sabato 6 dicembre 2008

Crollo economico: ora negli USA e' il turno delle auto

Finora negli USA la recessione è già costata quasi 2 milioni di posti di lavoro, il peggior risultato da 34 anni a questa parte.
Obama ha commentato questi pesanti numeri relativi al mercato del lavoro affermando "E' per questo che abbiamo bisogno di un piano di ripresa economica che crei almeno 2,5 milioni di posti di lavoro nei prossimi due anni. È il momento di rispondere con urgenza a una crisi che ci offre anche la possibilità di trasformare la nostra economia e migliorare la vita".

Ma anche Obama e' convinto che la situazione è destinata a peggiorare prima dell'inizio di una ripresa "Non ci sono scappatoie veloci o facili da questa crisi, che covava da molti anni".

Lo stesso Bush ha commentato i dati sull'occupazione riconoscendo che gli Stati Uniti sono in piena recessione e si è detto particolarmente preoccupato per la situazione delle compagnie automobilistiche, non escludendo l'ipotesi di fallimenti. Allo stesso tempo ha espresso forti dubbi sugli aiuti alle industrie del settore, cioe' sull'ipotesi di "soldi dei contribuenti versati a quelle compagnie che potrebbero non sopravvivere". Bush ha infine concluso affermando che "è importante che il Congresso agisca la prossima settimana su questo piano. Ed è importante che ottenga la garanzia che i soldi dei contribuenti verranno poi restituiti se verranno versati alle compagnie".

Ma certo, come no...

Intanto nel tentativo di elemosinare prestiti e linee di credito governativi per un totale di 34 miliardi di dollari, Robert Nardelli - Ceo di Chrsyler - ha detto che a sabato scorso 240 rivenditori Chrysler erano falliti e altri 250 non avevano più credito, sottolineando che le istituzioni finanziarie sono esposte verso i tre maggiori produttori di auto del Paese per oltre 300 miliardi di dollari, lasciando intendere che un'eventuale bancarotta avrebbe conseguenze pesanti anche per il comparto finanziario. Nardelli ha pure ricordato che ci sono un milione di persone che dipendono dalla sopravvivenza di Chrysler.

Il numero uno di General Motors, Richard Wagoner, si è soffermato invece sulle questioni legate al pagamento delle pensioni agli ex dipendenti della casa automobilistica e ha detto che la possibilità per la finanziaria Gmac di ricorrere ai prestiti governativi, nel quadro del piano varato per il settore finanziario, è ancora oggetto di studio.
Comunque Gm ha annunciato il taglio della produzione in tre impianti americani, con la conseguente riduzione di quasi 2000 posti di lavoro.

Che gran figli di....

Intanto negli Stati Uniti, nel solo mese di novembre, si sono persi ben 533.000 posti di lavoro, il calo più importante dal dicembre del 1974. Molti di più di quanti erano attesi dagli analisti, che ne prevedevano 350.000. L'indice di disoccupazione sale così al 6,7% dal 6,5% di ottobre. Si tratta del massimo livello dall’ottobre del 1993. Livello che sarebbe stato ancora più alto se molti aspiranti lavoratori non si fossero cancellati dalle liste di collocamento, perché hanno smesso di cercare un'occupazione.

A ottobre il calo era stato di 320.000 unità (dato rivisto dagli iniziali -240.000 posti) e a settembre di 403.000 unità (dato rivisto dagli iniziali -284.000 posti).
Quindi negli ultimi tre mesi l'economia americana ha perso ben 1,256 milioni di addetti e oltre 2 milioni di lavoratori dall'inizio dell'anno.

Più in dettaglio, nell'industria sono state cancellate 85.000 posizioni (-104.000 a ottobre) di cui 13.100 solo nel settore auto. Pesante il bilancio anche nel settore dei servizi dove sono state eliminate 370.000 posizioni più del doppio rispetto alle 153.000 cancellate a ottobre. Nel comparto delle costruzioni si sono registrati 82.000 occupati in meno e in quello finanziario sono stati cancellati 32.000 posti.

E come direbbe l'inguaribile ottimista Berlusconi, "Va tutto bene, madama la Marchesa".



Usa, dopo le Borse ecco il crollo dell'auto
di Ilvio Pannullo - Altrenotizie - 5 Dicembre 2008

La gravità della crisi in cui versa il settore automobilistico americano è sintetizzabile nei volti di Rick Wagoner, Alan Mulally e Bob Nardelli. Le espressioni che si leggono sulle facce degli amministratori delegati delle “Big Three” di Detroit General Motors, Ford e Chrysler, non hanno bisogno di commenti. Costretti a recarsi in pellegrinaggio al Congresso, per metà come imputati della crisi e per metà come questuanti alla ricerca di aiuti, hanno dichiarato che senza soccorsi rapidi è in gioco la stessa sopravvivenza delle loro rispettive corporations. La profondità del collasso è misurata dallo sprofondare delle vendite, cadute ai minimi da 25 anni con una flessione-simbolo del 32% in ottobre, la dodicesima consecutiva, a 836.156 veicoli, pari a vendite su base annuale inferiori ai 10,6 milioni rispetto ai 16 del 2007: il mese più nero dalla fine della seconda guerra mondiale. Solo nei primi dieci mesi del 2008 il declino è stato del 15 per cento.

E novembre e dicembre, secondo gli analisti, potrebbero chiudere ancora peggio. Il 12 novembre scorso, non contenta, la sola General Motors ha perso in un unico giorno di contrattazioni quasi il 30% del proprio valore di mercato, tornando ad avere la stessa capitalizzazione che aveva nel lontanissimo 1946: in 24 ore un salto indietro nel tempo di ben 62 anni. Appare evidente a tutti che non si regge a lungo in una simile condizione: la grande azienda, un vero simbolo dell'industria, del sogno e dello stile di vita americano non è alla frutta, è all'ammazzacaffè.

La crisi finanziaria, dopo le banche, punta a disossare, dunque, un altro settore chiave per le economie occidentali: il settore automobilistico. Questo, tuttavia, ed è bene ricordarlo, non senza la complice responsabilità dei rispettivi manager, colpevoli di aver seguito politiche industriali che definire poco lungimiranti sarebbe un eufemismo. La realtà, però, impone di agire: sono a rischio milioni di posti di lavoro.

Se lasciar morire l'industria dell'auto - qualora lo meriti - è doveroso, meno saggio è farlo, infatti, in un momento come questo, nel mezzo di una crisi finanziaria tra le peggiori dell’ultimo secolo. L'industria automobilistica occupa negli States circa 3 milioni di persone: mandarle tutte a spasso in un colpo solo, considerata l’inesistenza di ammortizzatori sociali, significherebbe probabilmente dare il colpo di grazia all'intero Paese e, di conseguenza, all’economie di mezzo pianeta. Mentre tutti gli occhi sono puntati sul salvataggio delle banche, una grande quantità di denaro, infatti, è stata trasferita nelle tasche di un’altra causa che non se lo merita.

Già il 25 settembre scorso, George W. Bush accordò un prestito di 25 miliardi di dollari al settore automobilistico. Un prestito a basso interesse che, secondo Bernard Simon del Financial Times, costerà al governo non meno di 7,5 miliardi in termini di mancati interessi percepiti dalle casse dello Stato. Purtroppo poche persone se ne sono accorte e meno ancora hanno combattuto per contrastarne l’effetto.

La Camera dei Rappresentanti ha approvato la misura con 370 voti a favore e 58 contrari ed il grande salvataggio, purtroppo, si sta estendendo come una piaga ed ha già attraversato l’Atlantico. Considerata la compiuta globalizzazione del mercato automobilistico, infatti, il 6 ottobre, stando a quanto riportato dall’ACEA (the European Automobile Manufacturers Association. ndr), le imprese europee del settore hanno domandato che l’Unione Europea accordasse loro 40 miliardi di Euro in prestiti agevolati, per eguagliare i sussidi degli Stati Uniti ed evitare le inevitabili storture che ne deriverebbero per la libera concorrenza.

Dopo il rifiuto di Bruxells sarà, dunque, inevitabile che la crisi americana produca disastrose conseguenze a catena in termini di occupazione, a cominciare proprio dalle fabbriche del gruppo GM presenti in Europa. La situazione finanziaria per il colosso americano - ma in realtà per l’intero settore automobilistico - è a tal punto compromessa, infatti, che General Motors, presente anche nel vecchio continente con il marchio tedesco Opel, potrebbe estendere uno stop produttivo a tutti i suoi stabilimenti europei per alcune settimane.

Per Rainer Einenkel, rappresentante sindacale dell’impianto Opel di Bochum, il gigante americano starebbe programmando l’ennesima pausa produttiva per la fine di dicembre, dopo quella già realizzata nelle ultime due settimane di novembre. Se si deve tagliare, infatti, è sempre preferibile farlo nelle filiali estere che a casa propria, per la felicità di quanti della crisi pagheranno solo gli effetti. Così, all’inizio del mese scorso la GM aveva ufficializzato che, a causa della congiuntura economica globale, sarebbe stata costretta a cessare la produzione dei due impianti, con più di 6500 dipendenti, situati in Germania. La produzione verrà inoltre soppressa di 40.000 unità entro l’anno: la vendita dei modelli targati GM è infatti diminuita del 30% secondo quanto afferma il numero uno di GM Europa, Carl-Peter Forster.

In Italia la situazione non è migliore. È notizia di ieri, infatti, il calo del 29,46% delle vendite delle vetture vendute nel mercato dell'auto italiano. Rispetto allo stesso mese dello scorso anno sono state vendute quasi 60mila unità in meno, fermandosi a quota 138.352. Si tratta del maggior calo mensile dal 1993. La situazione si rivela per quella che è: drammatica. La grave crisi economica di queste ultime settimane ha investito, ovviamente, anche la Fiat: la casa italiana, per far fronte al difficile momento, sarà costretta a varare numerosi provvedimenti di cassa integrazione. Lo stabilimento di Mirafiori è stato fermato per 14 giorni - anziché 7 come annunciato precedentemente - nel solo mese di novembre.

Più di 3500 addetti, eccetto quelli impiegati nella catene di assemblaggio dell’Alfa MiTo, sono stati già fermati e nulla lascia intendere che la situazione possa migliorare. Altri 1200 dipendenti saranno cassaintegrati all’Iveco Powertrain di Torino. A dare il segno del generale arretramento del settore il raddoppio del ricorso alla cassa integrazione anche per i lavoratori di Cassino e Termini Imerese, mentre a Pomigliano lo stop rimarrà di una sola settimana. Così, davanti all’incedere della recessione, davanti all’attualissimo rischio di masse di lavoratori messi in mobilità, in cassa integrazione o, come nel caso dei precari, direttamente in strada, tanto in America quanto in Europa, si assisterà ora all’attacco alla diligenza.

Mascherato dal velo dell’odioso ricatto, che vede sul piatto della bilancia migliaia di famiglie pronte a finire sul lastrico, i primi responsabili del disastro inizieranno ora a richiedere, sempre più insistentemente, misure per mascherare il proprio fallimento. E questo nonostante in tutti questi anni l’industria automobilistica abbia fatto di tutto per evitare il cambiamento tecnologico, avendo cercato di spremere sino all’ultima goccia la tecnologia esistente prima di cambiare verso modelli migliori.

Ma i sussidi sono ciò che i governi pagano quando non esiste una regolazione. E’ una buona scommessa, infatti, dire che i produttori europei continueranno a non perseguire gli obiettivi sulle emissioni, anche nell’eventualità che si decida di dare loro il denaro che richiedono. Se è vero, infatti, che non è giusto che a pagare per le fallimentari politiche industriali debbano essere sempre i lavoratori, è vero anche che l’atto più ecologico che possono fare ora i governi è permettere che questi striscianti divoratori del pianeta affondino nella miseria.



Salvando i "grandi 3" per te e per me...
di Michael Moore - Commondreams - 3 Dicembre 2008

Amici, io guido un’auto americana, una Chrysler. Non ne sto facendo la pubblicità, sto solo lanciando un grido di compassione. C’è una lunga storia, vecchia di decenni, raccontata e riraccontata da decine di milioni di americani, di cui un terzo ha dovuto “rinnegare” il paese semplicemente per trovare un modo di recarsi al lavoro in qualcosa che non si guastasse.La mia Chrysler ha quattro anni. L’ho comprata per lo stile di guida agile e comodo. Allora la fabbrica era di proprietà della Daimler-Benz, che ha avuto il buon senso di piazzare lo chassis Chrysler su semiasse Mercedes. Che guida ragazzi! Quando parte…!

Più di una dozzina di volte quest’anno la mia auto si è rifiutata di mettersi in moto. Ho cambiato le batterie, ma non era quello il problema. Anche mio padre guida lo stesso modello, e anche la sua macchina lo ha lasciato a piedi molte volte. Semplicemente non parte, senza alcun motivo!Qualche settimana fa l’ho portata ad un’officina Chrysler qui in nord Michigan; per farla aggiustare ho speso 1.400 dollari. Il giorno dopo la consegna l’auto non partiva già più. Quando sono riuscito a farla partire, la luce dei freni iniziò a lampeggiare. E così via.

Da questo potreste desumere che a me di questi incapaci costruttori di automobili di merda nei paraggi di Detroit non me ne può fregar di meno. Invece no. Me ne preoccupo. Mi preoccupo per i milioni di persone le cui vite e sostentamento dipendono dalle fabbriche di automobili. Mi sta a cuore la sicurezza e la difesa di questo Paese perché il petrolio sta per finire – e che quando finirà, il disordine e il cataclisma che ne seguiranno faranno sembrare l’attuale recessione/depressione come un musical alla Tommy Tune.

Mi preoccupo di quel che succede ai Grandi 3 perché sono i più responsabili di quasi tutti per la distruzione della nostra fragile atmosfera e per il costante scioglimento delle calotte polari.

Il Congresso deve sanare le infrastrutture industriali controllate da queste fabbriche e il lavoro che procurano, come deve liberare il mondo dal motore a scoppio. Questo enorme sistema manufatturiero può redimersi iniziando a costruire su vasta scala automobili elettriche o ibride e il tipo di trasporti di cui il XXI secolo ha bisogno.

Il Congresso deve far questo NON dando a General Motors, Ford e Chrysler i 34 miliardi di dollari che stanno chiedendo in “prestito” (qualche giorno fa volevano soltanto 25 miliardi, ecco quanto sono stupidi, non sanno neanche di quanti soldi han bisogno per pagare i salari. Se voi o io provassimo ad ottenere un prestito bancario in questo modo, non solo ci sbatterebbero fuori, ma ci ascriverebbero a qualche lista nera come insolventi).

Due settimane fa i direttori generali delle Grandi 3 sono stati presi a pesci in faccia da una commissione Congressuale che li ha scherniti e negato loro il trattamento di favore che avevano accordato ai finanzieri solo un paio di mesi prima. In quell’occasione i politici fecero una gara di servilità nei confronti di Wall Street con i farabutti seguaci degli schemi bizantiniani di Ponzi dove scommettevano con i soldi degli altri su azzardati schemi finanziari conosciuti in gergo come fate e unicorni.

Ma i ragazzi di Detroit vengono dal Midwest, dalla “cintura arrugginita”, dove si costruiscono cose vere, necessarie, che i consumatori possono toccare e comprare, dove il denaro si ricicla continuamente nell’economia (incredibile!), dove si sono formati i sindacati che hanno creato il ceto medio, e che mi hanno aggiustato i denti gratis quando avevo dieci anni. Per tutto questo, i capitani dell’industria automobilistica a novembre hanno dovuto sentirsi ridicolizzati per il modo in cui sono arrivati a Washington DC.

Sì, hanno volato sui jet privati delle loro ditte, proprio come fecero i banchieri e i ladri di Wall Street a ottobre. Ma, attenzione, QUELLO andava bene! Loro erano i veri Maestri dell’Universo! Solo i migliori mezzi di trasporto sono adeguati per la Grande Finanza mentre si prepara a depredare i tesori della nazione.

Naturalmente una volta erano i magnati dell’auto a governare il mondo. Erano il cuore pulsante che tutte le altre industrie – acciaierie, raffinerie, cementifici – servivano. Cinquantacinque anni fa il presidente della General Motors, seduto proprio a Capitol Hill, informò apertamente il Congresso che gli interessi di GM erano gli interessi del paese. Perché, a suo modo di vedere, General Motors ERA il paese.

Ma che lunga, deprimente caduta in disgrazia abbiamo avuto modo di testimoniare il 19 novembre, quando i tre topini ciechi sono stati bacchettati e rimandati a casa a scrivere un tema dal titolo “Perché Voi Dovreste Darmi Miliardi di Dollari Gratis”. Gli hanno perfino chiesto se avrebbero lavorato per un dollaro all’anno. Beccatevi questo! Che Congresso grande e coraggioso!

Proporre a tre dei più potenti (ancora) uomini al mondo una specie di contratto di servilità… Questo da parte di un Congresso senza spina dorsale che non osa ribellarsi a un presidente in disgrazia né dire no a finanziamenti per una guerra che né loro stessi né gli americani che rappresentano appoggiano. Incredibile.

Lasciatemi dire una cosa ovvia: ogni singolo dollaro che il Congresso dà alle tre ditte automobilistiche verrà immediatamente gettato nel cesso. Non c’è niente che gli amministratori delle tre grandi case automobilistiche possano inventarsi che convincerà la gente ad uscire in una recessione e comprare uno dei loro grossi, scadenti prodotti assetati di benzina. Dimenticatevelo.

E, come sono sicuro che i Detroit Lions della famiglia Ford non andranno al Super Bowl – mai – posso garantirvi che questi, dopo aver bruciato i 34 miliardi di dollari, ritorneranno la prossima estate per altri 34 miliardi.

Allora, che fare?Membri del Congresso, eccovi la mia proposta:

1. Il funzionamento dei trasporti in America è una delle questioni più importanti che il governo deve affrontare, e siccome stiamo attraversando un’enorme crisi economica, energetica e ambientale, il nuovo presidente del Congresso deve fare ciò che Franklin Roosevelt fece quando si trovò ad affrontare la famosa crisi (…solo che lui ordinò alle industrie automobilistiche di smettere di costruire automobili ma di costruire aerei e carri armati): i Grandi 3 devono, d’ora in poi, costruire soltanto automobili che non siano petrolio-dipendenti, e, cosa più importante, costruire treni, autobus, linee metropolitane e tramviarie (un corrispettivo progetto di lavori pubblici nazionale costruirà binari e linee ferroviarie). Questo oltre a salvaguardare posti di lavoro ne creerebbe altri milioni.

2. Potreste comprare TUTTE le azioni della General Motors per meno di 3 miliardi di dollari. Perché dovreste dare a GM 18 miliardi o 25 miliardi o cifre del genere? Prendete i soldi e comprate la fabbrica! (ad ogni modo se fate loro un “prestito” domandereste una garanzia da parte loro, e siccome noi sappiamo che loro non ripagheranno quel prestito, alla fine acquisireste la fabbrica comunque. Perciò perché aspettare? Compratela adesso.)

3. Nessuno di noi vuole ufficiali governativi a capo di un’industria automobilistica, ma ci sono molti geni dei trasporti che potrebbero essere impiegati per questo. Abbiamo bisogno di un Piano Marshall per staccarci dai veicoli a benzina e trasportarci nel XXI secolo.

Questa non è una proposta eversiva o fuori dal mondo. Ci vuole soltanto l’uomo più in gamba che mai sia diventato presidente per metterla in atto. Cosa propongo ha già funzionato. Il sistema ferroviario nazionale era un macello negli anni ’70. Il governo intervenne, lo risanò e una decina di anni dopo lo rivendette a privati con un profitto di un paio di miliardi di dollari che rimpinguarono le casse del Tesoro.

Questa proposta può salvare la nostra infrastruttura industriale – e milioni di posti di lavoro. Non solo, ma ne creerebbe altri milioni. Potrebbe letteralmente trascinarci fuori da questa recessione.
Al contrario, ieri General Motors ha presentato la sua proposta di ristrutturazione al Congresso, promettendo che, se il Congresso gli darà 18 miliardi di dollari adesso, loro elimineranno 20.000 posti di lavoro. Avete letto bene. Noi diamo loro miliardi sicché loro possano sbarazzarsi di altri lavoratori americani. Questa è stata la loro Grande Idea degli ultimi 30 anni – licenziare migliaia di persone per salvaguardare i profitti della societa.

Nessuno però ha mai fatto loro questa domanda: “Se tu licenzi tutti quanti, chi avrà i soldi per comprare le tue automobili?”Questi idioti non si meritano un centesimo. Licenziamoli tutti e prendiamoci le loro industrie per migliorare la vita delle persone, del paese e del pianeta.

Gli interessi di General Motors SONO gli interessi della nazione... Per una volta è la nazione a dettare i termini.