mercoledì 7 maggio 2008

Il futuro deciso dalla Trilaterale

Nei giorni scorsi si è tenuta l’annuale riunione plenaria a porte chiuse della Commissione Trilaterale, i cui contenuti generali si sono sempre saputi in passato, anche se con una certa difficoltà.
Ma per l’edizione 2008 qualcosa in più delle semplici linee generali è riuscito a uscire da quelle porte serrate a doppia mandata grazie al giornalista Jim Tucker, editore di American Free Press, che è venuto a conoscenza in maniera “clandestina” dei temi specifici su cui si è discusso esattamente nella 3 giorni di riunioni.

Naturalmente non si saprà mai, come non si è mai saputo anche in passato, tutto ciò che si è stabilito in quelle segrete stanze ma i prossimi mesi ci aiuteranno in questo proposito, proprio sulla scorta di quanto Tucker ha divulgato pubblicamente.

Cosa ha deciso la Trilaterale
di Maurizio Blondet – Effedieffe – 7 Maggio 2008

«Politica interna ed estera USA: bozza di linea per la prossima Amministrazione»: questo il titolo della prima giornata di riunione della Commissione Trilaterale, tenutasi a Washington il 25-28 aprile, ovviamente e come sempre a porte chiuse. Ma Jim Tucker, il giornalista famoso per «auscultare» le riunioni segrete del Bilderberg, aveva qualche fonte anche lì (1). E qualcosa ha saputo.

Vediamo dunque la «linea» che i più ricchi privati di USA, Europa e Giappone, in rappresentanza delle maggiori multinazionali, dettano al prossimo governo americano. Secondo il consesso, il futuro presidente dovrà anzitutto aumentare gli aiuti americani ai paesi esteri, perchè, è stato detto, «L’America non versa la sua giusta parte» degli aiuti internazionali. Il presidente futuro dovrà anche pagare la quota USA per il mantenimento dell’ONU (la Casa Bianca è in arretrato: i neocon che la teleguidano detestano l’ONU).Peter Sutherland, rappresentante del segretario generale ONU per l’immigrazione, ha caldeggiato una maggiore apertura degli Stati Uniti verso l’immigrazione, raccomandando una amnistia per i milioni di clandestini messicani e sudamericani in USA.

Sarà bene notare che Sutherland, questo umanitario, è anche presidente di British Petroleum e Goldman Sachs International, oltrechè un alto esponente del Bilderberg.Non è dunque un caso se durante il panel intitolato «Global Financial Crisis», si sono sentiti solo interventi attorno al «dovere» dello Stato americano di «intervenire» per soccorrere «le istituzioni finanziarie sotto stress», e nemmeno una parola sul soccorso ai milioni di americani che si vedono pignorare la casa, o caderne tragicamente il valore di mercato. Il liberismo globale non ammette eccezioni: intervento pubblico è il Male Assoluto, tranne che per le banche loro.

A parlare della crisi c’erano infatti Andrew Crockett, presidente di JP Morgan Chase International, David Rubenstein, gestore del Carlyle Group, Robert Kimmit oggi vicesegratario al Tesoro ma prima altissimo capintesta di Lehman Brothers, oltrechè Martin Feldstein, economista di Harvard, ex consigliere economico di Ronald Reagan, nonchè Robert Zoellick, presidente della Banca Mondiale e da sempre socio del Bilderberg.C’erano anche giornalisti molto selezionati, da David Gergen dell’US News and World Report, e Lionel Barber, uno dei direttori del Financial Times: che naturalmente non hanno scritto un rigo sulle riunioni, anche se vi hanno partecipato attivamente, presidendo alcuni panel, oppure «intervistando» per lo scelto pubblico questo o quel grand’uomo. Sul podio, con domande complici, e a porte chiuse.

Il giornalista Bill Emmot, dell’Economist, per esempio ha intrattenuto la cena dei signori allo Smithsonian Art Museum parlando della «crescita dell’Asia». Naturalmente si è molto parlato del «global warming» e si è consigliato il futuro presidente USA di spendere di più contro l’inquinamento; su come ridurre l’effetto-serra, si è ventilata una tassa ecologica sui voli aerei. Il petrolio a 120, e il cui rincaro dipende al 60 per cento dalla speculazione sui futures petroliferi, non allarma quel nobile consesso. La questione è gestita dal Bilderberg, che nella sua riunione segreta in Germania del maggio 2005, per bocca del suo socio Henry Kissinger, raccomandava un raddoppio del barile (allora era a 40 dollari) entro 12-24 mesi. Il che è avvenuto disciplinatamente.

Nel 2006, a Ottawa, il Bilderberg non si è dimostrato contento dei progressi, ed ha raccomandato un rincaro sui 105 dollari entro la fine del 2008. Ora Goldman Sachs prevede che si arriverà a 200. Previsione alla portata di personalità che si incontrano fra banchieri-speculatori e compagnie petrolifere, e che non preoccupa. Loro fanno enormi profitti sui rincari. E il prezzo proibitivo avvicina quella che Barroso suole chiamare «la rivoluzione post-industriale», che implica fra l’altro la fine del ceto medio. Rumori di dissenso si sono ascoltati solo quando Robert Blackwill, già vice-consigliere nazionale per l’Iraq, ha intrattenuto i signori sulla necessità di «impegnare (engage) l’Iran e costruire la pace in Medio Oriente».

Blackwill ha assicurato che la «opzione militare resta sul tavolo», ma si spera negli sforzi diplomatici. Più interessanti le conversazioni e i pettegolezzi di corridoio. I signori tengono molto al NAFTA, il mercato comune Usa-Messico-Canada, e si sono detti: «John (McCain) è sempre stato a favore del libero commercio, anche davanti ai sindacati; Hil (Clinton) e Barak (Obama) fingono di eccepire su alcuni punti, ma è recita politica. Sono solidamente a favore». Anzi, «Hil», si ricordavano l’un l’altro i signori, come first lady ha tenuto sedute strategiche con il big business per indurre il Congresso ad approvare il NAFTA.

Molto sarcasmo invece è stato speso contro Ron Paul. Non perchè il candidato indipendente abbia una sola possibilità di occupare la Casa Bianca; ma li preoccupa la moltitudine di giovani che si sono mobilitati per lui, ed ascoltano i suoi discorsi. Questa generazione, si sono detti i trilateralisti, «si sta facendo un’educazione politica» in questo modo. Il che può «causare danni significativi in futuro», visto che Ron Paul non vuol cedere la sovranità nazionale al NAFTA (come gli europei l’hanno ceduta alla UE), si oppone alle missioni di «mantenimento della pace» all’estero, e proclama che bisogna ritirare le truppe dall’Irak e, peggio, ridurre le imposte non sui ricchi, ma sul ceto medio. I signori hanno perciò deciso di influire sul partito repubblicano perchè faccia pressione su Ron Paul e lo induca a rinunciare alla corsa al più presto, onde mettere fine ai suoi corsi di educazione politica un po’ troppo affollati. L’incarico è stato assegnato a Thomas Foley, già portavoce della Casa Bianca.

Kissinger era presente ma non ha parlato. E’ decrepito e dicono che abbia problemi alla gola. Fra gli europei, Tucker segnala solo Elisabeth Guigou, già ministra francese per gli affari europei. Nell’insieme, i politici presenti sembravano essere della generazione passata, dell’era Reagan o dell’era Nixon. Si può ipotizzare che la Trilaterale ritenga di poter riprendere l’influenza che aveva prima dell’avvento dei neocon, che hanno sviato il progetto globalista con il loro bellicismo per Israele? Il futuro lo dirà: i signori erano sicuri di avere in tasca tutte e tre i candidati.Può darsi che trovino una convergenza in un senso preciso: mano pesante alla israeliana contro le opinioni pubbliche contrarie alla globalizzazione.

Il direttore di Newsweek, Fareed Zakarias, uno dei giornalisti invitati, ha appena elevato un rimprovero agli americani, convinti all’80 per cento che il paese sia sulla strada sbagliata (saranno i mutui sub-prime e la rovinosa costosissima guerra in Irak?). «Miliardi di persone sono uscite dalla abbietta miseria» grazie alla globalizzazione, li rimprovera Zakarias, il giornalista-impiegato della Trilateral, «il mondo sarà arricchito e nobilitato via via che diventano consumatori, produttori, inventori, sognatori...il 40 per cento delle superlauree in America lo guadagnano gli immigrati» (2).

Niente sugli immigrati che lavano i pavimenti. Nè sulla fame prodotta dai nuovissimi rincari sugli alimentari di base: anzi quella è buona, perchè segnala «l’aumento dei consumi» nel mondo globalizzato. E nemmeno una parola sui 10 milioni di tedeschi che, in uno dei pochi paesi in pieno boom economico, sono usciti dalla classe media in questi anni, per accrescere le fila dei nuovi poveri. O sui milioni di francesi che subiranno un ulteriore taglio alle pensioni, grazie a Sarkozy.«Viviamo nel periodo più pacifico mai provato dalla specie umana», si arrabbia Zakarias, ma noi americani «siamo diventati sospettosi del commercio, dell’apertura, dell’immigrazione, degli investimenti esteri».Così non va. Se siete scontenti, vi metteremo in riga.

La presidenza Bush ha visto l’allestimento di campi di raccolta e detenzione allo scopo – com’è detto ufficialmente – di «sostenere il rapido sviluppo di nuovi programmi». In cosa consistano i nuovi programmi non viene detto. Essi sono compresi nel «continuity of goverment», il programma generale di mantenimento del governo in casi di emergenza estrema e non specificata. A questa necessità provvedono programmi software che indentificano, attraverso un filtro chiamato «social network analysis», a identificare persone che manifestano qualche scontentezza sull’andamento delle cose. Nel database, gestito dai militari, ci sono già 8 milioni di americani segnalati come sospetti di scontentezza, o di volontà d’opposizione (3). Vi godrete la globalizzazione, che lo vogliate o no.

-------------------------------------
1) James Tucker, «Global elite gather in DC», American Free Press, 6 maggio 2008.
2) Fareed Zakarias, «The rise of the rest», Newsweek, 3 maggio 2008.
3) Ed Martin, «If you are reading this, Bush has reserved a bunk for you in one of his detention camps», OpEdNews, 6 maggio 2008. «In the spring of 2007, a retired senior official in the U. S. Justice department sat before Congress and told a story so odd and ominous, it could have sprung from the pages of a pulp political thriller. It was about a principled bureaucrat struggling to protect his country from a highly classified program with sinister implications. (…) The bureaucrat was James Comey, John Ashcroft's second-in-command at the Department of Justice during Bush's first term. In his testimony before the Senate Judiciary Committee, he described how he had grown increasingly uneasy reviewing the Bush administration's various domestic surveillance and spying programs. Much of his testimony centered on an operation so clandestine he wasn't allowed to name it or even describe what it did. (…) the program that Comey found so disturbing went forward at the demand of the White House, "without a signature from the Department of Justice attesting as to it's legality," he testified. What is this program? A former military operative has been told that the program utilizes software that makes predictive judgments of targets' behavior and tracks their circle of associations with "social network analysis». (…) Bush, in one of his addresses to the nation, said the program was part of planning to assess threats to the "continuity of our government".