martedì 3 febbraio 2009

Sri Lanka: guerra al capitolo finale

Si sta scrivendo in queste ore l'ultimo e sanguinoso capitolo di una guerra iniziata 25 anni fa.
Infatti sembra sia cominciato oggi l'assalto finale dell'esercito regolare dello Sri Lanka contro un ultimo squadrone delle Tigri Tamil nel nord dell'isola.

Secondo quanto annunciato dal ministero della Difesa, i militari si sono impadroniti del bunker del capo delle Tigri Tami Velupillai Prabhakaran, che pero' non si trovava all'interno della struttura sotterranea, situata nel dipartimento di Mullaittivu.

Forse e' veramente arrivato l'epilogo di una guerra costata finora piu' di 70.000 morti.

Sri Lanka, la guerra dimenticata

di Paolo Salom - Il Corriere della Sera - 3 febbraio 2009

Il tempo è finito. I giorni delle Tigri Tamil, a meno di un miracolo, si contano sulle dita di una mano. Titoli di coda sulla guerra dimenticata, la più lunga e sanguinosa dell'Asia meridionale? L'offensiva finale contro l'ultima sacca di resistenza dei ribelli indipendentisti è questione di ore: l'esercito attende solo il via libera, mentre il governo di Colombo ribadisce il suo «no» a qualunque compromesso. «Siamo determinati a non concedere alcun cessate il fuoco e soprattutto siamo decisi a sradicare il terrorismo dallo Sri Lanka», ha dichiarato nei giorni scorsi Mahinda Samarasinghe, ministro per i Diritti umani e i Disastri naturali.

L'«isola splendente», questo il significato della parola sanscrita lanka, paradiso ormai perduto dei vacanzieri, è ancora una volta devastata da una violenza senza freni che si abbatte soprattutto sui non combattenti. Secondo i dati della Croce Rossa Internazionale, sarebbero 250 mila i civili intrappolati nell'ultimo lembo di territorio controllato dalle Tigri, 300 chilometri quadrati di giungla e miseri villaggi nel Nordest del Paese. Il ministro Samarasinghe contesta i dati della Cri e parla di 120 mila civili: «Continueremo a liberare le aree ancora occupate e poi i residenti potranno andare dove vogliono», assicura, sottolineando come «noi non prendiamo di mira i civili né lo faremo in futuro».

In realtà, quest'ultimo, sanguinoso capitolo di un conflitto che — tra alti e bassi — va avanti da 25 anni, mostra una situazione ben differente, sul campo. L'avanzata delle truppe speciali, le granate dell'artiglieria e le bombe dei jet militari non hanno risparmiato neppure gli ospedali. Non è soltanto la Croce Rossa a parlare di «massacri». Anche le Nazioni Unite hanno denunciato numerose violazioni dei diritti umani: sarebbero almeno trecento i non combattenti (compresi donne e bambini) uccisi negli scontri di quest'ultima settimana, molti dei quali deceduti in maniera orribile, dissanguati per la strada perché la zona di guerra è totalmente sigillata (off limits per le ambulanze come per i reporter), mentre Ong e agenzie internazionali sono state espulse senza tanti complimenti.

Già: il governo del presidente singalese Mahinda Rajapakse non tollera «ingerenze». Da falco, il capo dello Stato ha voluto chiudere i conti una volta per tutte con le Tigri per la liberazione del Tamil Eelam (Ltte) — come si chiama ufficialmente il gruppo, iscritto nell'elenco delle organizzazioni terroristiche di Stati Uniti ed Europa — e per questo non si è preoccupato nemmeno di minacciare gli ambasciatori di Svizzera e Germania, accusandoli di essere «troppo condiscendenti » e di «agire in maniera irresponsabile » per i loro tentativi di convincere le istituzioni internazionali a sponsorizzare una tregua umanitaria. Il ministro della Difesa, Gotabaya Rajapakse, fratello del presidente, ha messo in guardia diplomatici, giornalisti stranieri e organizzazioni non governative, affermando che «saranno tutti espulsi se tentano di dare una seconda opportunità ai terroristi delle Ltte, proprio mentre le forze di sicurezza stanno infliggendo loro il colpo mortale».

Era un anno che i capi militari e politici singalesi attendevano questo momento. Esattamente dal 2 gennaio 2008, quando il governo aveva denunciato unilateralmente la tregua concordata alla fine del 2001 che, molto faticosamente, aveva retto nonostante le frequenti violazioni da parte delle Tigri e le immediate rappresaglie dell'esercito regolare.

Da allora è stato un crescendo. Avanzando su tre fronti lungo l'A9, la statale che corre da sud a nord lungo la dorsale centrale dello Sri Lanka, l'esercito ha prima riconquistato l'est dell'isola che un tempo, sotto la dominazione inglese, si chiamava Ceylon ed esportava tè in tutto il mondo. Poi è toccato al nord: Kilinochchi, Mullaitivu, Malavi, Elephant Pass: a una a una sono cadute tutte le roccaforti controllate dalle Tigri Tamil, vero Stato nello Stato con tanto di esazione di tasse e controllo del territorio da parte di una polizia «autonoma».

Nel corso della campagna di guerra, l'esercito ha condotto operazioni di contro-guerriglia utilizzando le stesse tattiche del nemico. Ma i metodi spietati utilizzati dalle truppe speciali, i bombardamenti indiscriminati, il sacrificio di tante vite innocenti hanno avuto anche un contraccolpo tra la maggioranza della popolazione, singalesi di fede buddhista (i tamil sono induisti).

Quattordici giornalisti sono stati uccisi da killer che in nessun caso sono stati identificati e portati in giudizio. L'ultimo episodio, il più eclatante, è quello di Lasantha Wikramatunga, il direttore del settimanale Sunday Leader, uno dei più influenti periodici in lingua inglese della capitale Colombo: freddato con due colpi alla testa mentre andava a lavorare, all'inizio di gennaio. La sua colpa? Quella di aver criticato la politica del governo e, soprattutto, quella di non aver nascosto al presidente Rajapakse, suo intimo amico, che la «guerra, così condotta, sarà anche vinta. Ma lascerà un retaggio di odio e ingiustizia che sarà difficile guarire». Il giornalista, in un editoriale intitolato «E poi sono venuti per me», poco prima di morire scrive: «Quando alla fine sarò ucciso, sarò assassinato dal governo».

Una deriva, questa, inedita per lo Sri Lanka, isola-Stato uscita dal colonialismo britannico nel 1948 senza sparare un colpo di fucile ma già con i semi della futura instabilità etnica. I tamil (18 per cento della popolazione), percependo una crescente discriminazione, hanno cominciato da subito a spingere verso l'autonomia delle province nordorientali da loro abitate. Per i singalesi, si trattava di una «giusta conseguenza» rispetto al periodo coloniale, quando i britannici, a loro dire, avevano favorito i tamil, incentivando persino l'immigrazione dalla vicina India. Lo stallo nella soluzione delle controversie e le ingiustizie, vere o percepite, patite dalla minoranza, hanno spinto i tamil a insorgere con le armi.

Le Tigri sono nate nel 1972 per volere di un capo guerrigliero che sarebbe diventato leggendario per la sua ferocia: Velupillai Prabhakaran. Il suo gruppo rivendica sin dall'inizio attentati e attacchi, alcuni dei quali indiscriminati, suscitando forte emozione in tutto il mondo. La guerra civile vera e propria scoppia però nel 1983, quando le Tigri riescono di fatto a impadronirsi di gran parte delle province del Nordest, a partire da quella di Jaffna. La loro azione porterà Colombo a chiedere aiuto al gigante vicino, l'India, che tra il 1987 e il 1990 sarà presente sull'isola con un corpo di spedizione di centomila uomini.

Decisione, tra l'altro, che avrà come conseguenza l'assassinio di Rajiv Gandhi da parte di una kamikaze che si farà esplodere nel 1991, durante un suo comizio nello Stato indiano del Tamil-Nadu. La storia degli anni seguenti è una sequela di agguati, spedizioni punitive, attentati e azioni suicide che hanno provocato, nel complesso, la morte di 70 mila persone. Cui bisogna aggiungere i 30 mila uccisi per lo tsunami del 26 dicembre 2004: tragedia nella tragedia. La guerra, ora, sembrerebbe vicina al suo epilogo. Ma non la stagione dell'odio.


Sri Lanka, bombe sull'ospedale tamil

di Enrico Piovesana - Peacereporter - 2 Febbraio 2009

Ieri sera tre colpi d'artiglieria sono caduti sull'ospedale di Puthukkudiriruppu, l'ultima struttura sanitaria funzionante nel territorio delle Tigri tamil, dove sono ricoverati in condizioni estreme oltre cinquecento civili feriti nei bombardamenti governativi degli ultimi giorni. Il bilancio provvisorio delle vittime, fornito dal portavoce delle Nazioni Unite in Sri Lanka, Gordon Weiss, è di almeno 13 morti e decine di feriti. "Questa - ha detto Weiss - è una grave violazione delle leggi umanitarie internazionali".

Opera dell'artiglieria governativa. Sophie Romanens, portavoce della Croce Rossa Internazionale (Icrc), riferisce da Colombo che le bombe hanno centrato la corsia delle donne e dei bambini, la cappella e la cucina dell'ospedale.
"Siamo scioccati", ha commentato Paul Castella, direttore dell'Icrc in Sri Lanka.
Secondo il dottor Thurairajah Varatharajah, responsabile sanitario governativo del distretto di Mullaitivu, il bombardamento è opera dell'esercito. Ma i comandi militari di Colombo negano, e puntano il dito contro l'artiglieria dei ribelli tamil. "L'Ltte sta disperatamente sparando alla cieca", ha detto il brigadier Udaya Nanayakkara, portavoce delle forze armate governative.
Morven Murchison-Lochrie, coordinatrice medica dell'Icrc presso l'ospedale bombardato, è riuscita a parlare con l'agenzia stampa France Press: "Il personale è sotto forte stress, circondato dal rumore continuo dei combattimenti e dall'incessante afflusso di nuovi pazienti che arrivano qui a bordo di ambulanze ma anche di auto private, trattori, carri e perfino motorini".

Il governo: "Fuori chi ci critica". Secondo il sito Internet filo-ribelle TamilNet, altri trenta civili erano già morti sotto i bombardamenti governativi sulla 'zona di sicurezza', ripresi sabato sera dopo lo scadere dell'ultimatum lanciato giovedì dal presidente nazionalista Mahinda Rakapaksa, che dava all'Ltte 48 ore per far uscire tutti i civili dalla zona di conflitto.
L'Onu e la Croce Rossa chiedono da giorni a entrambe le parti, governo e ribelli, di tutelare la sicurezza dei 250 mila civili intrappolati nella zona dei combattimenti.
Ma il governo del presidente nazionalista Mahinda Rakapaksa, secondo cui i civili non superano i 120 mila, ha respinto con durezza di essere messo sullo stesso piano dei ribelli, accusando l'Ltte di trattenere i civili come 'scudi umani' e minacciando l'espulsione immediata di tutti i diplomatici, gli operatori umanitari e giornalisti stranieri che esprimono "pregiudizi favorevoli ai ribelli". Nella lista nera sono già finite Bbc, Cnn, Al-Jazeera e perfino l'ambasciatore tedesco a Colombo, Jurgen Weerth.


Sri Lanka, guerra di propaganda

di Enrico Piovesana - Peacereporter - 30 Gennaio 2009

In Sri Lanka è ormai guerra di propaganda, oltre che di bombe, tra esercito singalese e ribelli tamil.

L'ultimatum di Rajapakse. Il presidente nazionalista Mahinda Rajapakse, accusando le Tigri tamil di tenere in ostaggio la popolazione civile usandola come 'scudo umano' e di sparare con l'artiglieria pesante dall'interno della 'zona di sicurezza' ha ordinato ai ribelli dell'Ltte di lasciar uscire dal loro territorio tutti i civili entro sabato sera, garantendo che verranno portati in un "ambiente sicuro".
Il governo di Colombo sostiene che l'Ltte ha finora impedito la fuga dei civili, uccidendo e torturando chi ci ha provato. Secondo il sito del ministero della Difesa, il 20 gennaio i guerriglieri dell'Ltte avrebbero sparato su una folla di 75 mila civili che si erano messi in marcia per uscire dal territorio controllato delle Tigri. Dieci persone sarebbero rimaste uccise, altre sarebbero state torturate dai ribelli ed esposte in pubblico come monito.

La paura dei 'welfare center'. Menzogne e propaganda secondo le Tigri tamil, che negano fermamente di impedire ai civili di fuggire, sostenendo che sono gli stessi civili a non volersene andare per timore di finire nei 'welfare center' governativi: centri di raccolta profughi circondati da filo spinato, sorvegliati da guardie armate che impediscono agli 'ospiti' di uscire. Dei Cpt, delle prigioni a cielo aperto dove avvengono interrogatori e spesso - secondo le associazioni tamil - anche gravi abusi. Per le autorità, infatti, tutti i civili che risiedevano nel territorio controllato dall'Ltte sono potenziali sostenitori delle Tigri, e come tale vengono trattati.
Il fatto che la popolazione civile tamil, di fronte all'avanzata dell'esercito singalese, abbia sempre preferito fuggire all'interno delle zone ribelli, in zone di guerra, piuttosto che in territorio governativo è un dato di fatto che PeaceReporter ha potuto direttamente recentemente constatare in loco, e di cui ha avuto conferma dal personale delle Nazioni Unite che fino a poche settimane fa lavorava regolarmente all'interno del territorio dell'Ltte.

L'esercito: "Nessun civile ucciso". Oggi il portavoce dell'esercito singalese, il brigadier Udaya Nanayakkara, ha dichiarato che nessun civile tamil è stato ucciso nei bombardamenti degli ultimi giorni: "Non escludiamo però - ha concesso Nanayakkara- che qualche civile costretto a costruire fortificazioni dai ribelli possa essere rimasto ferito".
Nazioni Unite e Croce Rossa Internazionale hanno denunciato nei giorni scorsi un elevato numero ("decine", "centinaia") di civili uccisi nei bombardamenti governativi sulla 'zona di sicurezza'.
Ieri il dottor Thurairajah Varatharajah, responsabile sanitario governativo del distretto di Mullaitivu, aveva dichiarato che i civili tamil uccisi nell'ultima settimana erano tra i 250 e i 300, e i feriti 1.140.
Secondo il sito filo-ribelle TamiNet, solo nelle ultime 24 ore 44 civili sono morti e 178 sono rimati feriti sotto i bombardamenti nella 'safety zone'.


Scheda del conflitto a cura di Peacereporter

PARTI IN CONFLITTO
1983-OGGI: guerriglieri separatisti tamil delle Tigri per la Liberazione della Patria Tamil (Ltte) contro governo controllato dalla maggioranza nazioanlista singalese.

VITTIME
Il bilancio ufficiale (e non verificabile) delle vittime del conflitto fornito dal governo è di circa 85 mila morti dal 1983 ad oggi.

FORNITURE ARMAMENTI
Il governo riceve armi da Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Russia, Cina, Pakistan, India, Ucraina, Israele, Repubblica Ceca; le Tigri tamil da Cambogia, Thailandia, Singapore, ex Jugoslavia e Zimbabwe, ma usano soprattutto armi sottratte all'esercito.

SITUAZIONE ATTUALE
Il nuovo governo ultranazionalista singalese di Mahinda Rajapaksa ha deciso la ripresa delle ostilità alla fine del 2005, dando il via a una drammatica escalation costata finora più di 20 mila morti e da sempre più sanguinosi attacchi suicidi condotti delle Tigri nere in tutto il paese.
L'esercito singalese ha sferrato una serie di massicce offensive militari che hanno portano alla riconquista dei distretti nord-occidentali nel 2006 e, nel 2007, di tutta la fascia costiera orientale.
Nel 2008 è iniziata la violentissima offensiva governativa sul fronte nord, sfociata con la presa, nel gennaio 2009, di Kilinochchi, la 'capitale' dei separatisti tamil, e di Mullaitivu, principale base militare dell'Ltte.
I superstiti guerriglieri tamil si sono quindi rifugiati nella giungla (in un triangolo di 300 chilometri quadrati) del nord-est, circondati e pesantemente bombardati dall'esercito.

STORIA DEL CONFLITTO
La guerra civile in Sri Lanka, iniziata nel 1983 e costata finora circa 72 mila morti, per metà civili, affonda le sue radici in una vecchia disputa storiografica che sconfina nella mitologia.
Lo Sri Lanka, ‘terra splendente' in sanscrito, è abitato da due popoli.
La maggioranza dominante singalese, di religione buddista e origine indoeuropea, sostiene di essere l'unica e originaria popolazione di quest'isola. Secondo questa versione - comunemente ritenuta veritiera - la minoranza tamil, di religione induista e origine dravidica, migrò nel corso dei secoli dall'India meridionale stanziandosi nella parte settentrionale dell'isola.
Dal canto loro, i tamil rivendicano di essere autoctoni dello Sri Lanka fin dalla notte dei tempi, quando l'isola era collegata al sud dell'India tramite l'istmo di terra noto come il ‘Ponte di Adamo', oggi sommerso dal mare. Essi presentano il regno tamil di Jaffna, effettivamente esistito nel nord dell'isola tra l'XI e il XVI secolo d.C., come base storica delle loro rivendicazioni indipendentiste. C'è poi addirittura chi è convinto che i tamil siano non solo gli unici abitanti originari dell'isola ma anche la razza umana più antica del pianeta, in quanto discendenti della mitica civiltà scomparsa di Lemuria, Kumari Kandam nella mitologia tamil.

In realtà, al di là di queste teorie giustificative dei rispettivi nazionalismi, la vere cause del conflitto in Sri Lanka sono assai più recenti e prosaiche.
Come per quasi tutte le guerre contemporanee, anche questa è la triste eredità della dominazione coloniale. Per meglio controllare le colonie, i britannici - e non solo loro - ricorrevano all'antico principio del divide et impera sfruttando e accentuando le divisioni e i contrasti all'interno delle popolazioni assoggettate per impedire che esse si unissero contro di loro. In Sri Lanka, che a quell'epoca si chiamava Ceylon, i coloni di Sua Maestà decisero di emarginare la maggioranza singalese privilegiando la minoranza tamil. Ad essi fu data un'istruzione di matrice occidentale nelle scuole e università costruite nelle zone tamil del nord. Tutti i funzionari locali dell'amministrazione coloniale erano tamil e tutti i migliori posti di lavoro pubblici - medici, insegnanti, poliziotti, soldati - erano destinati ai tamil. Perfino il lavoro nelle piantagioni di tè degli altipiani interni venne riservato a loro: non ai locali, ma alle centinaia di migliaia di tamil che in quel periodo furono fatti appositamente venire dal sud dell'India - e che successivamente, a differenza dei tamil 'autoctoni', si integrarono con i singalesi.

Con la conquista dell'indipendenza, nel 1948, la maggioranza singalese si prese la rivincita e iniziò a estromettere i tamil da tutti i settori. L'insofferenza della minoranza tamil crebbe progressivamente con l'aumentare delle politiche discriminatorie adottate del governo di Colombo, dominato dai singalesi. Fino alla nascita, negli anni ‘70, di movimenti e partiti nazionalisti tamil che iniziarono a rivendicare l'indipendenza delle loro regioni. Dopo la sanguinosa repressione delle proteste tamil del 1977 - centinaia di manifestanti vennero uccisi dall'esercito - gli indipendentisti tamil entrarono in clandestinità e scelsero la strada della lotta armata. Questa ebbe inizio sei anni più tardi, dopo i sanguinosi pogrom anti-tamil del ‘luglio nero' del 1983. A guidarla fu fin da subito il movimento delle Tigri per la liberazione della patria tamil (Liberation Tigers of Tamil Eelam, Ltte), fondato da Velupillai Prabhakaran, ancora oggi comandante della guerriglia. L'esercito governativo rispose scatenando una guerra totale nelle regioni settentrionali e orientali dell'isola. Una guerra che da allora è continuata quasi ininterrottamente, con tentativi negoziali regolarmente naufragati e tregue mai rispettate.

Negli anni, l'Ltte - finanziato dalla diaspora tamil sparsa in tutto il mondo - ha assunto il pieno controllo delle province settentrionali e orientali dello Sri Lanka, istaurando un'amministrazione parallela con tanto di governo, parlamento, moneta, banca, poste, ospedali e scuole proprie. E ha potenziato la propria struttura militare sviluppando una propria marina da combattimento, una propria aviazione e una brigata di kamikaze, le famigerate Tigri nere.
L'ultima tregua nei combattimenti, raggiunta nel febbraio 2002, sembrava reggere nonostante le migliaia di violazioni di entrambe le parti. La tragedia dello tsunami del dicembre 2004, che unì gli uomini di fronte alla natura, pareva aver messo la parola ‘fine' alla guerra. Ma l'illusione è durata poco.