Ecco due articoli che affrontano l’argomento.
Un «pieno» di cadaveri
di Alessandro Robecchi – Il Manifesto – 11 Maggio 2008
Siccome vanno di gran moda i cosiddetti temi etici, che ne dite di cento milioni di persone (in più) destinate a schiattare di fame? E tutto questo per fare il pieno alla macchina? Non è un mistero che i prezzi delle materie prime alimentari abbiano subìto nell'ultimo anno una spaventosa impennata. Frumento, riso, mais, soia, con aumenti dei prezzi compresi tra il 30 e il 100%, e 100 milioni di cadaveri in più previsti dalla Fao, è il mercato, bellezza. Per avere appena 413 litri di etanolo serve una tonnellata di mais, e George Bush ha chiesto al Congresso di fissare parametri per arrivare nel 2017 a 132 miliardi di litri di combustibili alternativi. Dopotutto basta una calcolatrice. E un'enorme fossa comune.
Non c'è solo l'etanolo, cioè una mano tesa all'industria automobilistica. C'è anche più gente neo-ricca (cioè: post-povera) che mangia più carne e dunque molto raccolto se ne va in pascoli. E poi, c'è la finanza. Dopo la facciata presa nel settore immobiliare, grandissima parte degli investimenti mondiali di carattere speculativo si è spostata verso le materie prime alimentari e settori collegati.
E' per questo che i giornali economici di tutto il mondo esultano per le straordinarie performance dell'agroalimentare. Concimi, semi, materie prime e materie per la loro lavorazione, tutti comparti che festeggiano incrementi a due cifre. Dieci grandi corporations detengono il 50% della fornitura mondiale di semi, un'altra decina di aziende controllano il mercato di pesticidi e concimi chimici.
I fondi pensione americani, come ad esempio Calpers, si gettano sulla torta, futures e hedge funds servono per pagare le pensioni degli statali della California. Ospraie, altro hedge fund (azionisti come Lehman Brothers e Credit Suisse), si salva grazie all'aumento del frumento. Il mercato è salvo, dunque, al prezzo di molti milioni di persone in meno. Eticamente sensibile? Insensibile? Sopportabile? A leggere le pagine economiche pare di sì. Buona domenica.
“Se cominciamo a utilizzare i biocombustibili e questi, anziché ridurre i gas serra, contribuiscono ad aumentarli, si arriva a una situazione folle”. Robert Watson è il primo consigliere scientifico del ministero britannico per l'Ambiente, dopo aver già servito l'amministrazione Clinton e presieduto il “Panel Intergovernativo sul Cambiamento Climatico” (Ipcc). E' stato lui a indurre con queste parole il premier Brown a imporre tale tema nell'agenda del prossimo vertice del G8 di luglio a Tokyo e a tuonare contro la direttiva europea del 2003 in materia, entrata in azione il mese scorso.
Essa prevede che la benzina e i diesel debbano contenere almeno il 2,5% di biocarburante, onde arrivare al 5,75% nel 2010 e, nei piani della Commissione di Bruxelles, addirittura al 10% entro il 2020. La posizione di Londra costituisce il secondo pesantissimo altolà levatosi dal Vecchio Continente dopo quello di Berlino, che ha rinunciato all'obiettivo postosi a livello nazionale di raggiungere la proporzione del 10% entro il 2009.
Essa prevede che la benzina e i diesel debbano contenere almeno il 2,5% di biocarburante, onde arrivare al 5,75% nel 2010 e, nei piani della Commissione di Bruxelles, addirittura al 10% entro il 2020. La posizione di Londra costituisce il secondo pesantissimo altolà levatosi dal Vecchio Continente dopo quello di Berlino, che ha rinunciato all'obiettivo postosi a livello nazionale di raggiungere la proporzione del 10% entro il 2009.
La “ situazione folle ”, in effetti, è già in atto, come ha denunciato la stessa Agenzia Europea per l'Ambiente, notando come i biocarburanti ottenuti con tecnologie di prima generazione non usino la biomassa in modo tale da consentire riduzioni nell'uso di combustibili fossili e nell'emissione di gas serra. Al contrario, sembrano palesarsi danni a catena forse perfino superiori a quelli causati dall'idrocarburo. In termini scientifici, anche utilizzando le fonti a più alta produttività, quali la canna da zucchero, le piantagioni creano un debito di carbonio che richiede almeno diciassette anni per essere restituito. Il debito si estende quarantotto anni per l'etanolo cresciuto sulle terre europee lasciate a riposo, e addirittura a ottocentoquarant'anni per le palme da olio piantate distruggendo foreste tropicali. Perfino l'uso sostitutivo dei residui dei raccolti, quali il fogliame, è tutt'altro che innocuo, in quanto si tratta di nutrimenti essenziali alla produttività del suolo, la cui sostituzione attraverso fertilizzanti implica la produzione di ingenti quantitativi di ossido di idrogeno, un gas ben più devastante della stessa anidride carbonica. In altre parole, solo i grassi già in uso a basso costo e in misura limitata rappresentano un sostitutivo utile ed ecosostenibile dell'idrocarburo.
A richiamare l'attenzione di alcuni governi europei all'allarme lanciato dagli esperti non è un improvviso moto ecologista, bensì la compresenza di un “effetto collaterale” che sta oramai causando uno “ tsunami umanitario ”, per usare le parole della Fao, della Pam, nonché di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale. Il problema aggiuntivo si chiama carenza nell'offerta mondiale di cibo. Per il Nord del pianeta, esso si percepisce nell'impennata dei prezzi alimentari. Per il Sud significa pesanti carestie e gravi turbolenze sociali. Il rincaro medio è stato dell'83% negli ultimi tre anni, e addirittura del 181% per quel che riguarda il grano, con un'accelerazione del 130% nel solo 2007. Naturalmente, a beneficiarne sono state come sempre le multinazionali anziché i produttori locali, a pagarne il prezzo sono stati tutti gli altri, con scontri verificatisi ovunque, dall'Egitto alle Filippine, da Haiti all'Indonesia, mentre la quantità di cereali prodotti è scesa ai minimi storici dagli anni '80.
A pesare, secondo le organizzazioni internazionali, non è solo la crescente domanda dei paesi emergenti, bensì anche il depauperamento già in corso dei terreni a causa del riscaldamento climatico e del boom delle colture convertite alla produzione di biocarburanti. Ora che la crisi raggiunge i supermercati americani, Bush corre ai ripari ricordandosi dell'aiuto allo sviluppo con uno stanziamento di duecento milioni per l'emergenza alimentare, senza però tornare sui propri passi sull'escalation globale da lui avviata nello sviluppo dei biocombustibili. Analoga l'ipocrisia del governo britannico, che ha chiesto in pompa magna una pausa di riflessione sui nuovi obiettivi europei, ma ha deciso di applicare quelli pregressi. “E' un'opportunità di investimento nell'energia”, ha ricordato il Segretario di Stato ai Trasporti Kelly.