martedì 1 settembre 2009

Afghanistan: le truppe occidentali nel pantano fino al collo

Ieri in Afghanistan ci sono state altre due vittime tra le fila del contingente britannico: due militari sono stati uccisi da un'esplosione nella provincia di Helmand.
Le cose dal punto di vista militare, come è ben noto da tempo, si stanno veramente mettendo male per il contingente NATO-ISAF e il capo delle forze NATO, il generale americano Stanley McChrystal, l'ha ammesso chiaramente nel suo rapporto inviato ieri al Pentagono.

Per quanto riguarda invece l'esito delle elezioni farsa del 20 Agosto, con circa il 35% dei voti scrutinati, l’attuale presidente Hamid Karzai sarebbe in vantaggio con il 46,3% contro il 31,4% del pashtun-tagiko Abdullah Abdullah.

I risultati definitivi si dovrebbero avere entro un paio di settimane, ma se Karzai non supererà il 50% si andrà a un ballottaggio ancor più difficile da "gestire".
Abdullah continua ad accusare Karzai di massicci brogli, avvenuti secondo lui anche nella zona controllata dai soldati italiani, in particolare a Farah e nel Badghis.

Un'altra guerra civile afghana su larga scala sembra di nuovo all'orizzonte, con le truppe occidentali intrappolate a far da bersaglio tra fuochi diversi ma tutti ostili.


Afghanistan, una guerra impopolare
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 1 Settembre 2009

Il nuovo comandante delle forze d'occupazione Nato in Afghanistan, il generale Usa Stanley McChrystal, ha inviato ieri al Pentagono l'atteso rapporto sull'andamento della guerra, sollecitando un urgente cambiamento di strategia - non è ancora dato sapere quale - che prelude alla richiesta di ulteriori rinforzi: almeno altri 20 mila soldati che dovranno essere spediti al fronte dagli Stati Uniti ma anche dagli alleati, Italia compresa.

Questa domanda di rinforzi, che secondo indiscrezioni verrà formalizzata a fine settembre, si scontra con la crescente impopolarità di questa guerra, che in otto anni è costata la vita a 1.350 militari occidentali (la metà dei quali negli ultimi venti mesi) e ad almeno 40 mila afgani (di cui oltre 10 mila civili), con risultati a dir poco fallimentari: i talebani sono tornati a controllare i tre quarti del Paese, la ricostruzione si è fermata nel 2005, la popolazione continua a vivere nella povertà più estrema, la corruzione dilaga a ogni livello, i diritti civili e quelli delle donne sono calpestati ogni giorno di più, la produzione di droga ha superato ogni record storico e la democrazia ‘importata' dall'Occidente non ha minimante intaccato lo strapotere feudale dei signori della guerra e dei capi tribali.

Risultati che, agli occhi delle opinioni pubbliche occidentali, non giustificano più i costi umani ed economici di questa guerra, né tanto meno un loro incremento. Negli Stati Uniti la percentuale dei contrari alla guerra in Afghanistan ha superato, per la prima volta dal 2001, quello dei favorevoli, scesi al 47 percento secondo un sondaggio del Washington Post e della Abc News, addirittura al 41 percento secondo un altro sondaggio della Cnn. In Gran Bretagna, secondo un sondaggio commissionato dal Daily Telegraph, il 62 percento della popolazione vuole il ritiro delle truppe. Lo stesso chiedono il 56 percento degli italiani, secondo un sondaggio realizzato un mese fa dall'Istituto Ipr Marketing per conto di Repubblica.it, il quale ha rivelato che 7 italiani su 10 sono contrari all'invio di nuove truppe.

Indifferenti all'opinione della maggioranza dei loro cittadini, i governi occidentali non cambiano idea: l'occupazione dell'Afghanistan continua, costi quel che costi. Forse anche dalle nostre parti la democrazia sta perdendo colpi.


"Per vincere in Afghanistan occorre una nuova strategia"
di Federico Rampini - La Repubblica - 1 Settembre 2009

Il Rapporto della Nato, presto la richiesta di altre truppe: "La situazione è grave". Per il generale McChrystal serve una revisione dell'impegno oltre a un coordinamento degli sforzi

La guerra in Afghanistan si può vincere solo cambiando strategia, la situazione sul terreno è "grave". Parola del generale capo delle forze Nato, l'americano Stanley McChrystal, che ieri ha consegnato un rapporto molto atteso. Che non fa sconti a nessuno, e prelude a nuove richieste anche per gli alleati europei. "La guerra si può ancora vincere", è il massimo dell'ottimismo che il generale è riuscito a infilare nel rapporto. Per il resto dipinge una situazione critica, come preludio alla richiesta imminente di nuove truppe. Un serio problema per Barack Obama: l'Afghanistan è ormai diventata la "sua" guerra e non più un semplice lascito di George Bush da liquidare.

Da quando l'attuale presidente l'ha definita "un conflitto di necessità", ha fatto propria la tesi secondo cui combattere i Taliban è indispensabile per proteggere l'America da nuovi attacchi terroristici di Al Qaeda. In questo modo Obama si è esposto in prima persona, diventando il prossimo bersaglio dei movimenti pacifisti, che già annunciano mobilitazioni nelle prossime settimane.

Il generale McChrystal ha assunto il comando delle truppe americane e della Nato in Afghanistan a giugno, con l'esplicita missione di operare una svolta nel conflitto. Nel frattempo Obama aveva autorizzato l'invio di altri 21.000 soldati americani. Ma dall'arrivo di McChrystal la gravità della situazione sul terreno si è accentuata. Luglio ha segnato un record storico di vittime: 44 soldati americani uccisi, il massimo in un solo mese dall'inizio del conflitto nel novembre 2001.

L'escalation è proseguita in agosto: un nuovo record con 47 morti solo fra gli americani. In parallelo è cresciuta nei sondaggi la maggioranza degli americani contrari alla guerra. Un'analoga escalation di vittime ha colpito il contingente britannico, il secondo più numeroso, creando serie difficoltà politiche in patria anche a Gordon Brown.

"La situazione è grave ma il successo può essere alla nostra portata" si legge nel rapporto McChrystal. A quali condizioni? "Richiede una revisione strategica nell'applicazione degli obiettivi, nell'impegno e nella determinazione, e più compattezza negli sforzi". La gran parte del contenuto del rapporto è rimasta riservata, nota per adesso solo alla Casa Bianca e ai vertici del Pentagono.

Si sa però che il generale capo ha fatto proprie le raccomandazioni più volte espresse dagli alleati Nato, compresa l'Italia: in particolare l'idea che la sfida in Afghanistan non può essere vinta solo con mezzi militari, ma richiede un maggiore sforzo per innescare lo sviluppo economico, dare sicurezza alla popolazione, porre le fondamenta per uno Stato di diritto e una società civile funzionante.

Sono compiti di "nation-building" per i quali sono necessarie vocazioni e specialismi diversi da quelli delle forze armate. Usare meno forza, concentrarsi di più sullo sviluppo e il buongoverno, è uno dei pilastri del rapporto McChrystal. Che però si scontra con la dura realtà messa a nudo dalle elezioni afgane: uno spettacolo di brogli, irregolarità e corruzione. Lo scrutinio ha messo a nudo l'inadeguatezza del governo Karzai, il cui bilancio nel creare condizioni di normalità è disastroso.

Anche sul piano della sicurezza il rapporto McChrystal evidenzia carenze e ritardi del governo afgano. Tra le conclusioni del documento c'è la richiesta di un sostanziale potenziamento delle forze armate e di polizia locali. Attualmente ci sono sulla carta 134.000 poliziotti e 82.000 soldati afgani. La maggioranza sono male addestrati e poco armati. Come si è visto durante le elezioni, non hanno la capacità di assicurare condizioni minime di sicurezza contro gli attacchi dei Taliban. E spesso la principale occupazione degli uomini in divisa è l'estorsione di tangenti alla popolazione.

In questo quadro pare inevitabile che al rapporto McChrystal faccia seguito da parte del Pentagono una prossima richiesta di nuove truppe, sia americane che degli altri paesi Nato. A fine anno - includendo i 21.000 soldati Usa aggiuntivi già previsti - l'insieme delle forze alleate arriverà a quota 110.000, di cui 68.000 americani.

Dai vertici del Pentagono è filtrata in via ufficiosa la seguente stima: per avere buone chances di successo nella strategia di contro-insurrezione, cioè per poter conservare il controllo delle aree riconquistate ai Taliban, garantendo alla popolazione condizioni di sicurezza, ci vorranno 32.000 soldati in più.

Il segretario generale della Nato, Anders Rasmussen, da Bruxelles ieri non ha escluso che una quota di questo sforzo aggiuntivo debba essere fornito dagli alleati europei: sia sotto forma di militari che di finanziamenti e contributi all'addestramento. Anche se Rasmussen ha precisato che prima deve essere il governo afgano a fare la sua parte. Un auspicio che nelle condizioni attuali sembra poco più che retorico.


Una soluzione "afghana" c'è: ridare il Paese al Mullah Omar
di Massimo Fini - www.massimofini.it - 28 Agosto 2009

Le elezioni afgane, che i politici e i media occidentali avevano tanto enfatizzato, non solo sono state una farsa, com’era ovvio in un Paese occupato da 80mila soldati stranieri, dove è la stessa Commissione elettorale a manipolare i dati a seconda delle esigenze militari e politiche degli Stati Uniti, ma rischiano di trasformarsi in un boomerang. L’affluenza è stata bassissima. Meno del 50%, ammettono gli stessi osservatori internazionali, ma è un dato che va ampiamente decurtato perché, per i brogli, in moltissime sezioni, come risulta dai primi controlli, un’affluenza del 10% è stata trasformata in un 50%.

Ma anche su coloro che sono andati effettivamente a votare non c’è da farsi illusioni. Una buona parte vi è stata mandata a forza dai capi clan locali per ritagliarsi una fetta di potere istituzionale negli anni che restano prima che i Talebani riprendano completamente il controllo del Paese. Un voto libero, individuale, democratico, come lo intendiamo noi, può essere solo quello andato a Ashraf Ghani, il più occidentalizzante dei candidati, non più del 2 o 3%.

Intanto i due candidati principali, il pashtun Hamid Karzai e il mezzosangue tagiko-pashtun Abdullah, si proclamano entrambi vincitori, accusandosi reciprocamente di brogli e non disposti ad accettare il successo dell’avversario. C’è il rischio di una guerra civile fra i tagiki dell’Alleanza del Nord e gli altri «signori della guerra» con cui Karzai, che non ha alcun seguito nè prestigio perché negli anni in cui i suoi connazionali si battevano contro i sovietici lui faceva affari con gli americani (e infatti nelle elezioni del 2004 fu imposto dagli Usa), si è alleato.

Una guerra civile in Afghanistan c’è già stata. Fra i «signori della guerra» per prendere il potere dopo la vittoria sui russi nel 1990. E durante quella guerra i leggendari comandanti mujaeddin, gli Ismail Khan, gli Heckmatjar, i Dostum, i Massud, e i loro sottoposti si trasformarono, in bande di taglieggiatori, di assassini, di stupratori che agivano nel più pieno arbitrio.

La crescita del movimento talebano fu dovuta a questo. I Talebani, appoggiati dalla popolazione che non ne poteva più di quei soprusi, combatterono e sconfissero i «signori della guerra» e li cacciarono dal Paese riportandovi la legge e l’ordine, sia pur il loro ordine e la loro legge, la shariah.

Nell’Afghanistan del Mullah Omar c’era sicurezza. Come mi ha raccontato Gino Strada, che vi ha vissuto, in quell’Afghanistan si poteva viaggiare tranquilli anche di notte. In quell’Afghanistan non c’era disoccupazione perché il Mullah, sia pur con qualche moderata, e mirata, concessione all’industrializzazione, aveva mantenuto l’economia di sussistenza. Non c’era corruzione per il semplice motivo che i Talebani facevano impiccare i corrotti.

E dal 2000 non c’era neppure più traffico d’oppio perché il Mullah Omar aveva troncato la coltivazione del papavero. Sono esattamente gli obbiettivi che gli occidentali si sono proposti in Afghanistan senza centrarne uno. Ma quegli obbiettivi erano già stati raggiunti, dal mullah Omar, e sono stati distrutti proprio dagli occidentali che, per motivi puramente ideologici, per affermare la propria visione del mondo, hanno voluto la cacciata dei Talebani rompendo quell'equilibrio che l'Afghanistan aveva così faticosamente raggiunto.

Adesso che gli occidentali stanno perdendo la guerra («la situazione è grave e sta peggiorando» ha affermato Mike Mullen, capo di Stato maggiore Usa) farfugliano di una «soluzione politica». C’è una sola «soluzione politica» seria: chiedere scusa al Mullah Omar e agli afgani e sbaraccare, sperando che quell’uomo col suo prestigio, conquistato combattendo, giovanissimo, i sovietici, poi i «signori della guerra» e ora gli occidentali, con la sua indiscussa autorità morale, (all’apice del potere viveva con le quattro mogli e i figli in sette stanze) possa riportare l’ordine e la pace in Afghanistan.

Se invece, cacciati gli invasori, questo non dovesse avvenire e i Talebani dovessero di nuovo battersi con i «signori della guerra», nel frattempo rafforzati dalle armi americane, vorrebbe dire che, oltre ad aver maciullato centinaia di migliaia di afgani, avremmo fatto perdere a quel Paese vent’anni riprecipitandolo nella situazione del 1990.


Afghanistan. Nessuna democrazia è decollata
di Franco Cardini - www.francocardini.net - 26 Agosto 2009

A proposito delle elezioni presidenziali e regionali tenutesi in Afghanistan il 20 agosto scorso, nonostante le incertezze relative ai risultati definitivi, alla correttezza delle procedure e allo stesso esito sostanziale (Hamid Karzai parrebbe essere confermato presidente senza bisogno di ballottaggio, ma il suo rivale Abdullah Abdullah rivendica a sua volta la vittoria e denunzia brogli e violenze), il parere quasi unanime dei media occidentali è che si sia trattato di una sostanziale vittoria della sia pur giovane, incerta e imperfetta democrazia sulle intimidazioni e sul boicottaggio terroristico dei talibani.

Quanto alla scarsa affluenza alle urne, che non ha raggiunto il 50% rispetto al 75% delle precedenti elezioni (quelle che nel 2004 sancirono la vittoria di Karzai), si fa notare come si tratti di un trend coerente con tutte le democrazie del mondo, comprese le piu avanzate. Un parere ottimistico e consolante.

Che tuttavia riposa, purtroppo, su un’interpretazione disinvolta e sostanzialmente falsa del complesso scenario afghano. La verità è diversa.

Premesso che il 70% circa degli oltre 32 milioni di afghani – etnicamente pashtun al 40%, tagiki al 25%, uzbeki al 9%, a parte le etnie minori come i hazari al centro - non ha diritto al voto in quanto minore di 18 anni e che il voto femminile è stato irrisorio (ignoranza? disinteresse? costrizione religiosa e familiare?), bisogna tener conto del fatto che, se è vero che molti non sono andati a votare in quanto intimiditi dalle minacce dei talibani, è non meno vero il contrario: anche i partigiani di Karzai e in particolar modo i suoi recenti e ingombranti alleati, i “Signori delle Guerra”, hanno esercitato pressioni non proprio gentili per indurre la gente a recarsi alle urne.

Il risultato di tutto ciò era prevedibile: si è votato poco dappertutto, ma tuttavia un po’ di piu a Kabul e nel centro, aree controllate dai governativi e dalle forze militari d’occupazione; quasi per nulla nel sud-est, area egemonizzata dai talibani. Gli afghani sono stati stretti fra due opposte forme di minaccia: il che significa non certo che molti non siano andati volentieri a votare, ma solo che la massiccia diserzione del voto non si può interpretare solo come frutto della paura, bensì anche come esito della sfiducia e in molti casi come espressione di protesta.

Del resto, basta un po’ di buon senso. Come si puo votare tranquilli in un paese minacciato dalla fame (il 40% degli afghani vive al di sotto della “soglia di povertà”), controllato da uno-due uomini in armi ogni cento abitanti circa: bisogna difatti tener conto non solo dell’esercito e della polizia afghani (200.000 uomini in tutto), ma anche delle forze d’occupazione: 36.000 soldati americani (un numero destinato nei prossimi mesi ad aumentare fino a quasi 70.000 unità) e 64.000 della NATO.

La guerra civile – attraverso varie fasi – dura da trent’anni, cioè dal 1979. Il paese è soggetto dalla fine del 2001 alla nuova occupazione statunitense (dopo quella sovietica, dalla quale si era liberato) che tuttavia non è riuscita in otto anni a raggiungere il suo conclamato scopo, l’eliminazione del movimento talibano ch’è più forte di prima; diviso in etnìe ormai reciprocamente ostili, un dato cui si è di recente aggiunte le rivendicazioni della minoranza sciita hazara; tormentato non solo dal terrorismo talibano, ma anche dalle violenze dei partigiani dei “Signori della Guerra” (e dell’oppio: Hillary Clinton ha di recente definito l’Afghanistan un “Narco-stato”).

A sostenere Karzai, e ad aiutarlo a “vincere” le elezioni, sono oggi personaggi come il tagiko Mohamad Qasim Fahim, già scomodo collaboratore di Massud; l’uzbeko Abdul Rashid Dostum, ex collaborazionista dei sovietici e voltagabbana, che Amnesty International accusa d’innumerevoli crimini; l’orribile Abdul Rasul Sayyaf, pashtun, responsabile di migliaia di sevizie ai danni delle donne hazare. Come si può credere, con un panorama del genere, a una competizione elettorale serena e attendibile? E sarebbero questi i paladini della democrazia e dei “diritti umani”, gli alleati dell’Occidente?

I risultati elettorali definitivi saranno emanati, secondo fonti governative, entro i primi di settembre. Siate certi che non sarà così. Il principale avversario di Karzai, il suo ex collaboratore Abdullah Abdullah, pur rivendicando la vittoria denunzia violenze e brogli diffusi. Dietro il duello Karzai-Abdullah, del ersto, s’intravedeva quello etnico dei pashtun contro i tagiki.

Intanto, nell’incerta e ambigua politica di Karzai (che da un lato si appoggio alle forze d’occupazione ma dall’altro cerca degli alleati nei feroci “Signori della Guerra” e da un altro ancora allaccia rapporti diplomatici nuovi con l’India – l’avversaria storica degli scomodi vicini pakistani – utilizzando addirittura la mediazione iraniana ovviamente disapprovata dagli americani e consentendo per questo alla minoranza sciita di adottare leggi specifiche in contrasto con quello che in teoria sarebbe il suo indirizzo di governo), un tratto solo risulta incontestabile: la corruzione spaventosa della sua equipe, a comiciare da suo fratello Ahmad Wali, governatore di Kandahar e notorio gestore del traffico di droga.

Un bilancio, insomma, fallimentare. Altro che “consolidamento d’una giovane democrazia”… Certo, a continuar a fare i loro interessi sono le multinazionali (la californiana Unocal in testa) interessate a gestire il passaggio degli oleodotti centroasiatici dal territorio afghano: ma nessuno dei problemi di un paese durissimamente provato da un trentennio di violenze è stato risolto.

Karzai può anche accedere, sulla base di un risultato elettorale incerto che verrà in qualche modo legittimato mediante la forza o gli ambigui accordi tra bande, al suo secondo mandato presidenziale: ma è comunque un isolato, privo di base personale di potere e ostaggio quindi delle forze straniere d’occupazione, senza le quali sarebbe spazzato via in pochi giorni. Egli sa perfettamente tutto ciò, e per questo si sta cercando nuovi appoggi: ma l’averli individuati nei “Signori della Guerra”, mentre al tempo stesso egli cerca una pacificazione con i talibani, rischia di peggiorare la situazione interna anziche indirizzarla verso una qualche normalizzazione.

La guerra civile etnoreligiosa continua: non c’è soltanto il terrorismo talibano. L’immagine che si è cercato di legittimare a livello internazionale, quella di un paese diviso tra una maggioranza che vorrebbe accedere alla democrazia e una sediziosa e fanatica minoranza terroristica che glielo impedirebbe, è profondamente falsa. Intanto, ai bordi dello scenario afghano, si affacciano le diplomazie russa e cinese.

Il nuovo Great Game e in pieno svolgimento, esattamente nella stessa area di quello ottocentesco: per quanto in parte diverse siano le caratteristiche geopolitiche e sociostoriche. Per la Cina, in particolare, si tratta del controllo dei centri di propoganda islamica dell’Asia profonda e dell’approvvigionamento di materie prime (il business preme: i chadari, cioe i burka piu a buon mercato, oggi, sono made in China). E a ovest dell’Afghanistan preme l’Iran, interessato a garantire i diritti dell’etnia hazara, sciita, che si addensa nel centro del paese, cioè nella regione di Bamiyan.

Il presidente Barack Obama continua a proclamare che l’impegno militare in Afghanistan e irrinunziabile per il suo paese: una “guerra necessaria”. E’ ovvio: una volta ribadita la volonta di disimpegno dall’Iraq, Obama non può certo caricar sulle sue spalle la responsabilita della sconfitta su tutta la linea della politica mediorientale statunitense di quasi un decennio. Ma una delle molte cose che i media occidentali non hanno detto, e che un punto esplicitamente comune nel programma di tutti i candidati alla presidenza afghana era l’immediata liberazione del paese dalla presenza militare straniera.

Oggi l’Afghanistan dà l’impressione di non poter riuscire a viver di nuovo ne sotto il controllo degli occupanti, ne senza di esso. Un libero accordo tra le parti in conflitto, fondato sull’obiettiva impossibilita di andar avanti così, sarebbe l’unica via d’uscita; e garante dovrebbe essere l’organizzazione delle Nazioni Unite, non certo ne gli USA ne la NATO, responsabili dell’aggressione e dell’occupazione dal 2001 in poi e come tali detestate quasi unanimemente (oggi perfino da chi deve loro il potere). Questi i tratti di un puzzle che, per il momento, appare irrisolvibile.