domenica 26 ottobre 2008

La ‘meglio’ Italia…

La protesta degli studenti, docenti e ricercatori universitari contro la legge 133 del duo Tremonti-Gelmini rappresenta forse uno dei lati migliori dell’ormai ex Belpaese, ridotto ad uno straccio da una progressiva e imperitura crisi economica gia’ quasi ventennale, da una classe politica a 360 gradi a dir poco inetta e incompetente, da una classe imprenditoriale parassita e da un rincoglionimento generale dietro ai grandifratellli, isoledeifamosi, pacchi, provedelcuoco e velinume/Coronario vario.

Ma purtroppo tutto questo lodevole ma velleitario sforzo non servira’ a tirar fuori il Paese dalla merda socio-economico-culturale in cui e’ sprofondato.

Questa e’ un’assoluta mission impossible.


La spontaneita’ fa paura
di Valentina Laviola – Altrenotizie – 26 Ottobre 2008

Dev’essere un timore concreto, palpabile, quello che spinge il premier Berlusconi e altri rappresentanti della maggioranza ai commenti quotidiani sulle proteste del mondo della scuola. Trovarsi di fronte, inaspettatamente (perché, diciamolo, gli italiani non mettono in discussione tanto spesso il potere costituito) ad un movimento di questa portata deve aver sollevato non poche preoccupazioni. Ed ecco, allora, che si cerca ogni mezzo per incasellarlo, circoscriverlo, giustificarlo in qualche modo. La soluzione d’attribuirne la responsabilità all’opposizione sobillatrice e mal informata è fin troppo banale. Ridurre tutto ciò che accade ad una manovra di disturbo ideata da Veltroni di certo aiuta a ridimensionare la situazione, a trattarla come ordinaria amministrazione, ma certo non rende giustizia della realtà.

Come ha acutamente osservato il Rettore dell’Università dell’Aquila, prof. Ferdinando di Orio, in merito alle affermazioni del Presidente del Consiglio, “é davvero incomprensibile, e per certi versi irresponsabile, voler trasformare una civilissima e legittima mobilitazione di tutta l'Università italiana in un problema di ordine pubblico". O piuttosto, qualcuno potrebbe leggervi addirittura della malafede, interpretandolo come un tentativo di spostare l’attenzione pubblica dal problema reale, di confondere le acque: giocare la carta della sicurezza, si sa, ottiene sempre buoni risultati.

Negli ultimi giorni, i telegiornali nazionali sono affollati dagli esponenti del PdL che si profondono in continue dichiarazioni a sostegno del decreto Gelmini, accompagnate dall’immancabile attribuzione della responsabilità delle proteste alla Sinistra. Insomma, se si fa passare l’idea che si tratta solo di gente indottrinata e chiassosi studenti, si pongono le premesse perché le loro voci possano essere ignorate senza rimorso. Tuttavia, sembra difficile ammettere che anche questa volta possa finire tutto in un fuoco di paglia, poiché le cifre caratterizzanti di questo movimento (che non trova precedenti nella storia recente) sono proprio la sua spontaneità e la sua consapevolezza informata. In un Paese troppo spesso addormentato, o che ancora peggio preferisce non vedere, stupisce, e può intimorire, che improvvisamente non si marci più tutti in fila, ma che si cerchi di aprire una discussione.

Tutto nasce da semplici genitori, di tutte le estrazioni sociali e di diverse opinioni politiche che, allarmati dai cambiamenti che potrebbero compromettere l’educazione dei propri figli, decidono di informarsi, di approfondire l’argomento, di partecipare in qualche modo alle decisioni che il proprio governo prende. Questo dovrebbe essere salutato come un momento di crescita democratica, come un avvicinamento del cittadino alla politica, invece fa paura perché una persona consapevole non è disposta ad essere suddito silenzioso. Forse si tende troppo spesso, ormai, a sottovalutare le capacità cognitive del singolo e l‘impegno che può generare dall’unione di più singoli. La miglior garanzia contro la possibile strumentalizzazione, però, è data proprio dal conoscere e dal comprendere i motivi della protesta; inoltre, la nascita dal basso di quest’ultima contraddice implicitamente ogni attribuzione partitica.

La risposta migliore alle accuse del governo viene proprio dalle piazze italiane di questi giorni: a chiunque le osservi apparirà chiara la fondamentale trasversalità della protesta che si sta esprimendo attraverso canali e forme molteplici, proprio perché diverse sono le persone che la animano. Oggi è possibile vedere genitori seduti simbolicamente nei banchi collocati in piazza a Bologna per difendere la scuola elementare dei propri figli; ricercatori precari chiedere l’elemosina per strada; maestre coinvolgere i propri alunni nella partecipazione. All’interno delle Università italiane, dalla Sicilia al Veneto, non passa giorno senza che si organizzino assemblee, dibattiti e dimostrazioni pubbliche del dissenso, nelle quali chi cerca di mettere di mezzo un colore politico viene fischiato: gli stessi esponenti del PD, infatti, sono stati respinti quando hanno tentato di avvicinare i manifestanti. Gli studenti marcano più che possono la propria autonomia, semplicemente perché sanno che la messa a rischio del loro futuro non è “una questione di sinistra”, se mai una questione di civiltà, di pari opportunità, di tutele. L’argomento non può non riguardare ognuno di noi.

Infatti, i decreti del governo, pur attaccando livelli diversi dell’istruzione italiana, suscitano le rimostranze di tutte le categorie coinvolte. Oggi i docenti protestano accanto agli studenti; questa è già una piccola rivoluzione degna di nota. Una delle iniziative intraprese dai professori di varie università è rappresentata da una lettera indirizzata ai genitori degli universitari, alle loro famiglie, per spiegare che “La nuova L.133 di quest’anno prevede un ulteriore taglio di ben 1500 milioni di euro per i prossimi 5 anni. E’ evidente la volontà di emarginare l’Università pubblica, costringere le Facoltà ad innalzare severamente le tasse di iscrizione e di selezionare gli accessi degli studenti sulla base del loro reddito familiare. Così l’Università è destinata a esistere solo per pochi ragazzi. E d’altra parte, la possibilità che la legge offre ai Rettori di trasformare le Università in fondazioni private conferma questa volontà da parte delle forze di governo”.

Tra le tante iniziative, c’è anche una raccolta di firme all’attenzione del Presidente della Repubblica Napolitano per sensibilizzare le istituzioni. Inoltre, è apparso sul sito Internet dell’Istituto Superiore di Sanità un comunicato del 22 ottobre nel quale si spiega che “il sistema di sorveglianza sull'influenza, 'Influnet', è stato sospeso per protesta contro le norme che colpiranno la ricerca pubblica, portando al ridimensionamento del personale precario e privando così l’Istituto dell'irrinunciabile contributo fornito da colleghi e colleghe che operano con contratti di lavoro a tempo determinato o di collaborazione coordinata e continuativa”. I ricercatori sottolineano che “la difficile decisione di sospendere l'attività, é voluta da tutto il personale”. Questa presa di posizione mira a dimostrare che, se verranno applicate le nuove regole, molte altre attività di rilevante impatto sulla sanità pubblica rischiano di scomparire.

In conclusione, appare chiaro che il Paese ha capito che non si tratta di una protesta politica in senso stretto, ma che di certo tocca una questione politica: l’importanza dell’istruzione pubblica e della qualità che questa deve assicurare, quale diritto irrinunciabile di tutti. Ciò che i cittadini stanno portando avanti è una dimostrazione di buona politica, di politica vera, concreta, interessata e partecipata; stanno lanciando un messaggio al governo: “Questa volta, non staremo a guardare.”


Cosi’ non va, studenti
di Paolo Barnard – Comedonchisciotte - 23 Ottobre 2008

No, così non va cari studenti, cari insegnanti, cari attivisti. L’opposizione e l’indignazione sono fallate quando sono selettive, quando cioè si animano contro l’uno ma non contro l’altro. Poi: nulla di buono potrà mai scaturire se è solo un’ossessione per l’Odioso Designato (Silvio Berlusconi) che vi ha infiammati fino a questo livello. Infine: la protesta è ancor più vana quando sbaglia clamorosamente il target.

Sarò subito chiaro. Le masse di voi giovani che oggi sconquassano istituti e atenei per protestare contro l’assalto all’istruzione dell’attuale ministro, rimasero inerti quando quell’assalto veniva pianificato dal governo Prodi, con colpi di scure assai più profondi di quelli oggi in gioco. Dov’eravate ragazzi? E i vostri docenti? Eppure, leggete qui di seguito:

“L'incontro di ieri mattina tra il presidente del Consiglio, Romano Prodi, e i sindacati della scuola è stato il detonatore che ha fatto esplodere l'inquietudine sotterranea che da settimane attraversava l'intero versante sindacale di fronte all'incognita della Finanziaria (2007, nda). Il confronto si è arroventato di colpo quando Enrico Panini, leader della FlcCgil, ha estratto dalla sua cartellina un foglio contenente le misure che la prossima Finanziaria dedica alla scuola. Sotto accusa tre articoli: 17, 18 e 19. Il primo stabilisce che, dal 2007/08 al 2012/13, sarà innalzato progressivamente fino a 12 il rapporto tra alunni e docente… un giro di vite che alla fine porterebbe alla riduzione di quasi 100mila posti per gli insegnanti. Inoltre, stretta sui posti di sostegno e sul personale Ata… provvedimenti che potrebbero costare la cattedra a circa 10mila docenti. E altrettanti potrebbero essere cancellati dalla paventata abolizione della deroga nella formazione delle classi nelle quali sono presenti alunni con handicap. «Più che una proposta dilegge Finanziaria siamo di fronte a un chiaro esempio di come si può far impallidire anche un concetto come quello di macelleria sociale», ha attaccato Panini.”

Così scriveva il Sole 24 Ore il 27 settembre del 2006. E notate: l’articolo parla di “inquietudine sotterranea che da settimane attraversava l'intero versante sindacale”, dunque il tempo per sollevarsi c'era. Si parlava di ben oltre 100.000 cattedre a rischio, ben più delle odierne 87 mila della Gelmini. Perché in quelle settimane non vi mobilitaste? Perché nessun allarme e nessuna occupazione per oltre un anno? Vero, nell'autunno del 2007 scendeste in piazza, ma le agitazioni di allora furono minuscole rispetto a quanto state facendo oggi, e soprattutto si accesero nella maggioranza di voi quando l'allora ministro Fioroni minacciò i vostri interessi di parte (obbligo dei debiti , maturità ecc.) e non prima quando, ribadisco, in gioco c'erano i medesimi tagli che oggi sembrano così scandalizzarvi. Perché? Vero anche che la minaccia dei colpi di scure del buon Prodi rientrò, ma poi… leggete qui:

“Giungono a maturazione i frutti avvelenati di una Finanziaria (2007 nda) che ci avevano detto avrebbe fatto piangere i ricchi e finalmente rilanciato l'impegno dello Stato a sostegno della scuola. La situazione economica e strutturale della scuola pubblica diviene ogni giorno più drammatica. I tagli alla superiore sono i più evidenti e vistosi, resi ancor più gravi dall'aumento delle iscrizioni a livello nazionale… Il crollo dei finanziamenti sta minacciando il Tempo Pieno e prolungato, sta impedendo di pagare e fare le supplenze quasi ovunque, con decine di migliaia di classi che ogni giorno restano senza insegnanti. Molte scuole non hanno più i soldi neanche per le spese più elementari, gesso o carta igienica… I professionali stanno per essere massacrati, si annunciano riduzioni vistose dell'orario settimanale… Dopo un ridicolo balletto con i sindacati ‘amici’, il governo ha ribadito che nel 2007 non darà un euro per il rinnovo del contratto di docenti ed Ata, deprimendo ancor più una categoria al limite del tracollo… E dire che basterebbe che il governo rinunciasse a costruire gli F35 (i caccia, nda) destinando all'istruzione almeno la metà di quei soldi.”

Così si esprimevano nel maggio del 2007 i Cobas Scuola. E allora.

No, così non va cari ragazzi. Lo slancio civico, la difesa dei diritti, sarebbero in voi una manifestazione straordinaria se non fosse che ancora una volta l’evidenza mi costringe a concludere che ciò che anima questo vostro insolito livello di indignazione è la deleteria febbre contro l’Odioso Designato, e non la sostanza dell'ingiustizie. Ancora una volta. Come ai tempi del desolante spettacolo del ‘pacifismo’ italiano di cinque anni fa. Ricordiamo tutti quell’epocale 15 febbraio del 2003, quando una massa di quasi tre milioni di italiani marciò su Roma per protestare contro l’intervento italiano in Iraq e in Afghanistan. In Iraq l’Italia è rimasta per nove mesi del governo di centrosinistra, in Afghanistan ancora siamo. Ma dei tre milioni di ‘pacifisti’ del 2003, quanti scesero in piazza nei mesi del mandato Prodi dall'aprile del 2006? Lungo cioè la terrificante strage di civili che le cosiddette coalizioni hanno perpetrato in quei due Paesi e che oggi arriva a una stima di oltre un milione e seicentomila morti? Poche centinaia si agitarono nelle piazze, di cui neppure uno dopo l’annuncio lanciato da Luciano Bertozzi su Nigrizia che ci rivelava come il buon Prodi avesse previsto nella finanziaria 2008 qualcosa come… 23 miliardi di euro in spese militari, armando poi Paesi come la Turchia o Israele, vere e proprie bestie nere dei Diritti Umani. Perché allora, col centrosinistra a palazzo Chigi, neppure una frazione dell’indignazione febbrile che oggi vi percuote fece capolino nelle strade? Mi dite perché?

Infine. Dove state andando a sbattere? Contro chi? Ha senso indignarsi con il pescecane che ha azzannato la rete del pescatore? Mi spiego, è semplice. Le destre politiche di tutto il mondo sono cromosomicamente programmate dai loro padroni per fare una e solo una cosa: distruggere il bene comune e il senso di collettività, per sempre, e imporre il privato individuale ovunque. Sono nate per fare questo. Punto. Esattamente come gli squali sono nati per azzannare. Significa demolire scuola pubblica, sanità pubblica, servizi pubblici. Possiamo certamente inorridire, ma che senso ha indignarsi con chi sta facendo il suo dovere? L’indignazione se la meritano coloro il cui compito era di impedire che la destra facesse il suo dovere: e cioè la sinistra, la miserevole inesistente patetica sinistra. Quella cosa che oggi sta appiattita sotto lo stuoino della destra pur continuando a biascicare retoriche di sinistra. Le leggi dell’Odioso Designato si disfano in poche settimane se c'è il consenso politico (cioè popolare). Il problema è che quel consenso non c'è, o meglio, la sinistra non ha saputo crearlo, non ne è stata capace, anzi: non ha voluto. Questo è il problema. Invece di perdere tempo a odiare Berlusconi e il suo clan, perché non vi chiedete le ragioni per cui le sinistre sono finite a brandelli, svendute alle destre, protettrici del piduista Silvio, privatizzatrici, precarizzatrici, traditrici del nostro bene comune?

Indignatevi con loro ragazzi, strattonatele, prendetele a schiaffi, fate i sit-in e le lezioni in strada di fronte alla CGIL, alle sedi del PD, sotto casa di Romano Prodi. Questo ha senso. La destra fa il suo dovere. E' la sinistra che non l'ha fatto.