venerdì 2 maggio 2008

L'ultima follia: Disneyland a Baghdad

Al delirio, come al peggio, non c’è limite; e l’Iraq purtroppo è un esempio in entrambi i casi.
L’ultima follia in ordine di tempo è rappresentata dal progetto di costruire un parco di divertimenti modello Disneyland a Baghdad, vicino alla Zona Verde.
Qui di seguito due articoli che parlano di questa follia.

Disneyland a Baghdad, finalmente!
di Maurizio Blondet – Effedieffe – 2 Maggio 2008

«Ci sono molte opportunità d’investimento in Iraq, e mica tutte per il petrolio. Per esempio, metà della popolazione irachena ha meno di 15 anni»: così parlò al Times un certo mister Brinkley, capo di una fantomatica ditta di Los Angeles chiamata «C3», e che pare una filiazione del Pentagono.Detto fatto: un parco di divertimenti Disneyland sorgerà a Baghdad, a poca distanza dalla Zona Verde. Sorgerà nel parco Al Zawra, creato da Saddam e fornito di laghetti, palme, fontane, sculture e scivoli per i bambini, ma oggi in via di privatizzazione (come tutto a Baghdad). Vi sorgeva anche lo zoo, saccheggiato dai liberatori - o liberalizzatori che dir si voglia (1). Gli iracheni «lo accoglieranno a braccia aperte», assicura lo sponsor del nuovo business, tale Llewellyn Werner: «Lo vedranno come un’opportunità per i bambini, che siano sunniti o sciiti. Diranno: i nostri bambini meritano un posto dove giocare in pace».

Il parco sarà progettato dalla Ride and Show Engineering, la ditta fondata da Edward Feuers e William Watkins, che sono stati i fondatori di Imagineering, l’impresa consociata alla Walt Disney Company che costruisce i parchi di divertimento un po’ in tutto il mondo. Mister Werner, il «developer» immobiliare, conta di edificare attorno alla Disneyland irachena una quantità di alberghi di lusso, condomini sfarzosi e shopping center.Ma tutta la magia del luogo sarà garantita dalla «Ride and Show Engineering», specialista in «simulazioni in movimento» (motion based simulation) e in «attrezzature da divertimento ad alta tecnologia»: effetti speciali alla Hollywood, con Paperino e Aladino, suoni e luci e fuochi artificiali, il misterioso Oriente visibile in gallerie percorse da trenini guidati da Topolino. La ditta si fa un punto d’onore - è il suo motto - di «superare le barriere tra la realtà e il sogno».

Ai bambini iracheni sarà dato un mondo dei sogni, così necessario per superare la realtà che si vedono intorno: luce ed acqua razionate, miseria e attentati-strage, cibo scarso, irruzioni di soldati USA nelle case a trascinare via il papà e i fratelli, e bombardamenti periodicamente in corso a Sadr City con bombe a frammentazione.La speranza del Pentagono è che così, gli iracheni assorbiranno «i valori culturali americani», come già assorbono la polvere di uranio impoverito: senza accorgersene, anzi divertendosi.E difatti, nonostante tutte le spese che l’America sostiene per liberare continuamente gli iracheni, la generosa nazione ha deciso di distribuire ai bambini iracheni qualcosa di cui hanno veramente bisogno: 200 mila skateboard.E’ il virtuale che vuole trionfare sul reale. In fondo, con il pubblico americano, ed anche europeo, ha funzionato benissimo.

Il «controllo mentale» delle masse è una specialità ben studiata dal potere americano, come strumento ausiliario della democrazia.Già nel 1928 lo psicologo Edward Bernay, un parente di Freud, scriveva: «La manipolazione cosciente e intelligente delle abitudini e delle opinioni della masse è un elemento importante nella società democratica. Coloro che manipolano questi meccanismi inavvertiti della società costituiscono un governo invisibile che è il vero padrone del nostro Paese».Bernay non criticava il sistema: tant’è vero che già nel 1916 era stato assunto, insieme al giornalista ebreo Walter Lippman, nella Creel Commission, un organismo creato per «vendere» agli americani l’entrata nella grande guerra europea, cosa che fu fatta - a furor di popolo - nel 1917 (2).Ma non si deve pensare a chissà quali mezzi sofisticati, a droghe sciolte nell’acqua potabile o lavaggi dei cervelli (anche se furono tentati in passato esperimenti con l’LSD e peggio, nel programma MK-Ultra).

Il metodo è più semplice e a portata di mano: la «immersione totale» delle cosiddette masse nel mondo fantastico radio-tv. L’Idea venne, probabilmente, dal catastrofico successo della trasmissione radiofonica «La guerra dei mondi», dove Orson Welles inscenò un finto reportage in cui fingeva di descrivere in diretta l’atterraggio di marziani distruttori. Il panico fu immenso e reale: era già stata superata la barriera fra sogno e realtà, e ciò preparava benissimo l’opinione pubblica a combattere contro i prossimi marziani, i tedeschi. Difatti subito dopo uno psicologo di nome Hadley Cantril pubblicò uno studio sugli effetti della falsa trasmissione-verità - «The invasion from Mars: a study in the psychology of Panic» - dove proponeva la messa a frutto propagandistica della paura indotta. Cantril era membro del Radio Research Project, creato a finanziato alla università di Princeton dalla Rockefeller Foundation un anno prima, nel 1937.

Frank Stanton, il direttore della CBS (che aveva trasmesso la Guerra dei Mondi) era anch’egli membro di quell’istituto, oltre che membro del Council on Foreign Relations di Rockefeller; più tardi sarebbe diventato presidente della RAND Corporation, il think-tank del settore militare-industriale.Nel 1939, coi fondi Rockefeller, Cantril invece fondò, sempre a Princeton, l’Office of Public Opinion Research: giusto in tempo per la guerra. Quando l’Office si dedicò a controllare ed affinare le «psycho-political operations» (guerra psicologica) via via escogitate dall’OSS, l’organizzazione-madre da cui nacque la CIA. Mentre la guerra procedeva, Cantril e il giornalista della CBS Edward R. Murrow (membro del Council on Foreign Relations) allestirono a Princeton - sempre con fondi dei Rockefeller - il «Princeton Listening Center», che ascoltava le trasmissioni naziste per apprendere le tecniche di propaganda di cui il Terzo Reich era ritenuto maestro, onde applicarle alle operazioni dell’OSS e al fronte interno.

Da questo progetto nacque un ente pubblico, Foreign Broadcast Intelligence Service, il quale alla fine diventa lo «United states Information service», ossia l’USIS, che aveva sedi in tutto il mondo «liberato» e diffondeva «i valori culturali americani» tra le popolazioni.Ma molte delle scoperte fatte durante la guerra furono impiegate massicciamente ad uso interno, per manipolare la propria opinione pubblica. Il cinema fu lo strumento ideale. Come scrive David Robb, autore di «Operation Hollywood», «Hollywood e il Pentagono hanno una lunga storia di coproduzione cinematografica, che cominciò dal cinema muto e continua anche oggi. I produttori di Hollywood ottengono la disponibilità di materiali militari da miliardi di dollari - cingolati, caccia, sottomarini atomici e portaerei - e i generali ottengono quello che vogliono - film che ritraggono i militari sotto una luce positiva, il che aiuta - fra l’altro - nel reclutamento.

Ma il Pentagono non è passivo: se una sceneggiatura non gli piace, suggerisce cambiamenti che ‘facilitano l’approvazione dei comandi’. A volte cambiano i dialoghi, a volte le figure della storia, a volte la storia stessa». Oggi, tutto è ancora più facile, perchè la gente si immerge totalmente e di sua volontà nella fiction - verità (e chi può dirlo?) della TV. E’ ben noto agli psicologi militari-industriali che quando una persona passa ore davanti alla TV, sia che guardi un TG o una telenovela, l’attività cerebrale passa dall’emisfero sinistro (dove ha sede la capacità di analisi logico-critica) all’emisfero destro, dove l’informazione-disinformazione (chi può dire cosa è?) viene accolta come un «tutto» e suscita risposte emotive anzichè ragionate. Tutto questo, il Pentagono lo chiama «disinfotainment».

I mega-attentati dell’11 settembre possono essere stati il miglior «disinfotainment» mai prodotto, con i più grandi mezzi e i più costosi effetti speciali disponibili alla scienza della «rottura delle barriere fra realtà e sogno». E con successo assicurato, visto che l’America tutta ha chiesto, poi, l’invasione di Afghanistan e Iraq. Il lato spiacevole è che il «disinfotainment» non solo pare diventato la sola attività bellica di successo del Pentagono; è che ha «troppo» successo, nel senso che anche i generali USA finiscono per credere alla propria guerra virtuale.

Torniamo a Baghdad, dove - accanto alla futura Disneyland - già torreggia un esempio straordinario di «rottura fra realtà e sogno». La creatura ha persino un nome, Qassem Suleimani. E un grado, generale delle Forze Quds, ossia dei commandos iraniani delle Guardie della Rivoluzione. Ebbene: tutti gli attentati, i disordini, le battaglie di Muktada Al Sadr, gli armistizi tra fazioni sciite che occorrono in Iraq dopo 5 anni d’occupazione, vengono attribuite a questo personaggio. Insomma all’Iran, che ha la colpa della incapacità dei generali USA di pacificare l’Iraq, e quindi va bombardato. Secondo i giornali USA, il generale Suleimani sta andando su e giù per l’Iraq a suo piacimento, e «fornisce aiuto finanziario e militare alle fazioni irachene, frustrando gli sforzi USA di costruire una democrazia pro-occidentale». E’ lui che «ha diretto e addestrato milizie sciite fornendole di denaro ed armamento, compresi i mortai e i razzi che hanno sparato nella Zona Verde, nonchè gli esplosivi conformati per la penetrazione che hanno causato centinaia di feriti e morti fra le truppe americane» (3). Fa tutto lui, Suleimani. Tutto quello che mostra gli occupanti americani come incapaci o scemi, è opera sua.

E’ persino più bravo di Osama bin Laden, l’altra nota figura del «disnfotainment» strategico, ormai alquanto dimenticata. Vedrete, presto cominceranno a parlarne anche Fede, Mentana, la Nirenstein e Magdi Allam.La conclusione cui spontaneamente giungeremo noi spettatori sarà una sola: l’America deve attaccare l’Iran, e stavolta con le atomiche. Il sogno, finalmente, ridiventa realtà.

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1) Michel Chossudovsky, «War propaganda: Disneyland goes to war-torn Iraq», GlobalResearch, 28 aprile 2008.
2) Alex Ansari, «Mass mind control through network Television: are your thoughts your own?», InformationLiberation.com, 21 aprile 2008.
3) Hannah Allam, Jonathan S. Landay and Warren P. Strobel, «Iranian outmaneuvers US in Iraq», McClatchy Newspaper, Washington Bureau, 29 aprile 2008.


Disneyland arriva a Baghdad
di Sonia Verma - da The Times. Tradotto per Megachip da Fabrizio Bottini - 26/4/2008

Llewellyn Werner, investitore della California, ammette di avere di fronte ostacoli che di solito gli altri operatori dei parchi divertimenti non trovano. Per esempio gli attacchi della guerriglia o i saccheggi. Ma quando il parco che si vuole realizzare è nel centro di Baghdad, si tratta di rischi insiti nel territorio. Werner, presidente di C3, holding di Los Angeles che rappresenta fondi di investimento, sta riversando milioni di dollari nella costruzione di The Baghdad Zoo and Entertainment Experience , grosso parco divertimenti sul modello americano che proporrà pista di skateboard , giostre varie, un palazzo per i concerti e un museo. Il progetto è dello stesso studio che ha realizzato Disneyland.

“La gente dell'Iraq ha bisogno di un'esperienza positiva di questo tipo. Avrà un enorme impatto psicologico” spiega Werner. La zona da venti ettari, adiacente alla Zona Verde e che comprende l'attuale zoo di Baghdad, è stata saccheggiata, e lasciata abbandonata e senza energia dopo l'invasione americana del 2003. Soltanto 35 dei 700 animali sono rimasti dopo l'invasione. Qualcuno è morto di fame, altri sono stati rubati o uccisi per cibarsene da iracheni che temevano un razionamento di alimenti per la guerra. Negli anni successive lo Zoo e la zona circostante del parco al-Zawra sono diventati oggetto di sporadici attacchi della guerriglia. Ma negli ultimi mesi le famiglia hanno cominciato cautamente a tornare per i picnic del fine settimana. Sono cominciati lavori di rinnovo allo zoo, le gabbie ridipinte e arrivo di nuovi animali, tra cui struzzi, orsi e un leone.

Lawrence Anthony, conservazionista sudafricano che aveva organizzato i soccorsi agli animali immediatamente dopo l'invasione, è stato ingaggiato come consulente. Werner, che ha ottenuto dall'amministrazione di Baghdad in concessione la superficie per cinquant'anni in cambio di una cifra che non è stata resa nota, spiega che i tempi sono maturi per un parco divertimenti. “Credo che la gente lo apprezzerà. Che lo vedrà come un'occasione per i bambini, che siano sciiti o sunniti. Penseranno che si meritano un posto per giocare, e lo lasceranno stare”. Ali al-Dabbagh, portavoce del governo iracheno, è egualmente ottimista: “Manca intrattenimento in città. Non possono aprire cinema. Non possono esistere campi da gioco. Questo parco dei divertimenti è una cosa di cui c'è grande bisogno a Baghdad. I bambini non possono godersi l'infanzia”. E precisa che l'ingresso al parco sarà sottoposto a strettissimi controlli di sicurezza. Il progetto ha un costo di costruzione di 500 milioni di dollari e sarà gestito da iracheni. Secondo I termini della concessione, Werner avrà diritti esclusivi sugli interventi residenziali e l'albergo, che spiega saranno al tempo stesso “culturalmente sensibili” ed enormemente profittevoli: “Non lo farei, se non ci fosse da guadagnare”. “Ho anche la meravigliosa sensazione di fare la cosa giusta: daremo lavoro a migliaia di iracheni. Ma tutto qui farà fare profitti”.

A luglio aprirà come prima fase dell'intervento una struttura per lo skateboard da un milione di dollari. Il progetto, che viene totalmente finanziato da Werner, vuole attirare “quella fascia di popolazione fra 14 e 20 anni, dei ragazzi che se ne stanno a far niente agli angoli delle strade e possono subire le influenze dei cattivi”. Le componenti dei 200.000 skateboard insieme ai materiali per la realizzazione delle rampe arriveranno dagli Stati Uniti per essere assemblati in Iraq nelle fabbriche di proprietà statale, e poi distribuiti gratuitamente ai ragazzi iracheni insieme a caschi e ginocchiere. Werner prevede anche di guadagnare poi sulle tavole. Una volta che lo sport avrà preso piede, vuole cominciare a vendere gli skateboard , che portano la scritta “ Ride Baghdad Skate Park ” in caratteri arabi rosa brillante. Il grosso parco divertimenti, progettato da Ride and Show Engineering Inc., arriverà per fasi successive, ne quadro di un programma più ampio concertato dai governi iracheno e Usa per attirare investimenti privati nel paese, verso le 192 fabbriche statali. Fabbriche chiuse nel 2003 da Paul Bremer, allora a capo della Coaliton Provisional Authority, convinto che sarebbero state sostituite da imprese private. Invece, le attività produttive sono entrate in crisi e hanno lasciato disoccupati mezzo milione di lavoratori qualificati. Una task force guidata da Paul Brinkley, sottosegretario alla Difesa per la Riconversione Industriale, ora sta tentando di riattivare le imprese irachene: cosa resa difficile dalla violenza persistente.

Ma Werner, la cui compagnia gestisce centinaia e centinaia di milioni di dollari di investimenti, considera l'Iraq una grande occasione. “É un grande spazio aperto. Non ho mai visto in vita mia un potenziale del genere, con forza lavora qualificata e risorse petrolifere”. Ha cominciato associandosi con diverse fabbriche irachene l'anno scorso, investendo decine di milioni di dollari in joint venture che vanno dalla posa di cavi in fibre ottiche vicino a Basra a centrali energetiche a Kirkuk, alla produzione di barrette alimentari ai ” Datteri della Mesopotamia ”. Ma Baghdad Zoo and Entertainment Experience potrebbe dimostrarsi il progetto più ambizioso. Il Generale Petraeus pare ne sia un “forte sostenitore”, secondo Brinkley. “Ci sono molti tipi di occasioni di investimento in tutto l'Iraq. Non solo nel settore idrocarburi. Metà della popolazione ha meno di quindici anni. Ragazzi che devono fare qualcosa”.