venerdì 2 maggio 2008

Un nuovo governo di pirla?

Il governo non è ancora nato ma ha già compiuto il suo primo atto: 300 milioni tolti dalla tasche degli italiani per dare ancora poche settimane di vita ad Alitalia che non restituirà mai questo cosiddetto "prestito-ponte". Chi ben comincia...

La pirlo-crazia
di Maurizio Blondet - Effedieffe - 1 Maggio 2008

Dunque ricapitoliamo: ancor prima di sedersi sulla poltrona, il Salame premier ci ha già fatto sprecare 300 milioni di euro, 600 miliardi di vecchie lire, di noi contribuenti. Per Alitalia: azienda che perde 365 milioni di euro l’anno, che ha debiti per 1,1 miliardi (più 17% cento), che da tempo ha smesso di fornire un servizio di qualche utilità e si dedica unicamente al mantenimento dei suoi 18 mila dipendenti, strapagati e assenteisti cronici. Ma non c’è limite al peggio.
Il Salame aveva assicurato che lui, ghe-pensi-mi, avrebbe trovato folle di miliardari privati pronti a comprare il catorcio; il prestito di Stato (che mai sarà restituito) serviva solo per guadagnar tempo, per mettere insieme la famosa «cordata».La cordata non si manifesta - ovvio - e il Salame adesso dice: Alitalia la faccio comprare allo Stato. Non più privatizzazione, ma statalizzazione completa del catorcio: tutto, non solo in parte, messo a carico dei contribuenti. E ci ha provato davvero, il Salame: s’è rivolto ad ENI (!), alla Cassa di Depositi e Prestiti - che si sono sottratte, invocando divieti dei loro statuti (meno male). Adesso i pirlocrati di Berlusconi stanno pensando a Sviluppo Italia, ex Cassa del Mezzogiorno o giù di lì.Il rinnovamento berlusconiano è di tipo, inequivocabilmente, retrogrado: tutti in trionfo verso gli anni ‘50. Poi, la grande pensata: «Se l’Europa continua ad obiettare, faccio comprare Alitalia dalle Ferrovie dello Stato». Ossia ad un’azienda che ha ancora più debiti del catorcio aereo (6,5 miliardi contro 1,1), che perde ancora di più per quanto impossibile sembri (410 miliardi l’anno contro 364), e la cui gestione manageriale è - come sanno gli italiani che viaggiano in treno - ancora più inefficiente e mascalzona, e sopravvive solo perchè è un monopolio.
Se il Salame s’impunta, dovremo - da contribuenti - mantenere Ferritalia, un mostro che perderebbe 800 milioni di euro l’anno, con un debito di 8 miliardi su cui pagare gli interessi (in periodo di restrizione mondiale del credito, quanto pagheremmo? L’8%, il 12%, o il 18%?) e gestito da incompetenti ancora più plateali di quelli Alitalia. Una dirigenza che non riesce a far pulire i vagoni, nè a sturare i WC, nè a rispettare l’orario, nè ad aggiustare le locomotive che sogliono bloccarsi in aperta campagna, immaginate come gestirebbe i voli aerei: che quando si guastano, non si fermano in aperta campagna, tranquilli fra i papaveri. Ma poi il Salame s’è accorto, forse, di averla detta troppo grossa: «E’ una minaccia», ha rettificato. Non è una minaccia contro l’Europa, che se ne strafrega, sta a guardare e semmai imporrà una bella multa da miliardi di euro per violazione della concorrenza; è una minaccia contro noi, cittadini e contribuenti, che dovremo pagare tutta questa coglioneria, e anche la multa europea.
Il bello è che il Pirlocrate «di destra» e «imprenditoriale» trova ascolto fra i Pirla di «sinistra»: Raffaele Bonani (CISL) e tale Ugo Braghetta, presunto responsabile trasporti della defunta Rifondazione Comunista, apprezzano questa statalizzazione totale: «E’ un’idea da prendere sul serio». Siamo alle larghe intese della demenza, alla pirlocrazia senza opposizione.Varrà la pena ricordare che Air France s’è ritirata perchè, parole sue, «con il petrolio a 120 dollari, il 22% in più in due mesi, non c’erano più le condizioni economiche» per la fusione. Tanto più che il management di Alipirla - pagato a miliardi per la sua competenza - non ha provveduto a coperture (con derivati) che stabilizzassero il prezzo del carburante, cosa che fa qualunque altro management dei trasporti, salvo i carrettieri e i mulattieri. Il che è un bel guaio per noi contribuenti, perchè la flotta aerea di Alitalia è così vecchia (mai rinnovata, bisognava pagare i 20 mila fancazzisti) che, su alcune tratte, il consumo di carburante è il triplo di quello dei concorrenti.
Il che significa che c’è solo un dignitoso destino per AliMerda: chiudere, fallire e svendere gli aerei al Congo, che forse se li prende.Ma Bonanni e Braghetta non badano a spese: paghiamo noi, mica loro. La loro mira è chiara anche se implicita: non far volare alcun aereo (troppo rischio, troppo lavoro) e continuare a stipendiare i piloti, le hostess i loro clienti insomma. Si capisce che persino gli ali-fancazzisti non ci stanno guadagnando.Air France aveva proposto la riduzione di 2.000 fancazzisti e i sindacati avevano risposto picche; ora anche il Salame dice, se pure comparirà la leggendaria «cordata», che i licenziati saranno 4 mila; e i sindacati annuiscono. Quello che conta è la statalizzazione in sè. E’ l’ideale del servizio pubblico come lo intendono loro, la Casta tutta: prendere tutto il denaro pubblico, senza offrire niente.
Anche le Ferrovie, anche l’INPS anche il Fisco, anche le insigni magistrature puntano - almeno come tendenza - verso questo ideale: aumentare le tariffe, i biglietti, la tassazione, gli emolumenti all’infinito, riducendo invece sempre più le cosiddette prestazioni. L’ideale delle burocrazie è trasformarsi in Buco Nero: quei corpi celesti dalla gravità imnimmaginabile, tanto che risucchiano tutto il materiale stellare circostante, senza emettere nemmeno un raggio di luce. E dentro cui, beninteso, nessuno sa cosa succede. Ciò è normale in Italia, governata dalla Casta Buco-Nero. Quello che stupisce è che a questa tendenza aderisca immediatamente con cipiglio anche un «Grande imprenditore», per di più «il grande imprenditore lombardo» per eccellenza.
Evidentemente, a Mediaset, che fa profitti enormi con l’oligopolio pubblicitario, è abituato a sprecare in veline, concorsi a premio, omaggi alle signore; e trasferisce il suo know-how spendereccio anche allo Stato, che profitti non ne ha, ossia su noi contribuenti già tartassati.Per noi contribuenti cittadini, è il momento di chiedersi se la differenza tra Visco e il Salame è quella che sta fra la padella e la brace. Gli imprenditori dovrebbero cominciare a vergognarsi di uno così, che trascina nel ridicolo le loro indubbie qualità; ed anche i lombardi. Qui, il Salame sta mettendo in gioco tutte le ambizioni di una classe dirigente di rincalzo, tutto il Nord.
Ci eravamo illusi che noi, gente pratica, che sa fare e sa gestire, potessimo sostituire la Casta con una vera classe dirigente. Invece ci troviamo con un settantenne statalista, accompagnato da un emiplegico che urla con accento lombardo: «O il federalismo, o abbiamo 300 mila martiri pronti a scendere dalle montagne. I fucili sono sempre caldi».Perchè noi nati nel Nord, quelli che pagano le tasse per tutti, non cominciamo a vergognarci di avere come rappresentanti dei simili pirloni? Volevamo una classe dirigente diversa e più capace, e ci troviamo con le caricature italiote di Mobutu e Idi Amin Dada.
Non ci sfugge il forte lato simbolico del proclama bossiano: un paraplegico che lancia un grido di battaglia a cui nessuno crede e a cui nessuno pensa di obbedire. E’ proprio una immagine della «Cosa Pubblica» italiana. Niente da dire, se fosse un’invenzione del Bagaglino, la sola «cultura» finanziata dal Salame. Ma che vergogna che l’attore sia un lombardo.Quanto al federalismo, risulta dagli ultimi sondaggi ufficiali che gli italiani, a grande maggioranza, chiedono uno Stato centrale più forte: ed hanno perfettamente ragione, in quanto hanno constatato i disastri e i costi delle «autonomie» e delle regioni. Chiedono il contrario del federalismo, chiedono competenze vere e poteri abbastanza forti da prendere decisioni.
Il Nord ha - o dovrebbe avere - ancora le competenze necessarie, che sono rare nel resto della penisola, per la gestione delle realtà pubbliche. Se ha votato quelli, è stato solo per liberarsi di Visco e Prodi, che strangolavano l’industria e l’impresa; non certo col mandato di statalizzare l’insalvabile Alitalia nè di dare tutti i poteri in Calabria alla ‘Ndrangheta e in Campania alla Camorra, sotto forma di un federalismo dove il Nord straparla di «fucili» di carta, e il sud spara con kalashnikov veri, senza dire una parola. Ora quelli del Nord si devono tenere la Pirlocrazia; e con questa avanzare nella crisi globale che già è cominciata. Ma ci sarà mai più un’altra classe dirigente, da noi?