mercoledì 17 dicembre 2008

L'addio iracheno al cane texano

E' d'obbligo omaggiare ancora una volta l'Eroe della Scarpa, il giornalista iracheno Munthadar al-Zeidi che, dopo il suo eroico gesto, sta ora marcendo in una fetida cella irachena con il volto tumefatto, un braccio fratturato e alcune costole rotte.
E rischia pure una condanna fino a 15 anni.

Va inoltre ricordato che questo giornalista l'anno scorso era stato rapito e torturato dalle milizie sciite legate al governo.

Al-Zeidi e' diventato ormai un eroe in tutto il Medio Oriente e restera' negli annali la sua frase pronunciata poco prima di tirare le sue scarpe al Sommo Idiota:"Questo e' il bacio d'addio da parte del popolo iracheno, cane!".


Qui si puo' firmare per "La campagna delle 50.000 firme" per chiedere la sua liberazione.



Munthadar al-Zeidi: un eroe contemporaneo
di Ilvio Pannullo - Altrenotizie - 16 Dicembre 2008

Il grande imperatore americano George W. Bush ha deciso di fare ieri una rapida visita in Iraq. Qui - straordinariamente - ha potuto godere, per la prima volta, del sincero intrattenimento della popolazione locale, venendo accolto con uno dei riti di apprezzamento più sacri del mondo arabo: il lancio della scarpa. In quella felice terra pacificata grazie all’intuito, all’acume e all’accurata pianificazione della sua squadra di assi, quella stessa terra nella quale è stato capace di dichiarare "missione compiuta" più di cinque anni fa, l’ancora per poco Presidente degli Stati Uniti ha potuto toccare con mano quanto grata gli è la popolazione irachena: Montasser al Zaidi, giornalista sciita di 28 anni regolarmente accreditato per il canale tv al-Baghdadiya, ha cercato di colpirlo due volte lanciandogli contro le proprie scarpe, oramai già divenute un simbolo. Non si sarebbe potuta immaginare una scena migliore con cui chiudere l’ultimo viaggio della Presidenza Bush in Iraq.

Non un semplice viaggio, tuttavia; non un semplice giro di giostra nella terra liberata dai suoi amatissimi soldati, ma un viaggio super segreto, degno del migliore agente 007. Ai pochissimi giornalisti che avrebbero dovuto seguire il Presidente nella trasferta sull’ Air Force One, sono stati, infatti, preventivamente sequestrati i tutti i cellulari. Lo stesso presidente Bush, per salire sul proprio aereo, si è dovuto travestire e, dopo l’umiliante episodio - stando a quanto raccontato dai giornalisti al seguito - ha trovato anche l’umorismo per essere contento del fatto che nessuno lo avesse riconosciuto.

Questo, forse più di qualsiasi altra cosa, dà oggi la reale misura di cosa sia l’Iraq: un paese dove il presidente che ha speso più di 4000 vite americane, 35.000 feriti oltre a – secondo la stima del premio nobel per l’economia Joseph Stiglitz - quasi 3 trilioni di dollari, deve andare in giro alla chetichella, cercando di fare meno rumore possibile.

Il comandante in capo dei liberatori americani é dovuto volare direttamente all’aeroporto di Bagdad per poi rintanarsi dentro la zona protetta, non potendo neanche osare attraversare le strade di quella città che, in teoria - questo ci era stato detto quasi sei anni fa - avrebbero dovuto festeggiare il passaggio dei suoi amati yenkee con lanci di fiori e festeggiamenti. Come se non bastasse, la sua apparizione ad una conferenza stampa è stata interrotta - evento unico nella storia americana - da un giornalista iracheno che ha gridato in arabo: "Questo è un regalo degli iracheni; questo è il bacio di addio, cane".

Il giornalista ha poi tirato una delle sue scarpe verso il presidente, che si è chinato e ha di poco evitato il colpo. Mentre si sollevava il caos, l’impavido Zaidi, risoluto nei suoi convincimenti, ha dunque tirato la sua seconda scarpa chiosando: "… questo è da parte delle vedove, degli orfani e di coloro che sono stati uccisi in Iraq". Purtroppo anche la seconda scarpa ha mancato di poco il presidente Bush, mentre il primo ministro Nuri Kamal al-Maliki allungava una mano di fronte alla faccia del presidente per aiutarlo a proteggersi.

È questo il segno esasperato, tangibile, concreto, di come questa guerra, voluta più di ogni altra cosa dalla cricca dei neoconservatori ed imposta con la forza dei soldi e del petrolio in spregio alle più elementari norme di diritto internazionale, sia un fallimento senza precedenti per l’amministrazione americana. Un fallimento confermato da un rapporto governativo non ancora reso pubblico ma di cui il New York Times è venuto a conoscenza. Raccogliendo elementi e stralci di questa “bozza” il giornale afferma, infatti, che tutti gli sforzi rivolti a ricostruire il paese mediorientale dopo l'invasione del 2003 ed in particolare a ridare forza alla polizia e all'esercito, sono stati paralizzati da dispute burocratiche e dalla pessima conoscenza della società irachena.

Il Pentagono, denuncia chiaramente il rapporto di 513 pagine, ha cercato di nascondere il fallimento gonfiando e modificando le cifre. Un rapporto che semplicemente registra il fallimento del piano da 100 miliardi di dollari per la ricostruzione dell’Iraq. Secondo quanto detto riportato, questa immensa quantità di denaro, centinaia e centinaia di miliardi, si sarebbe, infatti, dispersa nei canali e nei rivoli della corruzione dell’anomalo governo iracheno.

Questo strano governo, solo apparentemente democratico, guidato dal premier al-Maliki, è in realtà solo un agglomerato di fazioni e di cosche che ha preso il controllo del paese e che ha messo le mani su questa immensa torta. Il rapporto rende poi noto che solo recentemente, nella strettissima attualità, si è tornati ai livelli di produzione di energia elettrica precedenti l’inizio della guerra. Quindi a quasi 6 anni di distanza dall’inizio del conflitto che, è bene ricordare, è iniziato nel marzo del 2003, dopo migliaia di morti e centinaia di migliaia di feriti americani da una parte e milioni di morti e profughi iracheni dall’altra, dopo una quantità inimmaginabile di dollari americani, l’Iraq oggi può essere ben felice di essere tornato peggio di dov’era al momento dell’inizio del conflitto. Fortuna che ci sono le scarpe, verrebbe da dire.

Impalata, brandita, inchiodata o anche solo mostrata è infatti la scarpa, adesso, il nuovo simbolo della protesta anti-Bush a Bagdad, oltre a diventare la protagonista delle contestazioni in piazza contro l’arresto del giornalista iracheno. Tocca sottolineare, infatti, che il lancio delle scarpe è un'ingiuria particolarmente grave per la cultura araba, tanto più che il cronista ha tacciato il presidente Usa di essere un cane, offesa pesantissima essendo un animale considerato impuro dai musulmani. Per questo al Zaidi rischia ora, infatti, una condanna a due anni di carcere per oltraggio a un capo di Stato straniero in visita, che diverrebbero addirittura quindici se fosse giudicato colpevole di tentato omicidio.

Fortunatamente al fianco dell’eroico giornalista sono scesi più di 200 avvocati iracheni e di altri Paesi. Un esercito di legali pronti a difenderlo, a titolo gratuito, dice Khalil al-Dulaymi, ex avvocato del defunto presidente iracheno Saddam Hussein. "La nostra linea difensiva - dice l'avvocato - si baserà sul principio che gli Stati Uniti occupano l'Iraq e che quindi ogni forma di resistenza è legittima, compreso il lancio delle scarpe".
Il gesto di al Zaidi ha trovato, poi, anche il plauso del consiglio degli Ulema: "Un momento storico - lo definiscono - che ha mostrato agli Stati Uniti ed a tutto il mondo quello che gli iracheni pensano dell'occupazione".

Una cosa è sicura: questa è stata, quasi sicuramente, la circostanza in cui Bush si è più avvicinato ad un diretto confronto con la realtà della sua eredità in Iraq. Per l'uccisione di più di un milione di bambini, donne, uomini, malati, deboli, vecchi e giovani, l'espropriazione della loro terra a più di 4 milioni di esseri umani innocenti e la distruzione di un'intera società che non aveva fatto alcun male agli Stati Uniti, né aveva messo in atto alcuna minaccia contro di essi, l’onta di dover schivare due scarpe. Sempre troppo poco.