martedì 9 dicembre 2008

L'inesorabile declino americano

Qui di seguito si affronta il tema dell'inesorabile fine della leadership mondiale degli Stati Uniti.

La recessione economica e la sconfitta nelle guerre intraprese negli ultimi anni - costate migliaia di miliardi di dollari - hanno solo accellerato un processo che si e' sempre verificato ciclicamente nel corso dei secoli.

Prima o poi gli Imperi collassano.


Gli Stati Uniti sulla strada del declino?
di Luca Mazzuccato - Altrenotizie - 9 Dicembre 2008

Il 2008 sarà il primo anno di un secolo non più americano ma multipolare. A dirlo non è Putin, ma il Consiglio Nazionale dell'Intelligence USA, che in un recente rapporto sancisce la fine del dominio americano entro pochi anni, a favore di Cina, India e Russia.

La crisi finanziaria, arrivata a Wall Street partendo dai mutui sulla casa, sta trascinando con sé tutti gli altri settori dell'economia americana. Il paese è ufficialmente in recessione: non solo non si vede alcuna luce in fondo al tunnel, ma il bus è rotto e il conducente ha perso i soldi per la manutenzione giocando alle tre carte con le banche. Mentre la gente si ammazza per arrivare per prima ai saldi del Ringraziamento (letteralmente: tre morti in un giorno), le statistiche sull'hi tech sono impietose: a causa della stretta sull'immigrazione dopo l'11 Settembre e dell'emergere delle nuove potenze asiatiche, gli Stati Uniti stanno drammaticamente segnando il passo.

Il giorno dopo il Ringraziamento è noto come il Venerdì Nero, non perché porti particolarmente sfortuna, ma per via dei saldi eccezionali che i grossi centri commerciali americani offrono ai loro clienti: proprio questo è il giorno in cui i conti dei commercianti passano in gergo dal rosso (perdita) al nero (guadagno). Ma una cosa è certa, d'ora in poi verrà ricordato per la strage di clienti che in poche ore ha insanguinato le vetrine luccicanti. A Valley Stream, New York, come nel resto del paese, centinaia di persone hanno cominciato a confluire verso l'ingresso di Wal Mart fin dalla mezzanotte del giorno del Ringraziamento, per guadagnarsi un posto in prima fila all'apertura del mega centro commerciale.

Alle quattro e cinquantacinque del mattino, cinque minuti prima dell'apertura, una folla di circa duemila persone inizia a premere sulle vetrate d'ingresso. Dieci commessi cercano di fare pressione sui vetri dall'interno, ma non c'è nulla da fare: l'enorme vetrata esplode e la folla urlante si riversa all'interno a caccia dell'affare. Un commesso di 34 anni viene scaraventato su una balaustra di contenimento e schiacciato dal fiume di clienti. Morirà pochi minuti dopo per le pesanti ferite riportate. Analoga tragedia in una negozio della catena Toys r us, dove due clienti hanno sfoderato la pistola e, per un giocattolo in più, hanno ingaggiato un duello western sparandosi tra le corsie piene di bambini, uccidendosi a vicenda.

Questa furia consumista alla ricerca disperata dell'offerta imperdibile è la cartina al tornasole di quanto profonda sia la crisi e di quando la popolazione americana si senta in trappola. Intrappolata sotto il monte di debiti, spesso caricato sulle spalle dei consumatori dai comportamenti irresponsabili delle banche.

Un semplice esempio ce lo fornisce Maria, figlia americana di immigrati messicani, che di mestiere fa la domestica in una ricca villa di Long Island. Maria vive con suo marito, anche lui domestico, in una villetta di sua proprietà, ottenuta grazie ad un mutuo contratto con una banca locale. Lo scorso anno Maria fece il colpo grosso: cedendo alle insistenti pressioni della banca, Maria si accollò un altro mutuo, per acquistare altre due case. Non perché le servissero, ma perché la banca le consigliò di investire per rivenderle dopo pochi mesi, visto che “il mercato immobiliare è una botte di ferro.” Con un totale di tre case, Maria possiede ora più case del suo datore di lavoro, un affermato professionista. Il resto della storia è noto: con la crisi del mercato immobiliare, la partita a Monopoli si è inceppata e ora Maria non sa come far fronte alle rate variabili dei due mutui, due case da rivendere ma nessun acquirente.

Uno ogni sei proprietari di casa deve ripagare un mutuo che vale più dell'immobile stesso. Le grosse aziende di Wall Street, beneficiarie del bail out finanziario, hanno in media contratto debiti pari a trenta volte il loro attuale valore. I cittadini sono indebitati, ma è il governo a dare il cattivo esempio. I debiti contratti negli otto anni della presidenza Bush ormai si contano in fantastilioni: da tre trilioni di dollari di attivi a tre trilioni di passivo, mentre la Fed continua a stampare dollari come se piovesse.

La guerra in Iraq è costata almeno tre trilioni di dollari fino a questo punto. Il peggio deve ancora arrivare però: i figli del baby boom dal '45 al '65 nei prossimi anni manderanno in tilt il sistema sanitario (Medicare). “Se mi avessero detto che stavamo spendendo come pazzi per costruire scuole e mandare tutti al college, questo avrebbe avuto conseguenze infinitamente differenti dall'indebitarsi come pazzi per finanziare il consumo attuale,” di Christina Romer, un'economista dell'Universtità della California a Berkeley.

Secondo il rapporto “Tendenze globali 2025: un mondo trasformato” del Consiglio Nazionale dell'Intelligence, l'organo che raccoglie le raccomandazioni delle agenzie di sicurezza americane “alla fine della crisi finanziaria di Wall Street, il dollaro cesserà di essere la moneta di riferimento mondiale ma diventerà primus inter pares. Il sistema internazionale costruito dopo la seconda guerra mondiale sarà irriconoscibile nel 2025,” grazie all'emergere delle nuove potenze del “capitalismo di stato” India e Cina e allo “storico trasferimento di ricchezza da Ovest a Est.”

Il riscaldamento globale aiuterà il Canada e soprattutto la Russia a sondare le inesplorate distese artiche, gravide di petrolio, anche se entro il 2025 la tecnologia attuale basata sul petrolio verrà sostituita da sole, vento ed energie rinnovabili. Una nota di colore: il rapporto afferma che nei prossimi vent'anni almeno un paese europeo cadrà nelle mani del crimine organizzato, ma non vengono fatti i nomi.

I sintomi del declino americano si fanno sentire soprattutto nel settore tecnologico e scientifico. Le prime avvisaglie si sono registrate a partire dal 2004, anno in cui ha cominciato a restringersi il numero di immigranti che sostengono il GRE, l'esame per accedere alle università americane. Questo è l'indicatore del numero di studenti stranieri, che contribuiscono al PIL americano per tredici miliardi di dollari: quelli provenienti da India e Cina sono addirittura dimezzati.

Un motivo è l'inasprimento delle leggi sull'immigrazione, dopo l'undici settembre è molto più difficile ottenere un visto per gli Stati Uniti. In un recente dibattito al Congresso, alcuni senatori democratici più realisti del re hanno proposto di ridurre significativamente le quote già ristrette di visti F e J, quelli per dottorandi e ricercatori, con la scusa che combattenti nemici possono infiltrare il territorio americano nei panni di studenti.

Tim O'Brien, dell'Università di Nottingham, spiega che anche l'Europa - e in particolare l'Inghilterra - stanno traendo enormi benefici dalla stretta sull'immigrazione. “Gli studenti internazionali,” spiega, “dicono che non vale la pena perdere due giorni stando in fila fuori dal consolato americano per mendicare un visto incerto, quando possono venire in Gran Bretagna senza nessun problema.”

Il vero motivo del declino nell'immigrazione qualificata é il fatto che le economie emergenti della Cina e dei distretti hi tech nel sud dell'India hanno invertito il flusso migratorio: per le folle di esperti d'informatica asiatici, i “nerd”, diventati negli anni novanta lo stereotipo americano della bolla “dot com,” gli Stati Uniti non sono più la terra promessa. Il numero totale di studenti, dottorandi e post doc stranieri è in crescente flessione da quattro anni a questa parte. Ma gli americani, purtroppo, non colmano questo vuoto.

Uno studio recente dell'American Mathematical Society ha rivelato che gli studenti americani odiano la matematica perché è una materia da sfigati. “Viviamo in una cultura che dice ai ragazzi che non possono fare matematica perché solo gli asiatici e i secchioni vanno bene in matematica.” Per quanto strano possa sembrare, lo studio in sostanza rivela che la maggior parte dei ragazzi portati per la matematica decidono di non studiarla apposta, per essere più “cool”. Chi ha successo nelle materie scientifiche sono solamente i figli di immigrati da paesi dove la matematica è considerata una disciplina elevata, tipicamente l'India.



Ma Obama lo sa?
di Jim Kunstler - Clusterfucknation - 1 Dicembre 2008

Parecchi lettori mi stanno rinfacciando di non rimproverare al neopresidente Obama tutto quello che non ha ancora fatto. Sono scoraggiati per i consiglieri e i responsabili dei gabinetti scelti, evidentemente perché il team in arrivo è ben inserito nei meccanismi di Washington e non potrà probabilmente valutare o agire in modo differente. Il mio punto di vista è che nei prossimi anni tutte le strutture sociopolitiche a macroscala (dal governo federale alle multinazionali, dalle aziende agricole agl'istituti d'insegnamento superiore e alle catene nazionali di distribuzione) affonderanno.
In una tale situazione, che richiederà soprattutto azioni a livello locale, sarebbe troppo sperare che il governo di Obama possa operare in modo efficace.

Il fattore più importante sarà il declino delle risorse energetiche e l'inevitabile riduzione delle nostre attività. Ci troviamo in una fase di transizione, da una vecchia dissennata economia energetica a una nuova economia di relativa scarsità, e anche se non abbiamo ancora chiaro quanto sarà caotica questa transizione esistono tutte le condizioni per una tremenda instabilità nella vita di tutti i giorni.

Per un certo tempo il governo federale sarà forse in grado di influenzare in modo limitato, o comunque di dare la sensazione di riuscirci, l'evolvere degli eventi. E questo fa sorgere una domanda: fino a che punto Obama e il suo team si rendono conto della nostra precaria situazione energetica? Alludendo all'erronea diffusa convinzione secondo cui il recente crollo dei prezzi petroliferi significa che il problema è oramai superato, il neopresidente ha dichiarato varie volte (l'ultima nel corso di 60 Minutes) di avere le idee chiare sull'attuale dislocazione dei prezzi sul mercato petrolifero, legata al più generale terremoto finanziario.

Ma il neopresidente conosce, almeno in parte, i fatti qui appresso esposti? Obama sa che, con circa 85 milioni di barili al giorno, il petrolio sembra aver raggiunto un picco produttivo che ben difficilmente verrà superato? Questo puro e semplice fatto pone complesse domande, in primo luogo se possiamo continuare a ragionare in termini di "crescita industriale", considerata un indicatore fondamentale della salute economica.

Esistono numerose spiegazioni per l'attuale catastrofe finanziaria: alcune si basano sulla teoria tecnica a lungo termine delle onde, altre, più terra terra, guardano allo shock del picco petrolifero, anche se non escludono la teoria delle onde. Obama sa che la scoperta di nuovi giacimenti petroliferi è scesa a livelli trascurabili, dopo il picco degli oramai lontani anni '60? Sa che non stiamo più trovando supergiacimenti paragonabili a quelli di Ghawar (in Arabia) e di Cantarell (in Messico), che negli ultimi quaranta anni hanno fornito buona parte del petrolio mondiale e che sono adesso in via di esaurimento? Sa che non possiamo estrarre il petrolio che non è stato ancora trovato? Sa che la produzione di praticamente tutte le nazioni petrolifere è in fase di declino?

Certamente qualcuno gli ha sommessamente ricordato che le previsioni dell'IEA per l'anno prossimo parlano di una contrazione della produzione petrolifera del 9,1% a livello mondiale. Obama sa che le esportazioni petrolifere tendono a ridursi a un ritmo superiore a quello della scoperta di nuovi giacimenti?

In altri termini, le nazioni esportatrici stanno perdendo la capacità di spedire petrolio ai paesi importatori (come gli USA) a un tasso matematicamente superiore a quello della contrazione della loro produzione, e stanno usando una maggiore quota del proprio petrolio, anche quando le estrazioni si stanno riducendo: ad esempio, in Messico la riduzione globale supera il 9% all'anno (e quella del giacimento di Cantarell supera il 15%).

Sa che le esportazioni nette messicane stanno crollando? Il Messico è stata la terza fonte d'importazioni in ordine d'importanza, ma tra pochissimi anni non potrà più mandarci nemmeno una goccia di petrolio. Il deluso cittadino americano non ha la minima idea di cosa sta succedendo. Glielo spiegherà Obama?Obama sa che le grandi aziende petrolifere tradizionali (Exxon-Mobil, Texaco, Shell, e altre) producono oggi meno del 10% del petrolio mondiale (l'altro 90% proviene da aziende nazionali straniere) e che incolparle dalle situazione odierna è una semplice perdita di tempo?

Le compagnie nazionali straniere stanno cambiando il panorama dei mercati petroliferi: anziché mettere all'asta il petrolio sui mercati a termine, firmano contratti speciali con i "clienti privilegiati". Una delle conclusioni che se ne possono trarre è che stiamo entrando in una era di accaparramento del petrolio dovuto alla sua immanente scarsità.

I mercati a termine si basano su una relativa abbondanza, e non potranno funzionare bene in un clima di scarsità. Tenete presente che probabilmente molti paesi produttori di petrolio non includeranno gli USA tra i "clienti privilegiati", e collegate questa realtà alla prossima scomparsa delle importazioni messicane (e nigeriane, venezuelane, ecc.). Obama sa che l'attuale crollo dei prezzi petroliferi, provocato dai massicci disinvestimenti, ha portato alla cancellazione o al rinvio a data ulteriore proprio di quei progetti di sfruttamento dei giacimenti che si sperava potessero arrestare l'imminente scarsità?

Se il petrolio si vende a 50 dollari al barile ed estrarlo costa 80 dollari, le aziende del settore (private o straniere) non hanno interesse a trivellare in mare aperto o ad avventurarsi nelle regioni artiche. E a quel prezzo non ha senso estrarre sabbia bituminosa in Canada. Le conseguenze dell'arresto delle attività si faranno sentire negli USA tra un anno o poco più, sotto forma di scarsità generalizzata di petrolio e assenza di nuovi giacimenti per farvi fronte.

Obama sa che durante il suo mandato, qui negli Stati Uniti abbiamo buone probabilità di dover fronteggiare una crescente scarsità di petrolio e un nuovo aumento dei prezzi petroliferi?Obama sa che il programma di reinflazione attualmente portato avanti dal Tesoro e dal FED è talmente ben pensato da provocare probabilmente la delegittimazione del dollaro, la vendita delle riserve in dollari da parte degli altri paesi, il declassamento degli strumenti creditizi del Tesoro statunitense, e l'impossibilità da parte degli USA di comprare petrolio all'estero (i due terzi del totale che consumiamo)?

Obama sa che non potremo far circolare la flotta di auto e camion del paese con carburanti alternativi, di qualsiasi tipo? Pensare di poter continuare a usarla con altri mezzi è un'illusione che non può che deluderci. L'era della motorizzazione sta per finire. I grandiosi investimenti in infrastrutture stradali per creare posti di lavoro si riveleranno uno spreco disastroso del nostro già eroso capitale.

Il neopresidente sarà sottoposto a pressioni enormi e forse insormontabili per lanciarsi in questi catastrofici investimenti. Probabilmente, in tutto il paese non ci sono più di un migliaio di persone d'accordo con quello che ho appena detto; e ciò significa che la volontà di continuare a far andare le auto a qualsiasi prezzo è ancora oggi una innegabile realtà. Obama include nella sua idea di "cambiamento" la possibilità che la nostra società debba vivere in modo completamente differente?

Se è consapevole di quanto sopra detto, ci sono buone probabilità che il neopresidente venga crocifisso da sondaggi e media. Il solo "cambiamento" di cui gli USA sono veramente contenti è l'aver buttato George Bush fuori dalla Casa Bianca. I cittadini erano stanchi della sua presenza e di tutti i problemi che ha creato nelle attività finanziarie. Per il resto, sono tremendamente preoccupati per i cambi cui attualmente dobbiamo far fronte: la fine della mentalità consumistica, l'enorme perdita di valore del settore immobiliare suburbano (il nucleo fondamentale della ricchezza della classe media), le prospettive di scarsità alimentare ed energetica, la necessità di ricentrare le nostre vite e di fermare lo spreco costoso e innecessario delle nostre risorse sanitarie, di coltivare una maggiore quota dei nostri alimenti, di lavorare più duramente per cose che veramente valgono, di salvare tutto il possibile in vista di un futuro difficile.

Se nel rivolgersi alla nazione Obama accenna a uno qualsiasi di questi punti, pubblico, media e blogger gli salteranno addosso per non essere riuscito a dare un nuovo impulso alla festa selvaggia che era diventata la vita americana negli ultimi decenni.