lunedì 22 dicembre 2008

Gioco sporco

Anche oggi c'e stato l'ennesimo raid aereo americano nel sud Waziristan, zona tribale nel nord ovest del Pakistan. Due missili lanciati da un drone statunitense hanno provocato la morte di sette persone.

Ufficiali della polizia pakistana riferiscono che un missile ha colpito un'automobile nel villaggio di Wana uccidendo 4 persone; un altro missile ha distrutto una casa in un villaggio vicino uccidendo altre tre persone. Per la rabbia, diversi uomini che vivono nelle zone tribali nel nord-ovest del Paese hanno aperto il fuoco contro il drone.

Il governo di Islamabad sta da tempo subendo forti pressione da parte dell'opinione pubblica che lo accusa di essere incapace di difendere il Pakistan da attacchi di questo tipo. Ieri due fratelli afghani sono stati uccisi perché accusati di collaborare con gli Stati Uniti. I loro corpi sono stati ritrovati crivellati di colpi nel villaggio di Khan Zada, nel nord Waziristan.

Tutto questo rientra nel pericoloso gioco di sponda tra USA, India e Pakistan attraverso la fantomatica lotta al terrorismo, le cui conseguenze saranno evidenti tra qualche mese quando arriveranno migliaia di soldati USA provenienti dall'Iraq e dislocati sul confine afghano-pakistano.

Le avvisaglie di quanto sporco sara' questo gioco le abbiamo avute a Mumbai nelle scorse settimane.
Se ne era gia' parlato qui e se ne riparla anche oggi.



Mumbai, un altro 11 settembre? Sì, anche nelle balle
di Alessandro Cisilin - Megachip - 22 Dicembre 2008

Rieccoli, gli invasati fondamentalisti che se la prendono coi civili nei luoghi simbolo dell'opulenza. Bersagliando prioritariamente i “sionisti” e gli stranieri anglo-americani. Il male contro il bene, col portato strappalacrime delle storie individuali di dolore, di morte e talora di eroismo. Un racconto confortante, pur nella sua atrocità. Per riassumere tutto basta una parola, anzi due: terrorismo islamico. Peccato che la dinamica dei fatti raccontataci senza ombre di dubbio dai nostri media non sta evidentemente in piedi.

Altrove, perfino in India, i giornalisti si fanno delle domande e consultano gli esperti. In Italia no, ci si limita a ripetere i mantra delle due o tre agenzie che controllano l'informazione globale. Le prime notizie riferivano di un attacco portato da centinaia di miliziani indiani. C'era anche una rivendicazione, quella dei “Mujahiddeen del Deccan” (l'enorme altopiano del centrosud indiano), e una foto, quella di un giovane armato fino ai denti che portava un braccialetto arancione tipico degli estremisti indù.

E già qui i conti non tornavano. L'India è la patria del sincretismo, con tradizioni religiose che si compenetrano anche nei simboli e nelle divinità (Gesù Cristo è venerato da gruppi indù come reincarnazione di Vishnu), ma i fondamentalisti fanno un po' più attenzione. Quando insomma un fanatico musulmano va alla guerra vestito da fanatico indù difficilmente attinge al paradiso di Allah.

Poi però la versione è improvvisamente cambiata, tenendo ferma solo una variabile, quella del terrorismo islamico. Le centinaia di attentatori sono diventate una decina, e gli indiani sono diventati pakistani, sbarcati curiosamente da un natante di Delhi attraverso la “Gateway of India” che fa spesso da copertina alle guide turistiche. Pakistani, quindi sunniti, quindi Al Qā‘ida. Voilà, les jeux sont faits, rien ne va plus.

La fonte del dirottamento dei fatti è l'apparato di sicurezza indiano. Fonte che andrebbe quantomeno presa con prudenza, e non solo perché l'India è di fatto in conflitto permanente con Islamabad sulla regione contesa del Kashmir. C'è dell'altro.

Anzitutto, il colpevole ritardo nell'intervento delle forze indiane (per giunta abbondantemente preallertate con inquietante precisione da informazioni d’intelligence) risulta, oltre che sospetto, anche non nuovo nella storia dei più sanguinosi episodi di violenza di matrice religiosa nel paese, e in particolare nell’eccidio perpetrato negli ultimi anni su migliaia di musulmani (fatto irrilevante per i media d’Occidente) e centinaia di cristiani (e questo dà un po’ più fastidio, ma se serve cade anch’esso nell’oblio).

In secondo luogo, già in passato l'India ha conosciuto attentati compiuti da induisti e fatti sembrare islamici, per screditare questi ultimi. A svelare l'arcano, nonché la collusione tra uomini dell'esercito e fondamentalisti indù, era stato tra gli altri il capo dell'antiterrorismo Hemant Karkare, anch'egli guarda caso ammazzato negli attentati di Mumbai. Inoltre, non ultimo, il nucleo pakistano accusato dei fatti si chiama Lashkar-e-Toiba, che di solito è felice di rivendicare i propri attacchi e che stavolta, curiosamente, smentisce.

Riassumendo: si tratterebbe di gente pronta a morire per la causa e al contempo timorosa di vantare le proprie gesta. Islamici così ortodossi da portare braccialetti dei radicali indù e di uccidere uno dei più acerrimi nemici di questi ultimi. Terroristi addestrati alla guerriglia e a incursioni kamikaze, ma (incongruenza sottolineata dagli analisti militari di ogni latitudine) capaci stavolta di improvvisare in dieci unità un assalto bellico degno dei migliori servizi segreti. Insomma, la sceneggiata è stavolta costruita proprio male.

A proposito di servizi, erano curiosamente sul posto anche quelli britannici e israeliani. Non è chiaro quale funzione abbiano svolto, al di fuori di quella di avallare la nuova versione ufficiale. A essa hanno immediatamente aderito Londra e Washington, senza esclusione per lo staff del presidente entrante.

Non sapremo mai esattamente chi ha perpetrato gli attentati e chi c’è dietro, ma è già palese a chi fa comodo questa nuova catena di sciocchezze sulla fantomatica jihad globale azionata dal Pakistan. Di certo agli Stati Uniti, impegnati nell'escalation militare in Afganistan, già controfirmata come prioritaria da Obama, col corollario dei quotidiani raid oltre il confine pakistano che suscitano le vane proteste di Islamabad. E naturalmente giova all'India, o meglio a quelle forze interne che hanno interesse a fermare il faticoso dialogo di pace col Pakistan e a far salire quello stato di tensione che fa gioco alla destra indù in vista delle elezioni federali della prossima primavera.

Inciso: ancor più lacerante della conflittualità politica e religiosa, sta dilagando in questi anni in India quella sociale, legata alla rivolta per le crescenti divaricazioni economiche e per la dilagante povertà (sulla cui presunta diminuzione, determinata dalle politiche liberiste, si sono costruite in Italia fortune editoriali). Vi agiscono gruppi di ribelli, specie di matrice marxista, con capacità organizzative e militari probabilmente inedite nella storia dei movimenti del subcontinente. Ma questo non fa notizia, ed è ben più scomodo del racconto su qualche belzebù musulmano.

La storia si ripete. Quella del cosiddetto terrorismo. E anche quella di India e Pakistan, nate divise nel 1947 come estremo dono del divide et impera britannico.