Qui di seguito si cerca di mettere a fuoco la realtà della cosiddetta "pirateria" somala, le sue origini, le sue motivazioni.
E naturalmente ciò che ne emerge è completamente diverso da quello che ci viene raccontato dai mainstream media e dalla comunità internazionale.
Quindi la domanda sorge spontanea: chi sono i veri pirati?
Il Puntland contro il Bucaneer, "doveva sversare rifiuti tossici"
da La Repubblica - 19 Aprile 2009
Novità non proprio rassicurante nel caso del Buccaneer, il rimorchiatore italiano sequestrato dai pirati somali. Le autorità della regione semi-autonoma del Puntland, nel nord-est della Somalia, sostengono che la nave italiana doveva sversare rifiuti tossici al largo delle coste del Paese africano. Di attività illegali sono accusati anche due pescherecci egiziani, come il Buccaneer catturati la scorsa settimana dai pirati al largo della costa somala e attraccate nel porto di Lasqorey, in Puntland.
Le accuse sono state mosse oggi dal governatore della zona di Sanag, Mohamoud Said Nur, raggiunto telefonicamente dall'agenzia France Presse: "Dobbiamo dire chiaramente che il rimorchiatore italiano e i due pescherecci egiziani sono stati sequestrati dalle forze di sicurezza locali e la ragione per cui sono stati messi sotto sequestro non ha nulla a che vedere con la pirateria. Abbiamo avuto la conferma che il rimorchiatore italiano trasporta due contenitori di rifiuti tossici e che (l'equipaggio) voleva gettarli nelle nostre acque. Dobbiamo fare giustizia e non chiediamo riscatti per la loro liberazione".
Alle due imbarcazioni egiziane il governatore ha rimproverato di pescare "illegalmente" nelle acque somale. "Anche loro devono essere portati davanti alla giustizia", ha aggiunto.
Immediata la smentita della Micoperi, la ditta proprietaria del rimorchiatore, che ha confermato: la Buccaneer era vuota. Il general manager della ditta ravennate preferisce mantenere il silenzio stampa, ma invita a "rifarsi a quanto detto nei giorni scorsi alle autorità " e cioè che la nave era vuota e non poteva trasportare alcun materiale, tantomeno tossico. O radioattivo, come era stato ipotizzato qualche giorno fa. La Buccaneer, aveva riferito la Micoperi nei giorni scorsi, era priva di carico. Erano due le bettoline in viaggio ed entrambe erano completamente vuote: una la stanno ancora rimorchiando per conto della Pms, la compagnia di stato egiziana che installa piattaforme.
Le bettoline infatti sono chiatte galleggianti su cui si mettono le piattaforme per portarle in mare. Per questo non possono trasportare rifiuti. La Buccaneer inoltre - avevano aggiunto - era partita da Singapore, dove i controlli sono serrati. Inoltre i pirati hanno dato l'assalto sotto le coste dello Yemen, al limite delle acque territoriali del paese arabo.
Il Buccaneer è stato catturato l'11 aprile scorso nel golfo di Aden. A bordo ci sono dieci italiani, cinque romeni e un croato. I pescherecci egiziani, con equipaggi di 18 e 24 marinai a bordo, sono stati catturati al largo del Somaliland.
Vi hanno mentito sui pirati somali
di Johann Hari - The Independent - 5 Gennaio 2009
Traduzione curata da Rachele Materassi per www.comedonchisciotte.org
Alcuni sono chiaramente solo dei delinquenti. Ma altri stanno cercando di fermare gli scarichi illegali di rifiuti e la pesca a strascico.
Chi avrebbe immaginato che, nel 2009, i governi mondiali avrebbero dichiarato una nuova Guerra ai Pirati? Mentre state leggendo quest’articolo, la British Royal Navy – con il sostegno dalle navi di più di due dozzine di stati, dall’America alla Cina- sta navigando verso le acque somale per affrontare uomini che noi ci figuriamo ancora come furfanti da sceneggiata con tanto di pappagallo sulla spalla. Presto inizieranno a combattere le navi somale e a cacciare i pirati sulla terraferma, in una delle regioni più piegate della terra. Ma dietro alla stravaganza del tipo ‘avanti-miei-prodi’ che questa storia racchiude, si nasconde uno scandalo non confessato. Le persone che i nostri governi stanno etichettando come “una delle più grandi minacce del nostro tempo” hanno delle storie incredibili da raccontare – e un po’ di giustizia dalla loro parte.
I pirati non sono mai stati quello che noi in realtà crediamo. Nell’“età d’oro della pirateria” – dal 1659 al 1730 – venne creata dal governo britannico, sull’onda di uno spirito propagandistico, l’idea odierna del pirata come un ladro selvaggio e senza scrupoli. Molte persone comuni la ritenevano però non veritiera: i pirati venivano spesso tratti in salvo dalle navi da folle di sostenitori. Perché? Che cosa coglievano loro che a noi non è concesso intendere? Nel suo libro Furfanti di tutti i Paesi [“Villains of All nations”], lo storico Marcus Rediker scava tra le prove per scoprirlo. All’epoca, diventare mercante o marinaio – raccolto dai porti dell’East End londinese, giovane e affamato – significava finire a navigare in un Inferno di legno. Significava lavorare a tutte le ore su una nave sovraccarica e senza cibo, e a concedersi una breve pausa si finiva frustati con il Gatto a Nove Code dal plenipotenziario capitano. I perditempo abituali correvano il rischio di essere gettati in mare. E dopo mesi o anni di tutto questo, spesso si finiva con l’essere imbrogliati sulla paga.
I pirati sono stati i primi a ribellarsi a questo sistema. Sono andati contro i loro capitani-tiranni e hanno inventato un modo diverso di lavorare sui mari. Non appena riuscivano ad avere una barca, i pirati eleggevano i loro capitano e prendevano tutte le decisioni assieme. Dividevano il bottino nel modo che Rediker definisce “uno dei più egualitari piani di distribuzione delle risorse esistenti nel diciottesimo secolo”. Addirittura, essi prendevano con loro schiavi africani fuggitivi e ci vivevano assieme, trattandoli da eguali. I pirati hanno dimostrato “piuttosto chiaramente – e in modo sovversivo- che le navi non dovevano necessariamente essere condotte con i modi brutali e oppressivi utilizzati dal servizio mercantile e dalla flotta britannica”. Ecco perché erano popolari, nonostante fossero dei ladri poco produttivi.
Le parole di un pirata di quell’epoca perduta – un giovane inglese di nome William Scott – dovrebbero risuonare in questa nuova epoca di pirati. Prima di essere impiccato a Charleston, Carolina del Sud, egli disse: “Quello che ho fatto è stato salvarmi dalla morte. Sono stato costretto a fare il pirata per vivere”. Nel 1991 il governo della Somalia – nel Corno d’Africa – è collassato. I suoi nove milioni di abitanti da sempre vivono sull’orlo della fame – e molte delle peggiori forze del mondo occidentale hanno visto questa cosa come una grossa opportunità per rubare le riserve di cibo del paese e per versare scorie nucleari nei loro mari.
Esatto: scorie nucleari. Non appena il governo somalo è caduto, misteriose navi europee hanno iniziato a comparire al largo delle coste della Somalia, svuotando grossi barili nell’oceano. Gli abitanti della costa hanno cominciato ad ammalarsi. All’inizio soffrivano di strane irritazioni e di nausea, oltre al fatto che mettevano al mondo bambini malformati. Poi, dopo lo tsunami del 2005, centinaia di barili scaricati e perforati sono stati dispersi sulla spiaggia. La gente ha iniziato a soffrire di sintomi da radiazioni e più di 300 persone sono morte. Ahmedou Ould-Abdallah, inviato delle Nazioni Unite in Somalia, mi dice: “Qualcuno sta svuotando materiale nucleare qui. C’è anche del piombo e metalli pesanti come il cadmio e il mercurio”. La maggior parte di queste scorie proviene da ospedali e aziende europee, che sembrano affidarle alla mafia italiana affinché se ne “liberi” in modo economico. Quando ho chiesto a Ould-Abdallah che cosa stavano facendo i governi dell’Europa per questo, mi ha risposto sospirando: “Nulla. Non c’è stata nessuna attività di ripulitura, nessun risarcimento e nessuna attività preventiva”.
Nello stesso periodo, altre navi europee hanno iniziato a saccheggiare i mari della Somalia privandoli della loro più importante risorsa: il pesce. Noi abbiamo distrutto le nostre riserve ittiche a causa dello sfruttamento eccessivo, e adesso stiamo attaccando le loro. Più di 300 milioni di dollari di tonno, gamberetti, aragoste e altri pesci vengono rubati ogni anno da enormi pescherecci che navigano illegalmente nelle acque somale non protette. I pescatori locali hanno improvvisamente perso la loro fonte di sostentamento e stanno morendo di fame. Mohammed Hussein, un pescatore nella città di Marka,100 km a sud di Mogadiscio, ha detto all’agenzia Reuters: “Se non si fa niente, presto non ci sarà più pesce nelle nostre acque costiere”.
E’ questo il contesto da cui emergono gli uomini che noi ora chiamiamo “pirati”: tutti sono concordi nell’affermare che essi erano dei normali pescatori somali, i quali inizialmente si sono armati di motoscafi nel tentativo di frenare la pesca a strascico e le scarico di scorie chimiche, o almeno di imporre una “tassa” su tali attività. In una surreale intervista telefonica, uno dei capi dei pirati, Sugule Ali, disse che il loro scopo era di “fermare la pesca illegale e lo scarico nelle nostre acque…Noi non ci consideriamo banditi del mare. Noi consideriamo banditi del mare quelli che pescano illegalmente e che rovesciano nelle nostre acque scorie nucleari e portano armi nel nostro mare”. William Scott avrebbe capito queste parole.
No, tutto questo non giustifica la cattura di prigionieri e sì, alcuni sono evidentemente solo dei gangster – specialmente quelli che si sono impossessati delle scorte inviate dal World Food Programme. Ma i “pirati” godono del massiccio sostegno della popolazione locale per una ragione. Il sito somalo d’informazione indipendente WardherNews ha condotto l’indagine più approfondita che abbiamo a disposizione riguardo a ciò che la gente somala pensa e ha scoperto che il 70% della popolazione “sostiene fermamente la pirateria come una forma di difesa nazionale delle acque territoriali del paese”. Durante la guerra rivoluzionaria in America, George Washington e i padri fondatori americani pagarono i pirati affinché proteggessero le acque territoriali americane perché non avevano una loro marina o una guardia costiera. La maggior parte degli americani li sosteneva. E’ tanto diverso?
Ci aspettavamo forse che i somali affamati restassero passivi sulle loro spiagge, a fare il bagno nelle nostre scorie nucleari guardandoci mentre rubiamo loro il pesce che verrà mangiato nei ristoranti di Londra, Parigi e Roma? Non abbiamo fatto nulla per fermare quei crimini - ma quando qualche pescatore reagisce interrompendo il corridoio di transito del 20 percento della fornitura mondiale di petrolio, allora noi iniziamo a gridare al “male”. Se veramente vogliamo occuparci della pirateria, dobbiamo arrestarne la causa originaria – i nostri crimini – prima di spedire navi armate a scovare i criminali somali.
La storia della guerra ai pirati del 2009 è stata riassunta nel modo migliore da un altro pirata, che è vissuto e morto nel IV secolo dopo cristo. Egli era stato catturato e portato davanti ad Alessandro Magno, il quale voleva sapere “a cosa mirasse prendendo possesso del mare”. Il pirata sorrise e rispose: “A ciò a cui miri tu impadronendoti di tutta la terra; ma io, che lo faccio con una barca insignificante, vengo chiamato ladro mentre tu, che lo fai con una grande flotta, vieni chiamato imperatore”. E di nuovo, le nostre grandi navi imperiali oggi navigano per i mari - ma chi è il ladro?
POST SCRIPTUM: Alcuni commentatori guardano con perplessità al fatto che sia lo scarico delle scorie tossiche sia il furto di pesce avvengano nello stesso posto –il pesce non viene contaminato? Di fatto, la costa somala è vasta, estendendosi per 3.300 km. Per rendere l’idea, pensate a quanto sarebbe facile – se non ci fossero la guardia costiera o l’esercito- rubare pesce dalla Florida o gettare scorie nucleari in California. Questi sono eventi che accadono in posti diversi ma con gli stessi terribili effetti: morte della popolazione locale e incoraggiamento del la pirateria. Non c’è nessuna contraddizione.
Pirati, Somalia, noi
da www.paolobarnard.info - 14 Aprile 2009
Mohamed Abshir Waldo è un analista somalo che lavora in Kenia. E’ autore di una pubblicazione dal titolo “Le due piraterie in Somalia: Perché il mondo ignora l’altra?”. Ecco la sua testimonianza:
“Ci sono due piraterie in Somalia. Una è quella che sta all’origine del problema di oggi, e che è la pesca illegale da parte di imbarcazioni straniere, che oltre tutto mentre pescano assolvono a un altro compito illegale, cioè la discarica di scorie tossiche industriali e persino nucleari nelle nostre acque, tutte provenienti dal mondo ricco. L’altra pirateria è quella che vi raccontano i vostri media. Ma essa si è scatenata in reazione a quei crimini, quando le nostre acque furono avvelenate, quando fu saccheggiato i nostro pesce, e in un Paese poverissimo i pescatori capirono che non avevano altra possibilità se non quella di reagire con la violenza contro le navi e le proprietà dei Paesi potenti che sponsorizzano la vostra pirateria e la discarica tossica qui.
Le nazioni maggiormente coinvolte in questa prima pirateria sono la Francia, la Norvegia, la Spagna, l’Italia, la Grecia, le Gran Bretagna, ma anche la Russia e i Paesi asiatici come la Korea, Taiwan, le Filippine, la Cina. Tutto è cominciato, per quanto riguarda la pesca illegale, nel 1991. Le comunità dei pescatori somali ha per anni protestato presso l’ONU e la UE, ma sono stati del tutto ignorati. I pescherecci occidentali arrivano qui e pescano senza licenza, addirittura reagiscono con la forza quando le nostre barche li contrastano, ci tirano addosso acqua bollente, ci sparano, ci mirano contro con i vascelli. Queste cose sono accadute per anni, finché i pescatori somali si sono organizzati in un corpo di Guarda Costiera di Volontari Nazionali, che voi ora chiamate ‘i pirati’.
Oggi le marine militari di questi Paesi pirateschi sono qui a proteggerli. I nostri pescatori hanno paura ad uscire in mare perché spesso vengono fermati dagli incrociatori occidentali e arrestati solo perché sospettati di essere 'pirati'. Si tratta di una terribile ingiustizia, con la comunità internazionale che fa solo i propri interessi e ci ignora. I nostri 'pirati' di oggi sono ex lavoratori alla disperazione, null’altro.
E poi c’è nel sottofondo il problema della discarica di sostanze industriali tossiche dai Paesi ricchi nelle nostre acque, che è iniziato negli anni ’70 ed è continuato sempre, in risposta soprattutto alla nascita in Occidente di leggi ambientali molto più severe di prima. E così i vostri governi hanno pensato di scaricarle in nazioni povere o in guerra, che non potevano reagire, o i cui governi potevano essere corrotti. Al Jazeera lo ha documentato, ma anche la CNN credo. E’ stato detto e più volte scritto che la Mafia italiana è pesantemente coinvolta qui in Somalia nella discarica di sostanze proibite (Ilaria Alpi, ricordiamoci, P.B.).
Proprio ieri (13/04) una nave è stata catturata nel golfo di Aden dai pescatori, non dai ‘pirati’, ma dai pescatori, che sospettavano che stesse per scaricare sostanze tossiche. La nave ha immediatamente gettato a mare due enormi container quando hanno visto i pescatori, ma per fortuna essi non sono affondati e sono stati trascinati a riva. La comunità locale ha invitato i vostri governi a venire a ispezionare quei container, ma per ora non c’è stata risposta.
La Banca Mondiale alcuni anni fa fece trapelare un memorandum confidenziale dove Larry Summers, che allora era il suo capo economista (oggi consiliere economico di Obama, P.B.), diceva “Penso che la logica economica dietro alla discarica di sostanze tossiche nelle nazioni più povere sia impeccabile e dovremmo affrontare questo fatto. Ho sempre pensato che i Paesi sotto-popolati in Africa siano molto sotto inquinati”. Poi ritrattò e disse che era sarcasmo.”
Contro i pirati del Corno d’Africa è guerra totale
di Antonio Mazzeo - Peacereporter - 17 Aprile 2009
Una nuova ondata di sequestri di navi e petroliere, circa 300 marinai nelle mani dei sequestratori, gli inseguimenti da parte di una cinquantina di imbarcazioni militari provenienti da Europa, Asia, Africa e Nord America, gli arresti e le deportazioni a paesi terzi, le prime 5 vittime, quattro “pirati” ed un ostaggio, dopo la controffensive delle unità da guerra francesi e statunitensi. Ha subito una drammatica escalation la campagna internazionale contro la “pirateria” che imperversa nelle acque del Golfo di Aden.
L’evento più emblematico, seguito in diretta da centinaia di milioni di telespettatori, è avvenuto la domenica di Pasqua, quando i tiratori scelti del corpo d’élite dei Navy Seals della marina statunitense, imbarcati sulla fregata lanciamissili “Bainbridge”, hanno ucciso tre pirati che navigavano a bordo di una scialuppa a largo delle coste somale. Nell’imbarcazione era tenuto prigioniero il capitano Richard Philipps, sequestrato dopo il fallito arrembaggio alla nave cargo Maersk-Alabama. Un quarto sequestratore è stato fatto prigioniero dai marines e condotto sull’unità navale USNS Lewis and Clark, trasformata in vero e proprio carcere galleggiante per la detenzione “provvisoria” delle persone accusate di pirateria.
I militari USA decideranno nei prossimi giorni se deportare il prigioniero in Kenya, paese con cui è stato sottoscritto un accordo che ricorda le extraordinary renditions post 11 settembre, o se processarlo invece direttamente negli Stati Uniti. Finiranno sicuramente in un carcere keniano gli undici presunti “pirati” catturati nei giorni scorsi da una unità militare francese. Dopo uno scambio di missive avviato lo scorso novembre e tenuto rigorosamente segreto, la Commissione dell’Unione europea si è accordata con le autorità di Nairobi per trasferire in Kenya tutte le “persone sospettate di aver commesso atti di pirateria in alto mare e fermate dalla forza navale EUNAVFOR”.
Bontà loro, UE e partner africano “confermano che tratteranno le persone catturate in modo umano ed in conformità agli obblighi internazionali in materia di diritti umani, incluso il divieto della tortura o di qualsiasi altro trattamento o pena crudele, disumana o degradante e il divieto della detenzione arbitraria ed in conformità al requisito del diritto a un processo equo”. Completo silenzio su chi vigilerà sul rispetto del comune impegno umanitario.
Un atto “dovuto” quello del sanguinoso blitz dei Navy Seals, non fosse altro che la persona in mano ai pirati era al comando di una delle maggiori imbarcazioni da trasporto della compagnia di navigazione statunitense Maersk Line Limited, una delle più strenue sostenitrici di Africom, il nuovo comando istituito dalle forze armate USA per le operazioni di guerra nel continente africano. Il 27 novembre 2007, la società privata aveva organizzato un convegno dal titolo “Africom: anticipare le richieste logistiche”, invitando come relatore Dan Pike, direttore del team per gli affari africani del Dipartimento della Difesa USA.
La liberazione di Richard Philipps è stata pure l’occasione perché il Pentagono portasse a termine la trattativa con la rete televisiva “Spike TV”, e aggiudicare l’esclusiva delle operazioni della marina statunitense nel golfo di Aden contro i pirati. Sarà così realizzato un vero e proprio reality show che si chiamerà “Pirate Hunters: USN” (“i caccia-pirati: la US Navy ”) e che sarà seguito da due troupe che opereranno a bordo della nave anfibia “San Antonio” e della portaelicotteri lanciamissili “USS Boxer”, nave ammiraglia della Combined Task Force 151 che presidia le acque del Corno d’Africa.
Con l’acutizzarsi della crociata anti-pirateria, l’ammiraglio Mike Mullen che guida la flotta USA anti-pirati, ha preannunciato che le forze armate rivedranno “globalmente e profondamente” le loro strategie operative. In discussione l’ipotesi di estendere le azioni armate direttamente in territorio somalo, forti dell’autorizzazione deliberata recentemente dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Gli esperti del Pentagono e della NATO suggeriscono poi l’uso di forze aeronavali “miste”, composte da portaelicotteri, fregate, unità più piccole e veloci per l’inseguimento delle imbarcazioni dei pirati, più un ampio dispositivo di forze aree, elicotteri e velivoli senza pilota. Verrebbe auspicato inoltre l’intervento diretto dei contractor privati nella prevenzione degli assalti e l’ampliamento delle “difese passive e attive” delle navi cargo e delle petroliere, grazie all’installazione di “armi non letali” come cannoni ad acqua, fili elettrici e apparecchiature laser ed acustiche che generano rumori dolorosi a lungo raggio.
Nel frattempo si rafforzerà ulteriormente il dispositivo navale di fronte le coste della Somalia: nei primi giorni di maggio, anche Svezia, Olanda e Norvegia invieranno fregate e navi-cisterna nell’area di guerra.
Ovviamente l’Italia fa la sua parte. Dallo scorso 6 aprile le acque del Corno d’Africa sono perlustrate dalla fregata “Maestrale” con un equipaggio di 220 marinai, più gli incursori-subacquei del Comsubin e due elicotteri lanciamissili AB 212. Nei piani originari del Ministero della Difesa la “Maestrale” avrebbe dovuto operare congiuntamente alla flotta navale dell’Unione europea “Atalanta”, sotto il comando dell’ammiraglio Philip Jones dell’EU Operational Headquarters di Northwood (Gran Bretagna).
Dopo il sequestro del rimorchiatore italiano Buccaneer con 16 membri di equipaggio, è stato però deciso che la fregata resterà sotto il controllo dell’autorità politica nazionale, mantenendo così massima autonomia d’azione nel caso in cui si decida un blitz per liberare gli ostaggi. Pare che il comando militare della flotta europea avesse manifestato l’intenzione di spostare l’unità italiana verso est, nel tentativo di sventare nuovi azioni di pirateria all’imbocco del golfo di Aden, allontanandola dal porto di Lasqorei, nella regione autonoma del Puntland, dove la Buccaneer è stata ormeggiata.
Il 15 aprile alla Farnesina si sarebbe tenuta un summit di pianificazione tra i responsabili agli Esteri e alla Difesa ed alti ufficiali del Comando operativo interforze, del Comando in capo della squadra navale della Marina Militare e del Comando congiunto delle Forze speciali. Il ministro Frattini getta però acqua sul fuoco e assicura che il governo ha scelto la via “pacifica” della trattativa per il rilascio dei sequestrati. “Non giudichiamo le operazioni degli altri, ma in questi casi la via italiana é quella di assicurare sempre e comunque che non vi sia pericolo per gli ostaggi”, ha dichiarato il ministro. E circolano già le prime voci sull’ammontare del riscatto che verrebbe pagato per rendere inutile l’azione militare.
Nel corso di un’intervista rilasciata all’emittente britannica BBC, Yusuf Bari Bari, ambasciatore della Somalia a Ginevra, ha dichiarato che nel Puntland è forte la “psicosi a proposito del carico delle chiatte rimorchiate dal Buccaneer, in quanto gli abitanti temono che esse portino rifiuti tossici”. Ipotesi fermamente smentita da Silvio Bartolotti, il manager della ditta di “Micoperi” di Ravenna, proprietaria del rimorchiatore sequestrato dai pirati.