giovedì 18 dicembre 2008

Crisi economica globale: un 2009 da favola...

Ieri il Centro studi di Confindustria ha stimato in circa 600.000 i posti di lavoro che saranno perduti nei prossimi 6 mesi.

Oggi invece l'Istat ha comunicato che
nel terzo trimestre dell'anno il numero delle persone in cerca di occupazione ha registrato il terzo aumento tendenziale consecutivo, portandosi a 1.527.000 unità (+127.000 unità, pari al +9% rispetto al terzo trimestre 2007).
E ha aggiunto che il tasso di disoccupazione è aumentato di mezzo punto percentuale rispetto a un anno prima, posizionandosi al 6,1%.

Negli USA da ieri il costo del denaro e' sceso virtualmente allo zero. Con una mossa senza precedenti la Fed ha infatti fissato per il tasso di riferimento una forchetta compresa fra lo 0 e lo 0,25%. La decisione storica, che porta i tassi americani al livello piu' basso del mondo, sembrerebbe richiedere ora una risposta quasi obbligata da parte della Banca Centrale Europea, che si pronuncera' all'inizio di gennaio.
Naturalmente l'annuncio della Fed ha subito rafforzato l'euro, con il dollaro che scivola ai minimi degli ultimi due mesi.

Insomma dopo tutte queste "buone" notizie, si prevede un 2009 di rose e fiori...Berlusconi ne e' fermamente convinto.


La grande redistribuzione a tasso zero, come preparare la catastrofe
di Enrico Guado - Megachip - 17 Dicembre 2008

Con l’ultima mossa di Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve, la banca centrale degli Usa, è stato spedito un messaggio incontrovertibile a tutto il mondo: tagliare il costo del denaro fino a eliminare, o quasi, il tasso di interesse significa mettersi con le spalle al muro.

I banchieri centrali statunitensi hanno fatto tutto ciò che era possibile. Ora tocca ai governi e ai Parlamenti.
Se si sveneranno per salvare le banche e le industrie, la crisi avrà un impatto duro, ma probabilmente non catastrofico. Se invece resisteranno, gli effetti potrebbero essere incalcolabili.
Segnali analoghi sono giunti dal Financial Stability Forum, dove Mario Draghi ha detto che per attutire la crisi occorre fare di più.

Se si guarda a questi eventi con un minimo di freddezza si possono indicare quali sono i fatti e quali potranno essere le conseguenze.

1. Il dividendo trimestrale è stato negli ultimi lustri la variabile indipendente sulla quale si è basata tutta l’economia.

2. Ciò ha prodotto due effetti: una fortissima redistribuzione del reddito a favore dei ceti che hanno potuto gestire l’attività finanziaria e decidere i propri prezzi (manager, banchieri, operatori di mercato, consulenti, azionisti consapevoli, ma anche detentori di posizioni di forza nei servizi ) e a sfavore dei produttori materiali dei beni; la ricerca spasmodica di forzare gli affari con ogni mezzo, dall’uso spregiudicato ( diciamo così) della leva finanziaria (per esempio, la costruzione piramidale realizzata a partire dai mutui subprime) fino alla fortissima pressione per l’induzione ai consumi.

3. Ora che la crisi ha reso visibili i meccanismi di questa lunga fase di ristrutturazione gerarchica della società (una gerarchizzazione che ha ri-portato ai ceti affluenti il potere logorato dalle conquiste dei lavoratori, dai diritti sociali, dal welfare), la risposta da dare alla crisi per evitare guai peggiori è quella che il capitalismo ha imparato dall’esperienza vissuta nelle drammatiche convulsioni del passato:

a) socializzazione delle perdite (salvataggio delle banche, nazionalizzazione totale o parziale delle industrie in difficoltà, finanziamenti a pioggia);
b) lavori pubblici;
c) nuova austerità per i ceti meno abbienti (i denari dello Stato servono per finanziare infrastrutture e salvare le imprese);
d) tendenza alla difesa di qualsiasi produzione industriale.

4. Solo che tra la crisi di oggi e quelle del passato c’è la scoperta ormai evidente della saturazione del pianeta. Gli economisti continuano a considerare la Terra come un reddito e invece è un patrimonio che stiamo nemmeno tanto lentamente consumando.

5. Risultato: viene ri-nascosto il problema della sopravvivenza della specie, pur di evitare che il meccanismo della produzione senza fine e senza limite si inceppi, pur di evitare di mettere alle strette coloro che questo disastro hanno provocato. Così, per salvare l’economia come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi è stata seguita la ricetta tecnica conosciuta. A cominciare proprio dall’immissione di una quantità enorme di denaro liquido a basso costo, anzi a costo zero.

6. Tutto ciò potrà evitare un impatto ancora più drammatico, a breve termine, della crisi su occupazione, consumi. Ma pone anche un enorme problema per il futuro e crea anche i presupposti per una nuova crisi futura. Appena l’economia mostrerà i primi, deboli segnali di ripresa, tutta la liquidità immessa in giro per il mondo potrebbe trasformarsi in un potentissimo detonatore per l’inflazione.

7. Così, dopo aver pagato con le tasse, con la perdita del posto di lavoro, con i risparmi su salari, stipendi e compensi, i ceti meno abbienti non solo rischiano di subire le ripercussioni di un modello di sviluppo insostenibile, ma anche di pagare un’altra volta il costo della crisi con la perdita del loro potere di acquisto.

La bomba atomica della disperazione di Bernanke
di Federico Rampini - La Repubblica - 17 Dicembre 2008

Audace, avventurosa, o disperata. La Federal Reserve ha tagliato i tassi d’interesse a un livello senza precedenti nella storia americana. E’ una svolta, l’inizio di una nuova fase nella guerra di resistenza combattuta dall’autorità monetaria Usa contro questa crisi. Nel centro del capitalismo globale si apre l’era del "denaro allo zero per cento". E’ un territorio inesplorato. L’euforia iniziale di Wall Street segnala la speranza che la banca centrale americana abbia tirato fuori l’arsenale nucleare, che Ben Bernanke sia disposto a tutto pur di impedire una Grande Depressione. Ma quali segnali profondi riceve tutto il resto dell’economia da questo gesto? Secondo l’ultimo sondaggio Gallup il 70% degli americani è convinto di essere già in una depressione. Per loro la mossa estrema della Fed potrebbe suonare come una conferma, e quindi incitare a comportamenti ancora più prudenti.

S’intuisce una nota di panico anche nelle stanze di comando delle banche centrali. Ormai sono crollati i miti sulla loro onnipotenza. Anche nella decisione di ieri in realtà la Fed si è mossa a rimorchio dei mercati. Già da diversi giorni nelle aste dei Treasury Bonds (i Bot americani) era accaduto l’inverosimile: la domanda di quei titoli sicuri da parte degli investitori era impazzita, fino a fare calare i tassi di alcune emissioni sotto lo zero. La corsa verso il titolo pubblico - a questo punto più sicuro di un conto corrente o di un libretto postale - aveva portato a questo paradosso: masse di capitalisti privati e gestori di fondi sono disposti a pagare un interesse al Tesoro Usa pur di prestargli del denaro. E’ il mondo alla rovescia, il salto dall’altra parte dello specchio.

Se alcuni Bot americani danno un rendimento negativo, un interesse passivo, i tassi ufficiali si adeguano. E’ la presa d’atto che siamo in piena deflazione, una malattia che in Occidente nessun contemporaneo ha sperimentato in età adulta. Il mondo normale, quello in cui siamo vissuti dalla seconda guerra mondiale in poi, è un luogo dove i prezzi aumentano di anno in anno. Chi presta i propri risparmi - a una banca, allo Stato - deve tutelarsi dal fatto che il tempo è inflazione e svaluta il denaro, quindi occorre ricevere un interesse adeguato. Ma se improvvisamente i prezzi scendono - come stanno scendendo in America - il ragionamento si rovescia. La liquidità guadagna valore col passare del tempo, anche se frutta tasso zero. Un tasso negativo può essere il prezzo da pagare per chi tela custodisce al sicuro, come si paga un affitto per usare una cassetta di sicurezza in una banca.

Il rendimento zero però riguarda i tassi ufficiali della banca centrale americana. Non significa affatto che siano precipitati i tassi sui mutui immobiliari, sulle carte di credito, sui prestiti alle imprese. Le banche commerciali il denaro se lo fanno ancora pagare; addirittura lo razionano. Qui sta una contraddizione che attanaglia la Fed. La cinghia di trasmissione della politica monetaria si è rotta. Anche se l’autorità centrale presta capitali a costo zero, gli intermediari bancari non "passano il favore" al resto dell’economia. Perciò Bernanke è costretto ad aggiungere all’arma del tasso zero altre azioni eterodosse: la Fed va sul mercato a comprare titoli scadentissimi, emessi dalle società di finanziamento immobiliare, perché la sua generosità arrivi alle famiglie sotto forma di mutui a buon mercato. Neppure questa politica però dà risultati certi nell’immediato. Si rischia di scivolare dentro la "trappola della liquidità" che Keynes studiò nella crisi degli anni Trenta: anche regalando i soldi alle banche o alle famiglie, quei fondi vengono accaparrati e messi in riserva, tale è la paura sistemica. Una immagine hollywoodiana descrive il caso-limite in cui la Fed manda a sorvolare l’America degli elicotteri che lanciano pacchi di banconote su tutto il territorio nazionale. Ormai la realtà si avvicina a quello: dal mese di settembre la banca centrale di Washington ha stampato mille miliardi di dollari di nuova moneta. Senza effetti di ripresa. I consumi, la produzione industriale, le costruzioni di case, tutto continua a scendere.

Se i leader dell’Occidente fossero meno convinti di essere l’ombelico del mondo, da mesi starebbero studiando il caso dell’unico grande paese sviluppato ad avere conosciuto la deflazione dopo la seconda guerra mondiale. Il Giappone ne è stato prigioniero negli anni Novanta. La sua banca centrale provò rimedi molto simili a quelli ora sperimentati dalla Fed. Per sei anni Tokyo ebbe tassi negativi, senza successo. E’ come la politica degli sconti favolosi che le catene degli ipermercati americani stanno offrendo ai clienti. Non c’è saldo che tenga quando il consumatore non vuole spendere, per ragioni profonde che nulla hanno a che vedere col livello dei prezzi: per esempio se si è convinto di dover ridurre in modo durevole il livello dei suoi debiti.

L’azzardo di ieri della Fed non è condiviso da tutti. Il mondo è spaccato in due. Da una parte c’è chi vede la Grande Depressione alle por- te, e dunque ritiene che si debba abbandonare ogni cautela. Altri, Germania in testa, osservano con orrore l’escalation incontrollata dei debiti, foriera di future iperinflazioni. Ma se il resto del mondo si dissocia dalla terapia americana, questo accelera la sfiducia nel dollaro che riprende a cadere, aprendo possibili scenari di guerre protezioniste. Un autorevole consigliere economico di Obama ha osservato che ormai non si tratta di «evitare un altro 1929» perché quella sfida è già stata persa con la distruzione di ricchezza finanziaria del 2008. Ora si tratta di capire come evitare il 1930, il 1931, il 1932, il 1933.


La mezzanotte monetaria
redazione di www.socialpress.it - 14 Dicembre 2008

La crisi, continuiamo a sentire parlare di questa crisi, ma a molti sfuggono i contorni, i mezzi per comprendere quello che sta succedendo e le probabili conseguenze che ricadranno a pioggia sulle nostre vite. Di poco possiamo essere certi e, a voltarci sul passato, la vediamo tutta questa marea tracimante che ci sorpassa e ci invade. Una colata, che si chiami finanziarizzazione dell’economia o guerra permanente, che mortifica e schiaccia in ogni occasione ogni desiderio di resistenza.

Arricchitevi! è l’imperativo e, anzi, il motore dell’economia globalizzata, dove il carburante, il danaro in tutte le sue forme, attraversa frontiere raccogliendo attestati di benvenuto; un motore che, invece, brucia i corpi di quegli uomini che di questa globalizzazione ne scontano le pene. E’ la “biopolitica”, le braccia, le menti, i cuori al servizio della produttività, chiuse in un binomio di distruzione selvaggia di ogni regolamentazione civile e di rottura con il mondo della produzione dei beni.
Chi non si è riconosciuto con questo mondo di valori in filigrana e in caduta libera ha subito gli effetti degli spostamenti dei mercati si è trovato confinato nella propria miseria, nel caso peggiore. Oppure, in maniera più o meno efficace, ha tentato di raccontare un’altra storia, un’altra concezione dei rapporti sociali, economici, umani.

Molti di quelli che non si sono riconosciuti in quei valori di sfruttamento si sono ritrovati a parlare un linguaggio comune in un variegato movimento di mille forme e colori, un movimento transnazionale, spontaneo e immaturo, con aspetti fortemente radicati nel localismo ma che guardava alla globalizzazione come scenario di inclusione. Così è nato a Seattle, nel 1999, il primo movimento globalizzato. Le idee non girano come moneta corrente, ma queste persone, questi movimenti, hanno aperto canali e lanciato ponti in maniera integrata con diverse realtà del pianeta facendo un uso massiccio di tutte le tecnologie dell’internet e di telefonia globale.

Cosa diceva allora quel movimento? Esso provava a raccontare che l’estensione in atto era una globalizzazione delle merci, delle banche, delle grandi imprese multinazionali, delle biotecnologie, dell’energia e, infine, delle pratiche di depauperizzazione delle risorse primarie del pianeta: acqua, suolo, agricoltura.
Veniva detto che quella non era una globalizzazione degli uomini, per affrancarli dai loro bisogni reali, veniva detto, invece, che questa globalizzazione fosse lo stadio più avanzato e moderno dello sfruttamento che ci avrebbe portato dritto al disastro economico-ambientale.
Vivere di queste profezie non rinvigorisce il morale e soprattutto non incoraggia l’ottimismo dei mercati. Perché mai, allora, mettere in discussione un modello di sviluppo che rende profitti da capogiro? Il mercato pareva solido anche se, tra il 1999 e il 2002 si avverte qualche scricchiolio di fondo. E’ la prima crisi finanziaria globale, scoppia “la bolla” delle dot-com (un’azienda di servizi che fa la maggior parte del suo business tramite un sito internet). Avvisaglie fugaci di un terremoto imminente.
Ai profeti di sventura che rivendicavano nuovi criteri di produzione si opponevano economisti, giornalisti e politici, gioiosi cantori di di questo “turbo” liberismo.
Ma come disinnescare una mina così grande? Anche i fondi pensione non erano pensionati ma, al lavoro, erano lì a sostenere, con carburante fresco, le imprese che agivano su un unico grande mercato planetario.

L’11 settembre tacitò tutto. Se è vero che la nostra società si ciba di simboli, quest’evento ha rappresentato il punto massimo di una tensione che ha raggiunto il punto di rottura rilasciando una scia di conseguenze difficilmente governabili con gli strumenti della mediazione politica.
La mezzanotte, il punto massimo di oscurità, non diede molte speranze alle istanze di chi poneva in primo piano i diritti dei popoli. Soffiato via quel debole lumicino, sulle fanfare suonate dal gran circo dei media, una buona parte dei paesi occidentali si apprestavano ad accrescere il proprio PIL esportando democrazia ad alto prezzo e basso valore.
Il 7 ottobre 2001 le truppe anglo-americane cominciarono a bombardare il territorio afgano. Prese il via Endurig freedom (“libertà permanente”), a cui seguì, il 20 marzo 2003, l’invasione dell’Iraq. Guerre fatte per accaparrarsi risorse energetiche (Iraq) o per condizionare percorsi degli oleodotti ( Afghanistan) col risultato di vedere aumentare i valori delle azioni di quelle industrie legate al sistema militare e di quelle dell’energia che trascinarono dietro di loro quello delle banche, assicurazioni, industria civile legate al ciclo della guerra.
Eccolo il rialzo del PIL : questa ubriacatura, come primo effetto, ha fatto schizzare i prezzi delle case nei centri urbani, moltiplicato il valore delle materie prime, rinvigorito un’economia basata sulla finanziarizzazione della produzione.

Ma arriviamo ai giorni nostri, questo castello di carta, nel vero senso della parola, fatto di azioni e carta moneta ormai lontana dal valore reale, è crollato. E però, significativo che queste forma di turbo-capitalismo, non viene solo percepita come distorsione del sistema ma come letale ad esso ed è per questo che l’invocazione di nuove regole (da Tremonti ad Almunia, passando per le banche centrali) viene dalla consorteria di quei “gentiluomini” di Bretton Woods. Tutto ciò però ha più il sapore di una resa dei conti.
Una cosa esce palese ed è la grave inadeguatezza delle nostre classi dirigenti nel gestire la cosa pubblica.
Coloro che avrebbero dovuto vigilare si sono rivelati o incapaci o conniventi, insomma prima si sono fregati la cassa e ora ci dicono che dobbiamo pagare noi.
In un disperato tentativo di salvare “Il Sistema”, centinaia di miliardi di euro-dollari vengono travasati a banche, assicurazioni e imprese. La ricetta è sempre la stessa, tagli alla scuola e all’università, riduzione della spesa sanitaria, contrazione dei salari, aumenti dei prezzi dei beni di prima necessità, aumento delle tariffe per le bollette e i trasporti.

Ora, questa crisi si sta abbattendo su tutti noi, senza darci tregua, ma è vero che la situazione è in movimento.
E’ in movimento sui tempi corti e dopo dieci anni di movimentismo, tutti noi, agiamo meglio all’interno di prassi mature; ma la situazione è anche in movimento sui tempi lunghi e la spia sono le continue crisi di consenso che accompagnano gli schizofrenici eventi in materia economica.
La partita è enorme, è il destino del pianeta in gioco, e proprio per questo la consapevolezza è più alta. Adesso è mezzanotte, questo ci è dato e qui è il nostro agire con tutta l’onestà che possiamo riporre e con tutta la forza di cui saremo capaci.

E’ mezzanotte nel secolo, saremo gli uomini di mezzanotte (Victor Serge)