lunedì 29 dicembre 2008

Le bolle col buco

Qualche altro articolo su cio' che ci aspetta nel 2009.

Misure anti-crisi: in ordine sparso contro lo tsunami
di Mario Braconi - Altrenotizie - 29 Dicembre 2008

L’Italia è in recessione. Le stime OCSE prevedono che il prodotto interno italiano decrescerà dello 0,4% nel 2008 e dell’1% nel 2009. Nel nostro Paese ben 400.000 persone perderanno il lavoro, mentre il tasso di disoccupazione toccherà l’8% (oggi è il 6,9%).
Ad aggravare la preoccupazione dei cittadini, lo spettacolo di un’Europa concorde nel riconoscere il fallimento del mercato, eppure incapace di attuare misure unitarie o almeno fortemente coordinate contro la crisi.
L’Ecofin del 2 dicembre scorso, infatti, si è concluso con una dichiarazione piuttosto generica che, oltre a stabilire un tetto per gli interventi dei governi (200 miliardi di euro, ovvero l’1,5% - circa - del Prodotto Interno Lordo UE), contiene affermazioni piuttosto ovvie (ad esempio “gli stimoli fiscali a breve termine devono essere coerenti con strategie di bilancio a medio termine prudenti”; gli interventi “aumenteranno temporaneamente i deficit pubblici”).
La Francia e (meno prevedibilmente) la Gran Bretagna, da versanti politici opposti, costituiscono la nuova avanguardia keynesiana, favorevole ad un intervento massiccio dello Stato nel rilancio dell’economia, anche a costo di un peggioramento temporaneo dei conti pubblici.
Se Sarkozy ha licenziato un pacchetto da 26 miliardi di euro e, senza falsi pudori, ha annunciato ai colleghi che il rapporto tra deficit/PIL con ogni probabilità sarà superiore al prescritto 4%, Mr. Brown ha messo sul piatto ben 20 miliardi di sterline per sostenere l’economia, pari all’1% del prodotto interno lordo del paese.
In un discorso che ha tenuto a New York a novembre il Primo Ministro britannico ha esplicitamente evocato Sir John Maynard Keynes, ricordando come, alla fine degli anni Venti, le proposte del grande economista britannico furono liquidate dall’allora Ministro dell’Economia con una sentenza composta di tre, durissime, parole: “Inflazione, stravaganza, fallimento”.
Se Francia e Gran Bretagna assomigliano un po’ alle allegre cicale della favola di Esopo, la Cancelliera tedesca Angela Merkel sembra confinata al ruolo della formica guastafeste. Che i tedeschi restino piuttosto freddi di fronte alle insistenze degli altri due Paesi a fare di più è comprensibile: infatti, anche dopo aver messo a disposizione 32 miliardi di euro per combattere la recessione (1,3% del Prodotto Interno Lordo), il governo tedesco quest’anno presenterà un bilancio pubblico in pareggio (cosa che non accadeva da quasi 40 anni) e vuole difendere ad ogni costo questo importante risultato.
Ma la questione dell’entità dell’impegno finanziario forse non è il cuore del problema: se infatti, a margine dell’incontro del 12 dicembre, la Cancelliera ha dichiarato di appoggiare il piano Barroso (il che vuol dire che aumenterà l’entità dell’intervento), la frattura che separa la Germania dagli altri due partner è di carattere filosofico: i tedeschi, forse per motivi legati alla loro storia, non amano gli interventi in “deficit spending”, privilegiando invece un approccio orientato alla stabilità macroeconomica di lungo periodo.
E’ indicativo il commento tranchant rilasciato dal Ministro tedesco delle Finanze al settimanale NewsWeek a proposito della riduzione dell’IVA decisa dal governo Brown: “Con il suo piano di rilancio da 24 miliardi di euro, il Governo Brown aumenterà il debito a un tale livello che ci vorrà una generazione per ripianarlo”.
A proposito di “deficit spending”, la riduzione dell’IVA britannica (dal 17,5% al 15%, soglia minima per tutti i Paesi della Unione Europea), da cui il Cancelliere dello scacchiere Alistair Darling si attende effetti positivi per 12,5 miliardi di sterline, non piace per niente nemmeno agli amici francesi, convinti che “altre misure, come quelle di insistere sull'innovazione e sulla ricerca siano più efficaci per le nostre economie”.
Aggiungiamo sommessamente che, se da un lato la manovra sull’IVA è semplice da agire, ha il difetto di avvantaggiare indifferentemente tutti i cittadini indipendentemente dal reddito. In ogni caso, va dato atto a Darling di aver finanziato le misure anti-crisi con una stangata sui redditi più elevati: per chi guadagna oltre 150.000 sterline l’anno, a partire da aprile 2011, l’aliquota passerà infatti da 40 a 45%.
Per quanto riguarda l’Italia, possiamo dire che (a parole) era partita benissimo, annunciando un piano da 80 miliardi (16 novembre) e che poi si è un po’ persa per strada.
A forza di continue revisioni al ribasso, il valore del decreto anti-crisi è sceso fino a 6 miliardi di euro, per poi, miracolosamente, trasformarsi in un intervento a costo zero, cioè senza impatto sulle casse dello Stato: anzi, secondo un interessante studio dell’economista Tito Boeri, il valore assoluto delle misure di sostegno messe in campo (social card, bonus, misure a favore dei mutuatari…) sarebbe addirittura inferiore a quello delle coperture reperite, il che produrrebbe un profitto netto di circa 400 milioni di euro per il governo: insomma, lo Stato guadagna anche sugli interventi di incentivo all’economia.
E’ sempre interessante rilevare come il nostro Paese, nelle mani dell’innegabile “genio finanziario-creativo” di Giulio Tremonti, si muova sempre in controtendenza rispetto al resto del mondo. Se dappertutto si incentivano i cittadini a investire nell’efficienza energetica, noi li bastoniamo con provvedimenti retroattivi (salvo poi tornare indietro); mentre altri Paesi, come la Gran Bretagna, mettono in campo enormi quantità di risorse abbassando le tasse in modo veloce (sia pur con i distinguo di cui sopra) salvo poi ritrovare la copertura con un aumento delle aliquote sui redditi più alti a crisi superata, ecco che noi finanziamo le misure anticrisi aumentando le tasse.
Il lavoro di Boeri dimostra ad esempio come il costo complessivo del bonus famiglia, del contratto di servizio con Trenitalia e del contributo interessi sui mutui (3.230 milioni di euro) venga integralmente coperto con aumenti di tasse (imposte sulla rivalutazioni immobili, voce che peraltro include anticipazioni di entrate che si vedranno solo in futuro, più i due celeberrimi provvedimenti assurti all’onore delle cronache: l’aumento IVA sulla pay-tv “non berlusconiana” e la tassa sul porno).
Senza considerare che bonus e social card, pur avendo il merito di produrre una lieve ed assai imperfetta redistribuzione del reddito a favore delle fasce più povere della popolazione (il limite di età finisce per escludere i giovani dai benefici del provvedimento), produrranno un enorme iperlavoro burocratico in grado di limitarne fortemente i benefici. Ed, in ogni caso, ridistribuire va bene, ma non è quello lo scopo di una misura di stimolo economico.
Concludendo, fa sorridere l’ironica situazione dell’Italia, che in questo frangente si trova allineata al partito del rigore di Angela Merkel e quindi contrapposta a Gran Bretagna e Francia: solo che la Cancelliera è contraria ad eccessi di spesa per uno schietto senso di responsabilità nei confronti delle generazioni future, cosa che dovrebbe animare ogni politico con la P maiuscola, quale che siano le sue idee.
Tremonti, dopo anni di spese pazze, è diventato più sobrio di un trappista solo per un motivo di mercato: se gli spread sui BTP italiani continuano a crescere (oggi pagano circa 1,5% in più rispetto agli equivalenti Bund tedeschi) il carico di interessi rischia di mandare fuori controllo il budget di cassa, innescando una caduta dei prezzi dei titoli ed un conseguente ulteriore aumento dei tassi: una pericolosissima reazione a catena. Forse Sacconi non sarà un grande comunicatore, ma certo in queste condizioni il rischio di bancarotta non è poi così remoto. Voce dal sen fuggita…



La bolla piu' grande della storia
di Nouriel Roubini - La Stampa - 29 Dicembre 2008

Il sistema finanziario del mondo ricco si sta dirigendo verso un crollo. Per la prima volta in settant’anni si è avuto paura di una corsa indiscriminata a ritirare i depositi dalle banche, mentre il sistema bancario «ombra» - agenti, prestatori di mutui non bancari, strumenti strutturati di investimento, hedge funds, fondi monetari di mercato e società di private equity - sta correndo rischi sulle sue passività a breve termine.
Dal lato dell’economia reale, tutte le economie avanzate - che rappresentano il 55 per cento del Prodotto interno lordo globale - erano entrate in recessione anche prima del pesante shock finanziario iniziato alla fine dell’estate 2008. Di conseguenza, ci troviamo oggi di fronte a una recessione, a una crisi finanziaria severa e a una profonda crisi bancaria nelle economie avanzate.
I mercati emergenti hanno inizialmente subito le conseguenze di questa crisi solo quando gli investitori stranieri hanno cominciato a ritirare i loro investimenti. Poi il panico si è diffuso sui mercati di credito, monetari e valutari. Evidenziando così la vulnerabilità dei sistemi finanziari di molti Paesi in via di sviluppo e di settori aziendali che, di fronte all’espansione del credito, si sono indebitati a breve e in valute estere.
I più fragili sono stati i Paesi con un grande deficit di conto corrente e/o con un grande deficit fiscale e con forti debiti in valute estere a breve termine. Ma anche quelli con la migliore performance - come Brasile, Russia, India e Cina - sono adesso a rischio di un atterraggio brusco. Molti mercati emergenti stanno quindi rischiando una grave crisi finanziaria.
La crisi è stata causata dalla più grande bolla finanziaria e creditizia della storia, causata da un uso estremo della leva finanziaria. L’utilizzo della leva finanziaria e le bolle speculative non si sono limitati al mercato immobiliare americano, ma hanno caratterizzato il mercato immobiliare anche di altri Paesi. Inoltre, al di là del mercato immobiliare, in molti sistemi economici vi è stata un’eccessiva concessione di prestiti da parte di istituzioni finanziarie e di alcuni settori di impresa e della pubblica amministrazione.
Il risultato è che ora stanno esplodendo contemporaneamente una bolla immobiliare, una bolla dei mutui ipotecari, una bolla del mercato azionario e obbligazionario, una bolla del credito, una bolla delle materie prime, una bolla del private equity e degli hedge fund.
L’illusione che la contrazione economica negli Stati Uniti e nelle altre economie avanzate sarebbe stata profonda ma breve - una recessione cioè di sei mesi a V - è stata sostituita dalla certezza che la crisi sarebbe stata una lunga e protratta recessione a U, che può durare almeno due anni negli Stati Uniti e si avvicina ai due anni in gran parte dei Paesi nel resto del mondo. In più, dato il rischio crescente di un collasso del sistema finanziario globale, non si può neppure escludere la prospettiva di una recessione a forma di L della durata di una decina d’anni: come quella vissuta dal Giappone dopo il collasso della sua bolla immobiliare e azionaria.

Nouriel Roubini (Docente di Economia presso la New York University e presidente di RGE Monitor)



La Cina e la crisi finanziaria
di Andrew Hughes - Global Research - 17 Dicembre 2008
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Angela Corrias

Con le ondate di distruzione causate dal crollo finanziario globale è arrivato un significativo momento di riflessione obbligatoria. Se tale disastro ha investito il pianeta, quali lezioni si possono trarre per smantellare il meccanismo che lo ha causato in primo luogo?
I rimedi proposti dai governi in tutto il mondo non stanno funzionando come conferma ogni reale indicatore economico. L’eterna influenza corruttrice dei soldi nelle politiche e disegni del governo non ha fatto altro che garantire che qualunque metodo verrà usato per salvare l’economia dalla bocca della balena sarà come gocce di pioggia su un fiume. L’unico schiacciante fattore che non sembra venir preso in considerazione nell’equazione è che per tirarsi fuori dal pasticcio finanziario si ha bisogno di risorse finanziarie. Non quelle prese in prestito ma quelle risparmiate.
Qui è l’asso nella manica della Cina.
Gli Stati Uniti hanno un deficit finanziario reale di 53 trilioni di dollari che non potranno mai ripagare.L’Inghilterra è sulla buona strada nel distruggere la sua moneta e far crescere il suo debito e così è la Francia.La Cina, invece, è nella particolare condizione di avere 1.9 trilioni di dollari in riserve di moneta estera. Questo la mette in una posizione esclusiva rispetto al resto del mondo. Mentre quest’ultimo era impegnato nel consumare tutto quello che la Cina produceva, i Cinesi stavano accumulando un enorme cuscino di contante reale che adesso possono usare per deviare la concentrazione da un’economia che verte sull’esportazione a una che comincia a focalizzarsi sulla domanda interna.
I principi economici per una ripresa in Cina sono più evidenti che nel resto del mondo perché non c’è mai stato lo stesso consumo esagerato spinto dal credito che era la forza trainante per il PIL in tanti altri paesi. Persino su base individuale i risparmi familiari sono saliti a 382.7 miliardi di yuan rispetto al mese precedente (ottobre 2008).Il piano di stimolo di 585 miliardi di dollari della “Central Economic Work Conference” si rivolge a molte aree che sono essenziali nell’incrementare la domanda e il potere d’acquisto del consumatore interno.
Progetti per le abitazioni in città per famiglie a basso reddito, sussidi per le famiglie di campagna a basso reddito, fondi per l’assistenza sanitaria e l’educazione. La Cina sta anche sostenendo le industrie dell’acciaio, automobilistiche e delle telecomunicazioni abbassando le tasse e incoraggiando l’innovazione con sussidi per la ricerca e lo sviluppo. L’importazione di ferro grezzo sta aumentando e l’acciaio prodotto viene conservato per un utilizzo futuro. L’ultimo punto è importante perché presenta la Cina con un vantaggio nei costi di fabbricazione di base visto che la caduta dei prezzi nel trasporto e nella merce ha mostrato che essa ha costituito le sue riserve a prezzi da reparto delle occasioni.
Questo è investimento reale con denaro reale disponibile. La Cina ha risparmiato per i tempi di magra e, adesso che sono arrivati, può approfittare delle sue risorse. Ci vorrà del tempo per la Cina per risollevare la sua enorme economia ma almeno non si devono preoccupare di ripagare un debito impossibile da pagare al resto del mondo. Mentre tutti gli altri paesi stanno cercando disperatamente di formulare un piano di salvataggio alimentato da un incremento nel debito pubblico, la Cina non si deve preoccupare, e questo sarà il suo vantaggio principale.
L’investimento nel potere d’acquisto e nelle prospettive di occupazione della popolazione migliorando le infrastrutture del paese e offrendo agevolazioni fiscali e sussidi ripagherà molto di più che il buttare soldi in istituzioni finanziarie. Questo i Cinesi già lo sapevano e sapevano anche che è inutile nel risollevare una cattiva situazione. Il Poliziotto del mondo sarà pure occidentale, ma il maestro del mondo risiede ancora, come è stato per millenni, in Oriente.



Un analista: un terzo delle banche potrebbe crollare nel 2009
di Paul Joseph Watson - Prison Planet - 24 Dicembre 2008
tradotto per http://www.comedonchisciotte.org/ da ALCENERO

Ralph Silva ha dichiarato alla CNBC che migliaia di banche affronteranno un fallimento o saranno costrette a una fusione

L'analista finanziario Ralph Silva della TowerGroup ha detto alla CNBC questa mattina che si aspetta che non meno di un terzo delle banche fallirà nel 2009 e che qualcosa come un migliaio di banche potrebbe crollare se non partecipa a una fusione.
Silva ha detto che solo cinque o sei banche globali hanno sufficienti fondi per sopravvivere comodamente per tutto il 2009. "Il resto delle banche, il che vuol dire un migliaio di altre banche, non ha sufficiente denaro per superare il 2009", ha aggiunto Silva. "Nel 2009 vedremo scomparire un terzo delle banche dei paesi del G8, partecipando, volenti o nolenti, a una fusione, o sparendo completamente" ha detto.
L'analista ha previsto che piuttosto che lasciar fallire le banche, i governi le costringeranno a fondersi, citando l'esempio della Bradford e della Bingley in Gran Bretagna, cosa che porterà "a molte poche banche che saranno proprietarie di qualcosina in più".
Silva ha avvertito che le banche non saranno in grado di prestare denaro per tutto il 2009 perché saranno più preoccupate semplicemente a sopravvivere e ad essere capaci di pagare i loro dipendenti.