mercoledì 1 aprile 2009

G20, fallimento in vista

Tutto è pronto per il G20 a Londra di domani, ma già emergono le prime divergenze al cosiddetto "vertice anticrisi".

Gli Stati Uniti si aspettano che il G20 si concluda con un "ampio accordo" sulle misure che devono essere prese per combattere la crisi finanziaria. Ma il presidente francese Sarkozy ha già dichiarato che le attuali proposte non soddisfano Francia e Germania.

La Francia ha infatti chiesto regole più severe per la regolamentazione della finanza globale e, in particolare, contro i paradisi fiscali. "Non darò il mio assenso a un meeting falso che porti a decisioni inutili e che non affronti veramente i problemi che abbiamo [...] Non possiamo permetterci mezze misure [...] Non mi assocerò a finti compromessi", ha detto Sarkozy, minacciando anche di abbandonare il vertice se non saranno adottate queste cosiddette "misure concrete".

Ma il presidente USA Obama ha subito minimizzato "Lasciatemi dire che sono fiducioso che il presidente Nicolas Sarkozy sarà con noi oggi e sarà seduto con noi stasera alla cena [...] Ci troviamo di fronte alla crisi finanziaria peggiore dalla seconda guerra mondiale, le nostre economie sono interconnesse e dobbiamo trovare una soluzione insieme".

Però il vero problema che si finge di non cogliere è che tutte le misure messe in capo finora per contrastare questa crisi si riveleranno fallimentari, terribilmente onerose per i contribuenti e le generazioni future, ma estremamente vantaggiose per i responsabili del disastro in corso.

Si sta quindi solo prendendo tempo grattando il fondo di un barile sfondato, il che non farà altro che aggravare ulteriormente la condizione di un sistema economico già in coma irreversibile.



Gli investitori globali considerano le conseguenze del crollo del dollaro
di Alex Lantier - World Socialist Web Site - 26 Marzo 2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Marco Orrù

La borghesia mondiale sta cominciando a prendere atto delle conseguenze del grosso deficit derivante dalla creazione di nuovo denaro liquido e dalle grosse spese che l’ amministrazione Obama sta usando per finanziare il salvataggio di Wall Street e delle principali banche. Mentre questa politica sta facendo sorgere sempre piú domande riguardo il valore del dollaro americano, gli osservatori stanno valutando l’ opportunitá e le conseguenze di un minore peso della valuta americana nel quadro internazionale.

Il presidente Obama, durante la conferenza stampa del 24 marzo, ha commentato per la prima volta la proposta della Cina di istituire una valuta internazionale controllata dal Fondo Monetario Internazionale. ‘’Per quanto riguarda la fiducia nell’ economia degli Stati Uniti e il dollaro’’, ha detto Obama, ‘’vorrei puntualizzare che il dollaro é particolarmente forte in questo momento; e questo perché gli investitori considerano l’ economia statunitense la piú forte nel mondo, col sistema politico piú stabile. Non c’è bisogno di ulteriori parole per prendere atto di questo’’, ha aggiunto Obama.

Interrogato ancora sulla moneta globale Obama ha detto soltanto:’’non credo ci sia bisogno di una simile valuta’’.

Meno di 24 ore dopo, le parole di Obama venivano criticate dal suo segretario del tesoro, Timothy Geithner. In una riunione del CFR [Council of Foreign Relations, ndt] tenutasi ieri mattina, Geithner ha lodato Zhou Xiaochuan della banca centrale cinese per la sua saggezza ed ha descritto l’ introduzione di una valuta internazionale basata sui cosiddetti Diritti Speciali di Prelievo (DSP) del Fondo Monetario Internazionale una proposta ‘’degna di considerazione’’.

Come è stato riportato da un’ agenzia di stampa, il mediatore del CFR Roger Altman ha riferito a Geithner che sarebbe auspicabile affrontare la questione, ed ha chiesto allo stesso segretario del tesoro se prevede una variazione riguardo la centralitá del dollaro. ‘’Non ne ho idea’’, ha risposto Geithner, facendo diverse promesse tra cui: “faremo tutto il necessario per dire che stiamo dando credibilitá ai nostri mercati finanziari’’.

Mentre il dollaro cominciava a crollare nei mercati valutari, Geithner veniva invitato a dare una intervista pomeridiana sul canale televisivo di informazione finanziaria CNBC. Riguardo il pericolo che gli investitori esteri potrebbero non acquistare dollari, Geithner ha dichiarato il supporto ad una politica del ‘dollaro forte’ ed ha negato una mancanza di fiducia nella moneta americana. Inoltre ha annunciato un forte impegno per una ‘politica fiscale responsabile’ che veda il deficit nel budget degli USA diminuire rapidamente.

In realtá la coniazione e il prestito di trilioni di dollari a beneficio di Wall Street e delle maggiori banche statunitensi ha fatto calare la fiducia nel dollaro: la moneta piú usata negli scambi internazionali. Le affermazioni del governo americano riguardo il valore del dollaro sono pure menzogne: la moneta statunitense non era mai stata cosi debole rispetto alle altre principali valute. Mentre lo yen è a 97.71, il dollaro è di molto sotto i cento punti yen. Mentre 6 anni fa 1 dollaro valeva 0.93861 euro, oggi é valutato 0.7387 euro.

L’ impegno di Geithner per una ‘’politica fiscale responsabile’’, in una situazione in cui centinaia di milioni di dollari vengono profusi alle banche, puó soltanto significare un taglio massiccio a politiche sociali come assistenza sanitaria e previdenza sociale. Questo è il significato dei ripetuti riferimenti di Obama ai tagli nei costi per l’ assistenza sanitaria durante la conferenza stampa del 24 marzo.

Ancora piú sorprendentemente, il governo Obama ha evitato ogni dichiarazione riguardo la neccessitá e l’ efficacia di nuovi sistemi di valuta, e in particolar modo riguardo la sempre crescente tensione tra USA e Cina. Le riserve monetarie della Cina sono valutate 2 trilioni di dollari, i due terzi dei quali consistono in dollari americani; questo fa della Cina il maggior possessore estero di valuta in dollari. Tali fondi vengono investiti in buoni del tesoro USA e negli istituti di credito ipotecario Fannie Mae e Freddie Mac, finanziati dallo stato.

‘’Abbiamo prestato grosse somme di denaro agli Stai Uniti, è chiaro che siamo preoccupati per la sicurezza delle nostre attivitá’’, aveva ammonito il premier cinese Wen Jiabao due settimane fa. La Federal Reserve, la banca centrale statunitense, annunciava il 18 marzo che avrebbe dato in prestito 300 mila miliardi di dollari al governo USA e 850 mila miliardi ai titolari di ipoteche, coniando cosi 1.15 trilioni di dollari. Ció fa parte del piano di salvataggio del sistema finanziario da parte del governo americano dello scorso anno, piano che comprende già 700 miliardi di dollari. Il governo aveva anche annunciato il 23 marzo il massiccio finanziamento agli investimenti privati per incoraggiare questi ultimi a pagare parte di 1 trilione di dollari per beni ipotecari fallimentari.

Questa strategia tende alla svalutazione del dollaro sui mercati internazionali, ed in particolare delle attivitá in dollari della Cina, attraverso un enorme gettito di dollari americani nei mercati internazionali stessi. Il 23 marzo Zhou ha proposto di porre fine al ruolo del dollaro come valuta della riserva globale.

La Cina non è comunque l’ unica nazione ad essere preoccupata. Il primo ministro Ceco Mierk Topolanek, il cui governo rappresenta l’ Europa in questo momento, ha seccamente definito la politica degli Stati Uniti ‘’la via per l’ inferno’’. Washington prevede 1.75 trilioni di dollari di deficit per il 2009, e 1.17 trilioni nel 2010. Topolanek ha fatto notare che il debito pubblico del governo statunitense sottrae cosi tanto ai fondi mondiali disponibili che gli altri mutuatari, come ad esempio i governi europei, non risultano in grado di raccogliere fondi sui mercati dei capitali a livello mondiale.

Le societá finanziarie si trovano ad essere a corto di dollari necessari per pagare le transazioni internazionali, in quanto la moneta americana serve per coprire le perdite derivanti dalle ipoteche e dalla crisi economica. In un programma annunciato l’11 di marzo, la banca centrale cinese ha proposto di aggirare il corto di dollari in Asia creando un sistema per i pagamenti negli scambi internazionali ad Hong Kong basato sullo yuan.

Parte della borghesia mondiale sta valutando le conseguenze del crollo dell’ attuale sistema del dollaro americano, cercando di valutare i vantaggi derivanti dalla crisi.

Nell’editoriale del 24 marzo ‘’Il piano della Cina per porre fine all’ era del dollaro’’, il Financial Times scrive che il piano di Zhou ‘’renderebbe piú difficile il finanziamento dei propri debiti da parte degli USA, ma l’ America non puó pretendere di vincolare gli altri stati alla propria propensione a generare domanda’’.

In altri termini, andando avanti in questa direzione in cui gli USA coniano dollari per finanziare le spese, si crea il rischio di richieste affinché il denaro venga anche utilizzato per sostenere i lavoratori. Questo sarebbe inaccettabile per le borghesie americane e mondiali.

Come la rivista economica americana Barron’s spiega in un recente articolo: “l’ America puo’ effettivamente coniare dollari anche a favore del resto del mondo; ma immaginiamo che ognuno possieda una macchina stampa-soldi nel proprio scantinato: si spenderebbe come dei pazzi…. : ora provate ad estendere questo discorso a livello globale. Dal momento che il resto del mondo accetta la nostra moneta cartacea, noi in cambio saremmo costretti ad acquistare i loro prodotti o i loro beni’’.

In questo modo gli USA hanno finanziato il deficit del mercato negli ultimi dieci anni: valanghe di contanti, create mentre la borghesia USA licenziava i lavoratori, tagliava i salari e deindustrializzava l’ economia, venivano mandate all’ estero. Questi dollari sono stati restituiti come finanziamento delle importazioni USA, e gli esportatori di petrolio o prodotti artigianali, come la Cina, il Giappone, il Venezuela e la Russia hanno accumulato insieme trilioni di dollari americani nelle loro riserve estere di moneta.

Secondo il settimanale Barron’s sarebbe necessario un controllo alle spese degli Stati Uniti in quanto ‘’per la prima volta dai primi anni settanta gli USA corrono il rischio di subire forti pressioni internazionali. I maggiori creditori degli Stati Uniti potrebbero imporre agli USA un regime finanziario che non prevedeva [nemmeno] il sistema aureo in vigore appunto fino al 1971.”

Proprio il fatto che Burron’s immagina uno scenario simile lascia intravedere il potere della tensione oggettiva che sta crescendo all’ interno del sistema capitalistico. La rivista prevede una situazione in cui i maggiori creditori USA come la Cina rifiutano di concedere prestiti al governo statunitense, costringendo cosi Washington a tagliare le spese. Tutto questo porterebbe ad una situazione sociale esplosiva, in quanto il governo USA ha affermato di non avere fondi per finanziare la spesa sociale, dopo che lo stesso governo ha giá concesso trilioni di dollari alle banche e ai piú ricchi.



Sotto una luna fluorescente
di Jim Kunstler - Clusterfuck Nation - 29 Marzo 2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Micaela Marri

Obama è diretto in Europa adesso dove cresce l’ostilità ufficiale per il metodo anglo-americano di gettare sabbia monetaria dentro le trappole per topi dei debiti “non performing”, delle imprese fallite, e delle obbligazioni levitate come bolle. Il nostro posato e affascinante presidente potrà sfuggire agli insulti personali da parte della pittoresca gente del vecchio mondo, ma la gran parte degli altri G20 in gioco guardano con poco entusiasmo ai giochi d’azzardo fatti dai depositari della valuta di riserva mondiale, compresi i salvataggi delle banche con “front end loaders” [1] , il rimaneggiamento di titoli senza valore come TARP e TARFS, i tentativi disperati di impedire la sana rivalutazione dei prezzi degli immobili, la cannibalizazzione dei fondi pubblici da parte della Federal Reserve, l’adesso notorio dirottamento di iniezioni pubbliche di “liquidità” da parte di terzi come la Goldman Sachs, e più in generale il percepito sacrificio del bene di tutti per mantenere la macchina da cappuccino della Lloyd Blankfein.

Quello che sta succedendo adesso è il modo della natura di dirci che il tenore di vita dell’America deve essere ridotto da un 20 a un 50 per cento. Può essere sotto forma di una depressione deflazionaria compressiva, comprese le bancarotte generali… o sotto forma di un’inflazione, in cui la valuta perde il suo valore. Ma c’è una considerazione basilare su questo punto: discesa e salita non sono simmetriche. Ossia non è solo una questione di arrestarci ad un tenore di vita dimezzato rispetto a quello per esempio, del 2006, perché in questo evento tutti i vari complessi sistemi a sostegno della vita quotidiana vanno in tilt prima che la società si possa ristabilizzare ad un livello di equilibrio teoricamente inferiore.

Con questo intendo dire che i nostri metodi di procurarci il cibo, di spostarci nel territorio, di utilizzare il capitale, di commerciare e produrre, di istruirci, di curarci e di gestire i servizi pubblici sono tutti destabilizzati e in varia misura, non apportano il loro contribuito alla normale vita quotidiana. Il settore bancario (utilizzo del capitale) è già ferito mortalmente. Non resta che vedere come questo influirà sulla disponibilità degli alimenti sei mesi prima nel sistema del raccolto. Il capitale è un fattore altrettanto importante per il nostro metodo di coltivazione quanto il carburante diesel o i fertilizzanti derivati dal gas metano. Il fallimento delle banche si combinerà con l’insolvenza di città e stati per schiacciare il transito pubblico, l’applicazione della legge, la protezione antincendi, e qualunque fragile rete di sostegno locale esista per prevenire l’estinzione dei più poveri e degli indifesi.

L’abbassamento degli standard di vita del 20 per cento e fino al 50 per cento elimina essenzialmente tutto il commercio eccetto quello più critico, il che vuol dire che la gran parte dei negozi nei centri commerciali nonché quelli nei mini centri commerciali situati lungo le strade (“strip malls”) perdono clienti e licenziano i dipendenti, mentre i proprietari dei centri commerciali e dei mini centri commerciali perdono gli affitti, e le banche perdono i crediti vivi (in bonis) sugli immobili commerciali. Al contempo gli introiti tributari cadono in picchiata, le scuole non possono pagare i loro dipendenti né comprare il carburante diesel per le loro flotte di autobus gialli. Un maggior numero di persone perde l’abilità di avere un’assicurazione sanitaria. I reparti di pronto soccorso degli ospedali sono presi d’assalto. Il servizio sanitario scende ai livelli del terzo mondo. Contemporaneamente le pensioni vengono distrutte, gli anziani vanno avanti a cibo per cani e ketchup…

È a questo che ci dirigiamo. Potrebbe facilmente essere peggiore degli anni ’30, quando avevamo ancora molte imprese agricole familiari, petrolio in abbondanza, molte fabbriche con una buona gestione, e una popolazione di lavoratori altamente irreggimentalizzata e non avvezza al lusso, agli svaghi e ai diritti. Abbiamo appena incominciato a vedere le potenziali ripercussioni politiche del disordine economico che è ora iniziato. Credo che comincerà a rivelarsi in modo eclatante poco dopo il Memorial Day, quando l’attuale falso euforico raduno di Wall Street finirà nell’ennesima valle di lacrime e le gocce di disperazione pioveranno giù. Una parte cruciale dell’esito dipende da quello che succederà lì al ministero della giustizia del procuratore generale Eric Holder – che recentemente sembra essere separato dal governo federale. Il pubblico indispettito comincerà a chiedersi perché banchieri e assicuratori non sono stati ancora convocati dalla divisione criminale per dare qualche “spiegazione”. E mentre la primavera lascia il posto all’estate, anche gli attuali piani risolutivi del team di Obama avranno probabilmente perso credibilità. ‘Mr. O’ preparati a cercare un gioco nuovo.

Ho trascorso il fine settimana all’Aspen Institute Environmental Forum – una discussione recentemente dedicata parimenti al fiasco energetico e climatico. Si tratta di un esercizio peculiare, dato che i maggiori sponsor comprendono le società di petrolio e gas e dell’industria automobilistica. Il gruppo di emeriti esperti di sabato sul picco del petrolio, ad esempio, è stato fiacco in maniera scioccante, guidato dall’opposizione della società Shell, un’affascinante signora abilissima a soffiare fumo verde nel deretano del pubblico. Persino più scioccante è stato il consenso tra i presentatori e i partecipanti – compresi i pezzi grossi della scienza del clima e dell’energia e gli esperti statisti sull’ecologia – che il problema energetico si risolve semplicemente nel trovare altri mezzi per alimentare le nostre auto. La premessa che dobbiamo rimanere auto-dipendenti resta assolutamente radicata tra le persone che dovrebbero dimostrare più saggezza. Ovviamente le parole “transito pubblico” sono state a mala pena pronunciate. È deludente riscontrare una tale idiozia all’interno di questa peculiare elite.

Ma la partenza di domenica mi ha davvero fatto sprofondare nell’epicentro dell’idiozia americana – per l’appunto, l’industria aerea. Hanno fatto volare aerei dalla Contea di Pitkin nel Colorado per almeno cinquant’anni, ma sembra che scoprano di nuovo tutte le mattine che soffiano venti strani sulla valle. Dopo aver preso in giro assolutamente tutti nel terminal per un paio d’ore con inspiegati ritardi, il personale di terra della United Airlines ha annunciato che tutti i voli del giorno erano cancellati, provocando una corsa di rinoceroceronti attraverso i punti di controllo sicurezza verso le biglietterie per le riprenotazioni. Sono finito su un autobus per l’aeroporto di Denver – un viaggio di cinque ore, con code di venti miglia sulla I-70 dove per la stupidità del DOT [Department of Transport] del Colorado era stata chiusa una corsia in direzione est, nonostante fosse domenica e non ci fossero lavori in corso in quel punto.

Dopo tutti questi anni si potrebbe anche presupporre che lo stato del Colorado avesse potuto organizzare un servizio ferroviario da Denver fino alle località sciistiche del Colorado Rockies, considerata l’importanza che l’industria sciistica riveste per l’economia dello stato – e di quanto incredibilmente fragile sia il servizio aereo. Ma questo sarebbe troppo logico per una nazione determinata a diventare la Bulgaria dell’emisfero occidentale. Quindi, al contrario, si alzano tutte le sante mattine ad Aspen cercando di capire se l’aviazione civile funziona lì, e la metà delle volte non funziona.

Comunque l’Aspen Institute è stato molto generoso per aver organizzato il collegamento in autobus e per aver sistemato per la notte tutti noi viaggiatori rimasti a piedi negli hotel dell’aeroporto. Il mio era una sorta di operazione di Rummy chiamato Staybridge Inn dove il vantato collegamento wireless nelle camere non funzionava nella mia camera, quindi vi scrivo in una desolata stanzetta vicina alla hall dove i bambini schiamazzano dopo le loro overdosi di maxi fritture e formaggio fuso consumate nell’unico ristorante (il Ruby Tuesdays) lungo uno smisurato boulevard di catene di motel. Posso facilmente prefigurarmi che tutta la sventurata strada andrà in rovina entro un quinquennio con la fine dell’industria aerea. Una nota finale: l’ascensore dell’hotel dichiara con orgoglio di essere un prodotto tedesco della società ThyssenKrupps. L’America zoppica a tal punto da non poter più produrre neanche i propri ascensori.
Mi scuso per il blog un po’ trasandato di questa settimana. Le mie tendenze all’insonnia sono aggravate dall’altitudine e mi si incrociano gli occhi dal sonno….

[1] ‘front end loader’, ovvero un caricatore frontale (per caricare immondizia). C’è forse un riferimento al caso dell’ex sindaco di Vaughan Linda Jackson, che disse di aver bisogno di un caricatore frontale per ripulire la città dall’immondizia nel 2006 e fu poi costretta a dimettersi nel 2008, essendo stata ironicamente definita dai critici come unico ‘carico’ rimasto sul front end loader stesso. (vedi www.yorkregion.com/article/85973 )



Stiglitz: il Piano Geithner rapinerà i contribuenti
a cura della Reuters - 24 Marzo 2009
Tradotto per www.comedonchisciotte.org da Alcenero

L'economista premio Nobel Joseph Stiglitz martedì ha dichiarato che il piano del governo USA per ripulire le banche dai beni tossici rapinerà i contribuenti americani, esponendoli ad un eccessivo rischio, ed è improbabile che funzioni mentre l'economia rimane debole.

"Il piano Geithner è terribilmente difettoso”, ha detto Stiglitz ad un'intervista della Reuters durante la Credit Suisse Asian Investment Conference a Hong Kong.

Il piano del Segretario al Tesoro USA Timothy Geithner, che è stato rivelato lunedì, per cancellare mille miliardi di dollari di cattivi debiti dai bilanci delle banche ha offerto “incentivi perversi”, ha detto Stiglitz.

“In pratica il governo USA sta usando il denaro dei contribuenti per offrire garanzie sui rischi collaterali sul valore di questi beni mentre gira gli attivi, cioè i potenziali profitti, agli investitori privati”, ha detto.

“Piuttosto francamente ciò equivale a rapinare il popolo americano. Non penso che funzionerà perchè credo vi sarà grande rabbia per aver messo così tanto le perdite sulle spalle dei contribuenti americani.”

Ha detto che anche se il piano cancellasse una grande quantità di debito tossico, le paure per la situazione economica implicheranno che le banche non saranno disposte a fare nuovi prestiti, mentre le prospettive di una maggiore pressione fiscale per pagare i vari piani di stimolo economico del governo potrebbero ulteriormente danneggiare i consumatori USA.

Alcuni politici repubblicani hanno anche espresso preoccupazione per gli incentivi offerti dal governo, che potrebbero finire col dare agli investitori privati più del 90% dei fondi necessari a comprare i beni in difficoltà.Anche se il presidente Barack Obama ha detto che il piano è critico per la ripresa dell'economia USA, Stiglitz, professore alla Columbia University di New York ed ex economista capo della Banca Mondiale, ha anche spinto i leader del G20 del prossimo summit di Londra ad impegnarsi a fornire risorse ai paesi in via di sviluppo e ha detto che la Cina dovrebbe avere maggiori diritti di voto all'interno del Fondo Monetario Internazionale.

“Le voci dei paesi in via di sviluppo, e di paesi come la Cina che forniranno grandi quantità di denaro, non vengono ascoltate”.

La Cina verrà fortemente spinta a raggiungere il suo obiettivo dell'8% di crescita quest'anno, ma la cosa importante è che almeno l'economia cinese sia ancora in crecita, ha detto Stiglitz.

Stiglitz ha dato il benvenuto alla proposta cinese di lunedì di una revisione del sistema monetario mondiale, proposta con la quale Zhou Xiaochuan, governatore della Banca Popolare Cinese, ha detto che i Diritti Speciali di Prelievo del FMI hanno la potenzialità per diventare una valuta di riserva sovra-nazionale.

Stiglitz chiede da tempo che il dollaro USA venga sostituito nel ruolo di unica valuta di riserva.

Basare un sistema di riserva su una sola valuta la cui forza dipende dalla fiducia nella sua stessa economia non è una buona base per il sistema globale, ha dichiarato.

“Potremmo essere all'inizio di una perdita di fiducia (nel sistema di riserva USA)”, ha detto. “Penso ci sia consenso in favore di un qualche tipo di sistema di riserva globale”.



Banche e auto: per Obama due pesi e due misure
di Ilvio Pannullo - Altrenotizie - 31 Marzo 2009

Il presidente Barak Obama batte i pugni: "Non vogliamo, non possiamo e non lasceremo scomparire l'industria automobilistica americana". E' categorico l’inquilino della Casa Bianca nell'annunciare che il suo governo non accoglie i piani di rilancio presentati dalle grandi compagnie che "non si stanno muovendo nella giusta direzione". È dunque tempo di terremoti a catena nel mondo dell'auto: mentre Rick Wagoner, presidente e amministratore delegato della General Motors, si è dimesso dopo le critiche del presidente Usa, in Francia è stato estromesso Christian Streiff, presidente del comitato di sorveglianza di Peugeot-Citroen. A ciò si aggiunga che, se entro trenta giorni non sarà raggiunto un accordo con la Fiat, il governo americano lascerà che anche la Daimler-Chrysler fallisca. Immediati i contraccolpi dei titoli automobilistici nelle Borse mondiali: Renault -6%, Peugeot -5,6%, Daimler -5,1%, Fiat -9,1%. Ancora peggiore, se possibile, la reazione di Wall Street: in apertura di contrattazioni il titolo GM apriva in calo del 29,83%, per poi limitare le perdite a quota 25,97%.

Assicurando di non voler veder "svanire" l'industria automobilistica in profonda crisi, il presidente americano ha però affermato l’impossibilità di “continuare a perdonare le decisioni sbagliate" della sua dirigenza. "Non possiamo subordinare la sopravvivenza della nostra industria automobilistica ad un flusso senza fine dei soldi dei contribuenti", ha detto ancora il presidente Usa che, in apertura del suo discorso, ha ricordato le principali vittime di questa situazione: gli operai del settore che continuano a perdere posti di lavoro nonostante "lavorino in modo indefesso”.

Questo infatti rappresenta il vero dramma che si continuerà a consumare nell’industria automobilistica a stelle e strisce. Se quella che il presidente vuole è una rivoluzione verde nel segno della sostenibilità, appare evidente che General Motors e Chrysler hanno bisogno di un nuovo inizio. Il metodo seguito può, tuttavia, produrre esiti assai diversi: ''So che davanti alla parola bancarotta la reazione della gente può essere di choc - ha aggiunto Obama - ma io intendo usare le nostre leggi esistenti come uno strumento che, insieme al supporto del governo americano, può rendere più semplice per General Motors e Chrysler'' superare i vecchi debiti e risollevarsi per poi tornare al successo.

È tuttavia un peccato che questo genere di choc sia generalmente sopportato da tutti quei lavoratori salariati colpevoli solo di seguire troppo fedelmente gli ordini della dirigenza. Le difficoltà che affronta l’industria dell’auto, in America come nel resto del mondo, sono dovute infatti in gran parte, alla debolezza dell’economia, ma anche dall’incapacità dei manager di Detroit di produrre un’auto degna del nuovo millennio.

Nel suo discorso, Obama ha dato un vero ultimatum alle compagnie automobilistiche: 60 giorni alla General Motors per presentare un nuovo piano di ristrutturazione, stringendo accordi con creditori e sindacati ai quali il presidente ha chiesto "dolorose concessioni”. Lo stesso presidente ha poi dato 30 giorni alla Chrysler per concludere l'accordo con Fiat, sottolineando che se le due compagnie avranno successo il governo valuterà "la concessione di 6 miliardi di dollari per aiutare il loro piano". Se GM è in piena crisi la Chrysler forse sta, infatti, anche peggio: accordo con Fiat entro un mese o liquidazione.

Responsabili dell’amministrazione statunitense, secondo la stampa americana, ritengono che la Chrysler non può funzionare come una compagnia indipendente nella situazione attuale. La proposta di alleanza fra le due società prevede che la Fiat rilevi il 35% di Chrysler in cambio dell'accesso alla propria tecnologia. Entro un mese, inoltre, Chrysler dovrà raggiungere accordi per tagliare ulteriormente il proprio debito. Parafrasando Bizio, “o fusione o morte”.

"Negli ultimi tempi la Chrysler ha individuato un potenziale partner, la compagnia automobilistica internazionale Fiat" ha spiegato Obama, sottolineando come la compagnia sia "pronta a trasferire la sua tecnologia di punta alla Chrysler e, dopo aver lavorato a stretto contatto con il mio team, si è impegnata a costruire nuove auto e basso consumo qui in America". Tre ore dopo il discorso di Obama, arriva puntuale l'annuncio del Ceo di Chrysler, Bob Nardelli: la Fiat ha raggiunto un accordo di massima su una nuova partnership con la casa automobilistica statunitense. Secondo il gruppo Usa, Fiat "rafforza la capacità del gruppo Chrysler di creare e preservare posti di lavoro negli Usa". Della serie: pecunia non olet.

Da parte sua, l'Ad della Fiat, Sergio Marchionne, ha ringraziato ''pubblicamente il Presidente Obama a nome di tutto il management del Gruppo Fiat ed ha precisato che i colloqui con la Task Force del presidente Obama “sono stati serrati ma leali”.
Il compito di GM e Chrysler è dunque quello di elaborare nuovi piani che siano in grado di offrire al popolo americano la fiducia necessaria. Va infatti ricordato che l'amministrazione Bush lo scorso anno aveva già approvato un bail out di 17 miliardi di dollari per l'industria automobilistica, 13,5 alla Gm e 4 alla Chrysler.

Da qui l’esigenza - secondo la Casa Bianca - di una linea dura contro una politica di immotivati interventi pubblici nell’economia. ”Fatemi essere chiaro, il governo americano non ha alcun interesse o intenzione di guidare la GM - ha detto Obama - quello che ci interessa è dare alla GM l'opportunità di fare quei cambiamenti estremamente necessari per farla uscire dalla crisi più forte e competitiva".

Chiarezza questa che sa di presa in giro. Non si capisce e non si capirà mai, infatti, il perché quando è una banca a dover fallire, magari per aver tenuto condotte iperspeculative, arriva immediato l’intervento della Federal Reserve, prontissima a stampare un mucchio di carta straccia, mentre il governo si dice solo dispiaciuto davanti a “buoni uscita” quantitativamente e moralmente incomprensibili. Se, invece, ad aver bisogno di aiuto è un settore che con l’indotto dà lavoro a quasi quattro milioni di posti di lavoro, come quello dell’auto, di pronto c’é solo il dito indice alzato e tante parole fuorvianti e tardive.

Se vi fosse stato vero interesse per l’industria dell’auto, oggi non ricorderemmo più neanche il rumore delle macchine con motore a scoppio, avendo il brevetto del motore elettrico quasi un quarto di secolo. Cambiare era possibile e dunque doveroso. Se siamo arrivati qui è solo perché in America il Presidente ha si l’ultima parola, ma solo quella. C’è qualcosa di molto più grande dietro al trono del re.



I meccanismi alternativi di credito basati su un codice etico: la finanza islamica
di Loretta Napoleoni & Claudia Segre - L’Osservatore Romano - 4 Marzo 2009

Pubblichiamo ampi stralci dall'articolo "L'Islam può aiutare la finanza dell'Occidente?" che apparirà nel prossimo numero della rivista "Vita e Pensiero".

È necessario ricordare come, alla fine del XIX secolo, i sostenitori dei principi e i cultori della finanza islamica abbiano espresso ripetutamente il malcontento verso la penetrazione del capitalismo nei Paesi musulmani. Parecchie fatwa sono state pubblicate per ribadire come le attività basate sull'interesse della banca dei "colonizzatori" fossero incompatibili con la shari'a. Tuttavia le sole banche presenti nel mondo musulmano erano l'espressione di istituzioni occidentali e le popolazioni di fede musulmana hanno dovuto utilizzarle nonostante dal loro punto di vista si trattasse di entità non ammissibili e basate su attività proibite dalla legge religiosa vigente, che permea il tessuto socio-economico di questi Paesi.

A partire dalla metà degli anni Cinquanta sino alla metà degli anni Settanta, gli economisti, i finanzieri, gli eruditi della shari'aa e gli intellettuali hanno studiato la possibilità dell'abolizione del tasso di interesse e la creazione di istituzioni finanziarie concentrate su un'alternativa "shari'a-compatibile" secondo il principio della riba, cioè la proibizione del pagamento di interesse come remunerazione al time decay.

Inoltre è stata compresa la necessità che un nuovo sistema economico islamico incorporasse soluzioni per ottemperare ad alcuni dei doveri fondamentali dei fedeli musulmani quali la zakat, ovvero il versamento obbligatorio per aiutare i poveri commisurato al patrimonio disponibile, piuttosto che forme di finanziamento per il pellegrinaggio alla Mecca. Le prime soluzioni proposte in un ambito di economia islamica applicata sono entrate in vigore negli anni Cinquanta a Kuala Lumpur in Malesia e nel Basso Egitto. L'esperimento malese, promosso dalla gestione e dal fondo dei pellegrini della Malesia, era sostenuto dal governo. Il quale, tra l'altro, si pose nella condizione di monitorare le istituzioni finanziarie dedite alla raccolta del risparmio e del relativo investimento in conformità con la shari'a.

L'elemento fondamentale e più noto del funzionamento delle banche islamiche coincide con il rifiuto di utilizzare l'interesse sia come variabile pura, applicata ai crediti, sia come parte integrante di altre operazioni; diviene quindi necessario individuare meccanismi alternativi che siano in grado di determinare il tasso di ritorno sui capitali e gli investimenti nel rispetto degli assiomi etici islamici. L'economia islamica, diversamente dall'economia di mercato convenzionale, è incentrata sui principi religiosi dell'Islam ed è orientata a mantenere i musulmani in linea con i dettami della shar'ia, la legge religiosa che dirige le loro vite. Gli attivisti islamici, gli intellettuali, i produttori e i capi religiosi hanno sostenuto sempre la validità della proibizione della riba, l'interesse caricato da chi presta denaro, e denunciato la maisir e la gharar, che ricomprendono la speculazione informativa e l'insider trading. I soldi non devono quindi essere usati come prodotto in sé, per generare più soldi.

Il fondo a gestione alternativa e le azioni ordinarie e privilegiate sono evitati dalla finanza islamica perché portano a una creazione artificiale della moneta. I soldi sono mezzi o strumento produttivo, ed è questo il principio applicato nelle obbligazioni cosiddette sukuk. Il sukuk è collegato sempre all'investimento reale, per esempio per pagare la costruzione di una strada o immobile, e mai a scopi speculativi.

Questo principio balza dal divieto della shari'a sull'haram, che ricomprende le attività non eticamente corrette e vietate dal Corano come la produzione e distribuzione di armi, il commercio di tabacco, alcol, pornografia e il gioco d'azzardo. Nel cuore della ricerca di una forma etica e shar'ia compliant si è così creata una joint-venture eccezionale. Questa alleanza ha visto una comunione di intenti tra gli eruditi benestanti e gli studiosi della shari'a che hanno cominciato a lavorare insieme al servizio di una rinnovata e più forte finanza islamica. Quest'associazione insolita è un fenomeno unico nell'economia moderna, ma ha cementato di fatto il fondamento di un nuovo sistema economico.


Fra le differenze più salienti tra l'approccio alla finanza convenzionale e la finanza islamica vi è l'unione di sforzi messi in campo a livello comunitario che si trasfigura poi nel concetto di umma, il corpo dei credenti, la comunità islamica considerata come una singola entità che respira, pensa e prega all'unisono. È questa l'anima dell'Islam.

L'individualismo all'interno dell'islam è sconosciuto, poiché è completamente estraneo alle culture tribali. L'Islam è radicato nei valori tribali tradizionali quali il forte sentimento di appartenenza e l'obbligo di aiutare gli amici nel bisogno, così come l'accettazione dell'autorità dei capi religiosi. Questi sono i valori che gli eruditi della shar'ia hanno trapiantato nell'economia islamica, principi che per secoli hanno permesso ai beduini arabi di sostenere uno stile di vita duro legato al rigore dell'ambiente desertico. Se l'umma è il cuore, l'associazionismo è come il battito cardiaco dell'economia islamica.

Pensiamo che la finanza islamica potrà contribuire alla rifondazione di nuove regole per la finanza occidentale, visto che stiamo affrontando una crisi che, superati gli iniziali problemi sulla liquidità, ora è diventata eminentemente una crisi di fiducia verso il sistema. Il sistema bancario internazionale ha bisogno di strumenti che riportino al centro l'etica del business, strumenti che permettano di raccogliere liquidità e aiutare a ricostruire la reputazione di un modello capitalistico che ha fallito.

La gente vuole investimenti sicuri e quindi torna a comprare in massa titoli governativi. Ma i rendimenti stanno scendendo rapidamente e sono ormai prossimi allo zero. Le banche occidentali potrebbero mutuare il sistema di garanzia dei sukuk oppure emettere direttamente sotto forma di sukuk per ottenere un obiettivo a supporto degli sforzi tesi allo stimolo della crescita economica. I sukuk potrebbero essere utilizzati ad esempio nella martoriata industria automobilistica o per finanziare le prossime Olimpiadi a Londra. Rispetto alla crisi del '29 si è formato per reazione un eccesso di liquidità stagnante che deve essere rimessa in moto e il sukuk potrebbe essere un veicolo adatto a tale scopo. E i principi etici che sono alla base della finanza islamica potrebbero riportare le banche più vicine alla clientela e al vero spirito di servizio che dovrebbe contraddistinguere ogni servizio bancario.