martedì 14 aprile 2009

Il post-terremoto italiota

I Carabinieri del Nas hanno sequestrato oggi in un hotel della riviera di Vasto (Chieti) 150 Kg di cibi scaduti che erano stati rifilati per il pranzo di Pasqua ai 49 sfollati per il terremoto.
Si tratta soprattutto di pesce, patatine e hamburger surgelati, privi di etichettatura, tracciabilità e in alcuni casi scaduti già nel Dicembre del 2007.
Il Nas era stato allertato da un cittadino che si era sentito male.

Insomma, piove sul bagnato...

Sempre oggi il presidente della regione Abruzzo Gianni Chiodi ha respinto al mittente l'allarme lanciato ieri dal procuratore nazionale Antimafia Pietro Grasso sull'infiltrazione della criminalità organizzata nella ricostruzione delle zone terremotate. Per Chiodi infatti "non è una preoccupazione concreta perchè l'Abruzzo è l'Abruzzo".

Certamente...

L’Aitec, l’Associazione dei produttori di cemento, rifiuta a sua volta le accuse di quanti sostengono che il materiale impiegato nell'edilizia sia la causa dei crolli avvenuti in Abruzzo.
E intanto nell'Aquilano sono già stati effettuati 1.467 sopralluoghi tecnici per capire quali sono gli edifici rimasti agibili dopo il sisma. Il risultato è che il 47% degli edifici esaminati è risultato inagibile.

Comunque il classico scaricabarile è già iniziato perchè... l'Italia è l'Italia.



"Ma io per il terremoto non do nemmeno un euro..."
di Giacomo Di Girolamo - Facebook - 14 Aprile 2009
Visto su www.cloroalclero.com

Scusate, ma io non darò neanche un centesimo di euro a favore di chi raccoglie fondi per le popolazioni terremotate in Abruzzo. So che la mia suona come una bestemmia. E che di solito si sbandiera il contrario, senza il pudore che la carità richiede. Ma io ho deciso. Non telefonerò a nessun numero che mi sottrarrà due euro dal mio conto telefonico, non manderò nessun sms al costo di un euro. Non partiranno bonifici, né versamenti alle poste. Non ho posti letto da offrire, case al mare da destinare a famigliole bisognose, né vecchi vestiti, peraltro ormai passati di moda. Ho resistito agli appelli dei vip, ai minuti di silenzio dei calciatori, alle testimonianze dei politici, al pianto in diretta del premier. Non mi hanno impressionato i palinsesti travolti, le dirette no – stop, le scritte in sovrimpressione durante gli show della sera. Non do un euro. E credo che questo sia il più grande gesto di civiltà, che in questo momento, da italiano, io possa fare.

Non do un euro perché è la beneficienza che rovina questo Paese, lo stereotipo dell’italiano generoso, del popolo pasticcione che ne combina di cotte e di crude, e poi però sa farsi perdonare tutto con questi slanci nei momenti delle tragedie. Ecco, io sono stanco di questa Italia. Non voglio che si perdoni più nulla. La generosità, purtroppo, la beneficienza, fa da pretesto. Siamo ancora lì, fermi sull’orlo del pozzo di Alfredino, a vedere come va a finire, stringendoci l’uno con l’altro. Soffriamo (e offriamo) una compassione autentica. Ma non ci siamo mossi di un centimetro.
Eppure penso che le tragedie, tutte, possono essere prevenute. I pozzi coperti. Le responsabilità accertate. I danni riparati in poco tempo. Non do una lira, perché pago già le tasse. E sono tante. E in queste tasse ci sono già dentro i soldi per la ricostruzione, per gli aiuti, per la protezione civile. Che vengono sempre spesi per fare altro. E quindi ogni volta la Protezione Civile chiede soldi agli italiani. E io dico no. Si rivolgano invece ai tanti eccellenti evasori che attraversano l’economia del nostro Paese.

E nelle mie tasse c’è previsto anche il pagamento di tribunali che dovrebbero accertare chi specula sulla sicurezza degli edifici, e dovrebbero farlo prima che succedano le catastrofi. Con le mie tasse pago anche una classe politica, tutta, ad ogni livello, che non riesce a fare nulla, ma proprio nulla, che non sia passerella.
C’è andato pure il presidente della Regione Siciliana, Lombardo, a visitare i posti terremotati. In un viaggio pagato – come tutti gli altri – da noi contribuenti. Ma a fare cosa? Ce n’era proprio bisogno?

Avrei potuto anche uscirlo, un euro, forse due. Poi Berlusconi ha parlato di “new town” e io ho pensato a Milano 2 , al lago dei cigni, e al neologismo: “new town”. Dove l’ha preso? Dove l’ha letto? Da quanto tempo l’aveva in mente? Il tempo del dolore non può essere scandito dal silenzio, ma tutto deve essere masticato, riprodotto, ad uso e consumo degli spettatori. Ecco come nasce “new town”. E’ un brand. Come la gomma del ponte.

Avrei potuto scucirlo qualche centesimo. Poi ho visto addirittura Schifani, nei posti del terremoto. Il Presidente del Senato dice che “in questo momento serve l’unità di tutta la politica”. Evviva. Ma io non sto con voi, perché io non sono come voi, io lavoro, non campo di politica, alle spalle della comunità. E poi mentre voi, voi tutti, avete responsabilità su quello che è successo, perché governate con diverse forme - da generazioni - gli italiani e il suolo che calpestano, io non ho colpa di nulla. Anzi, io sono per la giustizia. Voi siete per una solidarietà che copra le amnesie di una giustizia che non c’è.

Io non lo do, l’euro. Perché mi sono ricordato che mia madre, che ha servito lo Stato 40 anni, prende di pensione in un anno quasi quanto Schifani guadagna in un mese. E allora perché io devo uscire questo euro? Per compensare cosa? A proposito. Quando ci fu il Belice i miei lo sentirono eccome quel terremoto. E diedero un po’ dei loro risparmi alle popolazioni terremotate.

Poi ci fu l’Irpinia. E anche lì i miei fecero il bravo e simbolico versamento su conto corrente postale. Per la ricostruzione. E sappiamo tutti come è andata. Dopo l’Irpinia ci fu l’Umbria, e San Giuliano, e di fronte lo strazio della scuola caduta sui bambini non puoi restare indifferente.
Ma ora basta. A che servono gli aiuti se poi si continua a fare sempre come prima?
Hanno scoperto, dei bravi giornalisti (ecco come spendere bene un euro: comprando un giornale scritto da bravi giornalisti) che una delle scuole crollate a L’Aquila in realtà era un albergo, che un tratto di penna di un funzionario compiacente aveva trasformato in edificio scolastico, nonostante non ci fossero assolutamente i minimi requisiti di sicurezza per farlo.

Ecco, nella nostra città, Marsala, c’è una scuola, la più popolosa, l’Istituto Tecnico Commerciale, che da 30 anni sta in un edificio che è un albergo trasformato in scuola. Nessun criterio di sicurezza rispettato, un edificio di cartapesta, 600 alunni. La Provincia ha speso quasi 7 milioni di euro d’affitto fino ad ora, per quella scuola, dove – per dirne una – nella palestra lo scorso Ottobre è caduto con lo scirocco (lo scirocco!! Non il terremoto! Lo scirocco! C’è una scala Mercalli per lo scirocco? O ce la dobbiamo inventare?) il controsoffitto in amianto.

Ecco, in quei milioni di euro c’è, annegato, con gli altri, anche l’euro della mia vergogna per una classe politica che non sa decidere nulla, se non come arricchirsi senza ritegno e fare arricchire per tornaconto.

Stavo per digitarlo, l’sms della coscienza a posto, poi al Tg1 hanno sottolineato gli eccezionali ascolti del giorno prima durante la diretta sul terremoto. E siccome quel servizio pubblico lo pago io, con il canone, ho capito che già era qualcosa se non chiedevo il rimborso del canone per quella bestialità che avevano detto.

Io non do una lira per i paesi terremotati. E non ne voglio se qualcosa succede a me. Voglio solo uno Stato efficiente, dove non comandino i furbi. E siccome so già che così non sarà, penso anche che il terremoto è il gratta e vinci di chi fa politica. Ora tutti hanno l’alibi per non parlare d’altro, ora nessuno potrà criticare il governo o la maggioranza (tutta, anche quella che sta all’opposizione) perché c’è il terremoto. Come l’11 Settembre, il terremoto e l’Abruzzo saranno il paravento per giustificare tutto.

Ci sono migliaia di sprechi di risorse in questo paese, ogni giorno. Se solo volesse davvero, lo Stato saprebbe come risparmiare per aiutare gli sfollati: congelando gli stipendi dei politici per un anno, o quelli dei super manager, accorpando le prossime elezioni europee al referendum. Sono le prime cose che mi vengono in mente. E ogni nuova cosa che penso mi monta sempre più rabbia.

Io non do una lira. E do il più grande aiuto possibile. La mia rabbia, il mio sdegno. Perché rivendico in questi giorni difficili il mio diritto di italiano di avere una casa sicura. E mi nasce un rabbia dentro che diventa pianto, quando sento dire “in Giappone non sarebbe successo”, come se i giapponesi hanno scoperto una cosa nuova, come se il know – how del Sol Levante fosse solo un’ esclusiva loro. Ogni studente di ingegneria fresco di laurea sa come si fanno le costruzioni. Glielo fanno dimenticare all’atto pratico.

E io piango di rabbia perché a morire sono sempre i poveracci, e nel frastuono della televisione non c’è neanche un poeta grande come Pasolini a dirci come stanno le cose, a raccogliere il dolore degli ultimi. Li hanno uccisi tutti, i poeti, in questo paese, o li hanno fatti morire di noia.
Ma io, qui, oggi, mi sento italiano, povero tra i poveri, e rivendico il diritto di dire quello che penso.

Come la natura quando muove la terra, d’altronde.




Da www.cloroalclero.com - 14 Aprile 2009

SIAMO ANCORA LI', FERMI SULL'ORLO DEL POZZO DI ALFREDINO, A VEDERE COME VA A FINIRE, STRINGENDOCI L'UNO CON L'ALTRO


Del bellissimo articolo di G.Di Girolamo che ho riportato, mi ha colpito in particolare questa frase. Sarà perchè la storia di Alfredino l’avevo vissuta, sarà perchè in quella frase si dice una grande verità e si fotografa, immortalandolo, un aspetto dell’Italia che mi è sempre stato presente. Un paese a tinte fosche, con un retroscena ambiguo e criminale, che da sempre risparmia sulla sicurezza e sulla prevenzione, dall’altro allestisce carrozzoni mediatici di “angeli“, di “benefattori per caso” e di “gente comune che sa tirare fuori il cuore“, intrecciando significati di populismo retorico che travolge e seppellisce sotto la coltre di omertà l’eterno ritorno del potere.

Figli e nipoti di delinquenti che lucrano sull’edilizia, che speculano sulla morte e creando elettorato sulla disgrazia dei poveracci. E non cambia mai niente, nonostante tutti abbiamo assistito al Belice, al Friuli, all’Umbria: attoniti e impietositi, come all’epoca della “morte in diretta” del piccolo Alfredo Rampi. Vediamo il baronato scientifico-tecnologico, governato dai quattrini e dalle condizioni politiche a cui sono sottoposte le carriere.

Leggiamo delle collusioni tra politica, criminalità organizzata (leggi mafia) e capitalismo,e arriviamo ai servi di partito che militano da decenni sotto sigle diverse. Essendo sempre gli stessi o uomini diversi che obbediscono alle medesime logiche immortali in Italia. Oggi è accentuata la deriva fascistizzante del potere, ma la sua fisionomia è la stessa. Se un Berlusconi fonda il culto della personalità sui suoi dipendenti che lo riprendono mente piange davanti alla vecchina colpita dal disastro, dietro, nascosto, c’è un Brunetta che sta già prendendo accordi per cominciare a sfruttare in combutta con le multinazionali finanziarie, quest’ultima disgrazia abruzzese.

Il concetto di responsabilizzazione viene gestito come al solito, demandando a “privati” il dovere di tutelare il cittadino, tra mille clausole e oneri che sul cittadino stesso ricadono come la solita mannaia di tasse, di gabelle, di denari estorti per il bene dei padroni “privati”. Come gli edifici costruiti dai “privati” (leggi Impregilo) col cemento fatto con la sabbia del mare. Come il campo “di un privato” che ospitava un pozzo artesiano senza protezione, che ha inghiottito il povero alfredino.

Si affida al mezzo televisivo strettamente controllato la dimensione del dolore collettivo. In TV, nel giorno di Pasqua, si fa vedere una Lucia Annunziata che intervista (nel programma chiamato “in mezz’ora”) il presidente della Regione Abruzzo, del PdL e il sindaco di L’Aquila, del PD, per offrire una falsa immagine di un potere efficiente, in grado di far fronte al disastro con mezzi idonei e serietà. Le parole dell’Annunziata orientano l’opinione pubblica a farsi un’idea falsa e distorta di tendopoli disponibili per tutti, di una protezione civile che provvede alle necessità di tutti e di generi alimentari che non mancano. Insomma di un governo che funziona e che dev’essere lodato e premiato elettoralmente.

Bisogna andare su internet per scoprire che non ci sono affatto tendopoli per tutti, che moltissime intere famiglie dormono in auto e che manca completamente la frutta in certi campi, che arrivano vestiti non indossabili perchè vecchi e stracciati. Eppure qui il diktat di governo non è quello che si parli di “emergenza” (dopo l’emergenza rom, l’emergenza stupri, l’emergenza sciacalli costruite ad hoc per perseguitare minoranze scomode e militarizzare il paese), ma che si parli di “Unità Nazionale” .

Si parla di “angeli”, di “cittadini generosi”, di forze politiche coese per il bene collettivo, mettendo tutto insieme, in un calderone informativo stucchevole e falso. Politici ben vestiti, che fanno la passerella a fini elettorali, trasportati in loco con gli elicotteri vengono equiparati dai media ai sudati pompieri che ravanano tra le macerie in cerca di qualche ferito. Le riprese sono studiate per rappresentare gli angoli di L’Aquila dove c’è maggior ordine, guardandosi bene dall’intervistare o solo dal riprendere qualcuno che dorme in macchina con coniuge, suocera e figli.

Il governo sfrutta e specula schifosamente sull’8 per mille, sul 5 per mille, organizzando manovre per dirottare i fondi ai partner d’affari che, da ora in poi, ne beneficeranno. E il megafono della “notte delle libertà” fa appello all’orgoglio del popolo, alla sua voglia di rialzarsi da solo e intanto rifiuta gli aiuti stranieri, come quello brasiliano, per poter meglio lucrare e intorbidire i conti interni, far pesare i disavanzi sul paese, aiutando così gli amici in difficolta’ per la crisi finanziaria.

Perchè i politici sanno che il terremoto è una fruttifera campagna elettorale, un reality del dolore televisivo che ha come sponsor i partiti. Gli imprenditori sanno che il terremoto è un affare a lungo termine, che permette di modificare le leggi sulle percentuali versate dai contribuenti, di guadagnare miliardi per imprendere all’estero e spacciarsi anche per “capitalismo dal volto umano”.

E tutti noi italiani stiamo a guardare commossi, attoniti e leggermente in colpa. Come in quelle notti del 1978, mentre Alfredino veniva inghiottito dalla terra, caduto in un pozzo che nessuno aveva pensato di mettere in sicurezza.