domenica 19 aprile 2009

Le virtù italiote

Qui di seguito alcuni esempi di tipiche virtù italiote...

La classe dirigente fondata sulla sabbia

di Marcello Veneziani - Libero - 18 Aprile 2009


Dopo tre lustri di agonia, la politica italiana è deceduta. Al suo posto c’è Berlusconi, e quel che sopravvive della politica si divide pro e contro di lui, più sparsi sciacalli in attesa che si allontani per rubarne il patrimonio. La sabbia del deserto ha coperto le sue macerie come nei palazzi d’Abruzzo. Gli intellettuali hanno paura delle parole forti, preferiscono chiamarla “interminabile transizione”; ma anche questa è un’espressione spenta e ripetitiva, vecchia di cent’anni e forse più. Quando non si sa come descrivere il vuota della politica si ricorre alla parola transizione.


Pochi giorni fa Galli della loggia, prendendo lo spunto da un saggio di Aldo Schiavone, L’Italia contesa (edito da Laterza), ha celebrato messa sul Corriere della sera, in memoria della politica, sostenendo che essa non riesce a esprimere il nuovo perché non sa fare i conti col passato, né vera autocritica, va a forza d’inerzia; insomma è ancora schiava del passato. Anziché buttarlo sul cordoglio, lasciate che per una volta almeno io spenda una parola, non dico in difesa della politica, che è indifendibile, ma della sua esclusiva responsabilità di questo degrado. Non credo che un paese moderno sia guidato solo dalla classe politica, non siamo né uno stato socialista né un protettorato; credo invece che un paese normale abbia una classe dirigente formata da politici, magistrati, dirigenti pubblici e manager privati, poteri economici e poteri culturali, soprattutto nei media. Insieme formano la classe dirigente e concorrono a dare una linea, un’immagine e un contenuto all’Italia.

Bene, guardando agli altri soggetti citati, chiedo a Galli della Loggia e a Schiavone, firme accademiche delle due principali corazzate della stampa italiana: ma le altre caste dirigenti sono forse più avanti, esprimono il nuovo, selezionano nuove elite, emanano idee, progetti, programmi? No, signori. Io vedo un paese che si arrangia, a volte con punte di creatività e sforzi notevoli, a volte ricadendo indietro, nell’accidia e nello sconforto, più spesso nel malaffare. Ma non vedo una classe che lo guidi nei campi pubblici e privati. Dall’economia alla finanza, dalla cultura ai mass media. Il potere ha abdicato al ruolo di guida, domina ma non dirige, lucra ma non educa, non indica, non promuove. Non è onesto prendersela solo con i ritardi della politica o ridere su come si è ridotta la sinistra alla povertà franceschina .


La salute della finanza


Ditemi voi in che condizioni sono la Fiat e l’industria italiana, il Corriere della sera e Repubblica, la finanza e la magistratura, il giornalismo e la cultura. Vede in giro un’idea nuova e audace, una vivace competizione su programmi, criteri, un’efficace valorizzazione di talenti e novità? Ma no, circoli viziosi, cricche autoreferenziali, compagnie di giro che si passano il testimone, aiuti pubblici e pietà private. Buttarla sulla politica in ritardo è come prendersela con il sud assistito, parassita dell’economia e a carico pubblico nelle sue attività intellettuali. Poi vedi la realtà e noti che la maggiore opera assistenziale degli ultimi tempi è stato un ennesimo aiuto alla Fiat che è torinese, mica calabrese. E l’ultimo episodio di cultura parassitaria, sono stati milioni di euro buttati senza verifica per ingrassare il premio Grinzane Cavour, che è piemontese, mica napoletano. Se la politica è grigia, come dice giustamente Galli della Loggia, alla faccia come sono colorite la cultura e l’impresa, la magistratura e la dirigenza pubblica…E le ultime magagne in termini di edilizia o di scarcerazioni mafiose, non sono colpa dei politici ma degli uffici tecnici comunali, delle imprese private senza scrupoli, dei magistrati che mettono in libertà mafiosi a Bari per vizi di procedura.

O dei giornali che non fanno inchieste sul territorio, se non servono per colpire Berlusconi. Per restare sul terreno prescelto da Schiavone e galli della Loggia, le idee, domando loro: ma vedete traccia, per esempio nei giornali su cui scrivete, di qualche fervore di idee, polemiche intellettuali, diversità che si incrociano e dissentono? Sentite il nuovo affacciarsi, il coraggio delle sfide e il fermento dell’intelligenza? O è tutto un giro di compagnucci di parrocchietta che si scambiano salamelecchi o insulti a priori, senza scambia culturale, che praticano omertà di scuderia su ciò che non è reputato conforme e si agitano solo sui finanziamenti pubblici e sulle camorre intellettuali, come le contese innescate da Baricco e dai premi culturali?


Non c’è un progetto


La politica fa pena, lo scriviamo quasi ogni giorno; ma non è la sola. Qui manca una classe dirigente, ci sono solo caste dominanti. Mancano minoranze costituenti, eccellenze riconosciute e attive che possano suscitare passione civile e comunitaria, voglia di progetti e di memorie fino a contagiare la politica. Non credo all’autonomia della politica, tantomeno all’autocrazia o almeno all’autodeterminazione della politica. Se i campi affini non danno frutti, la politica deperisce insieme a loro; sono vasi comunicanti. Non usate pure voi la parola magica: è il berlusconismo che ha raso al suolo idee e imprese. No, il contrario: nel deserto non possono nascere fiori dalla terra arida, ma si possono piantare solo fiori di plastica. Non è un caso che Berlusconi fiorisca proprio sul collasso dei settori vitali del paese: lui è al crocevia preciso tra politica e magistratura, imprenditoria e comunicazione. Nel deserto dei tartari non vedo tenenti Drogo né fortezze Bastiani, ma solo sabbia: negli edifici pubblici e privati dell’Abruzzo ma anche nei palazzi pubblici e privati del potere. Sabbia, anche nelle teste di struzzo delle classi dirigenti.

Se tutti diventano terremotati

di Gian Antonio Stella - Il Corriere della Sera - 19 Aprile 2009

Chi spartisce gioisce, dice un vecchio adagio. Sarà... Ma certo non vale nel caso delle ricostruzioni dopo le catastrofi. Al contrario, la storia degli ultimi decenni dimostra che gli aquilani dovranno difen­dersi da un nemico più infido della peste: l'«occasionismo». Che con la scusa di «usare» il disastro come occasione per «una grande rinascita dell'area» potrebbe allargare a dismisura l'area terremotata e disperdere gli aiuti in migliaia di rivoli.Rivoli che, storicamente, hanno finito per premiare i furbi togliendo risorse ai ter­remotati veri. C’è chi dirà che è troppo presto per porre questo te­ma. Che questo maledetto sciame sismico non si è anco­ra placato. Che gli scienziati stanno registrando un conti­nuo spostamento degli epi­centri. Che non è ancora chia­ro cosa sarà della frattura del­la crosta terrestre che si è atti­vata ai piedi del Gran Sasso e dunque è impossibile defini­re oggi i confini della zona di­sastrata. Vero. Il passato, pe­rò, ammonisce che in questi casi occorre stare in guardia. Perché, sul fronte della co­siddetta «economia della ca­tastrofe», ne abbiamo viste di tutti i colori.

Due esempi? Li racconta Luciano Di Sopra, l'architetto che firmò la relazione sui danni del terremoto e il pia­no di ricostruzione in Friuli. «Primo caso: dopo la scia­gura del Vajont il governo concesse alle vittime dell'on­da che aveva spazzato via Longarone una serie di bene­fici tra cui l'esenzione plu­riennale dalle tasse e come fi­nì? Che la licenza d'una botte­ga di alimentari di Erto fu ce­duta, compresa la preziosa esenzione in allegato, a un grande supermercato di Li­gnano Sabbiadoro, a 120 chi­lometri di distanza, sul mare. Secondo caso: quale fu il co­mune che chiese il più alto ri­sarcimento danni in rappor­to agli abitanti per il terremo­to in Irpinia del 1980? C'è chi risponderà: Sant’Angelo dei Lombardi. No: Maratea. Che stava a più di centoquaranta chilometri dall'epicentro».

Di Sopra, dopo essersi oc­cupato di vari terremoti an­che all’estero, dall'Armenia a Città del Messico, si è fatto un'idea precisa: «Più gli inter­venti sono mirati, più alta è la probabilità di una ricostru­zione rapida, efficace, corret­ta. Più si allargano 'politica­mente' i confini dell'area in­teressata, più si rischia la di­spersione dei fondi, l'uso clientelare dei soldi, l'infiltra­zione di chi è interessato so­lo a speculare sulla sventura delle popolazioni.

Con danni gravissimi a chi è stato più colpito. Delineare correttamente l'area colpita è dunque la scelta fondamen­tale ». Le diverse vicende dei più luttuosi cataclismi degli ultimi decenni questo dico­no: la ricostruzione ha dato i risultati migliori là dove si sono concentrati gli sforzi. L'onda assassina del Vajont, il 9 ottobre 1963, devastò tre comuni: Longarone, Castella­vazzo ed Erto-Cassio. I morti furono 1.917, i senzatetto 9mila.

«I gera in leto drio dormir / no' s'à salvà gnanca un cus­sìn », canta Alberto D'Amico: erano a letto a dormire, non si salvò manco un cuscino. La politica fece una scelta: cogliere l'occasione per rilan­ciare la montagna bellunese minata da secoli di povertà ed emigrazione. Ampliando l’area interessata fino a 18 volte e riconoscendo danni a 42 comuni per un totale di 156mila abitanti. Senza mai rendere giustizia fino in fon­do, neanche in tribunale, co­me ricorda Marco Paolini, a chi aveva perso tutto. Cinque anni dopo, nel Beli­ce, la replica. I comuni deva­stati dal terremoto di 6,4 gra­di della scala Richter la notte del 15 gennaio 1968 sono 13, per un totale di 97mila abi­tanti. A Gibellina, Poggiorea­le, Salaparuta e Montevago i morti sono 370. Ma poco alla volta, in nome della solita «occasione» per «rilanciare» l'area, il perimetro viene al­largato di nove volte fino a interessare una buona parte della Sicilia occidentale per un totale di 850mila abitanti. Col risultato che trent’anni dopo, nella sola Santa Mar­gherita, ci saranno ancora 150 famiglie ospitate nelle baracche. Anche nel Friuli, piegato nel ’76 da un sisma che ucci­de 989 persone, devasta 94 comuni e demolisce 200 in­dustrie, rischia di passare la stessa scelta: perché non co­gliere l'occasione? I friulani dicono no. E Manzano, come raccontavamo giorni fa, arri­va al punto di deliberare in consiglio comunale la rinun­cia ad essere inserito tra i centri terremotati. Certo, la definizione dei confini dell' area colpita, a mano a mano che si verificano i danni pae­se per paese, anche qui si al­larga. Ma in dimensione più ridotta: da 94 a 137 comuni, da 256 a 570mila abitanti.

I risultati si vedranno: alla resa dei conti l'intera rico­struzione, sulla quale si inne­scherà il boom degli anni ’80 e ’90, costerà circa 10 miliar­di di euro. Poco più di quan­to verrà previsto, in questi giorni, per restituire la vita all'Aquila e all’Abruzzo. O di quanto sarà speso solo per il «piano Napoli» del 1980. Ed è infatti la gestione del­la ricostruzione in Campania dopo il terremoto del 23 no­vembre 1980 che più dovreb­be mettere in guardia, oggi, gli abruzzesi. Ricordate? Le due scosse di magnitudo 6,4 della scala Richter per una durata complessiva di un mi­nuto e venti secondi fanno 2.914 morti, circa 9mila feri­ti, 300mila senzatetto. Una catastrofe apocalitti­ca. Che sconvolge, secondo la prima stima, 36 comuni. Presto saliti a 280 e poi su su fino a 687. Per un’area tal­mente vasta, chiarirà un rap­porto di Legambiente, che non solo coinvolge massic­ciamente Napoli col progetto di fare «in diciotto mesi ven­timila alloggi» (ipotesi falli­mentare) ma «la punta più avanzata a nord diviene Tea­no, ai confini con il Lazio, la linea si chiude a sud con Sa­pri, sul golfo di Policastro, e a est con Ferrandina, nella piana che finisce sullo Jo­nio ».

Vista l’aria che tira il sinda­co di Grottolella, in provin­cia di Avellino, fa ricorso al Tar, «pur di vedere il suo pae­se incluso tra quelli che han­no subìto 'danni gravi'». Quello di Castellabate, sul mare del Cilento, spiega al «Mattino»: «Ci accusano di sciacallaggio sostenendo che non abbiamo avuti danni dal sisma. Facciamo conto che ciò sia vero, per comodità di discorso. Mi dica lei però chi ci avrebbe salvato dall'accu­sa di omissione di atti di uffi­cio per non aver fatto ottene­re al paese quello che la leg­ge gli concede». E Ciriaco De Mita, il presi­dente del Consiglio, arriva ad ammettere in Parlamento che sì, «le pressioni politiche e sociali» hanno condotto a «successivi allargamenti dei Comuni beneficiari delle provvidenze» che non rispet­tavano «la verità naturale dei fatti». I risultati, come denunce­ranno la Commissione Parla­mentare d’inchiesta presie­duta da Scalfaro e il rapporto Ecomafia, saranno disastro­si. «Per ogni vecchia abitazio­ne distrutta dal sisma si rico­struiscono due, qualche vol­ta tre appartamenti». Centi­naia di sindaci e assessori fanno contemporaneamente i progetti e i collaudi inta­scando miliardi. Vengono «inventate» aree industriali assurde come a Isca Pantanel­le: due assunti su 287 previ­sti, al punto che ogni posto «è costato la cifra record di 14 miliardi e 753 milioni». In­filtrazioni camorriste. Omici­di. Regalie incredibili a tanti «furbi» arrivati dal Nord per costruire imprese fantasma.

Morale: dieci anni dopo, dicono i dati ufficiali, tantis­simi terremotati sono ancora nei container: «a Calabritto (Av) gli interventi finanziati ultimati sono poco più del 10% (148 su 1.126), a Lioni (Av) sono meno del 5%, a Morra de Sanctis solo il 3%. A Sanza sono ultimati solo 4 interventi su 465 finanziati, a S. Mango sul Calore il 13% dei 389 finanziati, a S. Ange­lo dei Lombardi il 5,6% dei 1568 interventi finanziati». Vanno ricordate, queste storie. Tutte. Soprattutto og­gi. Per dire: mai più. Mai più.


Furbettissimi d'Italia

di Gianni del Vecchio e Stefano Pitrelli - L'Espresso - 18 Aprile 2009

Un tempo c'era chi si limitava a falsificare il passi per invalidi, oggi c'è chi tarocca pure il posto auto riservato. Succede a Palermo, dove un uomo è stato denunciato per aver ritoccato con un adesivo il palo del parcheggio davanti al suo negozio, prenotandoselo fino al 2013. 'Vero' il cartello, 'vero' il suo permesso (che però apparteneva a una suora morta da quattro anni).
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È lui il furbetto 2.0, l'evoluzione della specie, capace di passare di volta in volta per povero o per disabile. Tanto i rischi son pochi, visto che nel nostro Paese le punizioni per chi certifica il falso sono virtualmente inesistenti. Se sei incensurato e hai lucrato poco, la pena alla fine non la sconti.

"Il malcostume è diffuso, ma il carcere non è la soluzione", commenta Giuseppe Cascini, segretario dell'Associazione nazionale magistrati: "Ci vorrebbero invece più controlli". Come quelli che la Guardia di finanza ha intensificato negli ultimi tempi: più 13 per cento, con oltre 4 mila denunciati l'anno.

Se gli anni Ottanta sono stati quelli dei finti ricchi, i Novanta delle finte bionde, il primo decennio del Duemila sarà ricordato per i finti poveri. Migliaia di italiani benestanti che per non rinunciare all'auto sportiva, o alla settimana bianca, non si fanno scrupolo a dichiararsi nullatenenti o quasi. Come l'imprenditore edile di Udine che, guadagnando appena 200 mila euro l'anno, ha pensato bene di regalarsi un altro stipendio a spese del Comune, e dello Stato.

Nel solo 2008 ha portato a casa più di 21 mila euro, fra bonus bebè, assegno di maternità, contributo per i figli minorenni e soprattutto 'reddito di cittadinanza'. Solo grazie a quest'ultimo il costruttore ha incamerato una paghetta da 1.625 euro al mese. Roba da principianti. Infatti c'è chi la truffa l'ha portata avanti per anni, gabbando tutti i controlli: dal 1999 al 2005 un artigiano di Rovereto ha indebitamente intascato 47 mila euro.

Scendendo verso Sud nulla cambia, e al banchetto della spesa pubblica il furbetto non rinuncia. Le fiamme gialle de L'Aquila hanno scoperto 40 capifamiglia che per accaparrarsi il sussidio sociale hanno dichiarato redditi al limite della sopravvivenza (e della credibilità).


Passando da Napoli, invece, salta fuori l'evergreen: la falsa pensione d'invalidità. Con vette inarrivabili. Il tribunale partenopeo ha appena condannato un'intera famiglia di 16 persone, tutte e 16 beneficiarie dell'accompagno. Peccato che padre e nonno 'ciechi' siano stati immortalati dai poliziotti alla guida della propria auto.

Un capolavoro in terra di capolavori. Sempre secondo i dati dei finanzieri solo in Campania il numero dei denunciati ha avuto un picco del 26 per cento, in controtendenza rispetto alla media nazionale. "Il problema", spiegano gli investigatori, "è l'idea di cavarsela con una ramanzina. Sanzioni più severe scoraggerebbero i furbacchioni. Anche perché non è gente che delinque per necessità, ma finisce per togliere diritti a chi invece è in difficoltà".

Ci si ingegna su tutto, salute compresa. Nel ricco Nord-Est la Procura trevigiana ha stilato una lunga lista nera di 157 fra imprenditori e professionisti che vivevano il ticket sanitario come un sopruso. Fra loro, una coppia da mezzo milione di euro l'anno, ossia una titolare di agenzia immobiliare e un commercialista, che per avere le analisi gratis si son finti straccioni.

O un 'disoccupato', che dichiarava di non avere soldi per curarsi, ma riusciva comunque a trovarne per collezionare armi antiche. O ancora un proprietario d'auto d'epoca che in un'occasione aveva millantato l'assegno sociale, in un'altra la pensione minima, un'altra ancora l'indennità di disoccupazione.

Storie simili, quelle scovate dai finanzieri baresi. Cambia il luogo, ma le maschere si somigliano: c'è l'imprenditore milionario, il dirigente Enel, l'avvocatessa, l'ingegnere e il commerciante. Più altri 715, tutti più o meno nullatenenti come loro.

Da Bari a Genova, cambiano solo i particolari: c'è la storia del commerciante, i cui due figli frequentano una scuola privata che di sole rette annuali gli costa più del reddito dichiarato. E quella del professionista che con un viaggio oltreoceano avrebbe bruciato più di metà del suo lordo annuale.

I bucanieri delle Asl non hanno risparmiato neanche La Spezia. Qui la Guardia di finanza ne ha denunciati 344, per lo più medici, farmacisti, commercianti, liberi professionisti e manager con un reddito sopra i 100 mila euro l'anno. Ma dove finiscono i pirati arrivano gli zombie.

In Sicilia hanno resuscitato un cimitero intero: oltre 2 mila pazienti morti da anni (alcuni da un ventennio) per 'curare' i quali 180 medici di famiglia continuavano a intascare compensi. Con un danno all'erario per oltre 600 mila euro. Di morti viventi è piena anche Napoli. Negli ultimi due anni, 40 dottori hanno prescritto ricette a gente deceduta da un bel pezzo.

Agli occhi dei più attrezzati persino la casa può diventare un gentile omaggio del Comune (con danno di chi un alloggio popolare lo aspetta da tempo). Dal 2002 a Prato una rom abitava col suo convivente in un appartamento offerto dai servizi sociali. Fin qui tutto bene, se non fosse per un particolare: in questi anni la donna, ufficialmente priva di ogni reddito, ha versato su due conti correnti la modica cifra di mezzo milione di euro.

Rivelandosi anche oculata investitrice: quando ha capito che la banca le avrebbe dato pochi interessi, ha acquistato 100 mila euro dei ben più fruttuosi Bot. Scoperta e sfrattata. Truffa simile per 23 abitanti di Abbiategrasso, che grazie a un ex funzionario compiacente si facevano elargire dal Comune un contributo per l'affitto. Senza averne titolo.

Per i furbetti di seconda generazione l'arte di arrangiarsi segna tutte le fasi della vita. E della famiglia. Si comincia dagli assegni di maternità e bonus bebè e si prosegue con i contributi per i libri scolastici. Tutto questo (e altro ancora) si è visto a Gorizia, dove, dopo mesi e mesi di indagini, prima di capodanno le Fiamme gialle hanno accertato ben 23 casi di cittadini particolarmente distratti nel compilare le loro 'richieste di agevolazione'. Perché dimentichi di un patrimonio che nell'insieme superava i 400 mila euro (fra immobili, portafogli azionari e depositi su conti corrente).

Piccoli furbetti crescono. E, un volta arrivati all'università, trovano il modo per risparmiare anche sulle tasse accademiche. Accade a Gorizia come a Palermo e nella provincia di Bari. Il mese scorso nel città siciliana gli universitari denunciati per truffa sono stati 12, almeno una ventina nel capoluogo barese.

Anche qui, sconti sulle tasse universitarie, borse di studio, posti letto. Neanche a dirlo, la prole del 'nullatenente' si è poi scoperto essere spesso figlia di professionista o commerciante. Con tanto di autocertificazioni sul reddito false, ma a volte anche 'vere' (in questo caso i genitori sono risultati evasori).

Vien da chiedersi chi li difenderà in tribunale. Non per altro: un imprenditore edile di Casarza Ligure per lesinare sulle noiose spese legali (insomma, per aver l'avvocato gratis) si era dichiarato pure lui nullatenente. Così ha ricevuto una visitina della Finanza, che gli ha fatto pelo e contropelo e ha scoperto che il teoricamente squattrinato aveva eseguito ristrutturazioni a Sestri Levante (va da sé, né fatturate né dichiarate) per quasi 200 mila euro.

Una storia simile a gennaio la raccontano i finanzieri triestini, quella di 12 falsi poveri la maggior parte dei quali non voleva saperne di pagarsi il difensore. A proposito di avvocati, ce n'era uno a La Spezia che fungeva da rappresentante legale per un'onlus-truffa, fra le tante che rovinano il buon nome del Terzo settore in Italia. E pur non avendo mai dichiarato alcun tipo di reddito, il legale continuava beatamente a coltivare una sana passione per le quattro ruote

Già, auto di lusso e furbetti sembrano andare volentieri a braccetto. Un vigile di Piove di Sacco, nel padovano, pochi giorni fa ha trovato un finto tagliandino del parcometro sul cruscotto di un grosso Suv. Proprietario un commercialista, che si era dato da fare con scanner e photoshop per risparmiare quei pochi centesimi. A quanto pare il parcheggio gratuito è un 'gadget' assai ambito.

Qualcuno si arrangia mantenendo in vita i morti. Come la signora scoperta di recente dalla Polizia municipale di Firenze, che continuava a esporre il contrassegno della madre deceduta. E come in molti hanno fatto a Roma, tanto che lo scorso anno il Comune ha stimato che un permesso su cinque fosse irregolare. Ma alcuni vanno oltre: di qui il fiorire di finti passi per invalidi in giro per l'Italia. Dal Nord al Centro al Sud.

Tanto che a Palermo si sospetta l'esistenza di un vero e proprio mercato nero. A Lecce sono decine quelli sequestrati in seguito a un'indagine della Polizia. E a Parma per arginare il problema, dall'inverno scorso sono stati costretti a ricorrere a una soluzione tecnologica. Un sofisticatissimo permesso plastificato con superfici rifrangenti e chip. Roba da Ris.

"Di finti passi per invalidi a Milano ci tocca controllarne circa 200 l'anno", racconta Antonello Di Mauro, responsabile del laboratorio falsi documentali per la polizia locale. "Il fenomeno riguarda spesso chi ha un disabile in famiglia, e magari ha tre macchine. Così con le fotocopie ce le fan girare tutte. A volte l'handicap è temporaneo, ma il passi resta. Difficile è provare il reato in tribunale.

Ti dicono: "Ho fatto la fotocopia per non farmelo rubare". E per avere la certezza della pena il furbetto dovrebbe avere l'Oscar della iella: bisognerebbe fermare la vettura col passi taroccato da una parte e quella con l'originale da un'altra. Contemporaneamente". Se il gioco è tanto facile, chi è che ci sguazza? "Si tratta perlopiù di persone agiate. Quelli che tre macchine possono permettersele". Un altro tassello nel profilo dell'italico furbetto.