mercoledì 1 aprile 2009

Israele: un governo senza le solite sponde?

Ieri, a quasi 2 mesi dalle elezioni, c'è stato il via libera della Knesset all'elefantiaco governo (ben 30 ministri) di Benjamin Netanyahu che ha ottenuto la fiducia con 69 voti a favore, 45 contrari e 5 astensioni. Nel suo discorso d'investitura Netanyahu si è detto pronto a negoziare la pace con i palestinesi, senza però fare riferimenti a uno Stato palestinese indipendente.

Netanyahu ha poi attaccato l'Iran e "l'Islam estremista", accusandolo di minacciare l'esistenza dello Stato ebraico "Il più grande pericolo per l'umanità e il nostro stato di Israele deriva dalla possibilità che un regime radicale si armi della bomba atomica". Un vero linguaggio nuovo...

Netanyahu guida un governo di destra che però ha il sostegno anche del Labour di Barak e presenta come nuovo ministro degli Esteri l'ultranazionalista Avigdor Lieberman, leader del partito di ultradestra Yisrael Beitenu. Tratteggiando un accordo definitivo di pace secondo cui i palestinesi gestirebbero i propri affari, Netanyahu non ha comunque menzionato l'istituzione di uno stato palestinese, che è invece la richiesta-chiave del presidente Mahmoud Abbas, con l'appoggio degli USA. Il patto di coalizione che impegna i vari partiti contiene comunque un impegno a rispettare gli accordi internazionali di Israele, che includono anche quello di Annapolis per la nascita di uno Stato palestinese.

Ma oggi il neo-ministro degli Esteri Lieberman ha subito tenuto fede alla sua fama dichiarando nel corso della cerimonia del passaggio di consegne al ministero degli Esteri, dove prende il posto della leader di Kadima Tzipi Livni, che Israele non si ritiene vincolata all'accordo siglato ad Annapolis con i palestinesi "Il governo di Israele non ha mai ratificato Annapolis, né lo ha fatto il Parlamento".

Non c'è che dire, l'esordio è promettente... ma forse per la prima volta le solite isteriche urla israeliane cadranno nel vuoto.


La rivincita di Bibi

di Naoki Tomasini - Peacereporter - 1 Aprile 2009

Con 69 voti su 120 la Knesset ha concesso nella tarda serata di ieri la fiducia al governo del premier conservatore Benjamin Netanyahu. Contro il nuovo esecutivo hanno votato 45 deputati, mentre cinque si sono astenuti. 'Bibi', questo il soprannome del Primo ministro israeliano, torna alla guida dello Stato ebraico dopo dieci anni (il suo primo mandato durò dal 1996 al 1999), succedendo a Ehud Olmert.

Il partito di Netanyhau, il Likud, era uscito secondo alle elezioni del 10 febbraio scorso, superato per un seggio dai centristi di Kadima. Ma l'incapacita' di Tzipi Livni a coagulare un numero sufficiente di voti per ottenere la fiducia della Knesset ha spinto il presidente Shimon Peres ad affidare l'incarico a Netanyahu. Quest'ultimo ha formato un coalizione variegata e con forze apparentemente inconciliabili. Del governo fanno parte oltre al Likud la destra - quella laica di Yisrael Beiteinu di Avigdor Liebermann, ministro degli Esteri, e quella religiosa sefardita dello Shas - e i laburisti di Ehud Barak, che è stato confermato alla Difesa.

Le profezie si sono avverate con rigorosa puntualità: già negli anni del "regno" di Ariel Sharon, molti avrebbero scommesso su un ritorno di Benjamin Netayahu al premierato. A dieci anni dalla sconfitta elettorale che gli costò la poltrona di primo ministro, Bibi si è preso la sua rivincita. Per l'ex ambasciatore all'Onu, ora 59enne, è la seconda rinascita politica. Netanyahu nel 1996 era diventato il più giovane primo ministro nella storia d'Israele con una piattaforma da falco. Il suo esecutivo, nato sull'ondata emotiva per l'assassinio di Yitzhak Rabin, aveva chiuso al dialogo con Yasser Arafat e aveva promosso l'espansione degli insediamenti ebraici. Nell'ultimo periodo la linea era stata ammorbidita con l'intesa di Wye River del 1998, che peraltro fu il preludio al definitivo accantonamento degli accordi di Oslo.

Nelle elezioni anticipate del 1999, convocate per spegnere i malumori interni al Likud per queste aperture, pagò proprio la svolta moderata. A seguito del ritiro dei militari israeliani dalla Striscia di Gaza, Netanyahu si dissociò dal suo premier, rassegnando le dimissioni nell'agosto del 2005. Quando lo stesso anno Sharon annunciò di voler abbandonare il Likud per fondare Kadima, Netanyahu prese le redini del blocco conservatore che subì una vera batosta dalle urne ottenendo appena 12 seggi. In questi anni la risalita nei consensi è stata trainata dall'infausta guerra del Libano, dagli scandali di corruzione e dai razzi lanciati da Gaza che hanno gettato molte ombre sull'integrità di Olmert e sulla capacita' di Kadima di garantire la sicurezza del Paese.

Nonostante il nuovo Primo ministro abbia promesso negoziati con i palestinesi, nel suo discorso di insediamento non è stata mai toccata la questione di uno stato autonomo e sovrano. La stampa israeliana si è schierata unanimemente contro la variegata composizione del governo, criticandone soprattutto le dimensioni. Con 30 ministri e 7 vice ministri è non solo il più grande nella storia dello stato ebraico, ma è anche, secondo Yedioth Ahronoth, il più grande al mondo.

Il quotidiano Haaretz ha aperto la prima pagina con i risultati di un sondaggio, dal quale risulta che il 54 percento degli israeliani è scontento del formato del nuovo esecutivo. Nel commento il giornale afferma che "l'insuccesso del nuovo governo è assicurato già a priori". Solo il 27 percento degli intervistati inclusi in un campione rappresentativo della popolazione israeliana, ha detto di ritenere che il neo ministro degli esteri Avigdor Lieberman, che ha fama di falco, abbia le qualità necessarie per svolgere il suo compito.


Il "governone" nasce stanco

di Lorenzo Cremonesi - Il Corriere della Sera - 31 Marzo 2009

Un “governone” forte nei numeri, ma stanco, privo di vere iniziative, ripiegato su se stesso. E una coalizione che sarà inevitabilmente di transizione, destinata a gestire in modo mediocre una congiuntura politica grigia, dove non ci saranno forti slanci al dialogo con i palestinesi soprattutto perché non ci sono le condizioni reali per un negoziato di sostanza.

E’ questo il giudizio di due importanti commentatori e intellettuali israeliani al momento della formazione del nuovo governo di Benjamin Netanyahu. Amnon Dankner, ex direttore del quotidiano “Ma’ariv”, scrittore, ultimamente romanziere di successo, e Asher Arian, politologo alle università di Haifa e Gerusalemme, autore sin dalla fine degli anni Settanta di una fortunata serie di libri-analisi di tutte le tornate elettorali israeliane, sostanzialmente sono d’accordo. “Queste elezioni sono state vuote, non hanno visto un vero dibattito, propongono personaggi quasi tutti vecchi. Inevitabilmente il governo che ne è il prodotto sarà vuoto, povero”, sostengono all’unisono con parole molto simili.

Il più iconoclasta è Dankner: “Spesso i media locali, e soprattutto quelli internazionali, si sono dilungati a descrivere la battaglia politica come se fossimo negli anni Ottante e Novanta, come se la discriminante centrale tra destra e sinistra fosse il futuro del processo di pace con i palestinesi. Ma è stata tutta una finzione. Poiché in verità gli israeliani sanno bene che in questo momento qualsiasi eventualità di accordo con i palestinesi è lontano anni luce. Siamo ben distanti dal tempo degli accordi di Oslo del 1993. Oggi non si può fare la pace anche perché i palestinesi sono divisi tra di loro. Trionfa lo scontro Hamas-Olp. Nessuno in Israele crede davvero nell’avvio di un qualsiasi dialogo di sostanza con Abu Mazen. La situazione in questo campo è totalmente bloccata”.

E le conclusioni sono ancora più grame: “In questo periodo del nulla non ti puoi attendere nulla”. Aggiunge Arian: “Titolerò il mio prossimo libro-analisi sul voto del 2009 sul fatto che non c’è stato un vero dibattito sulle grandi questioni di principio che dal 1967 dividono destra e sinistra sul futuro dei territori occupati. Mi soffermerò invece su temi molto meno eccitanti, come la necessità di cambiare il nostro sistema elettorale e sul relativo rafforzamento delle destre”. E c’è un elemento in più che a suo dire caratterizza l’Israele che si affaccia alla seconda decade del millennio compiendo il suo sessantesimo anno d’età. “Ci manca un Obama israeliano. Non abbiamo un vero leader. Ehud Barak, l’ultimo dei grandi generali, è al tramonto, incapace di tenere uniti i laburisti, pronto ai compromessi più bassi con Netanyahu pur di rimanere in sella e a spese dell’unità del partito”.

Pure ci saranno questioni importanti che ben presto Netanyahu sarà chiamato ad affrontare, prima tra tutte quella delle aperture di Barack Obama all’Iran, con la prospettiva addirittura di un atteggiamento americano più disponibile nei confronti di Hamas ed Hezbollah. “Ecco perché Netanyahu avrebbe voluto avere Tzipi Livni al suo fianco, una figura che senz’altro l’avrebbe aiutato nel dialogo con Hillary Clinton e lo stesso Obama”. Ma qui il fallimento è stato totale. La Livni assurge a nuovo leader dell’opposizione.

E Netanyahu vede addensarsi nubi nere su ormai circa quarant’anni di “rapporti speciali” con gli Stati Uniti. Potrebbe uscirne rilanciando il dialogo con la Siria. Ma sarà in grado di farlo? Rispondono Dankner e Arian: “Forse, per ora non se ne vedono le premesse. Questo governo potrebbe cercare di barcamenarsi, un po’ come fecero negli anni Ottanta Shimon Peres e Ytzhak Shamir nel periodo della paralisi dell’unità nazionale. Il problema è che allora proprio quella politica di piccolo cabotaggio da parte israeliana precedette la prima intifada palestinese. Se Netanyahu fosse spinto a scelte importanti dall’amministrazione Obama non sarebbero da escludere nuove elezioni anticipate”.


Il boicottaggio contro Israele funziona!

a cura di Alternative Information Center- 29 Marzo 2009

Dall'inizio del 2009 il 21% degli esportatori israeliani è stato direttamente colpito dal movimento di boicottaggio. Così riferisce oggi (29 Marzo) The Marker, un giornale economico in ebraico.

Questa cifra si basa su un sondaggio fatto tra 90 esportatori israeliani in campi quali l'high tech, i metalli, i materiali da costruzione, la chimica, il settore tessile e quello alimentare. Il sondaggio è stato condotto a Gennaio e Febbraio 2009 dall'Unione degli Industriali Israeliani.

La AIC sta lavorando per ricevere una copia del sondaggio e lo tradurrà e distribuirà le parti importanti di esso a servizio del movimento globale di boicottaggio.