giovedì 23 ottobre 2008

Crisi finanziaria: un futuro a base di Carl Marx e Corano?

Un paio di articoli sul cataclisma finanziario ancora in corso e sull’arrivo in Europa delle banche islamiche.

Il terremoto capitalistico
di William Bowles – Creative-i.info – 17 Ottobre 2008

Traduzione di Enzo Suella per http://www.comedonchisciotte.org/

“E’ solo perché ci troviamo in questa situazione disastrosa che negli Stati Uniti, dove la proprietà privata è probabilmente più sacrosanta che in qualsiasi altra parte del mondo, si parla di un qualche genere di nazionalizzazione delle banche, ancorché limitato. In alcuni ambienti finanziari questo viene ora definito ‘cambio di regime’, - chiaramente prendendo a prestito l’espressione da un altro contesto. Ma il significato è chiaro: fine del neoliberismo e sviluppo di interventi aggressivi nell’economia da parte del governo. Questo è un chiaro riconoscimento che non ci troviamo di fronte a una crisi di liquidità da risolversi con l’immissione di più danaro nei mercati finanziari, o con l’abbassamento dei tassi d’interesse”. – Intervista a John Bellamy Foster: “Can the Financial Crisis Be Reversed?
Il 4 ottobre ho scritto:

Dove porta tutto ciò? Lo sbocco più probabile, almeno nel breve periodo, sembrerebbe quello di un qualche genere di capitalismo di stato, giacché i capitalisti si sono rivelati ancora più incompetenti di quanto fosse ritenuto possibile. Questo scenario si sta già sviluppando in tutta l’Unione Europea e, ovviamente, negli Stati Uniti, sebbene in misura ridotta. In effetti, si può sostenere che ciò che ha portato all’attuale situazione rende questa ideale per la creazione di uno stato che pone la sicurezza in primo piano, uno stato corporativo, alla Mussolini, con un partenariato diretto tra capitale e stato. E’ un fascismo che non ha bisogno di indossare gli stivali; vanno altrettanto bene gli abiti di Armani (a maggior ragione visto che li paghiamo).

Non so quante volte ho iniziato a scrivere questo saggio sul ‘terremoto capitalistico’ che sta avvenendo in mezzo a noi, addirittura completamente slegato da noi, grazie ad un lavorìo mediatico alquanto abile e, potrei aggiungere, a trent’anni di revanscismo da parte dei nostri padroni politici; il tutto allo scopo di slegarci dal processo politico. Milioni di noi sono colpiti da questa crisi, ma non ricevono nessuna dritta su come andrebbe risolta, soprattutto da parte dei nostri sindacati - be’, ciò che ne rimane – i quali non sono riusciti ad esprimere nessuna alternativa a questa follia. Non abbiamo una voce con la quale esprimerci, per cui veniamo ancora una volta trascinati dentro una crisi che non abbiamo provocato noi, ma che è endemica di questo sistema; una crisi che pagheremo noialtri, a meno che noi non si prenda delle misure per fermarla.
Bill Blum l’ha messa in questo modo:

“Non sappiamo più fare gli oggetti di cui la gente ha bisogno? Le fabbriche hanno preso fuoco? Non troviamo più gli attrezzi da lavoro? Sono spariti i progetti? Non abbiamo più persone che lavorino nelle fabbriche e negli uffici? Tutti i servizi di cui le persone hanno bisogno per vivere una vita felice sono così bene svolti che non c’è quasi più bisogno di essi? In altre parole: che cambiamenti avvengono nel mondo reale da provocare la crisi? Di necessità, nessuno. La crisi è di solito causata da cambiamenti che avvengono nel mondo irreale del capitalismo finanziario” – “Anti-Empire Report”, 1 ottobre 2008.

Per quanto mi riguarda, queste parole mi riportano direttamente alla mia giovinezza, quando le stesse identiche domande venivano poste in occasione di qualche precedente crisi del capitale. Ho iniziato questo saggio non so quante volte non solo perché mi è difficile stabilire quale dovrebbe essere il punto centrale, ma anche perché da tutte le parti mi arrivano analisi da parte di sinistroidi; sto cercando di assimilarle tutte prima di decidere con quale approccio avvicinarmi a questa pratica, francamente impressionante, di vera e propria incompetenza da parte dei Signori dell’Universo. Non è che non si siano accorti che la crisi stava arrivando, anche se loro sostengono il contrario. Le leggi fondamentali della fisica mantengono la loro validità persino nell’universo capitalistico; in altre parole, non si può creare qualcosa dal nulla, per cui dovevano sapere che prima o poi tutta questa costruzione disonesta sarebbe finita a gambe per aria. Che dico? sarebbe esplosa come una bomba! Un’analisi di spicco è quella di F. William Engdahl: egli sostiene che questo terremoto è stato architettato deliberatamente da una manciata di gruppi bancari, in particolare da Citibank e JPMorgan Chase, in quello che si riduce a essere un gioco di potere tra i capitali finanziari degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, su chi possiederà il pianeta, o ciò che ne resta.

“Sapendo che a un certo punto critico la piramide, costituita da migliaia di miliardi di dollari in subprime di valore dubbio e in altri titoli ad alto rischio con alla base ipoteche immobiliari, sarebbe crollata, queste banche hanno deciso a quanto pare di diffondere il più globalmente possibile questi titoli cosiddetti “tossici’, allo scopo di attirare in questa trappola al miele le grosse banche globali, soprattutto quelle della UE” – F. William Engdahl: “Behind the Panic: Financial Warfare and the Future of Global Bank Power” .

Classico neo-darwinismo: solo il più adatto (cioè, il meno squattrinato) sopravviverà. Ma comunque, cospirazione o no, alla fine si giunge sempre allo stesso risultato: il caos.Detto questo, ciò dimostra –suvvia! non dite che non è vero – quello che noi di sinistra da sempre andiamo dicendo, e cioè che dobbiamo liberarci di questi parassiti; costoro non fanno nulla di buono per nessuno di noi – tutto ciò che fanno è far soldi e apportare distruzione. Persino all’inizio di questo gioco, chi ci governa era ben conscio di quale era la posta, ovvero che le speculazioni dell’era neoliberista si sarebbero ad un certo punto sfilacciate; erano ben consci che il re era nudo.

“Vogliamo il capitalismo degli imprenditori, non quello degli speculatori” – il presidente Sarkozy all’incontro al vertice UE/G8, il 4 ottobre 2008.

Ma qual è la differenza? Semplicemente che il primo usa soldi rubati dal secondo. Ma provate ad immaginare se noi veramente avessimo il potere organizzativo di offrire un’alternativa. Questo sì che davvero spaventerebbe Sarkozy e gli altri banditi. E come i guru dei mezzi di informazione non si stancano mai di ripeterci, è tutto senno di poi, solo che non lo è: questa crisi covava da anni. Tanto per tagliare il capello il quattro, ecco una perla della BBC, continuamente ripetuta nel corso degli anni, crisi dopo crisi, e di nuovo oggi con i dati di vendita delle automobili, che hanno segnato un tracollo, con il FTSE (1) che ha registrato il più grosso crollo della sua storia; ebbene, la Bibisi ci ha detto che questo era il riflesso di “un indebolimento della sicurezza dei consumatori”, che tradotto significa: al verde, anzi peggio; per la Bibisi, non bisogna spaventare l’opinione pubblica.
Ecco come la mette il bollettino di Channel 4 inviato via e-mail l’11 ottobre:

“Continua il ciclo tetro;forse dovremmo iniziare il programma di stasera riferendo parola per parola ciò che ha detto McCawber. Reddito, consumo, felicità, infelicità ecc. Opportuno, forse, ma un po’ in ritardo. Che è più o meno ciò che si dice degli sforzi provenienti finora da Washington, per imporre un qualche tipo di assennatezza al mondo delle banche che sta crollando in tutto il mondo. Finora molte belle parole già note. Questo pomeriggio altra vuota retorica da parte di George Bush”.

In precedenza, l’8 ottobre, per essere precisi, Jon Snow, l’autore, aveva detto questo nella sua lettera giornaliera:

“Sicuramente mi metterò nei guai: NON PENSO che la cosa diventi molto più grossa di così. Ma del resto, questo l’avrei potuto dire anche ieri. “E’ una cosa molto grossa, quasi al di là di qualsiasi descrizione finanziaria”.

Ma, caro Snow, non ci serve una descrizione, sappiamo cosa diavolo sta succedendo; ciò che ci serve è una soluzione e una descrizione che vada in qualche modo oltre i suoi commenti superficiali e le interviste completamente insensate degli ‘esperti’. Ed ecco, mentre scrivo, giunge una notizia, che suona ancora più disperata, sempre da Channel 4 – stavolta di Alex Thompson:

“Mentre il capitalismo internazionale continua a divorare se stesso, un po’ di conforto può venirci dalla speranza – sicuramente più di una speranza – che almeno gli ulteriori controlli ad opera dei governi sulle banche significheranno la perdita del posto di lavoro – oltre che dei bonus - di altri pagliacci superpagati (dalle suddette banche) che ci hanno messo in questo guaio”.

Bonus? Chi cazzo se ne frega dei bonus! Quello che vogliamo sono le banche! Del resto, non siamo ‘noi’ ora i proprietari? Ciò che sorprende è il modo in cui i mezzi di informazione continuano per la stessa strada, incuranti della realtà della situazione; ma io ho notato che molti ‘esperti’ stanno rispolverando dalle soffitte le copie (in gran parte non lette) di Das Kapital. Sembra che il vecchio avesse ragione, dopotutto, non che io avessi mai dubitato di lui – del resto, quante altre volte siamo stati in questa situazione, forse però non per un disastro così estremo come questo auto-creato.
Dal 1 ottobre 2008

Voglio dire, quanto ti puoi avvicinare alla verità? Nella metà del XIX secolo, tra un salto al bar dell’angolo e una visita alla biblioteca del British Museum, Marx scrisse una cosa sorprendentemente profetica (su un argomento sul quale non speculava molto spesso); riguardava quel che pensava fosse necessario perché avvenisse una rivoluzione veramente globale. La principale tra le profezie di cui ci ha fatto dono penso sia la sua osservazione che, prima che potesse aver luogo una rivoluzione socialista globale, il capitalismo avrebbe dovuto impossessarsi di tutti i paesi importanti, prima che potessero sussistere le condizioni perché la suddetta rivoluzione potesse avere una possibilità di successo. Detto in altri termini, questo significava, almeno nella sua epoca, industrializzare, ma soprattutto incorporare le loro economie in un abbraccio mortale. Sembra che stiamo entrando in quella fase. Dopotutto, se tutti i mercati pronti ad accogliere capitali sono stati sottoscritti fino alla saturazione, per dirla gentilmente, dove altro resta da andare, se non verso la distruzione? I teorici del capitalismo, per quello che valgono, una volta tanto l’hanno azzeccata, quando hanno definito tutto ciò ‘distruzione creativa’: l’imperativo insito che porta a rivoluzionare costantemente i mezzi di produzione e a espandersi in nuovi mercati, anche se questo significa che per prima cosa bisogna distruggere tutto il resto. Svariati secoli di esperienza a cui attingere dimostrano abbastanza chiaramente che il capitalismo è spietato e crudele, nel momento in cui, come un virus, cerca di duplicarsi nella sua diffusione in tutto il mondo.

Sembra che ormai siano tutti d’accordo sul fatto che stavolta i pirati abbiano davvero incasinato le cose, per quegli ex ‘signori dell’universo’, cioè l’elite che ci governa, e a un livello tale che, in Europa almeno, persino la stampa capitalista si è del tutto rotta le palle dei neo-con – non che si lamentassero quando le cose andavano bene. Accidenti! quando ti serve un’ alternativa affidabile, mai che riesca a trovarla! Ora Der Spiegel, di proprietà di uno dei signori dell’universo, la Springer Press, ha detto questo, l’altro giorno:

“Dopo otto anni di presidenza George W. Bush è invecchiato, è diventato incostante e speranzoso. Resta ben poco della sua combattività e del suo entusiasmo per la forma fisica. Qui a New York, in un soleggiato martedì mattina, persino i suoi capelli sembrano spettinati e incolti; il suo abito blu è un po’ troppo largo di spalle, mentre sale sul palco, per l’ottava volta, per fare il suo discorso all’Assemblea Generale dell’ONU”. – Der Spiegel, 30 settembre 2008.

La cosa folle di questa crisi è che il mondo è inondato di lurido lucro, a tonnellate, capitale in eccesso che straripa dappertutto, tutto in ghingheri, ma senza un posto dove andare. Tutto questo casino è autocreato, figuriamoci gli hedge fund e gli speculatori, questi sono parte intrinseca degli ultimi trent’anni di capitalismo neoliberista.
La terza guerra mondiale?
Fa paura il fatto che, se il capitalismo rimane fedele alla sua forma, allora possiamo aspettarci a breve una guerra veramente grossa. E’, dopotutto, l’unico modo in cui tutto il capitale in eccesso può venire letteralmente bruciato. Fu una causa importante dello scoppio della prima e della seconda guerra mondiale e, a meno che non ci liberiamo di questi bastardi, sarà la causa della terza, o quarta, o quinta guerra mondiale – ho perso il conto delle guerre importanti che hanno fatto scoppiare con un pretesto o l’altro. Le ex potenze imperiali che hanno dato inizio alle precedenti guerre non sono più giocatori importanti, per cui possiamo escluderli (tutti insieme non sono neppure in grado di ‘pacificare’ una tribù scalcagnata). Rimangono la Cina e la Russia, gli unici paesi che hanno i mezzi per lanciarsi in questo sporco gioco, ma è poco probabile, a meno che non vengano invasi, che parteciperanno al ‘grande gioco’, per cui possiamo escludere anche loro.
Ora, sappiamo che gli Stati Uniti adorano iniziare le guerre, e non ci vuole molto, a livello di pretesti. Hanno però bisogno di un ‘nemico’ di un certo livello, e l’Iran non sembra, in questo momento, corrispondere a questo modello, ma, penso, è comunque un punto di partenza. Forse, allora, molti ‘piccoli’ nemici? Improbabile, visto il livello disastroso, anche se sempre mortalmente pericoloso, a cui sono scesi gli Stati Uniti come potenza militare. Ingrassate, anzi, dilatate all’estremo, le forze armate degli Stati Uniti non sono più quelle di una volta, se si ha bisogno di combattere una guerra veramente grossa; solo con la leva obbligatoria ce la si potrebbe fare.
Inoltre, e penso che questo sia persino più importante, i giorni in cui si poteva instillare un fervore patriottico per una vera guerra sembrano appartenere ormai al passato. Va bene affrontare un paese come l’Iraq, bombardato fino a riportarlo all’età della pietra, prima di occuparlo, e anche allora con solo alcune migliaia di soldati americani morti nell’arco di cinque anni – non è una guerra veramente grossa (paragonatela al Vietnam, con i suoi 58.159 soldati statunitensi morti, oltre i 3 o 4 milioni di vietnamiti e da uno e mezzo a due milioni di laotiani e cambogiani – ma del resto questi non contano), una guerra di quelle che bruciano capitali in enormi quantità e fanno fuori la concorrenza.

“I titoli delle banche britanniche sono crollati. Quelli della Royal Bank of Scotland hanno perso oggi un impressionante 39 % del loro valore, mentre le azioni della Halifax Bank of Scotland hanno perso il 42%”.

Il punto cruciale è che dovranno fare qualcosa e farlo presto. Ma la follia del capitalismo globale deve essere sicuramente chiara a tutti, eccetto, ovviamente, ai grandi mezzi di informazione. Da un lato, abbiamo esperti che parlano di una soluzione globale riguardo alla regolamentazione dei flussi di capitale attraverso i confini degli stati; dall’altro, ogni nazione va per conto proprio! Ma è ragionevole pensare che se tutte le nazioni sono in concorrenza tra di loro per accaparrarsi i mercati, l’inferno diventerà un posto freddo prima che prendano in considerazione l’ipotesi assennata di creare un ordine economico globale che porti vantaggi alle persone normali.
Il punto cruciale è che senza nessuna influenza politica siamo in balia di questi banditi adoratori di mammona.
Note del traduttore: (1) FTSE è l'abbreviazione di 'Financial Times Stock Exchange', un indice azionario gestito dal FTSE Group, una società ora indipendente che originariamente era nata come joint venture tra il Financial Times e il London Stock Exchange (da Wikipedia).


Europa, arrivano i petrodollari
di Luca Maio – Altrenotizie – 23 Ottobre 2008

Entro la fine del 2008 o al massimo nei primi mesi del 2009, aprirà in Italia la prima banca islamica, un istituto creditizio che basa la sua regolamentazione rispettando le regole della Sharia, ovvero l’insieme delle leggi che derivano dal Corano. Già nel 2007 è stata rafforzata la collaborazione economica, politica e sociale tra i paesi arabi e l’Italia e sono stati sostenuti i rapporti finanziari attraverso un centro di cooperazione e di dialogo gestito dalle due associazioni bancarie, ossia dall’Unione delle Banche Arabe (Uab), presieduta dall’Adnan Yousif e dall’ Associazione Bancaria Italiana, capeggiata da Corrado Fissola. La notizia era stata annunciata nell’ambito della seconda giornata del Forum Internazionalizzazione, svoltosi a Roma nel settembre dello scorso anno, durante la presentazione del memorandum siglato da entrambe le associazioni.
Grazie a tale intesa la ricerca negli studi economici e finanziari universitari italiani hanno aumentato l’interesse intorno a tema, creando un Master sulla finanza islamica all'Università “La Sapienza" di Roma che è già iniziato ad ottobre di questo anno. In Europa, l’espansione delle banche islamiche è in continua crescita, in modo particolare in Francia, in Germania e in Olanda, ma è in Gran Bretagna che si sta realizzando il centro più importante della finanza islamica del vecchio continente.
A Londra sono infatti già presenti due dei più rilevanti istituti creditizi che seguono le regole dei finanziamenti islamici e le regole della “Sharia”, poiché ad alimentare la domanda di prodotti finanziari islamici vi è una combinazione di investimenti nazionali - da parte di cittadini islamici residenti nel Regno Unito - e d’investimenti internazionali, provenienti dagli stati produttori di petrolio del “Gulf Cooperation Council”.
I principi della legge divina islamica, in quest’ ambito, prevedono delle modalità diverse dalla visione economica occidentale poiché nel Corano, ovvero il libro sacro dei musulmani, vi è la ferma condanna del prestito ad interesse che viene espressa in evidente contrapposizione della Zakat ossia dell’elemosina (cioè uno dei cinque pilastri dell’Islam). Attraverso i precetti islamici si sono “concretizzati” delle forme di finanziamento, definiti “bond islamici” o “sukuk” (suk in arabo significa mercato ndr) ovvero strumenti di raccolta di capitali che hanno caratteristiche simili a quelle di un’obbligazione convenzionale, con la differenza che, per rispondere alla legge coranica, si basano solo su attivita' patrimoniali.
Rispetto ai normali bond occidentali, tali obbligazioni non pagano i tassi d’interesse sul denaro - considerati usura, quindi peccaminosi - ma sulla base dei profitti originati da quel denaro una volta investito in una “reale” attività economica. In sostanza, il denaro può essere solo investito in settori compiacenti alla legge divina e sarà il profitto o l’utile di questi che porterà benessere nei conti correnti del credente islamico. Un'altra differenza, rispetto ai bond classici occidentali è che i musulmani non possono investire in settori contrastanti la legge divina islamica, come l’allevamento dei suini, dei casinò e dei giochi d’azzardo speculativi, delle armi, dell'industria dei vini e dei liquori, del tabacco e del porno-business.
L'Inghilterra sarà il primo paese occidentale a emettere buoni del tesoro compatibili con la legge coranica. La vendita di “sukuk” con il marchio della monarchia britannica è stata annunciata, questa estate, dal ministro del Tesoro Kitty Usher. L'obiettivo dell'esecutivo inglese è di attrarre i capitali dai paesi arabi, cresciuti a dismisura con l'aumento del prezzo del petrolio. Nel 2004 la loro emissione ha raggiunto la quota dei 7,2 miliardi di dollari, mentre nel 2006 il loro valore ha raggiunto la quota dei 27 miliardi di dollari.
Lo scorso anno sono state emessi “sukuk” con quote superiori ai trenta miliardi di dollari e, secondo stime recenti, nei prossimi tre anni governi e società dovrebbero emettere tali obbligazioni per più di trenta miliardi di dollari l’anno, portando le dimensioni di questo segmento del mercato a più di 150 miliardi di dollari. La crescita vertiginosa della finanza islamica è dovuta alla grande disponibilità di denaro liquido nei paesi produttori di petrolio e all'“allargamento” della base economica nel mondo musulmano. Tutto ciò potrà apportare un nuovo passo in avanti verso l’integrazione culturale in Europa e, in special modo in Italia?