venerdì 17 ottobre 2008

La leadership mondiale degli USA e' finita per sempre

E’ ormai diventato un imperativo cominciare a discutere di un nuovo sistema economico che sostituisca quello che abbiamo dovuto sopportare per decenni e che e’ in coma irreversibile.
Idem dicasi perche’ si cominci a fare i conti con il fatto che gli USA non saranno mai piu’ - e di fatto gia’ non lo sono piu’ - l’unica superpotenza globale.

Ma parallelamente anche la cosiddetta “sinistra” - e non solo in Italia - deve assolutamente trovarsi una nuova identita’ e porsi nuovi obbiettivi, approfittando proprio dello sfacelo in corso d’opera.
Finora pero’, quantomeno in Italia e in Europa piu’ in generale, si sta dimostrando del tutto inerte di fronte a cio’ che sta accadendo, condannandosi quindi ad una perenne irrilevanza politica.


Il nuovo secolo americano (accorciato di 92 anni)
di Mike Whitney – The Smirking Chimp – 3 Ottobre 2008

L’era dell’America Superpotente sta per finire. La crisi finanziaria è stata l’ultima goccia. La poca fiducia di cui ancora godeva, dopo l’invasione dell’Iraq e il ripudio dei trattati internazionali, è ora esaurita. Gli Stati Uniti hanno inquinato il sistema economico globale con obbligazioni da mutuo senza valore e, facendo ciò, hanno spinto 6 miliardi di persone incontro ad una recessione lunga e dolorosa. Qualcosa che non sarà facile perdonare.

La rabbia verso gli Stati Uniti sembra affiorare dappertutto allo stesso tempo. Era particolarmente visibile durante la recente apertura dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Normalmente, questo è un evento noioso, pieno di vuote ciance politiche e di cerimoniali pretenziosi. Non questa volta. Mentre il mondo scivola verso una recessione che sono stati gli USA a creare, i leader stranieri hanno iniziato a fustigare gli Stati Uniti in modo sempre più violento. I discorsi sono stati taglienti e pieni di rancore; nessuno vuole più “trattenere i pugni”. Hugo Chavez, in Venezuela, ha così riassunto il clima di incontri come questo:

“Io penso che, più prima che poi, questo impero cadrà, con vantaggio del mondo intero, permettendo di creare un equilibrio: un mondo policentrico e multipolare. Questo garantirà la pace nel mondo. Alla creazione di questo mondo multipolare noi stiamo offrendo il nostro piccolo contributo”.

Ciò che Chavez condanna è il modello “unipolare” di governo globale voluto da Bush, dove tutte le decisioni di importanza cruciale per il mondo – dal riscaldamento globale alla proliferazione nucleare – vengono prese da Washington. A nessuno piace prendere ordini, così come a nessuno piace vedere gli Stati Uniti impicciarsi perennemente dei suoi affari interni. Ecco perché nessuno dei notabili dell’ONU sembrava particolarmente dispiaciuto nel vedere i mercati finanziari statunitensi in caduta libera. Si chiama schadenfreude, l’atto di trarre piacere dalle sventure altrui, e ce n’era un bel po’ la settimana scorsa alle Nazioni Unite.

Molti dignitari sembrano convinti che l’improvviso crollo economico americano offra una possibilità di cambiamento. Ed è quello che tutti vogliono: un cambiamento concreto. Nessuno vuole altri 8 anni come quelli appena trascorsi. Ecco perché il tema centrale del discorso di Chavez è stato ripetuto fino alla noia dai leader degli altri paesi. Essi ripudiano l’attuale sistema e vogliono avere un ruolo maggiore nella progettazione del futuro.

Questo non significa che il mondo detesti l’America. Significa che tutti vorrebbero un attimo di respiro dalle torture, dai rapimenti, dai bombardamenti di civili, e ora dal contagio finanziario che si è esteso a tutto il sistema globale. La mancanza di regole e di politiche monetarie negli USA hanno alimentato l’inflazione, scatenato rivolte per il cibo, mandato alle stelle il prezzo del petrolio. Gli Stati Uniti sono come un commensale che non capisce quando è ora di tornarsene a casa. Forse un tocco di recessione servirà a riequilibrare l’approccio di Washington e renderà i suoi leader più sensibili ai bisogni del resto del mondo.

Il giornalista John Gray ha riassunto tutto ciò in un suo articolo sull’Observer, “Un momento catastrofico del crollo del potere americano”:

“La capacità di controllare gli eventi non è più nelle mani dell’America... dopo aver creato le condizioni che hanno prodotto la più grande bolla finanziaria della storia, i leader politici americani sembrano ora incapaci di comprendere le dimensioni dei pericoli di fronte ai quali si trova il paese. Impantanati nelle loro rabbiose guerre culturali e in continua lite gli uni con gli altri, sembrano non rendersi conto del fatto che la leadership politica dell’America sta rapidamente tramontando. Sta sorgendo, quasi inavvertito, un nuovo mondo in cui l’America è solo una fra molte grandi potenze, destinata a fronteggiare un futuro incerto che non è più in grado di forgiare”.

Gli Stati Uniti dovranno imparare ad unirsi alla famiglia delle nazioni e ad andare d’accordo con i loro vicini, che lo vogliano o no. Semplicemente, non esiste altra scelta: il dollaro sta crollando, i deficit sono alle stelle, il mercato finanziario è a pezzi. L’America dovrà imparare a cooperare o restare isolata in un mondo che va rapidamente integrandosi. “Collabora o arrangiati da solo”: un messaggio che Washington dovrà imparare in fretta per adeguarsi ai nuovi paradigmi di potere.

Certo, un mucchio di soldi continueranno a confluire nelle operazioni segrete e negli sporchi trucchi della CIA, tanto per tenere viva la speranza che lo status di Superpotenza venga ripristinato. Questo è prevedibile. Perfino gli inamovibili farabutti della famiglia reale britannica sognano ancora di ricostruire l’Impero. Ma i realisti sanno che si tratta solo di un’innocua fantasticheria. Non avverrà nulla di tutto questo. Gli Imperi hanno una data di scadenza assai limitata ed è impossibile rimetterli insieme. Di solito finiscono su un campo di battaglia costellato di cadaveri o in un torreggiante falò finanziario che non lascia dietro di sé altro che mucchi di cenere e schegge di vetro. Possiamo solo sperare che l’abisso finanziario spalancato di fronte a noi sia meno terribile di quanto prevediamo. Ma quando una nazione semina denti di drago, non può aspettarsi di raccogliere dolci frutti.

Il giornalista Steve Watson riferisce su Infowars:

“Un membro del Council on Foreign Relations, ex consigliere politico del noto membro del Bilderberg Henry Kissinger, ha scritto un pezzo sul Financial Times londinese in cui si invoca una “nuova autorità monetaria globale” col potere di monitorare tutte le autorità finanziarie nazionali e tutte le grandi compagnie finanziarie.

“Anche se il massiccio piano di salvataggio progettato dagli USA avesse successo, ad esso dovrebbe far seguito qualcosa di ancora più drastico: la creazione di una Autorità Monetaria Globale in grado di controllare mercati divenuti ormai senza confini”, scrive Jeffrey Garten, anch’egli ex managing director della Lehman Brothers”. (Infowar.com)

Il sogno di un “governo unico” mondiale è duro a morire, ma è comunque già morto. La Federal Reserve è al centro dell’attuale sistema finanziario globale. Le sue diramazioni includono il Council on Foreign Relations, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, il cartello bancario del G-7 e migliaia di rapaci ONG che hanno esteso la morsa della cabala bancaria di Washington e del suo sistema dollarizzato su tutto il pianeta. Il neoliberismo sta crollando. Ciò a cui stiamo assistendo sono gli spasmi scomposti di un paziente infartuato che entra nelle ultime fasi dell’arresto cardiaco. Non esistono né farmaci né procedure mediche che potranno riportare il paziente in buona salute.

Nessuno guarda più agli Stati Uniti o ai suoi “mercenari della domanda” per tracciare una rotta del futuro economico del proprio paese. Quei giorni sono finiti. Gli Stati Uniti dovranno risollevarsi dalle macerie e ricominciare daccapo senza le massicce iniezioni di capitali a basso interesse da parte di Cina, Giappone e Stati del Golfo. I rubinetti del denaro sono stati chiusi. Abbiamo lacrime e sangue davanti a noi. E’ il prezzo che si paga per aver truffato il mondo intero con obbligazioni da mutuo senza valore e altra immondizia “illiquida”.

Il presidente russo Vladimir Putin ha sintetizzato in questo modo i recenti avvenimenti nei mercati finanziari:

“Tutto ciò che sta accadendo nella sfera economica e finanziaria ha avuto origine negli Stati Uniti. E’ una crisi vera quella che abbiamo di fronte e ciò che preoccupa è assistere all’incapacità di prendere decisioni appropriate. Questa non è più un’irresponsabilità limitata ad alcuni individui, è un’irresponsabilità dell’intero sistema, lo stesso sistema che – come sapete – avrebbe pretese di leadership globale”.

Sempre alle Nazioni Unite, il Ministro delle Finanze tedesco, Peer Steinbuck, ha esposto sentimenti molto simili, dicendo:

“Gli Stati Uniti sono gli unici responsabili di questa crisi finanziaria. Sono loro la causa della crisi, non l’Europa, né la Repubblica Federale di Germania. La passione anglosassone per i profitti stratosferici e per le massicce gratificazioni a banchieri e amministratori delle compagnie ha provocato questa crisi finanziaria”.

Ha poi aggiunto: “Le conseguenze a lungo termine della crisi non sono chiare, ma una cosa mi sembra verosimile: gli USA perderanno il proprio status di superpotenza nel sistema finanziario globale. Il sistema finanziario del mondo sta diventando multipolare”.

Steinbuck non ha fatto altro che dare eco ai sentimenti del cancelliere Angela Merkel, che nella sua critica ha utilizzato un linguaggio più diplomatico:

“L’attuale crisi dimostra che a livello nazionale si possono fare alcune cose, ma che la stragrande maggioranza degli interventi deve essere decisa a livello internazionale. Dobbiamo premere per l’introduzione di regole più chiare, affinché una crisi come quella attuale non possa più ripetersi”.

La Merkel sa che l’Europa è stata aggredita dalla deregulation del sistema americano, che permette a imbroglioni ed artisti della truffa di spadroneggiare. Perfino adesso – nel bel mezzo del più grave scandalo finanziario della storia – non un solo amministratore delegato o finanziario delle principali banche d’investimento è stato incriminato o trascinato in prigione. I mercati americani sono una “terra di nessuno” priva di legge, dove nessuno è ritenuto responsabile di nulla, non importa quanto grande sia il suo crimine o quante persone siano state danneggiate. Ma c’è un prezzo da pagare per aver imbrogliato gli investitori e gli Stati Uniti lo pagheranno. Già ora, l’acquisto di buoni del Tesoro americani è rallentato fino quasi a strisciare. Nei prossimi mesi, al sistema di supporto vitale dell’America sarà staccata la spina e la tenda a ossigeno verrà portata via. I protetti di Kissinger non ne sono preoccupati; ma la classe lavoratrice americana dovrebbe esserlo. Abbiamo di fronte una catastrofe ferroviaria e molte persone soffriranno senza motivo.

Così lo Spiegel Online descrive la situazione:

“La crisi bancaria sta ponendo fine al dominio americano sui mercati finanziari e sulla politica mondiale. I paesi industrializzati stanno scivolando nella recessione, l’era del turbocapitalismo sta giungendo alla fine e la potenza militare degli Stati Uniti si sta dissolvendo... Questi non sono più gli Stati Uniti muscolari e arroganti che il mondo conosceva, la superpotenza che dettava le regole a tutti gli altri e considerava il suo modo di pensare e fare gli affari come l’unica strada per il successo.

Oggi è in vetrina una nuova America, un paese che non ha più fiducia nei suoi antichi valori e ancor meno nelle sue elite; né nei politici, che non sono stati capaci di scorgere i problemi all’orizzonte, né nei leader economici, che hanno cercato di vendere agli americani un mondo fasullo di prosperità... E’ in vetrina anche la fine dell’arroganza. Gli americani pagano adesso il prezzo della loro superbia”. (Spiegel Online, “L’America perde la posizione di dominio sull’economia”).

Entrambi i candidati alla presidenza hanno giurato di proseguire la dottrina unilateralista di Bush. Obama è pronto, tanto quanto McCain, a violare i confini di stati sovrani, invadere paesi che non rappresentano una minaccia immediata alla sicurezza degli Stati Uniti, a proseguire con le sfacciate violazioni del diritto internazionale quando ciò serve agli interessi dei mandarini occidentali. Ma il cambiamento arriverà comunque. Il momento unipolare è passato. Man mano che si aggrava la crisi finanziaria, la capacità bellica americana risulterà erosa a causa del prosciugamento dei capitali e delle risorse. E’ solo questione di tempo prima che la macchina bellica si fermi scoppiettando e le truppe ritornino in patria. Quando i massacri avranno fine, inizierà il vero nuovo ordine mondiale.


Sta cambiando il mondo
di Alfredo Reichlin – L’Unita’ – 17 Ottobre 2008

Michele Salvati riconosce, sul Corriere della Sera, che non è scoppiata solo una bolla speculativa. È successo qualcosa di molto grosso che segna una data. È arrivato al capolinea un ordine economico. Cambiano i rapporti tra i poteri mondiali. Mi scuso se non sono un economista, ma di questo si deve parlare.

Noi abbiamo assistito a una vicenda del tutto nuova nella storia moderna, cioè al fatto che una oligarchia politico-finanziaria ha preteso di governare il mondo sottomettendo al suo potere la politica, intendendo per politica la sovranità dello Stato (moneta compresa) i diritti universali del cittadino, quale che sia la sua capacità di consumo, la società intesa come storie, culture, legami, progetti, non riducibili allo scambio economico. Di questo si è trattato. Ed è tanto vero che il mondo esulta perché gli Stati europei hanno mostrato l'intenzione di restituire il comando al «Sovrano».

Era evidente (almeno per menti libere) che non poteva continuare all'infinito un sistema in base al quale somme immense di denaro (molte volte più grandi della ricchezza reale prodotta) si muovono da un luogo all'altro del mondo in tempo reale prescindendo dai bisogni veri della gente, dalle relazioni umane, dai diritti sociali, dalle risorse reali, dai territori. Il fenomeno è stato, davvero, grandioso e certe polemiche anti-capitalistiche di “rivoluzionari” invecchiati lasciano il tempo che trovano.

In questo modo è stata anche favorita l'apertura di nuovi mercati e il finanziamento di cose straordinarie come l'intelligenza artificiale, le medicine (e - perché no? - le armi del 2000). E tutto ciò ha anche reso possibile un salto nello sviluppo dei paesi emergenti. Tuttavia è grazie a questo sistema che il paese più ricco del mondo ha potuto vivere a credito molto al di sopra delle sue risorse attirando, grazie al ruolo imperiale del dollaro l'ottanta per cento del risparmio mondiale.

Mentre all'interno (ma non solo all'interno degli Stati Uniti) si sviluppava un enorme gioco speculativo: credito facile, indebitamento di massa, ben al di là dal ricavato del proprio lavoro, creazione di una economia di consumi la quale si è tradotta in un crescente aumento delle disuguaglianze e in una devastante pressione sui beni pubblici e sulle risorse naturali. E mentre ai lavoratori e ai ceti medi si offriva l'eterna illusione che indebitandosi si potevano arricchire all'infinito con l'idea che il denaro si può fare col denaro, avveniva in realtà una impressionante redistribuzione del potere e delle ricchezze a favore delle oligarchie dominanti.

Un enorme gioco di specchi che si è rotto quando - come diceva Keines - «lo sviluppo del capitale reale di un paese diventa il sottoprodotto delle attività di un “casinò”». Salvati non lo dice con queste parole. Ma mi è sembrato significativo il suo riferimento al libro di Robert Reich ferocemente polemico con questo sistema. Bene.

Ma se è così un problema molto grosso - politico ma anche intellettuale e morale - non può non porsi. E non solo a chi scrive. A me sembra evidente che il cominciare a pensare a un modello diverso per il governo dell'economia mondiale è un compito (ma anche un dovere etico-politico) non più rinviabile. Oltre tutto i governi europei hanno messo sul piatto qualcosa come due o tremila miliardi di dollari (tratti, evidentemente dalle tasche della gente, pensionati e operai compresi) per salvare le banche. Benissimo. Si può almeno cominciare a pensare a un futuro diverso?

Salvati non sfugge a questo problema. Egli non nega che una alternativa sarebbe necessaria e riconosce che i modelli capitalistici possano essere diversi tra loro, anche profondamente, così come il modello keinesiano, cioè il compromesso tra il capitalismo e la democrazia era del tutto diverso dalla svolta ultra liberista degli anni 70. Salvati non è Ostellino. Il problema che lui solleva è un altro ed è il vero problema che sfida oggi la sinistra e giustifica la sua inerzia. Mancano - dice - le condizioni.

E le condizioni di cui parla non sono tanto quelle oggettive (la profondità della crisi, la insostenibilità del modello attuale) quanto quei “grandi riorientamenti ideologici, culturali, teorici e, da ultimo, politici altrettanto profondi” che consentirono quei due grandi passaggi (il keinesiano tra gli anni 30 e 40 e il neo-liberismo degli anni 70).

Io ho molto rispetto per Salvati, un vecchio amico che ho sempre ascoltato con attenzione. Ma non resisto al bisogno (anche morale) di ricordare, a proposito di condizioni culturali, che cosa è stata in questi anni la vera e propria distruzione del pensiero politico della sinistra e di una sua qualunque visione autonoma rispetto al pensiero unico dell'oligarchia finanziaria. Un martellamento quotidiano mai visto prima contro i salari, (sempre troppo alti), i sindacati (inutili), la privatizzazione delle pensioni come condizione per lo sviluppo, (se ne accorgeranno i pensionati americani legati ai valori di Wall Street) le imprese che valgono solo per il valore delle azioni e non per ciò che producono.
Per non parlare della scala dei valori dominanti: l'ossequio perfino ridicolo per la ricchezza e la genialità dei banchieri, questi nuovi eroi del nostro tempo.

Forse parla in me un vecchio comunista che dovrebbe solo tacere. Parlino allora i liberali. Ci spieghino dove va a finire non la “classe” ma la libertà della persona se la società viene ridotta a società di mercato, se gli uomini sono messi in relazione tra loro non in rapporto alla loro sostanza umana ma in quanto “maschere” dietro alle quali non ci sono creatività e progetti di vita ma individui che si misurano con un solo metro: la capacità di consumo, il denaro. Perché Salvati chiama questo sistema “liberale”?

Mi dispiace, io non sono d'accordo. E non perché non capisca la necessità di una rivoluzione culturale oppure sottovaluti la debolezza della sinistra che paga anche per la sua illusione di ritagliarsi uno spazio (una “terza via”?) nel “casinò” di questi anni. Non c'erano le condizioni: così ci è stato detto. È molto triste sentirlo ripeterle. Certo, anch'io come Salvati non vedo in giro un nuovo Keines e non credo che Obama abbia la statura di Roosevelt. Ma respingo l'idea della politica che c'è in questo modo di ragionare.

È esattamente ciò che ci ha portato non al rischio di perdere (si può sempre perdere e poi rivincere) ma di finire nell'irrilevanza. Le condizioni si creano. Questo non si è capito e si continua a non capire: quanto conta, più della ricchezza il cervello della gente. Le condizioni non ci saranno mai se la politica non torna ad essere prima di tutto conoscenza, scoperta della realtà, libertà di pensiero, idee forti e quindi energie nuove rimesse in movimento. La storia di questi anni dovrebbe insegnare qualcosa.

Gli uomini come Salvati hanno l'intelligenza e il livello per contribuire a creare queste famose condizioni, almeno culturali. Troppi di loro in questi anni non lo hanno fatto. Eppure non ci voleva la zingara per capire che questo gigantesco gioco sui debiti era insostenibile. Perciò non mi piace che adesso siano gli stessi a dirci che la crisi è grave aggiungendo però che non ci sono le condizioni per cambiare. So anch'io che non sarà facile cambiare. Ma anch'io pongo una condizione. È quella di poter dire alla gente che esiste una grande e nobile ragione per cui costruiamo un nuovo partito. E che questa consiste nella convinzione che è giunto il momento di lottare per un mondo più giusto nel quale una nuova sinistra europea sia protagonista.