E’ nel DNA di tale sistema economico provocare crisi della portata cui stiamo assistendo in queste settimane.
E non e’ ancora finita.
Il problemino del capitalismo
di Thomas Walkom - Toronto Star – 27 Settembre 2008
Tradotto per www.comedonchisciotte.org da Alcenero
La crisi finanziaria che stritola gli Usa non è un’anomalia. È solo che abbiamo la memoria corta.
Ciò che sta accadendo ora a Wall Street viene visto come una storia nuova. Non lo è. È una storia molto vecchia.
Karl Marx scrisse a riguardo; e così fece pure John Maynard Keynes. Più recentemente il tycoon George Soros si è pronunciato su di ciò, e così ha fatto anche l’illustre Economist, una rivista finanziaria decisamente favorevole al libero mercato.
Questa vecchia storia è molto semplice: il capitalismo è instabile. È un sistema economico che può essere spietatamente produttivo. Ma è anche un sistema di meccanismi complicati—Marx le chiamava contraddizioni interne—che può sfuggire completamente al controllo. Cosa che regolarmente avviene.
Marx, un filosofo tedesco arrabbiato perchè soffriva di problemi alla pelle, vide queste contraddizioni come opportunità: immaginò che l’autodistruzione del capitalismo potesse portare a un mondo migliore.
Keynes, un economista britannico che amava speculare sulle valute estere durante la sua colazione mattutina base di tè e toast, li vide come problemi che avrebbero potuto distruggere un mondo che gli piaceva parecchio. La costruzione dello Stato sociale che porta il suo nome fu progettata nel periodo post-1945 per, letteralmente, salvare il capitalismo da se stesso.
Le banche vennero regolamentate per impedire che i finanzieri facessero crollare l’economia con le loro truffe. I sindacati furono incoraggiati per dare ai lavoratori un modo di partecipare allo status quo e vaccinarli contro la politica radicale.
I ricchi si dichiararono d’accordo alle politiche governative di tassazione e spesa, sapendo che, alla fine, e meglio dare da mangiare ai poveri piuttosto che lasciare chi ti tagliano la gola.
Fu un gigantesco e tacito compromesso—forzato dalla depressione degli anni 30, temprato dalla guerra e forgiato sotto la minaccia del comunismo.
Per molto tempo ha funzionato.
Ma il grande compromesso non avrebbe mai potuto risolvere quelle incoerenze che sono inerenti all’economia mondiale. Col tempo nuove forze entrano in gioco.
Quegli stessi investimenti stranieri che consentirono alle aziende statunitensi di prosperare nel mondo del dopoguerra incoraggiarono lo sviluppo dei rivali: prima la Germania ovest e il Giappone, da ultime la Cina e l’Unione Europea.
In tutto l’Occidente industrializzato, i lavoratori sindacalizzarti imbottiti dalle politiche di pieno impiego dello Stato sociale, chiesero e ottennero un’impennata delle paghe che eccedeva i loro guadagni produttivi. Questo è il motivo per cui, negli anni 70, l’inflazione decollò.
Nel frattempo, il crollo del comunismo e il discredito delle politiche rivoluzionarie rimosse la pressione dai datori di lavoro. Perché preoccuparsi di creare un grande compromesso con i propri lavoratori se questi non sono una minaccia?
E così venne la fase della riduzione delle spese—la distruzione dello Stato sociale. In Inghilterra iniziò come Thatcherismo, negli Usa come Reaganomics. In entrambi i casi i leader si impegnarono per limitare il potere dei sindacati nei loro paesi. Entrambi ci riuscirono, la Thatcher affrontando i minatori, Reagan licenziando i controllori di volo sindacalizzati.
Il loro scopo non era il tradizionale conservatorismo fiscale. Di fatto, sotto Reagan, le finanze federali Usa spiraleggiarono verso il deficit.
Il loro scopo era, piuttosto, di alterare l’equilibrio di forze all’interno della società. I tagli delle tasse di Reagan erano progettati per aiutare i ricchi; il monetarismo della Thatcher si concentrò sullo stritolamento dei salari.
In Canada avemmo Paul Martin e Mike Harris—politiche simili ma su una scala diversa.
Come risultato il divario nei salari si allargò in tutto il mondo industriale. I ricchi diventarono più ricchi, la classe media rallentò e i poveri divennero più poveri.
La fase due riguardò lo smantellamento di quelle stesse salvaguardie finanziarie erette dopo la debacle degli anni 30. I particolari variarono da paese a paese, ma lo scopo era lo stesso: deregolamentare le industrie finanziarie in modo che si centralizzassero e concentrassero le loro tremende risorse in nuove e più profittevoli aree.
Negli Usa una deregulation finanziaria portò a stralciare le leggi che avevano protetto i proprietari di piccoli depositi—cosa che portò nei tardi anni 80 al crollo delle cosiddette banche “savings and loans” [letteralmente di “risparmi e prestiti”, in pratica semplici casse di risparmio che fallirono a causa di politiche avventurose soprattutto nel mercato immobiliare. N.d.t.].
A sua volta esso portò il governo Usa a progettare il suo primo grande salvataggio del dopoguerra.
In Canada, la deregolamentazione portò a fare a pezzi un sistema che aveva mantenuto varie porzioni dell’industria finanziaria isolate le una dalle altre. Sotto il nuovo regime, assicuratori, società fiduciarie e società di investimento si unirono e mischiarono. Le restrizioni al prestito vennero attenuate.
Ironicamente la fase tre fu innescata proprio dal successo del mondo industriale nel combattere l’inflazione. Come l’inflazione scese così fecero anche i guadagni tramite i normali canali di investimento. Gli investitori, alla ricerca di maggiori guadagni, iniziarono a cercare opzioni più rischiose e più remunerative.
Così arrivò l’infatuazione per i cosiddetti nuovi strumenti finanziari. Molte famiglie si accontentavano di cose non troppo esotiche come i fondi comuni d’investimento. Ma per individui e aziende benestanti la nuova frontiera era molto più esotica: derivati, fondi speculativi [Hedge funds], index funds [Fondi comuni di investimento volti a replicare movimenti dell’indice di uno specifico mercato finanziario. Da Wikipedia. N.d.t.], collateralized debt obligations [Titolo obbligazionario garantito da crediti ed emesso da una società appositamente creata, a cui vengono cedute le attività poste a garanzia. Si veda Wikipedia. N.d.t.].
Tutti questi strumenti lavoravano sul venerabile principio della leva finanziaria: mettere poco per guadagnare tanto. Purtroppo, come ci saremmo dovuti ricordare dall’esperienza degli anni 30, la leva funziona solo quando l’economia sale. Quando le cose iniziano ad andar male un bene sottoposto a leva finanziaria può diventare un intollerabile zavorra. [Altri, tra cui J. K Galbraith, si veda il suo “Il Grande Crollo”, spiegano che il meccanismo della leva finanziaria funziona anche in negativo: i titoli e i beni con una forte leva scendono e portano al fallimento in situazioni di crisi con molta più rapidità che titoli a bassa leva. N.d.t.].
In fin dei conti le società private equity e i sottoscrittori dii mutui sub-prime stavano facendo praticamente la stessa cosa: prendere a prestito denaro che non si sarebbero potuti permettere di restituire, nella speranza che un qualunque bene da loro acquistato sarebbe continuato a crescere di valore.
Si è trattato di un gigantesco schema Ponzi che non poteva durare. E così è stato. [Lo “Schema di Ponzi”, dal nome del suo inventore, l’immigrato italiano negli USA Charles Ponzi, è un modello economico di vendita truffaldino che promette forti guadagni alle vittime a patto che queste reclutino nuovi "investitori", a loro volta vittime della truffa. Vedi Wikipedia. N.d.t.]
Così siamo di nuovo punto e accapo. Il sistema è vicino al collasso. Il presidente della Federal Reserve Bernanke potrebbe ricordarsi la sua storia (egli è un’autorità sulla Depressione degli anni 30). Ma pochi altri se la ricordano.
In televisione, uno sconcertato presidente George W. Bush ricordava il proverbiale cervo abbagliato dai fari. Qui in Canada, il primo ministro Stephen Harper insiste a dire che i fondamenti economici del paese sono buoni, cosa che, anche fosse vera, è largamente irrilevante nel contesto di un possibile crollo mondiale.
I contribuenti americani si sono comprensibilmente scocciati della richiesta di salvare l’intero sistema capitalista globale. Proprio adesso la loro ira è rivolta ai ricconi di Wall Street. Ma nei loro cuori riconoscono che questo non è un cattivo affare.
Il piano di salvataggio da $ 700 miliardi potrebbe salvare il sistema finanziario. Ma dopo che le persone comuni avranno pazientemente accumulato questi soldi, la loro ricompensa non sarà altro che un ritorno alla situazione di prima? Persino i politici stanno iniziando a riconoscere che qualunque soluzione duratura deve affrontare qualcosa di più che la struttura economica della crisi.
Ironicamente ciò per cui annaspano è lo stesso tipo di soluzione che ci hanno fatto smantellare negli scorsi quarant’anni. E’ tempo di un altro grande compromesso—non necessariamente lo stesso che ci diede lo Stato sociale del dopoguerra, ma uno che fornisca un simile do ut des. E sarà qualcosa del genere: salveremo il vostro dannato vecchio capitalismo; vi lasceremo avere le grandi case e i grandi salari (anche se forse non tanto grandi quanto erano prima). Ma in cambio dovrete restituirci qualcosa, in posti di lavoro, in salari e nelle cose di cui abbiamo bisogno per vivereuna vita civile. Né vi lasceremo distruggere tutto ciò che ci è caro perché voi possiate farvi un bel gruzzolo.
E non rifilateci ancora le solite stupidaggini sul libero mercato. Perché sappiamo, e lo sapete anche voi, che in momenti di forte pressione, il libero mercato non funziona. La crisi ce lo ha ricordato.
Marx, Tremonti, crisi del 29 e disastro prossimo venturo
da Pensare in profondo blog – 6 Ottobre 2008
Uno legge il sole 24 ore e pensa "Questa crisi sarà una cosa grave, però in fondo è una di quelle crisi come le altre e ne usciremo come sempre". Intanto bisognerebbe capire chi ne uscirà bene.
I segnali del sistema sono inquietanti. Per un verso assistiamo a trasferimenti di depositi di correntisti inglesi nelle banche irlandesi perché lì, a differenza che in Inghilterra, il governo assicura che i conti correnti saranno tutelati per intero.
Intanto in Germania la Merkel, per evitare il panico, assicura che il governo tedesco farà la sua parte con i risparmiatori.Il tutto mentre la Hypo real hestate (tedesca) non riesce a farsi prestare soldi dalle altre banche e rischia il fallimento.
Da noi, che siamo tra i più inguaiati d'Europa, Berlusconi è il più "sghiscio" per due semplici motivi:
1- Siamo l'economia più indebitata del pianeta (grazie al suo amico Craxi), insieme agli USA (adesso), e non saprebbe come garantire per intero i risparmi sui conti correnti. L'attuale garanzia sui 103.000 euro (per chi ne ha) , in caso di fallimento della banca,funziona in questo modo: liquidazione entro 20.000€ in tempi ragionevoli, il resto seguendo i tempi di liquidazione della banca.Il tutto, è ovvio, a carico dello stato. Se non fosse per quel cacchio di debito pubblico si dormirebbe sereni.
2- Lui preferirebbe un fondo europeo a garanzia.In pratica una colletta gigantesca sulla quale, ho idea, che tedeschi e nord europei non sono tanto dell'avviso.In mezzo a questo casino prendiamo nota delle dichiarazioni più strampalate.
Profumo, quello dell'Unicredit, mentre prova a ricapitalizzare il suo istituto con 6,6 miliardi di euro ci racconta che la situazione è come quella del 1929. Il tutto confessando anche che lui a 60 anni si toglierà dall'arena perché un po' sfinito lo è.
Tremonti, mentre riscopre Marx leggendolo nelle pause della svendita di Alitalia ai soliti noti, ci racconta che forse è "solo la fine dell'inizio". In pratica una specie di tunnel degli orrori economico e finanziario di cui non si percepiscono le conseguenze. Ne usciremo con un mondo nuovo, più industria e meno finanza e che noi stiamo messi meglio degli altri.
Se non fosse che qualcuno (l'unico decente del PD, Bersani) gli ha ricordato come, nel 2003, era uno di quelli che magnificava il sistema dei mutui negli USA, e che premeva per replicarlo da noi, ci sarebbe da credergli sulla parola.
Questa mattina l'amministratore delegato del gruppo Toscano(vendono case), intervistato sulla "bolla immobiliare in Italia", ci raccontava serafico che "da noi i prezzi tengono nella media, ci sono leggeri cali delle quotazioni intorno al 2% del valore negoziato anche se c'è stata una contrazione delle vendite del 25% nell'ultimo trimestre nelle grandi città". In sostanza tu puoi anche raccontarti, davanti allo specchio, "la mia casa vale 300.000€ e non rompetemi i coglioni" per gasarti un po' e continuare a sentirti ricco,però rivendertela è solo un po' dura.
In mezzo a tutto questo la vita scorre.Le persone, al momento, non danno segnali di panico. D'altra parte se ti leggi il sole 24 ti rendi conto che siamo in una botte di ferro.
I risparmi sono al sicuro, la disoccupazione aumenta ma solo perché quelli che non rientravano nelle statistiche si sono alzati dal letto ed un cazzo di lavoro lo vorrebbero anche loro ( i disoccupati scoraggiati),i costi delle materie prime diminuiscono e quindi questo ci farà recuperare potere d'acquisto (questo pezzo lo ha scritto la Marcegaglia), forse il petrolio un po' meno perché i paesi emergenti crescono impetuosamente (siamo sotto i 90$ a barile contro i 150 di Agosto) e questo porta squilibrio nel rapporto domanda offerta (questo pezzo è opera di Moratti),se fallisce una banca alla fine da noi non paga nessuno (ricordate il Banco di Napoli?) perché abbiamo una serie di ingegneri finanziari che il mondo ci invidia (per come abbiamo trovato una soluzione per l'Alitalia),se avete un po' di soldi e non sapete proprio cosa fare ASPETTATE perché non ci stiamo capendo un cazzo ed infine, per chiudere in bellezza, ricordate che non è colpa degli speculatori malvagi (in fondo "L'avidità è connaturata al modo di funzionare dell'economia e per questo ci vogliono regole per incanalare questa forza possente verso il bene comune") e non rompete il cazzo con la vostra pretesa di vederli appesi ai lampioni.
Tutto qua, mi chiedo se Tremonti ha letto il pezzo in cui Marx scrive che "L’arma della critica non può sostituire la critica delle armi, la forza materiale deve essere abbattuta per mezzo della forza materiale, ma la teoria diventa, essa pure, una forza materiale, quando si impadronisce delle masse."
Vladimir Lenin aveva predetto la situazione attuale?
da Information Clearing House – 4 Ottobre 2008
Traduzione trascritta dall’Organizzazione Comunista Internazionalista (Che fare), a cura di Marxist Internet Archive.
L’epoca dell’imperialismo inizia quando l’espansione del colonialismo ha coperto il globo, nessuna nuova colonia può essere acquisita dalle grandi potenze se non strappandosele le une alle altre e la concentrazione di capitale è cresciuta al punto in cui il capitale finanziario diventa dominante sul capitale industriale.
Lenin elencò le seguenti cinque caratteristiche dell’epoca dell’imperialismo:
1) la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica;
2) la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo "capitale finanziario", di un'oligarchia finanziaria;
3) la grande importanza acquistata dall'esportazione di capitale in confronto con l'esportazione di merci;
4) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo;
5) la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche.
L'imperialismo è dunque il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo, in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l'esportazione di capitale ha acquistato grande importanza, è cominciata la ripartizione del mondo tra i trust internazionali, ed è già compiuta la ripartizione dell'intera superficie terrestre tra i più grandi paesi capitalistici. [Dal Capitolo VII].
[L’imperialismo] è già qualche cosa di ben diverso dall'antica libera concorrenza tra imprenditori dispersi e sconosciuti l'uno all'altro, che producevano per lo smercio su mercati ignoti. La concentrazione ha fatto progressi tali, che ormai si può fare un calcolo approssimativo di quasi tutte le fonti di materie prime (per esempio i minerali di ferro) di un dato paese, anzi, come vedremo, di una serie di paesi e perfino di tutto il mondo. E non solo si procede a un tale calcolo, ma le miniere, i territori produttori vengono accaparrati da colossali consorzi monopolistici [ora definiti conglomerati multinazionali N.d.r.]. Si calcola approssimativamente la capacità del mercato che viene "ripartito" tra i consorzi in base ad accordi. Si monopolizza la mano d'opera qualificata, si accaparrano i migliori tecnici, si mettono le mani sui mezzi di comunicazione e di trasporto: le ferrovie in America, le società di navigazione in America e in Europa. Il capitalismo, nel suo stadio imperialistico, conduce decisamente alla più universale socializzazione della produzione; trascina, per così dire, i capitalisti, a dispetto della loro coscienza, in un nuovo ordinamento sociale, che segna il passaggio dalla libertà di concorrenza completa alla socializzazione completa.
Viene socializzata la produzione, ma l'appropriazione dei prodotti resta privata. I mezzi sociali di produzione restano proprietà di un ristretto numero di persone. Rimane intatto il quadro generale della libera concorrenza formalmente riconosciuta, ma l'oppressione che i pochi monopolisti esercitano sul resto della popolazione viene resa cento volte peggiore, più gravosa, più insopportabile.
[…]L'evoluzione del capitalismo è giunta a tal punto che, sebbene la produzione di merci continui come prima a "dominare" e ad essere considerata come base di tutta l'economia, essa in realtà è già minata e i maggiori profitti spettano ai "geni" delle manovre finanziarie. Base di tali operazioni e trucchi è la socializzazione della produzione, ma l'immenso progresso compiuto dall'umanità, affaticatasi per giungere a tale socializzazione, torna a vantaggio... degli speculatori. [Dal Capitolo I]
Monopoli, oligarchia, tendenza al dominio anziché alla libertà, sfruttamento di un numero sempre maggiore di nazioni piccole e deboli per opera di un numero sempre maggiore di nazioni più ricche o potenti: sono le caratteristiche dell'imperialismo, che ne fanno un capitalismo parassitario e putrescente. Sempre più netta appare la tendenza dell'imperialismo 'a formare lo "Stato rentier", lo Stato usuraio, la cui borghesia vive esportando capitali e "tagliando cedole". Sarebbe erroneo credere che tale tendenza alla putrescenza escluda il rapido incremento del capitalismo: tutt'altro. Nell'età dell'imperialismo i singoli paesi palesano, con forza maggiore o minore, ora l'una ora l'altra di quelle tendenze. In complesso il capitalismo cresce assai più rapidamente di prima sennonché tale incremento non solo diviene in generale più sperequato, ma tale sperequazione si manifesta particolarmente nell'imputridimento dei paesi capitalisticamente più forti (Inghilterra). [...] [Dal Capitolo X]
Parliamo del parassitismo, che è proprio dell'imperialismo.
Come abbiamo visto, la base economica più profonda dell'imperialismo è il monopolio, originato dal capitalismo e trovantesi, nell'ambiente generale del capitalismo, della produzione mercantile, della concorrenza, in perpetuo e insolubile antagonismo con l'ambiente medesimo. Nondimeno questo monopolio, come ogni altro, genera la tendenza alla stasi e alla putrefazione.
Certo la possibilità di abbassare, mediante nuovi miglioramenti tecnici, i costi di produzione ed elevare i profitti, milita a favore delle innovazioni. Ma la tendenza alla stagnazione e alla putrefazione, che è propria del monopolio, continua dal canto suo ad agire, e in singoli rami industriali e in singoli paesi s'impone per determinati periodi di tempo.
Il possesso monopolistico di colonie particolarmente ricche, vaste ed opportunamente situate, agisce nello stesso senso.
Ed ancora. L'imperialismo è l'immensa accumulazione in pochi paesi di capitale liquido, che, come vedemmo, raggiunge da 100 a 150 miliardi di franchi di titoli. Da ciò segue, inevitabilmente, l'aumentare della classe o meglio del ceto dei rentiers, cioè di persone che vivono del "taglio di cedole", non partecipano ad alcuna impresa ed hanno per professione l'ozio. L'esportazione di capitale, uno degli essenziali fondamenti economici dell'imperialismo, intensifica questo completo distacco del ceto dei rentiers dalla produzione e dà un'impronta di parassitismo a tutto il paese, che vive dello sfruttamento del lavoro di pochi paesi e colonie d'oltre oceano
Occorre rilevare come in Inghilterra la tendenza dell'imperialismo a scindere la classe lavoratrice, a rafforzare in essa l'opportunismo, e quindi a determinare per qualche tempo il ristagno del movimento operaio, si sia manifestata assai prima della fine del XIX e degli inizi del XX secolo. Ivi, infatti, le due importanti caratteristiche dell'imperialismo, cioè un grande possesso coloniale e una posizione di monopolio nel mercato mondiale, apparvero fin dalla metà del secolo XIX. Marx ed Engels seguirono per decenni, sistematicamente, la connessione dell'opportunismo in seno al movimento operaio con le peculiarità imperialiste del capitalismo inglese. Per esempio Engels scriveva a Marx il 7 ottobre 1858:
"... l'effettivo, progressivo imborghesimento del proletariato inglese, di modo che questa nazione, che è la più borghese di tutte, sembra voglia portare le cose al punto da avere un'aristocrazia borghese e un proletariato accanto alla borghesia. In una nazione che sfrutta il mondo intero, ciò è in certo qual modo spiegabile".
Circa un quarto di secolo più tardi, in una lettera dell'11 agosto 1881 egli parla delle "peggiori Trade-unions inglesi che si lasciano guidare da uomini che sono venduti alla borghesia o per lo meno pagati da essa".
In una lettera a Kautsky del 12 settembre 1882, Engels scriveva:
"Ella mi domanda che cosa pensino gli operai della politica coloniale. Ebbene: precisamente lo stesso che della politica in generale. In realtà non esiste qui alcun partito operaio, ma solo radicali, conservatori e radicali-liberali, e gli operai si godono tranquillamente insieme con essi il monopolio commerciale e coloniale dell'Inghilterra sul mondo"
Lo stesso dice Engels anche nella prefazione alla seconda edizione (1892) della “Situazione della classe operaia in Inghilterra” . La situazione odierna è contraddistinta dall'esistenza di condizioni economiche e politiche tali da accentuare necessariamente l'inconciliabilità dell'opportunismo con gli interessi generali ed essenziali del movimento operaio. L'imperialismo, che era virtualmente nel capitalismo, s'è sviluppato in sistema dominante, i monopoli capitalistici hanno preso il primo posto nell'economia e nella politica; la spartizione del mondo è ultimata, e d'altro lato in luogo dell'indiviso monopolio dell'Inghilterra osserviamo la lotta di un piccolo numero di potenze imperialistiche per la partecipazione al monopolio, lotta che caratterizza tutto l'inizio del XX secolo. In nessun paese l'opportunismo può più restare completamente vittorioso nel movimento operaio per una lunga serie di decenni, come fu il caso per l'Inghilterra nella seconda metà del secolo XIX; ma invece in una serie di paesi l'opportunismo è diventato maturo, stramaturo e fradicio, perché esso, sotto l'aspetto di socialsciovinismo, si è fuso interamente con la politica borghese. [Dal Capitolo VIII]
I conti correnti sono davvero garantiti? Due mezze verita' somigliano molto ad una bugia
di Pietro Cambi – Crisis – 7 Ottobre 2008
Ormai lo sapete:
noi di Crisis non abbiamo molta stima dell'informazione ufficiale, di quella istituzionale ed anche di quella dei Media tradizionali.
E' una sfiducia basata sui fatti e straconfermata dall'attualità.
Vi ricorderete la serie dei post sui rischi occulti dei mutui italiani, anche quelli a tasso fisso.
Semplicemente basandomi sui FATTI dimostravo come, in realtà, il tasso fisso NON ESISTE, non in una situazione come quella di questi giorni ( mesi? anni?).
Ora vorrei scrivere due parole sulle garanzie che incessantemente vi ribadiscono certe ed inossidabili, per i conti correnti fino a 103291,38 euro per nominativo ( se avete un conto cointestato quindi la cifra raddoppia). Questa cifra viene restituita in caso di necessita dal Fondo di Garanzia Interbancario, che è costituito con una piccola quota degli accantonamenti obbligatori di TUTTE le banche.
Per dare a Cesare quel che è di Cesare bisogna intanto dire che questo fondo è stato istituito sotto il governo Prodi, nel 1996 (la bislacca cifra è la traduzione in euro di 200.000.000 di vecchie lire).
Poi bisogna chiedersi cosa succede se, concretamente, una banca ha una crisi di liquidità e non è più in grado di restituire, a semplice richiesta, i depositi dei suoi correntisti ( non è necessario che fallisca).
Intanto ci deve essere una dichiarazione di insolvenza dell'istituto ed una autorizzazione della Banca D'Italia ( che vi ricordo, En passant, essere un isituzione PRIVATA, al contrario di quello che crede il 90% dei cittadini).
Concretamente SOLO il 20% della cifra DEVE essere messa a disposizione dal Fondo interbancario ENTRO 3 MESI.
I mesi possono arrivare a NOVE, nel caso di situazioni ECCEZIONALI e previa autorizzazione da parte della Banca D'Italia.
Il RESTO, ovvero l'80 % DEI VOSTRI SOLDI, viene liquidato solo quando comincia la liquidazione della banca, quindi con tempi che possono essere ( e di fatto lo sono SEMPRE) LUNGHI.
Inoltre il fondo si attiva nella misura in cui ( lo so è un tipico sessantottismo, perdonatemelo) ha liquidità disponibile.
Quanto è grande questa liquidità?
Dallo 0.4. allo 0.8 % dei fondi rimborsabili delle banche associate, ovvero, in pratica dell'intero sistema bancario.
Basta quindi il fallimento di una banca i cui conti correnti corrispondano spannometricamente allo 0.8 del totale italiano e questo fondo di garanzia cesserà di esistere, di fatto, per mancanza di disponibilità.
Quindi, ricapitolando
1) E' vero che i conti correnti sono garantiti ma solo entro i limiti IMPORTANTI che ho indicato.
2) E' vero che sono garantiti ma solo fino all'esaurimento della liquidità del Fondo di Garanzia
Sono due classiche mezze verità quindi che, viste dal basso, da noi tapini microrisparmiatori, somigliano moltissimo ad una bugia: i risparmi dei conti correnti, questa è la verità, NON SONO GARANTITI in caso di crisi finanziaria della banca, se non per una modesta percentuale del loro valore ed anche questa ottenibile con tempi non brevi e solo se il contagio non coinvolge che un piccolo numero di istituti.
Il resto, con calma, se tutto va bene ed in percentuali tutte da definirsi presumibilmente, esempi storici alla mano, non alte.
Non dobbiamo neppure lamentarci troppo: lo standard europeo prevedeva SOLO 20.000 euro rimborsabili...