martedì 7 ottobre 2008

Afghanistan: GB negozia con i taleb, e l’Italia che fa?

E’ risaputo che i militari sono molto spesso piu’ pragmatici e realisti dei leader politici che li mandano in guerra. E infatti nei giorni scorsi il generale inglese a capo del contingente britannico in Afghanistan ha finalmente pronunciato la fatidica frase che nessuno ha mai avuto il coraggio di dire finora, ma che tutti hanno gia’ da tempo ben stampata in mente “In Afghanistan non vinceremo. Il massimo a cui possiamo aspirare è di ridurre gli attacchi della guerriglia ad un numero gestibile per l`esercito afghano. Ma non dobbiamo aspettarci che quando ce ne andremo non ci saranno più bande di uomini armati che scorazzano in questo paese, sarebbe irrealistico”. Finalmente qualcuno con i piedi per terra e la mente lucida.

E mentre Downing Street sta negoziando con i vari leader della guerriglia per un ritiro dignitoso, che fa Palazzo Chigi? Continuera’ ancora a seguire come un cane fedele l’idiota della Casa Bianca, giunto ormai al termine del suo mandato?


Generale inglese: «in Afghanistan, non vinceremo»

di Guido Santevecchi – Il Corriere della Sera - 06/10/2008

«Non vinceremo questa guerra»: sono quattro parole esplosive come altrettante bombe quelle pronunciate dal generale Mark Carleton-Smith, il comandante del contingente britannico in Afghanistan.

Parlando dalla sua base nella provincia meridionale di Helmand, dove ha a disposizione ottomila soldati, il generale avverte l’opinione pubblica in patria che «non si deve aspettare una vittoria militare decisiva».

Bisogna abbassare il livello delle speranze occidentali, dice l’ufficiale, che a 44 anni, con una carriera tutta nelle forze speciali oggi comanda la 16ma Air Assault Brigade dell’esercito e quindi non è sospettabile di essere un animo tenero e pacifista.

La sua analisi, tracciata apertamente per il Sunday Times, è che «si tratta di portare questa guerra che non possiamo vincere a un livello di ribellione gestibile, che non rappresenti una minaccia strategica e possa essere tenuta sotto controllo in futuro dall’esercito afghano». Perché non c’è da prevedere che quando le forze della Nato lasceranno il teatro d’operazioni, tra qualche anno, «non ci siano sul terreno delle bande armate in questa parte del mondo: sarebbe irrealistico», conclude il generale.

Il ragionamento di Carleton-Smith non è disfattista: rivendica per i suoi uomini il successo di aver «tolto il pungiglione ai talebani per il 2008» (si calcola che quest’anno siano stati uccisi 7 mila guerriglieri), ma guarda anche al numero di perdite che la sua brigata ha dovuto subire in questi mesi: 32 soldati caduti in azione e 170 feriti, che hanno portato il totale delle vittime britanniche dall’inizio della campagna afghana nel 2001 a 120.

II generale chiede di lavorare sul fronte politico: i talebani hanno un seguito tra la popolazione, quindi serve un negoziato: «Se i talebani fossero disposti a parlare di un regolamento politico... ebbene, questo sarebbe esattamente il tipo di progresso che conclude le insurrezioni di questo tipo e la gente non dovrebbe trovarlo sgradevole».

Da Kabul arrivano molti segnali. Gli americani stanno preparando un aumento temporaneo delle forze, un surge sul tipo di quello che ha migliorato la situazione in Iraq (il termine surge è stato studiato per evitare di usare escalation, che fu sinonimo di disfatta in Vietnam). II comandante Usa McKiernan ha chiesto 14 mila uomini, tre brigate per rafforzare il suo contingente di 34 mila uomini.

«Pompare sempre più forze non servirà a battere i talebani militarmente: i sovietici avevano il triplo degli uomini della Nato e non ce l’hanno fatta. Il punto è usare in modo più efficace il contingente», ha detto al Corriere Paul Burton, direttore del Senlis Council, un gruppo di analisti che ha molti contatti tra la gente afghana.

Ha fatto scandalo anche un commento dell’ambasciatore britannico a Kabul, Sir Sherard Cowper-Coles, secondo il quale la strategia «è destinata al fallimento», perché «la presenza militare occidentale è parte del problema, non della sua soluzione».

Secondo Sir Sherard alla fine, entro cinque o dieci anni, l’unico modo «realistico» di riunificare l’Afghanistan sarebbe di trovare «un dittatore accettabile». Le frasi dell’ambasciatore sono state riferite in un dispaccio confidenziale inviato a Parigi da un diplomatico francese e fatte filtra- re alla stampa. Il Foreign Office ha reagito sostenendo che il pensiero di Cowper-Coles è stato distorto. Però ora il pensiero del generale Carleton-Smith non si presta a interpretazioni equivoche.

La realtà è che politici e militari a Londra sono convinti che non si possa vincere la guerra e serva un negoziato. E siccome gli inglesi di guerre afghane ne sanno qualcosa, dai tempi dell’Impero, forse sarebbe il caso di ascoltarli.

Il presidente Hamid Karzai la- settimana scorsa ha chiesto al re saudita di mediare con gli insorti e ha proposto al leader storico dei talebani, il Mullah Omar, di farsi vivo.


Londra tratta con i Taleban: un accordo onorevole e un ritiro dignitoso
di Vittorio Sabadin – La Stampa - 06/10/2008

Il governo e i diplomatici di Gordon Brown stanno lavorando per porre fine alla guerra in Afghanistan, non attraverso un attacco decisivo ai Taleban, ma nell`unico modo con il quale sono sempre terminati i conflitti in quella regione: un accordo onorevole e un ritiro dignitoso.

Le voci che si rincorrono da settimane su una trattativa segreta con i numerosi capi della guerriglia sembrano trovare conferma nella dichiarazione del più anziano fra gli alti ufficiali britannici impegnato sul campo, il brigadiere Mark Caleton-Smith, il quale ha dichiarato all`inviata del Times Christina Lamb che «gli inglesi non devono aspettarsi una vittoria militare, ma devono invece essere preparati a un possibile accordo con i Taleban».

Caleton-Smith, che comanda la 16ma brigata d`assalto (32 caduti e 170 feriti negli ultimi sei mesi nella provincia di Helmand) ha detto apertamente quello che molti comandanti militari impegnati in Afghanistan si limitano a pensare: «Non vinceremo questa guerra. Il massimo a cui possiamo aspirare è di ridurre gli attacchi della guerriglia ad un numero gestibile per l`esercito afghano. Ma non dobbiamo aspettarci che quando ce ne andremo non ci saranno più bande di uomini armati che scorazzano in questo paese, sarebbe irrealistico».

Bruttissime notizie, per gli afghani che avevano sperato in una vita migliore dopo l`intervento degli americani e dei loro alleati, e pessime prospettive anche per il fratello del presidente Hamid Karzai, che secondo il New York Times sarebbe fortemente sospettato dal Dipartimento di Stato Usa di essere uno dei principali trafficanti di droga del paese. Ahmed Wali Karzai, capo del consiglio provinciale di Kandahar, non è mai stato incriminato perché protetto dal fratello, che ha chiesto alla Cia e agli Stati Uniti «prove evidenti» dei suoi misfatti. La produzione di oppio nel paese è largamente superiore a quella del 2001, l`anno dell`attacco americano. Secondo le stime dell`Onu è arrivata a circa 7.000 tonnellate, che servono a produrre il 93% dell`eroina venduta nel mondo, con un giro d`affari di 2,7 miliardi di dollari.

E` stato l`arresto di una guardia del corpo implicata nel traffico di droga a fare cadere forti sospetti sul fratello del presidente Karzai, cosa che spiegherebbe come l`occupazione del paese da parte delle forze della coalizione non abbia permesso di distruggere le coltivazioni di oppio delle quali venivano accusati i Taleban, ma le abbia anzi moltiplicate grazie a complicità ai più alti livelli.

Si vedrà nei prossimi mesi se la mediazione britannica porterà a qualche risultato. Anche i guerriglieri dopo sette anni di guerra sono stanchi di combattere e avrebbero manifestato disponibilità a una trattativa che dovrà ovviamente avere l`appoggio degli Usa, forse più facile con Obama che con McCain.

Ma poichè nessuno è mai riuscito a conquistare e a controllare l`Afghanistan, finirà quasi certamente anche questa volta con un accordo e un ritiro, come è avvenuto con gli Indoariani, i Medi, i Persiani, i Greci, i Maurya, i Kushan, gli Unni, gli Arabi, i Mongoli, i Turchi, i Britannici e i Sovietici. I politici studiano raramente la storia, ma i militari la conoscono molto bene.