giovedì 4 dicembre 2008

Nessun conflitto tra lui e i suoi interessi

Qui di seguito un paio di articoli sull'ennesimo lampante esempio del macroscopico conflitto d'interessi personificato in Berlusconi.

Ma in Italia del conflitto d'interessi non importa alla quasi totalita' dei mainstream media e della popolazione.


La parabola del Cavaliere
di Mariavittoria Orsolato - Altrenotizie - 4 Dicembre 2008

“Io Sky la capisco, ha avuto un privilegio, ma non capisco i giornali che invece di chiedersi come mai c'era un rapporto privilegiato nei confronti di Sky attaccano me, che vergogna! Direttori e politici dovrebbero tutti cambiare mestiere, andarsene a casa. Politici e direttori di questi giornali, come La Stampa e il Corriere dovrebbero cambiare mestiere”. Se la prende con la “stampa bolscevica” Silvo Berlusconi: dopo l’annuncio dell’innalzamento delle aliquote Iva al 20% per le pay tv e il progressivo calo di consensi sul suo governo, il cavaliere la mette sul personale e rimprovera velatamente Mieli, Anselmi e colleghi di dimenticare che Murdoch è un birbantello conflittuale almeno tanto quanto lui. Ma il cavaliere mascarato ha timore degli spot di Murdoch; nessuno più di lui, che ha dato inizio alla sua discesa in campo utilizzando personaggi tv sulle sue reti, sa quanto lo schermo sia portatore di voti, oltre che d’interessi. E che il suo mezzo preferito nell’occasione gli si rivolti contro, non lo fa stare tranquillo.

Quello che Berlusconi non cita, è la legge del 1991 che il ministro socialista del governo Andreotti VI, Rino Formica, emanò in favore della nascente Telepiù: in base alla finanziaria di quell’anno, infatti, l’Iva fissata sopra i proventi delle pay-tv sarebbe stata agevolata e posta al 4%; venne poi alzata al 10% nel 1995 durante il governo Dini e da allora era stata lasciata intatta. Gomez e Lillo dalle pagine de L’Espresso, quasi in risposta alle lamentele del primo ministro, ci ricordano che Telepiù era una creazione speculativa del gruppo Fininvest nata “per essere ceduta prima a una cordata di imprenditori amici, poi ai francesi di Canal Plus e infine, nel 2002, a Murdoch, che la denominerà con il nome del suo gruppo: Sky”; e che sulle agevolazioni di Formica furono anche aperti dei fascicoli giudiziari contro Berlusconi. Cosa dovremmo capire allora, se non che il presidente del consiglio sta praticamente mettendo la pezza su una legge fatta in suo favore che gli si è poi ritorta contro?

E’ la solita questione del conflitto d’interessi che emerge ogniqualvolta in Italia si parli di televisione: per quanto riguarda la "pay per view", le uniche due vere realtà nel mercato della nostra penisola sono rappresentate dal digitale terrestre Mediaset e dalla piattaforma satellitare Sky. La loro é una storia di corteggiamenti e sgambetti che dura da almeno 6 anni e che pare destinata ad inasprirsi se effettivamente, dal 1° gennaio 2009, gli abbonamenti a Sky cominceranno a lievitare. Si calcola infatti che le perdite per il gruppo del magnate di Adelaide non saranno inferiori ai 200 milioni di euro, mentre per Mediaset il provvedimento inciderà solo per 3 milioni di euro. L’ennesima gabbata dell’amico Silvio all’amico Rupert, dopo la manbassa dei diritti calcistici della stagione corrente e soprattutto dopo l’operazione “digitale terrestre” con cui vennero decisi aiuti di Stato da 150 euro a chiunque comprasse i decoder digitali Amstrad (già stravecchi rispetto alla tecnologia della banda larga o della fibra ottica) distribuiti in Italia dalla “Solari.com” - ad oggi in liquidazione - azienda a cui fa capo Paolo Berlusconi, il fratello che solitamente si becca il costo della famiglia.

Il provvedimento nacque dalla ormai famosa legge Gasparri del 2004 che imponeva, entro il 2006, il cosiddetto “switch-off”, ovvero il passaggio definitivo dalla televisione analogica a quella digitale, e che di fatto aumentava la concentrazione duopolistica Rai-Mediaset (o meglio Mediaset-Rai) svantaggiando palesemente le emittenti locali a causa dell’oneroso obbligo di conversione tecnologica. Chiunque si accorgerebbe che in questo quadro il governo Berlusconi ha aggravato le imposte al suo unico vero concorrente; ma il premier, fedele da sempre alla linea del vittimismo politico, si ostina a controbattere che questo aumento deciso dal ministero del Tesoro è qualcosa che tange non poco anche il Biscione digitale, dato che il 27 novembre, proprio su Sky, è nata Mediaset plus, la rete satellitare in cui potremo vedere il meglio del peggio delle tre reti nazionalpopolari.

I conti però non tornano. E’ vero che il megagruppo di Murdoch ha ricavi in Europa per più di 11 miliardi di euro mentre la “povera” Mediaset fattura appena 4 miliardi; ma se al capitale di Mediaset aggiungiamo gli utili di 7 miliardi di Finivest ci rendiamo conto che l’aumento della tassazione ha un effetto decisamente maggiore per Sky. Ma non è tutto: mentre Sky deve pagare profumatamente i costi di esercizio del satellite con cui trasmette, Mediaset inonda le nostre case via etere ad un costo pari all’1% del suo fatturato. Se allora proprio bisognava batter cassa - perché è così che l’aumento ci è stato presentato dal ministro Tremonti - come mai non si sono ritoccate in eccesso le tariffe di affitto del “bene pubblico-etere”? Un centro commerciale qualunque, in qualunque posto d'Italia, paga più di affitto di quanto Mediaset paghi l'etere - bene limitato - allo Stato. La risposta potrà sembrare noiosa e ridondante, ma anche al più agguerrito fan del cavaliere balzerebbe alla mente lo spauracchio del conflitto d’interesse.

Per tutti quelli che invece rimangono ancora scettici sul problema che attanaglia la politica italiana da 14 anni, basteranno le parole dello stesso Berlusconi. Il 12 aprile 2008, appena un giorno prima delle elezioni, il nostro si reca in visita a La7 e, alla trasmissione “Otto e mezzo” pronuncia le seguenti parole: “C'è un quarto soggetto che è più importante di Rai e Mediaset messi insieme. Perché è un gigante mondiale e in più ha dei vantaggi enormi - le ricordo che Sky l'ho inventata io con Telepiù, e quindi la conosco molto bene - perché non solo raccoglie gli abbonamenti per una cifra che ormai sta diventando superiore al fatturato di Rai e di Mediaset, ma può raccogliere anche la pubblicità senza limiti... Sky è la televisione che sta, con la ricchezza di proposte che può portare ai telespettatori, consumando l'ascolto di Mediaset e di Rai giorno dopo giorno e arriverà ad essere sicuramente la più ricca televisione italiana in poco tempo”.

A voler essere maliziosi, si potrebbe dire che questo è stato l’ennesimo degli editti, ma se si guardano gli esposti presentati all’Unione Europea, se ne troverà uno del 2007 a firma Mediaset, in cui si denuncia la disparità di trattamento tra l’azienda made in Arcore e la piattaforma Sky e si pone come motivazione principale proprio l’agevolamento fiscale di cui gode quest’ultima. Da Bruxelles rispondono che, ovviamente, non è plausibile che per lo stesso servizio si paghino aliquote così diverse e che è necessario un adeguamento in orizzontale, non importa che le imposte siano al 10% al 20% o al 50%.

Insomma: il proprietario di Mediaset, nelle vesti di capo del governo, emana leggi che colpiscono duramente la concorrente della sua azienda. L’altra concorrente, la Rai, viene sistemata rendendola ingovernabile, piazzando le sue ex-segretarie nei ruoli apicali e i Villari nella Commissione parlamentare di vigilanza. Al resto pensa la sua Pubblitalia, in totale abuso di posizione dominante; risultato é che la Rai, pur avendo uno share di 4 punti superiore a Mediaset, percepisce - grazie al tetto, che Berlusconi si guarda bene dal rimuovere - introiti pubblicitari quattro volte inferiori. Del resto, è anche ovvio che le aziende inserzioniste preferiscano risultare clienti, quindi interlocutori, di quelle del capo del governo che, da Palazzo Chigi, dispensa aiuti e sanzioni. E, come si vede, aumenta le imposte ai suoi concorrenti. Meglio andarci d’accordo, no? Berlusconi ha risolto così il conflitto d’interessi: nessun conflitto tra lui e i suoi interessi.

Facilissimo fare orecchie da mercante, anche per l’opposizione che, dopo aver sprecato sette anni di governo senza riuscire ad emanare una legge che lo regolamentasse, preferisce oggi spendersi in elogi sperticati della tv satellitare. Memoria corta, visto che in tutta questa vicenda la cosiddetta opposizione pare essersi dimenticata che dietro Sky c’è pur sempre Rupert Murdoch: uno che, per quanto riguarda conflitti d’interesse e monopoli dell’informazione, non ha nulla da invidiare al nostro Silvio. Che poi quest’ultimo, oltre che ad essere un a magnate monopolista sia anche il leader di una nazione beh, è solo un problema nostro. I popoli hanno i re che si meritano.



Il vero conflitto di interessi
di Marco Ferri - Megachip - 3 Dicembre 2008

Fatto salvo il diritto di critica a una misura adottata dal governo, diritto esercitato da Sky, diretta parte in causa, ma anche giustamente esercitato dai giornali italiani, la polemica attorno al conflitto di interessi è un modo tipicamente italiano di affrontare la realtà.

Qualcuno ha giustamente detto che in Italia gli scandali non sono fatti, ma semplici opinioni. Il che di per se è proprio uno scandalo. Le parole logorano gli avvenimenti, i commenti esagerano il racconto dei fatti, il dibattito va sopra le righe, i toni si accendono, la polemica infuria. Dopo di che tutto si spegne, alla maniera del detto popolare che recita “passata la festa, gabbato lo santo”.

Il fatto è che il conflitto di interessi c’è. Il fatto è che la legge Frattini contro il conflitto di interessi non è mai stata efficace. Il fatto è che il precedente governo Prodi non ha modificato quella legge inefficace. Il fatto è che l’attuale governo nega l’esistenza del fatto che il conflitto di interessi ci sia. Dopo di che ognuno può legittimamente esprimere il suo punto di vista in merito. Ma le opinioni passano, i fatti restano. Questo modo di ragionare fa molto male alla comprensione della realtà, proprio in un momento cruciale della nostra economia, che perde colpi, sotto la pressione dei mercati globali, ma subisce i colpi di una visione per niente lucida della gravità della situazione.

Un lampante conflitto di interessi si sta sviluppando, ancora una volta tra i fatti e le opinioni. Telecom Italia annuncia altri 4mila esuberi, che si aggiungono ai 5mila già dichiarati. Fiat annuncia un massiccio ricorso alla cassa integrazione. Motorola ha chiuso a Torino. Panasonic ha chiuso a Pisticci, in Lucania. Anche la chimica del Nord Sardegna sta per lasciare a casa 14mila lavoratori.

Non basta. La CGIL parla di 450mila precari che perderanno il posto di lavoro. I sindacati di base parlano dell’allontanamento di oltre 500mila precari dalla scuola e dal pubblico impiego. La CISL prevede una perdita del posto di lavoro pari a 980mila unità. La vicenda Alitalia ha messo nell’incertezza migliaia di dipendenti. E’ un fatto assodato che i consumi stiano crollando. E’ un fatto assodato la crisi finanziaria stia avendo un impatto feroce sull’economia reale. Si possono avere opinioni diverse sull’efficacia delle misure anti-crisi adottate dall’attuale governo. Ma non si può negare la gravità di una situazione che giorno per giorno si sta allargando a tutti i comparti della nostra economia: dalla manifattura ai servizi, dal commercio ai trasporti, dalla grande alla piccola e media azienda, dal lavoro dipendente a quello autonomo, dai media alla pubblicità.

Il vero conflitto di interessi del Paese è negare i fatti, a favore di una professione di ottimismo che non ha solide basi, se non quelle di un atteggiamento fondamentalista circa le capacità automatiche del mercato di rigenerare se stesso.

La consapevolezza della gravità della situazione aiuta la ricerca di soluzioni credibili ed efficaci. Al contrario, diffondere vaghi appelli all’ottimismo e alla fiducia fa perdere tempo alle decisioni, confonde le idee, disperde energie altrimenti meglio utilizzabili. Non è più il tempo in cui l’emozione possa prendere il posto della ragione. Se guardiamo in faccia la crisi, siamo già nella condizione di superarla. Se ne neghiamo la portata, ne diventiamo gregari, ci trasformiamo in portatori sani di una delle peggiori malattie economiche mai viste.

E’ bene allora che l’informazione dica le cose come le cose stanno. E’bene che lo facciano i giornali, che lo faccia la tv. Sarebbe un sollievo se lo facesse la politica. E’ bene che lo capisca anche la pubblicità: basta emozioni, intenti aspirazionali, ragionamenti con “la pancia”. E’ il momento dell’intelligenza, dell’arguzia, della sobrietà, dell’irriverenza verso il convenzionale e il conformismo. Sia nella creazione di nuove idee, sia nel metodo e negli strumenti. Solo così le marche non entrano in conflitto di interessi con il sentire comune dei consumatori. Beh, buona giornata.