giovedì 13 marzo 2008

Il caos iracheno e la “strategia schizofrenica” di Washington

12 Ottobre 2006

Negli ultimi tempi si parla sempre meno di Iraq, nei telegiornali e nei quotidiani italiani si affronta l’argomento solo per aggiornare l’opinione pubblica sul numero di autobombe e sui relativi morti.
Ma che cosa sta effettivamente succedendo in quel disgraziato Paese?

Ormai è quasi passato un anno dalle elezioni politiche che Bush e Blair avevano esaltato come pietra miliare di un Iraq avviato definitivamente sulla strada della democrazia e come giornata storica che gettava le basi per discutere di un progressivo ritiro delle loro truppe a partire dal 2006.

Mancano solo 2 mesi e mezzo alla fine del 2006 e di questo progressivo ritiro non se ne intravede neanche l’ombra. Anzi, ora il numero dei soldati USA ha raggiunto la cifra di 147.000, superiore di 20.000 unità rispetto a pochi mesi fa ma anche al Marzo 2003, quando è cominciata l’occupazione. E secondo il capo di Stato Maggiore dell'esercito, il generale Peter Schoomaker, il numero delle truppe in Iraq si manterrà inalterato, rispetto ai livelli attuali, fino a tutto il 2010.

Ma gli USA hanno grossi problemi di ricambio di truppe fresche da inviare sul fronte di guerra iracheno; finora infatti circa 400.000 soldati su una forza in servizio attivo di 504.000 hanno già fatto un turno in Iraq o in Afghanistan e di questi oltre un terzo sono già stati schierati due volte. L'esercito ha inoltre mantenuto la sua consistenza facendo forte affidamento sui riservisti e sulla Guardia Nazionale, nonché sugli schieramenti obbligatori dell'Individual Ready Reserve, e cioè i marines costretti a ritornare in servizio attivo. E il Pentagono sta nuovamente prendendo in considerazione di attivare un numero sostanziale di riservisti e di membri della Guardia Nazionale per il servizio in Iraq, proprio perché sta avendo enormi difficoltà a reclutare nuove leve da spedire poi al fronte.

A questo si aggiunge il fatto che le perdite tra i soldati USA stanno aumentando costantemente negli ultimi tempi; Settembre poi e' stato il mese con il maggior numero di feriti tra le forze a stelle e strisce degli ultimi due anni – eccezion fatta per l’offensiva su Falluja del Novembre 2004 - con 776 soldati colpiti, e il numero dei soldati uccisi ha raggiunto ad oggi la cifra di 2757.
Neppure il numero delle truppe inglesi diminuisce affatto; ora il totale è di circa 7.200 soldati, ma agli inizi del mese scorso, il Ministero della Difesa inglese ha annunciato che altri 360 soldati stavano per essere inviati in Iraq, fra i quali i Royal Engineers per occuparsi delle bombe collocate sul ciglio della strada, una motovedetta per intensificare i pattugliamenti sul fiume Shatt al-Arab, e la polizia militare che attualmente sta venendo schierata nelle stazioni di polizia.

Questi dati sono quindi conseguenza del fatto che nel 2006 la violenza e il caos in generale sono arrivati ormai a livelli spaventosi, a partire dall’attentato alla Moschea di Samarra del Febbraio scorso, proseguendo con le quotidiane carneficine messe in atto dalle varie milizie sciite legate al Ministero degli Interni iracheno e ai vari partiti sciiti di governo, a cui fanno da contraltare le violenze dei gruppi armati sunniti e jihadisti.
E tutto ciò sulla pelle della popolazione irachena che sta fuggendo in massa dal Paese a causa della guerra civile e della pulizia etnico-religiosa; chi può scappa, soprattutto in Siria e Giordania, e si parla di un totale di circa 300.000 persone solo nel 2006.

Mentre è di questi ultimi giorni la notizia che, secondo la rivista medica britannica Lancet, i civili iracheni uccisi dall’inizio dell’invasione USA e GB hanno raggiunto quota 655.000, una cifra contestata sia da Bush che dalle autorità irachene. Un numero preciso dei civili uccisi è praticamente impossibile da stabilire, ma comunque sono sicuramente migliaia al mese. A Settembre oltre 2.660 civili iracheni sono stati uccisi soltanto a Baghdad, tra corpi ritrovati gettati in giro per la città e vittime di esplosioni, sparatorie, e altri attacchi; un aumento di 400 unità rispetto al mese precedente, secondo cifre del Ministero della Sanità iracheno.

In questi anni poi la resistenza alle truppe occupanti, in tutte le sue forme, si è notevolmente rafforzata e l’Iraq si è trasformato in un ricettacolo di jihadisti, come ribadisce la stessa National Intelligence Estimate, il recente rapporto dell’intelligence USA che Bush è stato costretto a rendere pubblico in alcune sue parti.

Ora però, dopo aver permesso per mesi e mesi alle milizie sciite di scorazzare liberamente, soprattutto quelle filoiraniane del partito di governo SCIRI, ed essendosi resi conto che la situazione a Baghdad sta sfuggendo di mano del tutto e che nel resto del paese è ormai già sfuggita, gli USA hanno deciso di recente di costruire una trincea intorno al perimetro della città nel tentativo disperato di mantenere il controllo almeno sulla capitale; ma anche questa mossa non sembra avere sortito un gran successo se solo pochi giorni fa gruppi armati sono riusciti di notte a lanciare razzi contro il più grande arsenale USA di armi provocando una serie di terribili esplosioni a catena e un incendio che ha illuminato a giorno per ore il cielo di Baghdad.

Nel frattempo gli USA hanno iniziato a negoziare con “l’Esercito Islamico in Iraq” - gruppo armato sunnita responsabile anche dell’uccisione di Enzo Baldoni e il cui portavoce Ibrahim al-Shammari giorni fa ha dichiarato che sono in grado di continuare a combattere per altri 10 anni - e con alcune potenti tribù sunnite della provincia di Al Anbar che si sono alleate sotto il nome di “Risveglio di Al-Anbar” e che stanno dando la caccia ai gruppi qaedisti. Il 7 Ottobre scorso lo sceicco Abdel Sattar Baziya, capo della tribù Abu Richa e presidente del consiglio tribale della provincia di Al Anbar, ha dichiarato alla France Presse: "I membri delle tribù hanno ucciso 34 ribelli, in gran parte stranieri, negli ultimi giorni".

Insomma, la situazione sta diventando sempre più ingestibile per gli USA che hanno ormai in Baghdad l’ultimo bastione da difendere a tutti i costi, e che nel resto del Paese stringono accordi più o meno segreti con i nemici di un tempo, mentre si scontrano nel frattempo con altri nemici di un tempo, le milizie di Muqtada Al-Sadr, che però ha suoi rappresentanti sia nel parlamento che nel governo in carica di Al-Maliki.

Infatti i raid USA nel resto del Paese continuano, anche se sporadicamente e sempre all’insegna del massacro indiscriminato di civili, come quello di qualche tempo fa nell’ospedale di Diwania, dove a dir loro stavano dando la caccia ai miliziani dell’esercito del Mahdi di Muqtada al Sadr.
Ad Agosto la stessa Diwania, nel sud sciita, è stata teatro di una battaglia tra miliziani del Madhi e soldati iracheni che ha lasciato dozzine di morti, mettendo in evidenza le profonde fratture tra i partiti sciiti uniti nella coalizione di governo a Baghdad ma in lotta tra loro per l'influenza sul sud ricco di petrolio.

Una situazione quindi di caos totale con una guerra civile non solo interconfessionale ma anche intraconfessionale che da bassa intensità gradualmente sta aumentando di livello, mentre questa “strategia schizofrenica” di Washington, che sta dando l’impressione di non raccapezzarsi più, può solo far ulteriormente peggiorare il quadro generale.
Ma si potrebbe anche obiettare che questo caos sia proprio la carta che si sta giocando Washington per mantenere le sue truppe a tempo indeterminato.
Infatti il presidente iracheno, il curdo Talabani, qualche settimana fa in un'intervista al Washington Post ha affermato che l'Iraq avrebbe bisogno di 10 mila soldati USA e due basi aeree a tempo indeterminato e possibilmente in Kurdistan, attirandosi immediatamente le ire del Comitato degli Ulema, la più influente forza sunnita del Paese, che ha definito “irresponsabile” questa idea aggiungendo che “Talabani ha solo espresso una richiesta americana, cosa che ha evitato a Washington di doverla formulare". Mentre fra le forze politiche sciite, le dichiarazioni del presidente sono state duramente criticate dai membri del movimento di Muqtada al-Sadr. "Per il governo, le dichiarazioni di Talabani non contano; per il popolo iracheno contano la costituzione e il parlamento", ha detto Hazem al-Aariji, uno dei deputati del gruppo di Sadr.
Un’ulteriore dimostrazione del caos che impera è data dal Parlamento iracheno che nei giorni scorsi ha approvato la legge che stabilisce le modalità e i meccanismi per la formazione delle regioni federali. La legge, appoggiata da una parte delle forze della coalizione sciita che ha la maggioranza – la United Iraqi Alliance (UIA) – e dalla coalizione kurda, è passata nel corso di una seduta che era stata boicottata dall'Iraqi Accord Front, la principale coalizione sunnita rappresentata nell'Assemblea Nazionale, e dai deputati appartenenti al gruppo dei sostenitori di Muqtada al-Sadr – che pure fanno parte della UIA – e da quelli di Al Fadhila, partito religioso sciita di ispirazione "sadrista", nel tentativo di impedire il raggiungimento del quorum necessario del 50%, che però è stato raggiunto ugualmente con la presenza di 140 parlamentari su un totale di 275.
Ma in base ad un accordo raggiunto il mese scorso fra le principali forze politiche rappresentate in Parlamento, l'attuazione della legge verrà rinviata di almeno 18 mesi, rimandando così al 2008 la creazione di qualunque regione autonoma.

In sintesi, solo il tempo dirà se questo totale caos iracheno senza limiti sarà stato il prodotto di una precisa strategia USA, all’apparenza schizofrenica e obbligata dal corso degli eventi, dimostrandosi perciò il vero asso nella manica che Washington ha sempre avuto oppure si sarà rivelato effettivamente come la cartina di tornasole della disfatta politico-militare dell’amministrazione USA in Iraq che verrà ricordata negli annali di storia, al pari di quella subita in Vietnam.

Intanto però la carneficina irachena continua senza sosta, mentre Bush sembra intenzionato a replicare in Iran.