giovedì 26 febbraio 2009

Nazionalizzare le banche zombie?

La Royal Bank of Scotland sara' la prima banca che tentera' di dare un valore, vendendoli, ai suoi titoli tossici. La Rbs ha annunciato una perdita record per il Regno Unito di 24 miliardi di sterline (34,3 miliardi di dollari) per il 2008.

Inoltre fa sapere che mettera' in vendita sul mercato attività per 325 miliardi di sterline (462 miliardi di dollari) all'interno di un programma garantito dal governo.

Secondo questo schema di vendita, che di fatto e' un nuovo piano di salvataggio del governo, Rbs sara' responsabile per i primi 19,5 miliardi di sterline di perdite, pari al 6% del valore delle attività messe in vendita. Tutte le perdite successive saranno per il 10% a carico di Rbs e per il 90% dello stato britannico.

Inoltre lo Stato, che già detiene circa il 70% del capitale dell'istituto, apportera' 13 miliardi di sterline di capitale aggiuntivo, sotto forma di azioni speciali che non faranno crescere la partecipazione pubblica e non porteranno quindi a una nazionalizzazione totale di Rbs.

Intanto oggi Tremonti ha firmato il decreto che da' il via libera alla sottoscrizione, da parte del Tesoro, di obbligazioni emesse dalle banche italiane. Le banche pagheranno una cedola annuale compresa tra il 7,5 e l'8,5 per cento per i primi anni. Cedola che poi andra' a crescere gradualmente.

Gli impegni che il Tesoro richiede agli istituti per sottoscrivere le obbligazioni sono: il contributo finanziario per rafforzare la dotazione del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese (pmi); l'aumento delle risorse da mettere a disposizione per il credito alle pmi, per i lavoratori in cassa integrazione o percettori di sussidio di disoccupazione, la sospensione del pagamento della rata di mutuo per almeno 12 mesi; la promozione di accordi per anticipare le risorse necessarie alle imprese per il pagamento della cassa integrazione.

Oggi inoltre Tremonti ha dichiarato "Da molti anni, almeno dal 2000 in poi, i derivati non hanno piu' la funzione assicurativa ma diventano operazioni speculative fini a se stesse. In questo momento il volume nazionale dei derivati e' pari, secondo i dati del Congresso degli Stati Uniti ma anche secondo la Banca dei regolamenti, a 12,5 volte il Pil del mondo. La differenza di partite e' secondo alcuni 30, secondo altri 40 trilioni di dollari, il piano della presidenza americana e' un trilione di dollari. Questo da' un'idea della degenerazione che e' avvenuta nelle strutture del capitalismo".

E se lo dice lui...


USA, una voragine da 2 trilioni di dollari

di Nouriel Roubini - 26 Febbraio 2009

Un anno fa avevo previsto che le perdite delle istituzioni finanziarie statunitensi avrebbero raggiunto un totale di almeno un trilione di dollari, senza escludere la possibilità di arrivare anche a due trilioni di dollari. In quel periodo economisti e politici erano concordi nel ritenere sbagliate per eccesso queste stime.

Si pensava che in totale le perdite sui mutui subprime non avrebbero superato i 200 miliardi di dollari. Come avevo sottolineato, in un contesto che vede gli Stati Uniti e l'economia globale scivolare sulla china di una grave recessione, le perdite delle banche non si potevano limitare ai mutui subprime, ma tendevano ad estendersi ad altre forme di prestiti ipotecari (near-prime e prime), alle carte di credito, al settore immobiliare commerciale, a crediti di vario tipo (in favore di studenti, di imprese commerciali e industriali o per l'acquisto di automobili), ai corporate bond, ai titoli sovrani o emessi da stati ed enti locali, oltre che a tutti gli asset di copertura dei suddetti prestiti. Ma di fatto, da allora i write-down delle banche Usa hanno oltrepassato la soglia di un trilione di dollari (la cifra da me indicata come previsione minima delle perdite), e a questo punto istituzioni quali l'Fmi e la Goldman Sachs prevedono perdite per oltre due trilioni.

Se qualcuno continua a ritenere esagerata questa cifra, vorrei far notare che secondo le ultime valutazioni di Rge Monitor, il mio istituto di ricerca e consulenza, la cifra complessiva delle perdite sui prestiti concessi dagli istituti finanziari Usa, cui vanno aggiunte quelle risultanti dal calo del valore di mercato degli asset in loro possesso (ad esempio i titoli garantiti da mutui ipotecari) potrebbe arrivare addirittura a 3,6 trilioni.Le banche Usa e gli intermediari sono esposti per la metà circa di questa somma, cioè per 1,8 trilioni di dollari. Il resto è distribuito tra altre istituzioni finanziarie, sia negli Usa che altrove. L'autunno scorso il capitale a copertura degli asset bancari era di appena 1,4 trilioni, per cui il sistema bancario Usa risultava in rosso per 400 milioni di dollari; e anche dopo gli interventi di ricapitalizzazione ad opera del governo e del settore privato, la sua riserva di capitale è praticamente pari a zero.

Servirebbero altri 1,5 trilioni di dollari per riportare il capitale delle banche al livello pre-crisi: solo così si potrà superare la stretta del credito, e rilanciare i prestiti al settore privato. In altri termini, il sistema bancario Usa è di fatto insolvente nel suo complesso, al pari di gran parte del sistema bancario britannico e di molte banche dell'Europa continentale.

Per il risanamento di un sistema bancario che deve far fronte all'attuale crisi sistemica le ipotesi sono fondamentalmente quattro: la ricapitalizzazione delle banche, con il contemporaneo acquisto dei loro titoli tossici da parte di una "bad bank" governativa; la ricapitalizzazione, accompagnata da garanzie governative - dopo un'iniziale perdita delle banche - degli asset tossici; l'acquisto da parte di privati degli asset tossici con garanzia governativa (l'attuale piano del governo Usa); e infine la pura e semplice nazionalizzazione - chiamandola magari con un altro nome (come ad esempio "government receivership") in caso di rifiuto di questo termine scabroso - delle banche insolventi, da rivendere poi al settore privato una volta risanate.

Di queste quattro opzioni, le prime tre presentano gravi inconvenienti. Nel caso della "bad bank", il governo rischierebbe di pagare prezzi troppo alti per i titoli tossici, sul cui vero valore non vi sono certezze. Anche l'ipotesi della garanzia potrebbe implicare un esborso statale eccessivo ( nel senso di una garanzia troppo elevata, per la quale il governo non percepirebbe un corrispettivo adeguato.

La soluzione della "bad bank" comporterebbe un ulteriore problema: il governo si troverebbe a dover gestire tutti i titoli tossici acquistati senza disporre delle necessarie competenze tecniche. Quanto all'idea - invero molto macchinosa, avanzata dal Tesoro - che propone di stralciare i titoli tossici dai bilanci delle banche, fornendo al tempo stesso garanzie da parte del governo - è apparsa subito complicata e poco trasparente, tanto che è bastato il suo annuncio a provocare una reazione nettamente negativa dei mercati.

Paradossalmente, la nazionalizzazione potrebbe rivelarsi come la soluzione più favorevole dal punto di vista del mercato: verrebbero infatti esclusi dalle istituzioni palesemente insolventi sia gli azionisti comuni che i detentori di azioni privilegiate, e in caso di insolvenza molto estesa anche i creditori non garantiti, assicurando al tempo stesso ai contribuenti un compenso adeguato. In questo modo si risolverebbe anche il problema della gestione dei bad asset delle banche, rivendendo la maggior parte dei titoli e dei depositi - con una garanzia da parte del governo - a nuovi azionisti privati, una volta risanati i titoli tossici (come nella soluzione adottata per il fallimento della IndyMac Bank).

La nazionalizzazione risolverebbe oltre tutto anche il problema delle banche che rivestono un'importanza sistemica, "too big to fail" - cioè troppo grosse per poter fallire - e che quindi il governo deve necessariamente soccorrere, a un costo molto elevato per i contribuenti. Oggi di fatto il problema si è ulteriormente aggravato, poiché le soluzioni finora adottate hanno indotto le banche più deboli a rilevarne altre ancora più malridotte.

Le fusioni tra "banche zombie" ricordano un po' il comportamento degli ubriachi che cercano di aiutarsi l'un l'altro a rimanere in piedi: lo dimostrano le operazioni con cui JPMorgan, Wells Fargo e Bank of Americ hanno rilevato rispettivamente Bear Stearns e Wa Mu, Wachovia, Countrywide e Merril Lynch. Con la nazionalizzazione il governo toglierebbe di mezzo queste mostruosità finanziarie, per creare banche più piccole ma solide da rivendere a investitori privati.

E' questa la soluzione che all'inizio degli anni '90 ha permesso alla Svezia di risolvere la sua crisi bancaria. Al contrario, l'attuale politica degli Usa e della Gran Bretagna rischia di generare, come è avvenuto in Giappone, una serie di "banche zombie", che in mancanza di un vero risanamento perpetuerebbero il congelamento del credito. Il Giappone ha pagato la sua incapacità di risanare il proprio sistema bancario con un decennio di crisi molto vicina alla depressione. In mancanza di interventi adeguati, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e molti altri Paesi corrono un rischio analogo: quello di una recessione o di una vera e propria deflazione che potrebbe protrarsi per vari anni.

Copyright: Project Syndicate, 2008. www. project syndicate. org (traduzione di Elisabetta Horvat)


Nazionalizzare: per Washington è una strada inevitabile
di Geminello Alvi - Il Giornale - 25 Febbraio 2009

Già venerdì scorso il senatore Dodd presidente del Banking Committee aveva quasi indotto all’infarto le borse spiegando che si sarebbero potuto nazionalizzare le banche per breve tempo. Ed è pur vero che il ritardo e la vaghezza del piano Geithner avevano screditato le rassicurazioni di Obama, mi si permetta la battuta, ormai sempre più sbiancato quando deve parlare di banche. Ma, certo, il comunicato congiunto di Tesoro, Federal Reserve, e Autorità federali, per giunta così esplicito fa la sua drammatica impressione. Vi si dichiara che «agli istituti (di credito) potrebbe essere richiesto di dare al governo il diritto di acquistare azioni ordinarie, con diritto di voto». E Citigroup ne approfitta subito: arriva la notizia della trattativa per cui il governo ne rileverebbe fino al 40%.

Dunque un’altra emergenza, e tanto grave che neppure può attendere l’inizio di quegli «stress test» promessi dal Segretario al Tesoro per verificare, a partire da oggi, il grado di solvibilità delle banche. Cosicché l’unica vaghezza meno vaga del piano Geithner ne risulta non solo superata, ma ridotta a paradosso: soltanto a promettere di testarla ha accelerato l’insolvenza. Tant’è che adesso s’iniziano a statizzare le banche. E gli esami sui bilanci delle 20 maggiori banche di America più che a tagliandi di controllo, somigliano ormai a biglietti funerari, per gli azionisti e i banchieri di Wall Street.

Quanto sta avvenendo non muterà, è pur vero, gli Stati Uniti d’America nella Corea del Nord, ma delegittima, toglie ogni residuo potere all’élite bancaria. Lo stato convertendo in azioni ordinarie quelle azioni privilegiate che aveva ottenuto in cambio dei 45 miliardi iniettati in Citigroup disporrà di fatto delle deleghe dell’amministratore delegato, diluirà gli azionisti e i loro valori. Del resto era inevitabile. In autunno da prestatori di ultimi istanza le banche centrali sono evolute, per alcuni giorni, a prestatori di prima e sola istanza.

In altri termini il denaro evolveva a fondo statale, al quale attingere come era norma protratta nei vari stati sovietici. E il solo confronto tra gli attivi di bilancio della Federal Reserve prima e dopo di allora fa adesso drizzare i capelli. Negli Stati Uniti tra garanzie liquidità e ricapitalizzazioni lo Stato ha provveduto svariati trilioni di dollari al sistema finanziario. Inevitabile che l’aggravarsi della crisi implicasse qualche più diretto potere statale. Col ritmo di questi esami bancari, che via via somiglieranno più ai tagli delle ghigliottine, la politica piloterà le banche. E non solo conferendogli altri capitali, ma mutando in affare di politica estera gli afflussi di capitale, i conferimenti dei fondi sovrani. Già una Signora Clinton stavolta del tutto inattenta ai diritti civili ha iniziato verosimilmente a farlo nel suo viaggio in Cina. E poi si sceneggeranno le bad bank, che, come in un film di fantascienza, s’iniziano a chiamare zomby bank al fine di delinearne meglio la natura. A riguardo mi parrebbe che l’ipotesi tecnica di Soros sia più efficace di quella del ministro del Tesoro americano.

Ma siamo ancora troppo nel vago per parlarne. Meglio rassicurare il nostro caro lettore dicendogli anzitutto quanto lui già sa: che il valore degli attivi impegnati dalle nostre banche all’Est non è paragonabile a quello dei titoli tossici per quelle americane. Tuttavia pure in Italia di banchieri molto nomati ma certissimi di restare sulle loro poltrone non devono essercene tanti. Del resto per una volta la figura peggiore l’hanno fatta gli altri. Anzitutto gli americani: Geithner e il suo team economico di clintoniani ridicolizzato, Obama che sparla e si perde, Greenspan che vuole statizzare, Paulson jr. che sciupa miliardi … Neppure al migliore Alberto Sordi sarebbero riusciti esiti così grotteschi, purtroppo comici.


Gli analisti: una nuova era di caos ha preso piede
di
Steve Watson - Infowars.net - 24 Febbraio 2009

Il crollo delle banche è già avvenuto. La crisi è la peggiore di sempre. Il sistema finanziario si è effettivamente disintegrato. Un’insurrezione sociale di massa è probabile.

Un’ondata di economisti, investitori e altri esperti finanziari durante il fine settimana ha pronunciato una serie di terribili ammonimenti riguardanti la crisi finanziaria globale, nei quali hanno dichiarato che una nuova era di caos ha preso piede in tutto il globo.
Alcuni hanno affermato che un collasso bancario totale sia già avvenuto, mentre altri hanno dichiarato che la recessione sia ormai la peggiore mai registrata, superando di gran lunga la grande depressione.

Il gestore di hedge fund e miliardario filantropo George Soros ha detto che il sistema finanziario si è effettivamente disintegrato, con turbolenze più gravi che durante la grande depressione e con un declino paragonabile alla caduta dell'Unione Sovietica.

L'ex presidente della Federal Reserve Paul Volcker ha detto di non poter ricordare nessun momento, neppure nella grande depressione, in cui le cose siano andate giù in modo così veloce e altrettanto uniforme in tutto il mondo.

L’analista dei mercati finanziari Martin D. Weiss ha dichiarato che il crollo bancario si è già verificato e un grave tracollo di Wall Street è ormai imminente.

Un soggetto leader nelle previsioni, la National Association for Business Economics, ha messo in guardia sul fatto che la recessione è destinata a peggiorare e il tasso di disoccupazione potrebbe raggiungere il 9% quest'anno, il 10% l'anno prossimo e continuerà a crescere nel 2011. Nel 2008, il tasso di disoccupazione era in media del 5,8%, il più alto dal 2003.

Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, professori di finanza rispettivamente dell'Università del Maryland e dell'Università di Harvard, hanno detto che la crisi «non avrebbe potuto essere più grave», mentre avvertivano che, se mantenute le medie delle precedenti crisi, gli americani possono attendersi che la disoccupazione raggiunga l’11 o il 12 per cento, che i prezzi delle case calino a livello nazionale del 36%, le scorte perdano più della metà del loro valore, e la produzione reale pro capite precipiti del 9,3%.

L’economista Nouriel Roubini della New York University ha previsto un decennio perduto di stagnazione in stile giapponese (una micidiale combinazione di stagnazione, recessione e deflazione), ma su base mondiale.
«L'economia mondiale è ormai letteralmente in caduta libera, poiché la contrazione dei consumi, della spesa in conto capitale, degli investimenti immobiliari, della produzione, dell’occupazione, delle esportazioni e importazioni, si sta accelerando anziché rallentare», ha scritto Roubini.

Sebbene l'amministrazione Obama abbia negato che stia pianificando di nazionalizzare gruppi di banche statunitensi, gli speculatori hanno affermato che ciò sta già avvenendo e continuerà se Obama converte le azioni privilegiate del governo in Citigroup Inc. in più comuni azioni ordinarie al fine di aiutare l'impresa a sopportare le perdite. Il Tesoro ha anche annunciato che è pronto a gettare via ancora più soldi nelle banche, in aggiunta ai trilioni di dollari dei contribuenti dileguatisi finora.

Mentre alcuni economisti si sono rassegnati ad accettare questa come "l'unica via d'uscita", Jim Cramer della CNBC ha ammonito che la nazionalizzazione schiaccerebbe l’America e farebbe sprofondare il sistema finanziario in «un mondo di caos», che nel corso della storia ha portato a «gravissime rivolte e disordini sociali».

Analoghi reportage e analisi hanno recentemente previsto che il mondo sia alla vigilia di gravi disordini sociali a causa della crisi finanziaria. Il fine settimana ha visto le proteste raggiungere il punto di ebollizione in Irlanda, i governi in Islanda e Lettonia sono già stati rovesciati, mentre la polizia del Regno Unito si sta preparando per una "estate di scontento" e proteste di massa contro la cattiva gestione della crisi economica da parte del governo.

Un aumento delle esercitazioni addestrative sulla guerra urbana lungo tutti gli Stati Uniti non è di buon auspicio, alla luce di tali resoconti, dato in particolare che Northcom ha sottolineato che la partecipazione attiva di truppe all'interno degli USA sarà designata ad affrontare «disordini civili e di controllo della folla».

Naturalmente, da questo caos, come abbiamo sempre avvertito per oltre un decennio, si sta presentando un nuovo ordine. Oggi il primo ministro britannico Gordon Brown ha fatto appello a un "New Deal globale", che contemplerebbe misure restrittive" del governo su tutti i mercati finanziari, compresi gli hedge fund.

In sostanza, questo sarebbe l'ultimo chiodo nella bara del libero mercato, e inaugurerebbe un nuovo periodo di governo regolato globale del sistema finanziario.

Traduzione di Pino Cabras per Megachip