martedì 17 febbraio 2009

Un Kosovo spartito e sotto protezione internazionale.

A un anno dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza il futuro del Kosovo non e' ancora ben definito, ma appare sempre piu' certo un rallentamento nella corsa verso la sua piena sovranita', soprattuto nella veste di stato unitario.

Infatti la separazione del nord abitato in prevalenza dai serbi e la sua conseguente "annessione" alla Serbia sembra configurarsi come l'opzione piu' fattibile, anche se cio' richiedera' ancora molti anni prima della sua completa realizzazione.

Intanto diecimila serbi kosovari hanno protestato la settimana scorsa, per due giorni di seguito, nella città di Kosovka Mitrovica contro l'installazione di un posto di controllo di confine con la Serbia e la formazione di una Forza di Sicurezza del Kosovo (Ksf), considerata l'embrione dell'esercito kosovaro.

I partecipanti sventolavano bandiere serbe e striscioni con la scritta "No alla Ksf" e "Non rinunciamo al Kosovo" e c'erano anche molte bandiere della Grecia e della Spagna, due dei 5 paesi membri dell'Ue che non hanno riconosciuto l'indipendenza unilaterale del Kosovo proclamata un anno fa.

Il leader serbo kosovaro, Radinka Nedeljkovic, ha chiesto alla comunità internazionale lo scioglimento della Ksf, definita una "formazione anti-serba che minaccia la stabilità regionale", accusando inoltre la missione Eulex dell'Ue di atteggiamento filo-albanese.

Questa missione, che consiste di circa 2500 tra poliziotti, giudici, procuratori e funzionari di dogana, è stata dispiegata in Kosovo lo scorso dicembre col consenso serbo, a condizione pero' che resti neutrale riguardo lo status dell'ex provincia.

Da pochi giorni l'Eulex ha dato il via al controllo delle merci in arrivo dalla Serbia presso due valichi di confine nel nord e Nedeljkovic ha lamentato il fatto che i giudici dell'Eulex non applicherebbero le leggi serbe, ma quelle kosovare. Un altro leader serbo, Milan Ivanovic, ha promesso che i serbi si opporranno con tutti i "mezzi legittimi" alla creazione di posti di confine nel nord e all'introduzione di un sistema giudiziario in Kosovo.

Un anno dopo la dichiarazione d'indipendenza il Kosovo sembra proprio destinato ad essere un eterno protettorato internazionale.



Kosovo, protettorato o Stato sovrano?

di Luka Zanoni - www.osservatoriobalcani.it - 16 Febbraio 2009

Lo hanno riconosciuto 54 su 192 dei paesi dell'Onu, 22 su 27 di quelli Ue. Tutti gli altri ancora no. Poco è cambiato ad un anno dall'indipendenza e il Kosovo ancora assomiglia più ad un protettorato internazionale che ad uno stato sovrano.

È trascorso un anno dal giorno della proclamazione dell’indipendenza kosovara. Un anno in cui, a dire il vero, la situazione in Kosovo non è cambiata molto. Dal 17 febbraio 2008 , la neo repubblica si è dotata di una nuova costituzione, di una serie di nuove leggi e di una forza di sicurezza composta da 2500 uomini addestrati dalla Nato.

Forza di sicurezza che Belgrado, per voce del ministro degli Esteri Vuk Jeremić, non ha esitato a bollare come “illegale, paramilitare, una minaccia
diretta alla sicurezza nazionale della Serbia”. I rapporti tra Pristina e Belgrado restano tali quali erano in precedenza, nonostante gli appelli della comunità internazionale ad aprire uno spazio di dialogo, sulla base dell’accordo in sei punti accettato dall’Onu lo scorso novembre e riguardante dogane, magistratura, funzionamento della polizia, ecc.

Accordo stretto tra Belgrado e l’Onu, ma che non è mai stato accolto da Pristina. Anche sul fronte europeo non ci sono stati rilevanti passi in avanti. Il Parlamento europeo ha approvato il 5 febbraio scorso una risoluzione con la quale si invitano tutti i membri Ue che ancora non lo hanno fatto a riconoscere il Kosovo indipendente.

Risoluzione proposta dal deputato dei verdi olandesi Joost Lagendijk e votata a strasburgo con 424 voti a favore e 133 contrari. I voti contrari, per la maggiore, sono attribuibili ai deputati dei cinque paesi Ue che non hanno riconosciuto il Kosovo indipendente: Spagna, Grecia, Cipro, Romania e Slovacchia. La risoluzione è stata un debole tentativo di compattare l’Unione sulla questione Kosovo. Debole, anzitutto, perché non vincolante.

Tanto che la Grecia e la Slovacchia hanno subito dichiarato che non hanno alcuna intenzione di modificare la propria posizione sul Kosovo. Chiare le parole del ministro degli Esteri slovacco, Jan Škoda: “Nemmeno l’adozione della risoluzione, che non è stata appoggiata dai deputati slovacchi al Parlamento europeo, può cambiare qualcosa riguardo alla posizione della Slovacchia, che è di non riconoscere la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo”. D’altra parte – ricorda Doris Pack, responsabile al Parlamento europeo per le relazioni con il sud est Europa - “l’Ue non è un unico stato, bensì una comunità di stati in cui ogni stato può decidere in modo individuale. Non siamo gli Stati Uniti e per questo motivo non si può fare niente per cambiare le posizioni di quei membri dell’Ue che ancora non hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo”.

La deputata tedesca, però, non dimentica però di precisare che “una cosa è chiara: 27 paesi membri hanno appoggiato la missione Eulex in Kosovo”. Su scala più ampia sino ad ora solo 54 dei 192 paesi membri delle Nazioni Unite hanno riconosciuto il Kosovo. E se da un lato è vero che questi paesi formano complessivamente oltre il 70% del Pil mondiale, è altrettanto chiaro che il processo di riconoscimento, tanto auspicato un anno fa, ha subito un rallentamento.

Decelerazione in parte dovuta anche al fatto che la Serbia ha chiesto alla Corte di giustizia internazionale un parere sulla legalità internazionale dell’atto di dichiarazione di indipendenza. Per la sentenza, anche in questo caso non vincolante, si dovrà aspettare qualche anno. Sul campo sono intanto spiegati diversi organismi internazionali: Eulex, Ico, Unmik, Kfor. Si va dalla missione europea, al rappresentante speciale europeo, alle forze di sicurezza della Nato, all’amministrazione provvisoria dell’Onu. Un intreccio di poteri e di funzioni che rende difficile capire chi decide cosa in Kosovo.

Oggi il Kosovo rimane più simile ad un protettorato che ad un paese indipendente, e Peter Feith, Rappresentante speciale dell’Ue in Kosovo, ha fatto notare al Parlamento europeo che “non si sa quanto tempo dovrà trascorrere prima che il Kosovo raggiunga una piena indipendenza”. A un anno dall’indipendenza, poi il nord del Kosovo resta ancora una zona separata dal resto del territorio. Sempre Feith ha precisato che l’integrazione del nord del Kosovo in un unico sistema è “un compito pericoloso”, e per risolverlo è necessaria una politica di “buone relazioni”, solo così – secondo Feith – il Kosovo potrà raggiungere la “piena indipendenza”.

Per essere più espliciti, il Kosovo non può fare a meno di una normalizzazione dei rapporti con la Serbia. Belgrado e Pristina, però, sono ancora molto distanti. A partire dalle celebrazioni. Se Pristina celebrerà il 17 febbraio come giorno dell'indipendenza, Belgrado considera tale data un “giorno nevralgico” - parole del responsabile degli Esteri Jeremic - col timore che il nord del Kosovo diventi teatro di scontri, e farà di tutto per ricordare il 17 marzo 2004, giorno delle violenze antiserbe in Kosovo. Per un'indipendenza accompagnata da sovranità effettiva si dovrà ancora attendere.




Obama ha in serbo...- Kostunica:"Io difendo il Kosovo"
di Tommaso di Francesco - Il Manifesto - 14 Febbraio 2009

Intervista all'ex presidente serbo Voijslav Kostunica che ha pubblicato il libro «La mia difesa del Kosovo»: «Il neo presidente americano inserisca il Kosovo nei grandi cambiamenti che ha annunciato e riveda la decisione antidemocratica con cui gli Stati Uniti hanno legittimato l'indipendenza unilaterale violando la carta dell'Onu e il diritto internazionale»

Il Kosovo, nonostante il silenzio dei media, non ha mai smesso di essere una delle aree più esplosive del pianeta, con attentati, scontri anche armati, violenze. Martedì 17 è il primo anniversario dell'indipendenza proclamata unilateralmente da Pristina e il prossimo 24 marzo quello dei bombardamenti della guerra «umanitaria» della Nato del 1999 che alla fine hanno preparato la secessione del Kosovo.

Il clima di tensione resta alle stelle. Alimentato dal dispiegarsi della missione Eulex che, a nome dell'Unione europea, dovrebbe monitorare la crisi nel momento attuale più che incerto, quello di una indipendenza unilaterale fin qui riconosciuta solo da 52 paesi dei 192 delle Nazioni unite. Con tanto di spaccatura tra Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia da una parte, che la riconoscono. E Russia, Cina e alcuni paesi europei come Grecia, Spagna, Romania, Slovacchia e Cipro Nord che sono fortemente contrari. In un aperto caos istituzionale.

L'amministrazione Unmik che ha avallato l'indipendenza fin da subito ha però agito finora nel quadro di legalità rappresentato dalla Risoluzione 1244 che fu votata dal Consiglio di sicurezza dell'Onu che così assunse i termini degli accordi di pace di Kumanovo del giugno-luglio 1999 che posero fine alla guerra e che, riconoscendo che il Kosovo era parte della Serbia, permettevano l'ingresso temporaneo della Nato e la riconsegna del territorio alla Serbia dopo sei anni. Il contingente Nato ha questo quadro di legalità ma ora c'è sul campo un nuovo stato, unilateralmente indipendente.

Eulex si sta dispiegando in modo «neutrale», di fatto non riconosce ancora la secessione e per questo è osteggiata da Pristina, ma ogni giorno impone le leggi dello stato kosovaro autoproclamato, tantopiù che in questo giorni deve costituirsi il Ksf, il nuovo esercito del Kosovo indipendente. Sull'orlo del baratro di un nuova conflagrazione dell'area, ne parliamo con l'ex presidente della Serbia Voijslav Kostunica, uno dei pochi leader dei Balcani che può vantare profonda distanza dalle guerre etniche che hanno insanguinato quel territorio dal 1991.

È l'intellettuale e il democratico conservatore protagonista della cacciata dal potere di Milosevic nell'ottobre 2000. Docente di diritto internazionale, ora ha pubblicato a Belgrado un libro-appello, «La mia difesa del Kosovo», che sta per essere tradotto in molti paesi europei.

L'ambasciatore Usa a Belgrado Cameron Munter soffia sul fuoco e dichiara che i serbi devono rassegnarsi perché «il Kosovo è perduto», e il ministro degli esteri Vuk Jeremic, pure se filooccidentale, lamenta che la Serbia ha «seri problemi» nei rapporti bilaterali con gli Stati Uniti principali sostenitori dell'indipendenza del Kosovo. Cosa chiede al neopresidente Usa Barack Obama?
La storia della Serbia come vecchio paese europeo è ben nota come il fatto che il Kosovo è sua parte inalienabile. Il nuovo presidente americano Obama ha annunciato grandi cambiamenti e ha sottolineato la grandissima tradizione democratica dei Stati Uniti. Sono convinto che gli Usa non hanno agito in concordanza con i principi della loro tradizione democratica quando hanno deciso, contro i principi della Carta del Onu, di riconoscere unilaterale dichiarazione dell'indipendenza del Kosovo. Se sull'elenco dei cambiamenti di politica internazionale dell'amministrazione precedente si trovasse anche la questione del Kosovo, allora forse potremmo avere una soluzione storicamente giusta, stabile, democratica e duratura per il futuro status della provincia del Kosovo-Metohja e che sarebbe in piena armonia con la carta del Onu e la Constituzione della Serbia.

Qual è la situazione attuale del Kosovo? Come vivono i serbi nelle enclave e le comunità dei monasteri ortodossi?
Nell'Europa di oggi non c'è nulla che possa essere paragonato alla situazione del popolo serbo in Kosovo-Metohija. Nella maggior parte delle città kosovare non ci sono più serbi. É stato un tipo di pulizia etnica che ha visto l'Europa cieca, muta e sorda. Vorrei ricordare che i paesi occidentali avevano annunciato la politica del «prima gli standard, e poi lo status». Poi è avvenuto il cambiamento, «lo status prima, e poi gli standard democratici» come il rispetto delle minoranze, l'assenza di violenza, le garanzie democratiche. Nessuna di queste garanzie esiste, c'è solo l'indipendenza. Dopo la dichiarazione unilaterale dell' indipendenza del Kosovo, e con la conseguente violazione della Carta dell'Onu, della Risoluzione 1244, dell'atto finale di Helsinki e della Costituzione della Repubblica di Serbia, la situazione del popolo serbo nella provincia è diventata più che insostenibile. E' necessario ricordare che la Dichiarazione unilaterale dell'indipendenza del Kosovo non ha migliorato la situazione nemmeno per gli albanesi del Kosovo, quanto a sviluppo economico, a democrazia. Le uniche persone favorevoli alla situazione attuale sono gli abitanti e i lavoratori della base militare americana di Camp Bondsteel.

Che giudizio dà della comunità internazionale che ha deciso il vulnus della secessione del Kosovo, la stessa comunità internazionale che in Bosnia Erzegovina lavora invece per tenere forzatamente unite - fino a volerle cancellare - le due entità istituzionali che fanno parte degli accordi di pace di Dayton?
La decisione illegittima apre a dir poco un dibattito sul destino del diritto internazionale sul quale si fonda l'ordine internazionale dopo la Seconda Guerra Mondiale e rappresenta un precedente pericoloso per le aree di crisi nel mondo. La questione fondamentale è se gli Stati Uniti hanno violato il diritto internazionale esclusivamente per garantire i loro interessi militari e di sicurezza nell'area balcanica. Però l' «esperimento Kosovo» non è riuscito come previsto. Sono del tutto convinto che l'unica situazione sostenibile è il rispetto del diritto internazionale, in relazione agli Accordi di Dayton (in Bosnia-Erzegovina) e il rispetto della Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell'Onu che garantisce la sovranità e l'integrità territoriale della Serbia. Tutto il resto aumenta solo l'instabilità dei Balcani.

Sul Kosovo si è spaccata l'unità nazionale dei serbi, tra il fronte dell'attuale presidente Boris Tadic e il suo: i due schieramenti sono stati definiti in Europa «filoeuropeo» e «conservatore»...
In Serbia si ormai costituita da tempo l'unità nazionale per la difesa del Kosovo, sostenuta dal Parlamento serbo con l'adozione unanime della nuova Costituzione e delle risoluzioni parlamentari sul Kosovo. Dopo l'autoproclamazione di Pristina e il riconoscimento di alcuni paesi occidentali dell'indipendenza del Kosovo, la Serbia si è trovata davanti a un conflitto: quale strada prendere? Poiché gli Stati dell'Unione europea hanno per la maggior parte riconosciuto l'indipendenza del Kosovo, pensavo che la Serbia dovesse stabilire un confronto molto serio con Bruxelles sulle future relazioni tra Serbia e Ue. Il quesito fondamentale è se la Serbia con la sua provincia del Kosovo può continuare il cammino verso l'integrazione europea o se piuttosto Bruxelles per la nostra adesione pretende una diminuzione del 15% del nostro territorio. A quale altro paese è stato chiesto altrettanto? I partner del governo serbo di quel periodo hanno espresso la posizione che all'integrazione con l'Europa non c'è alternativa. Ma allo stesso tempo l'Olanda, apertamento contraria al nostro ingresso (e che ha riconosciuto l'indipendenza del Kosovo) insiste a condizionare l'integrazione europea della Serbia perché, a suo dire, non coopera con il Tribunale dell'Aja. Io mi chiedo se si può parlare di legittimità di questo Tribunale dopo il verdetto di rilascio per i criminali di guerra Nasser Oreich, musulmano bosniaco, e Ramus Haradinaj ex premier kosovaro albanese responsabili di stragi contro il popolo serbo.

Di fatto l'adesione all'Ue è stata lo stesso rimandata di anni - uno smacco per il nuovo governo Cvetkovic. Così ora il presidente Tadic dice no alle pretese di Bruxelles e di Washington e chiede espressamente agli Usa e a Pristina di «tornare al tavolo delle trattative per superare il discorso dell'indipendenza»...
La Serbia ha dovuto citare almeno un paese alla Corte internazionale di giustizia, proprio perché si tratta del 15% del territorio di uno stato. Abbiamo chiesto solo un parere consultivo ma avevamo diritto ad un parere di piena legittimità. E non ne abbiamo usufruito. Il fatto è che i veri mentori dell'indipendenza del Kosovo non hanno mai avuto in mente di creare uno stato democratico. Secondo il piano del «mediatore» Martti Ahtisaari si tratta infatti di un'indipendenza sorvegliata, come dice l'annesso 11 del piano di Ahtisaari, dove è letteralmente scritto: «La Nato è l'organo fondamentale dell'esecutivo del governo del Kosovo». Le vere trattative sul futuro status del Kosovo come parte della Serbia saranno possibili quando le potenze occidentali comprenderanno che in Kosovo è necessario salvaguardare non i loro interessi militari ma gli interessi della Serbia e degli albanesi kosovari.

Perché lei ha deciso di prendere carta e penna e scrivere questo libro-appello, rivolto sia ai serbi che all'Europa per «difendere il Kosovo»?
Durante le trattative condotte prima da Ahtisaari e poi dalla Trojka, la Serbia ha proposto in maniera costruttiva un'ampia autonomia per gli albanesi kosovari. Nessuno ha mai dato seri argomenti per la creazione di un nuovo stato albanese sul territorio di un altro stato sovrano, riconosciuto a livello internazionale come la Serbia. L'idea del Kosovo indipendente è in conflitto con il diritto internazionale della Carta dell'Onu che rappresenta la Costituzione mondiale. Così ho pensato che era importante pubblicare la nostra tesi nel libro «La mia difesa del Kosovo». Perché da una parte c'è la posizione della Serbia basata sul diritto internazionale, dall'altra la violazione del diritto internazionale e il desiderio dei separatisti albanesi di avere oltre l'Albania un secondo stato albanese nei Balcani. Inoltre ricordo che il Kosovo- Metohja (vuol dire terra della chiesa) è il luogo fondativo della Chiesa ortodossa serba, dove ci sono centinaia di chiese e monasteri serbi, tanti del Duecento. Tutti sottoposti ad una violenza sistematica legittimata dall'aver sancito solo una soluzione per gli albanesi kosovari. Non è possibile alcuna stabilità di fronte a questa ingiustizia. La vera soluzione è che la Serbia mantenga la sua integrità territoriale e che gli albanesi kosovari possano gestire il loro futuro nel Kosovo-Metohja come parte della Serbia. Questi due interessi legittimi sono conciliabili. Purtroppo in questo momento le maggiori potenze pensano solo ai loro interessi militari e alla base militare di Camp Bondsteel.


Ma anche il Kosovo ribolle
di Ennio Remondino - Il Manifesto - 7 Gennaio 2009

Vigilia blindata per la residua minoranza serba del Kosovo a poche ore dal primo Natale (che per gli ortodossi cade il 7 gennaio, secondo il calendario giuliano) dalla contestata proclamazione unilaterale di indipendenza da Belgrado dell'ex provincia a maggioranza albanese.

Una festività che si prepara in un clima di calma precaria nella principale enclave serbofona della regione, quella di Mitrovica nord, al centro negli ultimi giorni di nuove fiammate di tensione interetnica innescate il 30 dicembre dall'accoltellamento d'un serbo da parte di due albanesi. Tanto precaria da suggerire ai militari del contingente a guida Nato della Kfor di predisporre oggi specifici servizi di scorta in diverse località abitate da serbi per accompagnare i fedeli ortodossi nella raccolta di rami di 'badnjak' (tradizionalmente usati per decorare le case nel giorno della vigilia) oltre che alle liturgie natalizie previste stasera in chiese e monasteri”.

ANSA

La maledizione kosovara del numero 3. I tre Kosovo, tanto per cominciare. Il Kosovo indipendente e albanese di Pristina, secondo, il Kosovo internazionale delle ricche missioni civili e delle munite caserme Nato e, terzo, il Kosovo delle enclavi e di Mitrovica nord che sognano il loro futuro in serbo. Per i tre Kosovo, ovviamente, tre diversi passaporti. Quello vecchio, jugoslavo, al momento considerato il migliore per viaggiare, quello dell’altro ieri con la sigla “U.N.M.I.K.” che vale quanto una banconota fuori corso; tre, il nuovo e fiammante passaporto della “Repubblica del Kosovo” con cui, senza visto, puoi andare al massimo sino a Skopje o a Tirana.

Il vero guaio arriva con i tre diversi codici penali in concorrenza tra loro e tutti applicati da qualcuna delle tre diverse magistrature. Il vecchio codice jugoslavo contro chi delinque a Mitrovica nord, quello nuovo e fiammante della Repubblica del Kosovo per i sospetti criminali oltre il fiume Ibar e quello Onu per i pochi che si sono fatti beccare dalla polizia in questi anni di colonia internazionale. Solo le galere sono unificate, ma con detenuti e secondini divisi accortamente per etnia.

Ora è cambiato tutto, ci dicono. Dal 9 dicembre, ad Unmik (Onu) è subentrata Eulex (Unione europea) ed il Kosovo fiorirà presto come un giardino a primavera. Se vai a grattare sotto la vernice delle ipocrisie internazionali, trovi sempre l’ormai maledetto 3 kosovaro. Il progetto pubblicizzato “urbi et orbi” ci prometteva, come premessa, una nuova risoluzione Onu a superare la vecchia 1244 della guerra, quella che insiste a raccontarci che il Kosovo è parte della Serbia. Al vertice politico del Kosovo immaginato da Stati Uniti ed Unione europea, una sorta di “superman” istituzionale chiamato “International Civilian Office”, “Ai Si O”, letto all’americana, col ruolo di garante per guidare l’azione della comunità internazionale in Kosovo da qui all’eternità. Meno Consiglio di Sicurezza Onu e quindi meno Russia era la furbata pensata a Bruxelles.

Numero due, l’ormai “schierata” ma poco operativa Eulex, con i muscoli intorpiditi di 2000 magistrati, sbirri in divise e specializzazioni varie, doganieri e spie europei ed americani, ed un forziere di 220 milioni di euro solo per cominciare. Il braccio operativo di ICO, era l’idea. Tre, l’eterna garanzia di Kfor, i 16 mila militari della Nato e dintorni che, avendo visto giusto, in Kosovo si sono acquartierati in confortevoli villaggi in grado di durare diversi decenni.

La frittata che tutte le diplomazie fanno finta sia diventata un sofisticato “soufflè”, comincia dalla premessa. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non partorisce nessuna nuova risoluzione. La Russia e la Cina non digeriscono l’unilateralismo Usa di Bush sul Kosovo e nel mondo e, non soltanto bloccano tutto, ma insistono a ribadire il vincolo alla vecchia risoluzione 1244. Tutti sanno di partecipare ad una recita, ma tutti sono costretti in commedia.

La risoluzione Onu che ha messo il cappello ai bombardamenti Nato del 1999, a Jugoslavia già spianata, nasce come pezza ad un buco e come tale continua a stonare. La premessa imposta allora dai russi ci dice del Kosovo come “territorio della Repubblica serba”. “Semplice premessa”, arriva a dire Marty Ahtisaari che prima convince Milosevic ad arrendersi per mantenere la sovranità sul Kosovo e poi paga la cambiale firmata dagli americani agli albanesi. Il finlandese ci guadagna un discutibile Nobel per la pace, l’Unione europea un arzigogolo giuridico su cui far esercitare contorte intelligenze. Gli Stati Uniti, seguiti da 20 paesi dell’Unione, tra cui l’Italia, decisi a riconoscere il Kosovo indipendente a qualsiasi costo, arrivano a sostenere che la loro decisione è coerente con la 1244.
L’interpretazione del settimo comandamento da parte di Ali Babà e i suoi 40 soci.

Più sorprendente ancora la storia dell’International Civilian Office. L’”AiCiO” trova posto persino nella costituzione del nuovo Kosovo indipendente e vincola il nuovo Stato alla tutela di questa specie di “Papa internazionale” di vaticana memoria. Non a caso, in questa trovata risulta ci sia lo zampino di un fine giurista italiano. Scrivono di uno Stato a sovranità controllata in cambio della promessa di una marea di riconoscimenti internazionali subito e della sua integrità territoriale garantita, territori a maggioranza di popolazione serba compresi.

Più o meno come Totò quando cercava di vendere la Fontana di Trevi. Riconoscimenti fermi a 53 e integrità territoriale sempre irrealizzata. Anche l’ICO finisce male. Entrata in Conclave come futuro Papa, ne esce che non è manco prete. Nessuna nuova risoluzione e nessun nuovo garante internazionale per il Kosovo. Resta l’Onu e basta. ICO nel frattempo, dopo impegnativa lottizzazione internazionale, aveva assegnato all’Olanda il suo comando e spartito tra il resto del mondo i suoi ricchi incarichi di missione estera.

L’ICO nasce lo stesso per volontà degli Stati Uniti, della Commissione europea, e di alcuni dei paesi che hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Una sorta di libera associazione di tifosi simile ad una costosa Organizzazione umanitaria. Dai 20 ai 25 milioni di euro soltanto per partire, metà a carico della Commissione europea, il 25 per cento degli Stati Uniti ed il resto ai non europei. Al comando c’è l’olandese Peter Feith e, al momento, 380 suoi “inviati” sul campo. Manca soltanto di capire a cosa servono.

“Eulex”, pensata come braccio operativo dell’ICO per garantire i settori strategici di polizia, giustizia e dogane, finisce per diventare una semplice sub appaltatrice del potere Onu da spartire a gomitate con Unmik. Una curiosità rilevata da pochi. Il “dispiegamento di Eulex” è deliberato dall’Unione europea soltanto due o tre giorni prima della proclamazione unilaterale d’indipendenza del 17 febbraio 2008.

Si scrive genericamente di Kosovo e gli Stati contrari (Spagna, Romania, Cipro, Slovacchia, ecc.), che avrebbero dovuto votare contro ad indipendenza dichiarata, accettano di astenersi. Il giuoco delle parti per evitare di affondare Eulex prima ancora di farla nascere. Diplomazia da prestigiatori. Pezza dopo pezza, la comunità internazionale sembra intanto aver perso di vista il buco.

A cominciare dalla Serbia che cambia rapidamente. Una Belgrado diplomaticamente più duttile e dichiaratamente europeista incassa due punti decisivi: la formale dichiarazione di neutralità di Eulex imposta dal Segretario Generale delle Nazioni Unite rispetto allo “Status” finale del Kosovo e l’approvazione, da parte dell’Assemblea generale Onu, del suo ricorso alla Corte internazionale di giustizia sulla legittimità della dichiarazione d’indipendenza kosovara.

Il segretario Onu Ban Ki Moon è costretto a cambiare le carte in tavola. Visto che non c’è speranza di arrivare ad una nuova risoluzione sul Kosovo, manda il suo nuovo “Alto rappresentante”, l’italiano Lamberto Zannier, a fare da arbitro nella partita che s’è riaperta. Un Kosovo albanese decisamente arrabbiato, un Kosovo serbo che crea più imbarazzi internazionali quando fa il buono, un mare di ambizioni tra organizzazioni internazionali concepite in un modo e nate tutte con le gambe storte. A questo punto torniamo alla maledizione kosovara del numero 3 e multipli. Sei i punti “pragmatici” di intervento internazionale inventati da Zannier e firmati da Ban Ki Moon nel nome della “Dodici quarantaquattro”. Per Eulex soltanto il 3 di polizia, giustizia e dogane.

Per la polizia c’è un capo scelto ovviamente dal governo kosovaro in carica, ma al numero due c’è un vice che deve essere serbo. In caso di controversia il vice può scavalcare il capo appellandosi al terzo capo della polizia, creato con un colpo di bacchetta magica: il “Senior Police Chief”, un internazionale di nomina Onu che può fischiare fallo o assegnare il goal al capo albanese o a quello serbo.

Dalla trinità degli sbirri a quella dei magistrati. Dei tre diversi codici penali contemporaneamente in vigore abbiamo detto. A Mitrovica i magistrati in carica hanno giurato fedeltà alle leggi jugoslave, a Pristina sulla neonata Costituzione kosovara e, gli internazionali, quando finiranno di litigare tra toghe Unmik ed Eulex, dovranno spiegare quali codici intendono applicare. Nel frattempo, finita la corsa all’auto legittimazione di Eulex che ha messo la sua bandierina a Mitrovica, il pasticcio resta senza soluzione. Neppure da immaginare un giudice albanese a Mitrovica o un giudice serbo a Pristina. Altrettanto fantasiosa l’ipotesi di una richiesta di arresti fatta dalla magistratura di una parte nei confronti di presunti colpevoli dell’altra parte. La partizione dei criminali che coincide con quella del territorio.

Il solo Kosovo territorialmente unitario sia per Pristina che per Belgrado è quello doganale. Peccato che al momento, quell’area abbia due buchi: i confini fatti saltare per aria sopra Mitrovica e verso il Sangiaccato. “Gate 1 e 31” , li chiama la Nato. La pacchia del contrabbando transnazionale dove ad incassare c’è la sola realtà interetnica esistente oggi in Kosovo, quella criminale, e a perderci sono tutti e due gli Stati litiganti.

Due milioni di euro di danno erariale la settimana, calcolano a Pristina, con una serie di trucchi e una rete di complicità da fare invidia alle più famose mafie nostrane. Un esempio. Benzina raffinata in Serbia e destinata, nominalmente al Kosovo. Paga dogana ma non le iperboliche “accise” sui carburanti. Viaggiano i documenti, ma la benzina resta in Serbia dove è venduta a guadagno moltiplicato per 1000. In Kosovo restano i rivoli di soldi della corruzione capillare che garantisce occhi distratti e un timbro facile. Dogane senza frontiere, potremmo dire oggi. Accordi serbo-albanese su questi punto, possibili. L’opinione popolare, da ambedue i lati del confine gruviera è ovviamente contraria.

Fotografia finale. Il Kosovo albanese chiede alla Nato e ad Eulex di garantirgli l’unità territoriale. I militari Nato rispondono che il loro mandato è soltanto quello di garantire la sicurezza e non di decidere chi governa. Eulex, che forse vorrebbe poterlo fare, non ne ha il mandato e non ne ha la forza. Resta la realtà del Kosovo diviso e incasinato che ci trasciniamo da quasi 10 anni, nell’attesa del giudizio della Corte internazionale.

Previsioni sulla sentenza. La Suprema corte dell’Aja dichiara l’indipendenza unilaterale del Kosovo illegittima (la sovranità non si eredita), ma conclude che il fatto (l’indipendenza realizzata) “innova il diritto”. Pristina prima applaude e poi capisce. Il principio del “fatto compiuto”, vale anche per la Mitrovica serba ed i territori a nord del fiume Ibar. Come nel gioco dell’Oca, si torna sempre alla casella di partenza. I trucchi giuridici attorno alla 1244 per evitare di dover fare i conti politici con la partizione del Kosovo che è già nei fatti. Prendere tempo. Qualche decennio e miliardi di euro dopo, prima di arrivare a riconoscere universalmente il tragico errore del 24 marzo 1999.