sabato 25 ottobre 2008

Un governo coi coglioni. Al suo interno.

Una serie di articoli sul dna di questo governo.

Nulla di nuovo per carita’, avendo gia’ dimostrato dal 2001 al 2006 cosa e’ capace di fare. Ma questa volta sembra veramente deciso a migliorarsi…


Io sono io, e voi non siete un c....(*)
di Marco Ferri – Megachip – 25 Ottobre 2008

Il capo del governo italiano ha detto che se gli studenti continuano a protestare contro i tagli alla scuola, lui gli manda la polizia. Ha anche detto che i giornalisti la devono piantare di creare “ansia” dalle pagine dei giornali, dai microfoni del telegiornali. Giorni fa, il ministro dell'istruzione ha detto che lei quelli che protestano proprio non li capisce. Il ministro delle pari opportunità ha querelato una donna che di mestiere fa satira, perché non gradisce essere presa in giro. Il ministro della funzione pubblica non ammette critiche, per lui gli impiegati pubblici sono “fannulloni”. Va in giro per tutti i talk show a dirlo e ridirlo.

Da quando si è insediato il nuovo governo è diventata una prassi consolidata procedere per decreto legge e poi imporre il voto di fiducia. Così succede che prima non si vuole far discutere il Parlamento, poi non si accettano né critiche, né proteste né che di queste si occupino i giornali.

Questi atteggiamenti sono legittimi e legittimati dal fatto che il capo del governo risulta gradito a oltre il 60% degli intervistati, secondo più di un recente sondaggio d'opinione. E'quanto ha apertamente dichiarato il capo del governo italiano durante un convegno di industriali a Napoli.

Come si spiega questo diffuso atteggiamento di decisionismo burbero?

Secondo Raffaele Simone, linguista di reputazione internazionale, questi atteggiamenti appartengono alla dottrina politica di quella che ha definito “Neodestra” italiana. In “Il mostro mite” (Garzanti, 2008), Raffaele Simone postula questa dottrina, mettendo a confronto il linguaggio dottrinale con quello colloquiale:

a) postulato di superiorità (“io sono il primo, tu non sei nessuno”);

b) postulato di proprietà (“questo è mio e nessuno me lo tocca”);

c) postulato di libertà (“io faccio quel che voglio e come voglio”);

d) postulato di non-intrusione dell'altro (“non ti immischiare negli affari miei”);

e) postulato di superiorità del privato sul pubblico (“delle cose di tutti faccio quello che voglio”).

Se ascoltate con attenzione le parole che vengono organizzate in discorsi dagli esponenti del governo, sia che si tratti di un intervento a un convegno, a una conferenza stampa, piuttosto che davanti ai microfoni di un cronista, vi accorgerete come questi postulati vengono continuamente riproposti, sia in forma “dottrinale” che in quella colloquiale, che in genere è la preferita, perché ben si presta a essere citata su un giornale o al telegiornale. A volte ci si spinge troppo in là, e allora pronta arriva la smentita, che è in realtà il talento di dire due volte esattamente la stessa cosa, una volta affermandola, una volta negando non la cosa in sé, quanto l'interpretazione che ne è stata data. La domanda che spesso ci poniamo è perché sia possibile che questo modo di condurre la politica abbia successo, come dimostrano i sondaggi. “Quella che (i postulati della Neodestra) descrivono è una società aggressiva, egoistica e pericolosa”, scrive Raffaele Simone in “Il mostro mite”.

In effetti, viviamo tempi precari: reduci dalla grande paura del terrorismo islamico, inaugurato con l'Attacco alle Torri Gemelle, coinvolti nella “guerra preventiva” e nel timore di attentati nelle nostre città, siamo attualmente spaventati dalla globalizzazione finanziaria ed economica e dalle grandi migrazioni, siamo molto preoccupati per il tenore e lo stile di vita, allertati dai pericoli di un' imminente e grave recessione economica.

Il decisionismo burbero fa leva sulla semplice constatazione che un “popolo spaventato si governa meglio”? In effetti, temiamo di perdere qualcosa (lo stipendio, il posto di lavoro, la casa, la vacanza, l'auto, l'i-phon) che consideravamo un diritto di proprietà. Ragion per cui, senza mezzi termini diamo credito, apertamente o in modo più defilato a chi si candida a proteggere grandi o piccoli possessi acquisiti, grandi o piccoli privilegi. Poiché meno si ha, più l'eventualità di una perdita è sinonimo di disastro, ecco che il ceto medio ( medio perché ha qualcosa in più delle classi basse, e molto di meno di chi possiede di più), sentendosi molto minacciato tende a premiare col suo consenso governi come quello che abbiamo in Italia in questi mesi e che sembra intenzionato a durare a lungo.

L'attuale governo ha restituito la parte residua dell'Ici, ha fatto sparire “la monnezza” a Napoli, ha reso invisibili le prostitute, ha spinto in periferia i campi nomadi, punisce i “fannulloni” nel pubblico impiego. Fin qui tutto sembrava filare liscio. Quando ha deciso di tagliare i costi alla scuola, qualcosa si è inceppato.

Complice fortuito l'arrivo della bolla speculativa dei mutui, l'operazione di “risparmio” ideata dal ministro Tremonti e vestita da riforma dalla ministro Gelmini non ha avuto successo.

Il mondo della scuola si è ribellato: genitori e scolari, studenti e insegnanti, professori, prèsidi di facoltà e addirittura rettori di atenei hanno detto no. “La crisi non la paghiamo noi” si è letto sugli striscioni di migliaia di manifestanti in tutta Italia. Questa idea, semplice e comprensibile a tutti, ha fatto breccia fino a preoccupare seriamente il governo, come dimostra la minaccia far intervenire la polizia nelle scuole e nelle università: il pericolo avvertito è che scolari, studenti, genitori, insegnanti, prèsidi e rettori, facenti per lo più parte del ceto medio, possano rappresentare il punto critico di rottura del consenso fin qui incassato dalla coalizione di governo.

Bisogna aggiungere che la protesta nelle scuole ha trovato una prima saldatura il 17 ottobre, quando si è svolto lo sciopero generale contro il governo, indetto dai sindacati di base e a Roma sono sfilati in 350 mila. Anche qui l'occasione è stata forse fortuita, fatto sta che contro quella giornata si è scagliato il capo del governo a Napoli, durante il già citato intervento al convegno degli industriali italiani.

Anche l'opposizione parlamentare sta tentando di intercettare il malumore e il dissenso che dal mondo della scuola potrebbe contagiare la disapprovazione nei confronti del governo da parte dei ceti medi.

La manifestazione del 25 ottobre prossimo potrebbe essere un banco di prova, anche se per stessa ammissione dei dirigenti del Pd la protesta nelle scuole ha preso il via al di là e al di fuori delle organizzazioni di partito e anche se la data della manifestazione era stata decisa molto prima la nascita delle protesta (un altro caso fortuito con gli avvenimenti in corso).

Quali chances ha il centrosinistra italiano di tornare, dopo la sconfitta elettorale dello scorso aprile a rappresentare una concreta attrattiva sulla scena politica?

Abbiamo visto i postulati della dottrina della Neodestra, così come ce li ha proposti Raffaele Simone in “Il mostro mite”. Il quale ci propone quelli riferibili alla sinistra (che qui, per brevità propongo in “forma colloquiale”):

a) al “io sono il primo, tu non sei nessuno” si oppone “non siamo tutti uguali, ma dobbiamo diventarlo”;

b) al “questo è mio e nessuno me lo tocca” si oppone “entro certi limiti la mia proprietà può essere ridistribuita ad altri”;

c) al “io faccio quel che voglio e come voglio” si oppone “i diritti dei singoli non possono sminuire il bene pubblico”;

d) al “non ti immischiare negli affari miei” si oppone “gli interessi dei singoli possono essere limitati dall'interesse di tutti”;

e) al “delle cose di tutti faccio quel che voglio” si oppone “sebbene i privati abbiano prerogative e diritti definiti, il pubblico è preminente”.

Anche in questo caso, come si notava poco fa a proposito degli esponenti della Neodestra, se ascoltate con attenzione le parole che vengono organizzate in discorsi dagli esponenti dell'opposizione, sia che si tratti di un intervento ad un convegno, a una conferenza stampa, piuttosto che davanti ai microfoni di un cronista, vi accorgerete come questi postulati vengono continuamente riproposti, sia in forma “dottrinale” che in quella colloquiale.

La domanda è: sono attrattivi, possono essere condivisi dai ceti medi, che come si sa sono la base elettorale che elegge o manda a casa i governi nei paesi occidentali?

Non ci possono essere dubbi: la risposta è no. A meno che la congiuntura economica non spinga fino in fondo le contraddizioni che sta vivendo il ceto medio, che non affiori la netta sensazione di essere stati sfruttati sfacciatamente dalle banche e dalle finanziarie, che il possesso dei risparmi gli sia stato soffiato via dalle tasche, che lo stipendio è troppo basso, le spese troppo alte, le tutele evanescenti, che se una volta anche l'operaio voleva il figlio dottore, oggi anche il dottore ha un figlio precario.

In un certo senso e fatte le debite proporzioni è il senso della sfida alla Casa Bianca da parte di Barak Obama. Tra qualche giorno saremo in grado di vedere i neo-cons, la Neodestra americana può essere battuta.

Durante un recente dibattito televisivo, a un vice ministro che lo interrompeva col piglio tipico del politico della Neodestra, Eugenio Scalfari ha detto: “Lei non migliora mai, eh!?”. Ecco: se in un prossimo futuro le parole del fondatore di Repubblica dovessero anche solo venire in mente a milioni di elettori, allora, forse, si aprirà una nuova stagione politica.

La nuova stagione economica e sociale è già qui: la Neodestra non sa bene che pesci prendere, l'opposizione sconta forti ritardi sulla tabella di marcia delle contraddizioni politiche e sociali. A quanto pare, gli unici che al momento hanno le idee chiare sono gli studenti italiani: è contro quel“Non pagheremo noi la crisi”che si minaccia di mandare addosso la polizia. Beh, buona giornata.

(*)I sovrani del mondo vecchio

C'era una volta un Re che dal palazzo
emanò ai popoli quest'editto:
- Io sono io, e voi non siete un cazzo,
signori vassalli imbroglioni, e state zitti.

Io rendo diritto lo storto e storto il diritto:
posso vendervi tutti a un tanto al mazzo:
Io, se vi faccio impiccare, non vi faccio un torto,
perché la vita e la roba Io ve le do in affitto.

Chi abita in questo mondo senza il titolo
o di Papa, o di Re, o d'Imperatore, quello non può avere mai voce in capitolo -.

Con quest'editto andò il boia per corriere,
interrogando tutti sull'argomento;
e, tutti risposero: E' vero, è vero.

(Trilussa)


Il governo delle minacce
di Eugenio Roscini Vitali – Altrenotizie – 24 Ottobre 2008

“Non consentirò occupazioni di scuole e università e invierò le forze dell’ordine contro chiunque impedisca lo svolgimento delle lezioni”. Queste le parole del premier Silvio Berlusconi che, preoccupato soprattutto del boicottaggio dei mezzi di comunicazione che - a suo dire - non danno il giusto eco alle sue affermazioni, ha aggiunto: “Avete quattro anni e mezzo per farci il callo, non retrocederò di un millimetro”. Una conferenza stampa esaustiva, un diktak che ha avuto la risonanza che meritava e di cui hanno parlato tutti, giornali e televisioni; la limpida fotografia della situazione in cui versa il Paese: tolleranza zero e diritto minimo garantito, a patto che non esca dagli schemi.

Il decreto 137 sulla scuola e l’ultimo di una serie di passi che tende a riportare indietro l’Italia di almeno cinquant’anni: il populismo penale in nome della sicurezza, la militarizzazione delle città, la legge delega sul diritto allo sciopero, il nuovo modello contrattuale nel pubblico impiego e le proposte della Confindustria per un ritorno alle gabbie salariali; solo alcuni esempi che ci lasciano immaginare cosa accadrà nei tempi a venire. Berlusconi è uscito dalla discoteca, ha indossato lo scolapasta e dichiarato guerra al dissenso.

Passare alla linea dura ed attaccare ciò che è pubblico con atteggiamenti muscolari è infatti sicuramente sproporzionato e pericoloso e mette in discussione la libertà di espressione e la stessa autonomia universitaria. Di questo ne sono convinti i rettori di tutta Italia che si sono già dichiarati contrari all’intervento delle forze dell’ordine, soprattutto perché sono i primi a ritenere gli studenti italiani capaci di dimostrare pacificamente le loro argomentazioni e il loro dissenso, in modo trasversale ed apolitico. Secondo il premier, invece, non è così: i tagli alla scuola e all’università altro non sono che notizie ingigantite dai media, rei di fare cattiva informazione e di generare ansia e paure immotivate; dietro le “ridottissime” manifestazioni di piazza ci sarebbe poi l’immancabile regia dell’estrema sinistra, questa volta coadiuvata dai centri sociali.

Proteste fuori luogo quindi che il ministro Mariastella Gelmini continua a non capire (non pare l’unica cosa che non riesce a capire, a dire il vero), soprattutto perché a suo dire il decreto non riguarda l’università; un’università che per il centrodestra va comunque svecchiata e di cui vengono sottolineati i cosiddetti sprechi: 170 mila insegnati, 300 sedi distaccate e cinquemilacinquecento corsi di laurea, numeri che il governo considera sproporzionati rispetto alle esigenze dell’università italiana.

Poco importa che l’Italia sia fanalino di coda europeo per gli investimenti sulla formazione e sulla ricerca; se si vuole - come il governo vuole - concepire una selezione darwiniana, di classe, sulle future generazioni, è bene tagliare tutto quello permette l’universalità dei diritti, strumento necessario per un futuro possibile per tutti. Anzi, per confermare a tutti che non capisce, la Gelmini ha definito“terroristiche” le proteste. Quello che più preoccupa è il fatto che il decreto 137 è solo la punta dell’iceberg della ristrutturazione in atto e, se anche fosse ritirato o modificato, rimangono ben altre contestabili proposte.

La prima è senza dubbio l'annuncio del governo sul disegno di legge delega che dovrebbe riformare l’attuale regolamentazione del diritto di sciopero nei servizi pubblici. E’ la fase attuale di un progetto che parte da lontano, dalla seconda metà degli anni settanta, quando gran parte del mondo imprenditoriale iniziò a mettere in discussione quanto sancito dallo Statuto dei lavoratori, ritenendo gli scioperi una delle cause prime della crisi economica di quegli anni. Un disegno criptato che venne allo scoperto e colse la sua prima grande vittoria nel 2003, quando boicottando il referendum sull’articolo 18 i lavoratori non seppero trasformare una battaglia giusta in un grande un motivo di lotta comune.

Oggi il diritto allo sciopero è garantito dall’articolo 40 della Costituzione della Repubblica Italiana ed è esercitabile nell'ambito delle leggi che lo regolano, inclusi lo sciopero per solidarietà, a scacchiera, a singhiozzo; oltre a quello per fini politici legati agli interessi dei lavoratori, autorizzato dal 27 dicembre 1974 dalla Corte costituzionale con sentenza n. 290. Il principio è poi rafforzato dalla legge n. 300 sullo Statuto dei lavoratori, articolo 1, libertà di opinione, che recita: “I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge”. Lo sciopero, regolato dalla legge 146/90 e dalle successiva 83/2000, può quindi essere considerato come astensione dal lavoro messa in atto da una rappresentanza di lavoratori, più o meno vasta, che manifesta per la difesa degli interessi giuridici ed economici, sia di categoria che della collettività.

Le linee guida della legge delega per la riforma degli scioperi prevedono invece che l’astensione dal lavoro venga preceduta da un referendum che premetta di verificare il tasso di adesione e la partecipazione individuale preventiva, questo in modo da dare maggiore certezza sui livelli della protesta. Finalità dichiarata? Tutelare le organizzazioni confederali dalla concorrenza “sleale” delle organizzazioni meno rappresentative; dare una migliori informazione per i servizi di pubblica utilità; sapere quanti lavoratori aderiranno allo sciopero in modo da non recare danno ai diritti della persona e, soprattutto, danni irreversibili alle imprese. Manca solo che siano le imprese stesse a dirigere le rivendicazioni.

Il governo prevede inoltre che il ruolo di arbitro e conciliatore, attualmente affidato alla commissione di garanzia, sia assegnato, con delega di autorità sanzionatoria, ai prefetti. Il ministro del Welfare, MaurizioSacconi, incoraggia poi lo sciopero virtuale non come forma di astensione ma come adesione ad un fondo dove i lavoratori potranno versare la loro retribuzione, restituitagli solo in caso di accordo con il datore di lavoro. Nemmeno Licio Gelli aveva pensato a tanto e con tanta fantasia.

Basta questo per capire a cosa stima andando incontro? In un'intervista al quotidiano il Riformista, il ministro Sacconi ha recentemente delineato un altro aspetto della strategia del governo: ha attaccato gli aiuti di Stato alla Fiat, gli interventi per settori o per singole aziende (tralasciando ovviamente i debiti dell’Alitalia finiti sulle tasche dei contribuenti) e ha rivisto le posizioni del governo in materia di taglio delle tasse per i lavoratori, per anni cavallo di battaglia del Popolo delle Libertà. L’ex socialista Sacconi, che nel giugno scorso aveva definito "demenziale" la legge varata dal governo Prodi che impediva il licenziamento delle donne incinte, ha spiegato che spalmare la riduzione fiscale su tutti i redditi, come chiede la Cgil, sarebbe un provvedimento finanziariamente insostenibile; piuttosto sarebbe preferibile detassare del 10% i soli salari di produttività.

Una dichiarazione d’amore verso la Confindustria e il suo nuovo modello contrattuale, che altro non é che una manifesta volontà di limitare l’autonomia dei sindacati e delle categorie e il pericoloso tentativo di tornare alle gabbie salariali, subordinando la crescita della retribuzione alla produttività del sistema economico di settore. Che però, quando più ha guadagnato, più ha licenziato. La lotta di classe, fatta da loro, è redditizia.


Dalla P2 al “Pacchetto Ambiente”
di Furio Colombo – MicroMega – 24 Ottobre 2008

Il Disegno è semplice e comincia a diventare visibile: 1) Abolire il Parlamento e 2) Staccare l'Italia dall'Europa.Tutto ciò dimostra che il programma P2 in parte è già stato realizzato, in parte è rivisitato per aggiornare e modernizzare. I reduci della P2 stanno dicendo, senza più nascondersi dietro finte istituzioni: si può fare di più, molto di più. Stiamo parlando del Regime impiantato, in modo ormai molto saldo, in Italia, da Silvio Berlusconi. Vediamo prima i fatti compiuti. La Magistratura è sotto schiaffo. Pende su di essa una riforma-muserola. E' circondata da leggi e “Lodi” che impediscono (verso alcune persone) l'azione penale. E ogni dichiarazione di magistrati, per quanto garantista dalla Costituzione, viene denunciata come ribellismo e attacco alla politica.

La Forza Armate hanno un ruolo nuovo, mai avuto nel Paese. Pattugliare l'Italia con armi da guerra in cerca di zingari. Per compensare questa funzione umiliante, alcuni generali parleranno nelle scuole italiane per la gloria del 4 novembre. E' la data di una antica vittoria contro un Paese che fa parte, con noi, della Comunità Europea. Ma tutto serve per cancellare la Resistenza.

I media sono sotto sequestro. Persino i sondaggi favorevoli al candidato presidenziale Obama, considerato per prudenza “non amico” di Berlusconi (perché avversario di Bush) vengono taciuti o sminuiti nei telegiornali italiani. In questi giorni, riferendosi ai media italiani, il “Financial Times” ha detto “consenso bulgaro”.

Una ventata di razzismo ha invaso le polizie locali e le ronde leghiste assecondate da un governo che promuove la segregazione della scuola e la caccia ai bambini Rom. Inoltre, d'ora in poi in Italia, il medico che cura un clandestino lo deve subito denunciare e consegnare alla polizia.

Tutto ciò è già fatto.

Adesso è urgente rendere il Parlamento inerte, umiliato, senza lavoro, inutile, in modo da farne sempre più oggetto di sfiducia e dileggio dei cittadini.

Quanto al distacco dall'Europa, comincia adesso la parte finale, col pretesto del “Pacchetto Ambiente”: isolare l'Italia affinché l'Europa smetta di garantire ciò che resta della libertà di opposizione in questo Paese.