungibili con la sola riduzione dei sussidi eccessivi e degli sgravi fiscali decisi dalla precedente amministrazione. Più che un cambio di rotta, quella a cui stiamo assistendo sembra essere, a tutti gli effetti, una vera e propria inversione ad U sulle principali tendenze circa le voci macroeconomiche del bilancio USA.

L'inquilino della Casa Bianca ha infatti parlato di “rinunce” per uscire dalla crisi, in vista di “scelte difficili”: “Dovremo rinunciare a cose che ci piacciono ma che non ci possiamo permettere”, ha detto il presidente, spiegando inoltre che, anche a livello di governo, “sarà necessario tagliare cose che non ci servono per pagare quelle che servono”, ovvero una grande riforma della sanità, per estendere a tutti l'assistenza pubblica, “anche tassando i più ricchi”. Saranno interessati da questo provvedimento tutti gli americani e tutte le coppie sposate che guadagnano oltre 250.000 dollari. Per i contribuenti oltre questa soglia, l'incidenza fiscale passerà rispettivamente dal 35% e dal 33% al 39,6% e al 36%.

Tradotto significa ripristinare lo status quo ante rispetto le politiche fiscali volute dal presidente Bush per rendere la nazione capace di sostenere un serio impegno sociale attraverso l’erogazione di un sussidio, in vigore dal 26 febbraio, che aiuterà sette milioni di americani, che hanno perso il lavoro, a conservare la mutua che avevano prima del licenziamento. Ben altre parole rispetto alle farneticazioni dei think-tank repubblicani che descrivevano l’America post-bushista come un paradiso popolato da soli cittadini proprietari.

Quello che infatti si vuol far passare sotto banco, minimizzandola come fosse una mera sfumatura, è la critica dell’attuale Presidente all’operato del suo predecessore, primo artefice del disastro economico, sociale e morale che sta massacrando l’America e, con lei, tutte le aree del pianeta che, loro malgrado, hanno un’economia strettamente legata al dollaro. Nella difesa del piano da lui stesso fortissimamente sostenuto, Obama ha infatti parlato di un bilancio corposo ma anche “onesto”, sottolineando che “in passato altri bilanci per anni non hanno detto la verità”.

Un capitolo a parte nella legge di bilancio è dedicato alle guerre. L’attuale Comandante in Capo delle forze militari USA non ha risparmiato sferzanti commenti sull’operato dell'amministrazione Bush sulle spese di guerra. “Questo budget rivela i veri costi della guerra in Iraq” ha detto il presidente Usa, ricordando la confusione intenzionale creata dal precedente inquilino della Casa Bianca sui reali oneri sopportati dal paese per finanziare le operazioni belliche nel paese. Obama ha previsto per le guerre in Iraq e in Afghanistan, dove intende rafforzare la presenza militare americana, spese pari a 130 miliardi di dollari nel 2010. Soldi che servono come l’acqua nel deserto e che invece di dissetare il moribondo sono stati bruciati e continuano ad essere bruciati in una guerra abominevole che - è bene continuare a ricordarlo - è stata imposta in spregio alle più elementari leggi del diritto internazionale.

Se a questo disastro si aggiungono gli altri 750 miliardi di dollari da mettere a disposizione delle istituzioni finanziarie travolte dalla crisi, ben si comprende l’eredità lasciata dal presidente Bush e dal suo manipolo di fanatici monetaristi all’America e al mondo intero. Già, perché l’aspetto più infame dell’attuale crisi mondiale è proprio l’interdipendenza degli stati a livello economico. I danni prodotti dall’amministrazione repubblicana hanno messo in ginocchio le economie di tutto il mondo, ma se il disastro è globalizzato altrettanto non potrà accadere per la sua soluzione.

Bene faranno l’Europa, l’America Latina, la Federazione Russa, la Cina, l’India, il Giappone e le rimanenti potenze regionali a ritornare saggiamente ad un’idea di una comunità internazionale composta da tanti stati aventi uguali diritti, ma differenti doveri. Una comunità internazionale di stati sovrani indipendenti dove non vi sono né schiavi né padroni. In definitiva tocca cestinare questi ultimi 8 anni, riconoscere i colpevoli, ma rimboccarsi le maniche e guardare avanti.



Anche Obama dice Rifiuti Zero
di Margherita Bologna - Megachip - 27 Febbraio 2009

Non ci eravamo sbagliati. Esprimiamolo con forza ai nostri enti locali che la strategia Rifiuti Zero non è più un sogno o una meta ideale di qualche visionario (come ancora pensa la maggior parte dei politici che ci governa all’ombra dei presenti e futuri inceneritori), ma è parte integrante della politica dei rifiuti del presidente degli Stati Uniti Obama.

Dal blog di Barack Obama:

Ridurre Riusare Riciclare
«Rimango sempre molto sorpreso quando viaggio fuori dall'Oregon. Vedo bottiglie e lattine sparse ovunque lungo la strada. In Oregon consegniamo bottiglie e lattine ai negozi dei droghieri per avviarle al riciclo e per ciascuna ci sono rimborsati 5 centesimi.
Avete mai notato i negozi di lattine e bottiglie? Date uno sguardo all'elenco degli stati VT, ME, NY, OR, CT, MA, IA, HI, MI, che pagano le lattine e le bottiglie riconsegnate. Ricordo l'episodio intitolato Il Deposito di Bottiglie nella sitcom Seinfeld, quando Paul Newman impara che le bottiglie e le lattine sono rimborsate 10 centesimi in Michigan (contro i 5 cent di altri stati). Ricordate quella scena?
Riciclare bottiglie e lattine è solo l'inizio.
La gente dovrebbe prendersi cura nel miglior modo del nostro unico pianeta e produrre meno rifiuti praticando le tre R.

Ridurre la quantità e tossicità dei rifiuti che produciamo. Riusare contenitori e prodotti. Riparare ciò che si è rotto o donarlo a qualcuno che sia in grado di ripararlo. Riciclare il più possibile, includendo l'acquisto di beni prodotti con materiali riciclati.
Io penso che, come nazione, dobbiamo approvare norme federali, dandoci degli obiettivi raggiungibili, che impongano a tutti gli stati di riciclare plastica, alluminio, carta, ecc. lavorando ad un processo che ci porti sempre più vicino al traguardo Rifiuti Zero.
Suvvia! Tutti gli animali eccetto l'uomo lo fanno ogni giorno. Noi non pensiamo di essere la specie più evoluta?
Cerchiamo di non avere la vista corta, pensando solo nei tempi brevi e concentrando la nostra attenzione sul vantaggio finanziario immediato. La vita è molto di più che un margine di profitto derivante dagli affari. Prendiamo in considerazione la qualità della vita per le future generazioni. La mia impressione è che l'attuale generazione sia maggiormente interessata a un governo intelligente. Speriamo di poter governare abbastanza per svolgere questo compito. Prendendo in considerazione questo problema se la soluzione "mercato" funziona, la favoriamo. Se la soluzione a un problema richiede un intervento governativo, lo facciamo. Ma guardiamo alle conseguenze pratiche. Penso che la gente oggi voglia questo tipo di politica».

Fin qui le parole di Obama. Senza scomodarlo, possiamo trovare già qui in Italia modi intelligenti di gestire i rifiuti. Modi alternativi all’incenerimento. Ne parlo sinteticamente in una videopresentazione disponibile su Youtube: [QUI].

Ho cercato e trovato le tecnologie di selezione dei rifiuti a freddo alla fiera "Ecomondo" che si svolge a Rimini tutti gli anni. Contemporaneamente mi sono adoperata perché i nostri amministratori potessero vederle in azione, portandoli a visitare diversi impianti che operano in Italia da diversi anni. Questo lavoro di informazione sul territorio rema contro prassi politiche consolidate, tutte votate al mito dell'incenerimento. Finalmente sta ottenendo i suoi primi riconoscimenti. Questione di informazione.



Bye bye Iraq
di Alessandro Ursic - Peacereporter - 28 Febbraio 2009

Fine della missione di combattimento entro il 31 agosto del prossimo anno, e ritiro completo a fine 2011. Quella in Iraq, Barack Obama aveva insistito già in campagna elettorale, è una guerra sbagliata da far finire al più presto. Per concentrarsi su altre priorità: il conflitto in Afghanistan, il sostegno al Pakistan contro gli estremisti islamici, nell'ambito di un disegno mediorientale che comprende il dialogo con l'Iran e la Siria. Qualche giorno dopo aver delineato al Congresso il suo piano per salvare un'economia in crisi, il presidente statunitense ha esposto la sua visione per le due guerre ancora combattute dagli Usa, in un discorso tenuto alla base dei Marines a Camp Lejeune, in North Carolina.

Entro 18 mesi, ha detto Obama, la presenza militare in Iraq verrà ridotta dagli attuali 142mila soldati a 35-50mila, che avranno il solo compito di addestrare e consigliare le forze armate irachene, nonché quello di "condurre azioni mirate di anti-terrorismo e proteggere le nostre missioni civili e militari nel Paese". La progressiva "irachizzazione" del conflitto diventerà completa entro il 2011, quando gli Stati Uniti ritireranno i loro ultimi uomini; ma nel caso di problemi alle operazioni, ha aggiunto Obama, il calendario potrà essere rivisto con le autorità di Baghdad. Parte dei soldati verrà, come annunciato nei giorni scorsi, dirottata verso l'Afghanistan, dove nelle prossime settimane il contingente americano crescerà di 17mila unità.

Ridurre fino al ritiro completo la presenza militare in Iraq contribuirà sicuramente all'obiettivo di Obama di dimezzare il deficit entro la fine del suo mandato (per quanto quest'anno, con a causa del massiccio piano contro la crisi, costituirà il 12 percento del Pil, il livello più alto dalla seconda guerra mondiale).

Ma le spese militari statunitensi non diminuiranno con la nuova amministrazione, anzi. Obama intende comunque ingrandire le forze armate e dedicare nuove risorse alle cure mediche e psicologiche dei veterani, senza tagliare le spese per gli armamenti. Il nuovo budget del dipartimento della Difesa comporterà così una crescita del 4 percento, fino a 533,7 miliardi di dollari. In aggiunta, per gli sforzi bellici sono già stati richiesti al Congresso altri 200 miliardi per il prossimo anno e mezzo. Se fosse un Paese, il Pentagono sarebbe la 17esima economia mondiale: spende 21mila dollari al secondo.

Confermando una rivoluzione rispetto all'amministrazione Bush nell'approccio a Paesi alleati e nemici, Obama ha affermato che il futuro del Medio Oriente passa anche attraverso un dialogo "che includa l'Iran e la Siria", due Paesi inclusi nell' "asse del male" dal suo predecessore, prima dell'invasione dell'Iraq. "Ecco perchè - ha aggiunto Obama - stiamo puntando di nuovo ad al Qaida in Afghanistan e in Pakistan; sviluppando una strategia con tutti gli elementi del potere americano per prevenire l'Iran dallo sviluppare l'arma nucleare; e attivamente cercando di raggiungere una pace duratura tra Israele ed il mondo arabo".

Non è detto che il Congresso accetti senza fiatare la richiesta di 200 miliardi per l'Iraq e l'Afghanistan. Sebbene i politici statunitensi stiano ben attenti a non essere bollati come "ostili alle truppe", il ritiro graduale dall'Iraq voluto da Obama non soddisfa tutti. Mentre i repubblicani - a partire da John McCain, secondo cui il piano è ben preparato - sono in generale favorevoli, è dal partito del presidente che arrivano le maggiori critiche: per molti deputati e senatori, lasciare fino a 50mila militari per un altro anno e mezzo è troppo. La pensa così per esempio Nancy Pelosi, la speaker della Camera dei rappresentanti, e sicuramente è d'accordo parte dell'elettorato di Obama più ostile alla guerra in Iraq, contro cui l'attuale presidente si è opposto fin dall'invasione.

Sui piani bellici come su quelli di stimolo economia, Obama può comunque giocare un enorme capitale politico accumulato, che si traduce in un consenso al suo operato superiore al 60 percento. Anche per questo, ha appena rivisto la politica del Pentagono - risalente alla prima guerra del Golfo - di vietare la pubblicazione di foto delle bare dei caduti in guerra, quando rientrano in patria avvolte nella bandiera a stelle e strisce: diventerà possibile, con il consenso della famiglia. A oggi, i morti statunitensi in Iraq sono 4.250, quelli in Afghanistan 660 ma in forte aumento (gà 30 nel 2009).

Sotto Bush, la censura di tali fotografie veniva interpretata come un tentativo di vendere agli americani una versione edulcorata della guerra; Obama intende invece seguire i principi di trasparenza di governo promessi in campagna elettorale. C'è chi fa notare il rischio che il fiume di immagini, se il ritorno di bare dall'Afghanistan dovesse crescere ulteriormente, possa far diventare quel conflitto il "Vietnam di Obama", mettendogli contro l'opinione pubblica. Ma è anche vero che, da quando le violenze in Iraq hanno iniziato a placarsi, le due guerre sono in sostanza sparite dalla scaletta dei media statunitensi. Difficile che altre centinaia di bandiere su una bara cambino la stanchezza degli Usa verso una guerra che la maggior parte della popolazione considera in sostanza finita con la caduta dei talebani. Ma in realtà, se per la guerra in Iraq si intravede la conclusione, per l'Afghanistan l'epilogo sembra ancora lontano.